25 agosto 2005

Tanto per non perdere l'abitudine.

Si è appena concluso lo sgombero dei coloni dalla striscia di Gaza e da quattro piccoli insediamenti del West Bank - con tanto di inni e grida di giubilo per la svolta epocale impressa da Sharon - ed ecco che ritornano i raid assassini compiuti dai valorosi soldati di Tsahal.
Nella notte tra mercoledì e giovedì, infatti, soldati dell'unità di elite Duvdevan - che operano sotto copertura - sono entrati nella città di Tul Karm, in Cisgiordania, per un'operazione che avrebbe dovuto portare all'arresto dei leader locali della Jihad islamica.
Il risultato, però, è stato il solito bagno di sangue, in cui hanno perso la vita due militanti della Jihad ricercati da Tsahal (tra cui uno degli esponenti locali di spicco, Adel Abu Ta'ar), ma anche tre giovani innocenti di età compresa tra i 14 e i 17 anni, che non erano armati e non appartenevano ad alcuna organizzazione militante.
Ennesimo raid illegale dell'esercito israeliano, dunque, ed ennesimo assassinio di giovani innocenti, il cui unico torto è stato quello di non restare chiusi in casa 24 ore su 24, perchè solo così in Palestina si può avere una ragionevole probabilità di restare vivi fino alla maggiore età.
C'è da chiedersi cosa sia cambiato dopo il ritiro "epocale" da Gaza, se accadono ancora crimini come questo, se Sharon dichiara pubblicamente che proseguirà l'espansione degli insediamenti colonici, se continua la costruzione del muro "difensivo" che ruba ancora terra ai Palestinesi per proteggere l'insediamento di Ma'aleh Adumim, spaccando in due il West Bank, con l'intento ormai non più nascosto di salvaguardare e difendere le realtà abitative israeliane di fatto sul territorio palestinese e di ricomprendere entro la cinta del muro il maggior numero possibile dei 240.000 coloni illegali del West Bank.
C'è da far riflettere chi, come Fassino, auspica un ripensamento nei giudizi dati su Sharon.
C'è da far arrossire di vergogna chi (ma con che coraggio?) ha proposto Sharon per il prossimo Nobel per la pace.

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18 agosto 2005

Ritorna il terrorismo ebraico.

Mentre le prime pagine dei giornali e i vari notiziari televisivi sono prodighi di immagini e notizie relative al “doloroso sacrificio” del ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, a sole due settimane dall’eccidio di Shfaram – in cui un ebreo estremista ha ucciso su un autobus quattro arabi e ne ha feriti altri dodici – il terrorismo ebraico (o meglio di matrice “colonica”) torna a colpire in maniera barbara e sanguinosa.
Ieri pomeriggio, infatti, vicino all’insediamento di Shiloh, nel nord della Cisgiordania, Asher Weisgann – un colono 38enne proveniente dal vicino insediamento di Shvut Rahel – ha rubato la pistola ad una guardia di un complesso industriale e ha sparato contro un gruppo di Palestinesi uccidendone quattro e ferendone altri due, di cui uno in maniera grave.
I morti, tutti operai che lavoravano nel complesso industriale di Shiloh, erano il 48enne Mohammed Mansour e il 30enne Bassam Tauase, 30, entrambi di Nablus; Halil Salah, 42 anni, di Qalqilyah e Osama Moussa Tawafsha, 33 anni, proveniente dal villaggio di Sanjil, vicino Ramallah.
Bisogna dire che la pratica del terrorismo è ben nota agli ebrei, che ne avevano fatto largo uso nel periodo precedente al sorgere di Israele a danno degli inglesi e delle popolazioni arabe locali; le formazioni paramilitari israeliane in quel periodo, peraltro, non erano aliene dall’usare metodi stragisti di tipo algerino, come ad esempio in occasione dell’eccidio di Deir Yassin.
In questi anni, tuttavia, il monopolio della violenza contro i civili palestinesi era passato all’esercito israeliano, con le sue incursioni di mezzi pesanti in centri densamente abitati, i suoi assassinii “mirati” che regolarmente coinvolgevano civili innocenti, l’uso di armi illegali quali, ad esempio, le granate a “flechettes”, e così via: basterà qui ricordare che, secondo l’organizzazione B’tselem, dall’inizio della seconda Intifada (29.9.2000) al 30 giugno di quest’anno, su 3.185 Palestinesi uccisi nei Territori occupati (di cui 645 minori di 18 anni) almeno 1.722 erano civili disarmati e che non avevano combattuto e non stavano combattendo in alcun modo: si tratta del 54% del totale dei morti, un numero tale da configurare un vero e proprio “terrorismo di Stato”.
I coloni, nel frattempo, protetti dallo scudo dei valorosi soldati di Tsahal, si limitavano a scorrerie di vario tipo a danno dei Palestinesi dei Territori occupati, danneggiamenti vari, devastazioni di uliveti e frutteti, uccisioni di bestiame, anche se occasionalmente non disdegnavano di far fuori qualche “fratello” arabo (37 civili assassinati fino al 30 luglio 2005).
Adesso, però, che i coloni non sembrano più “intoccabili”, adesso che il mito di Eretz Israel sembra andare definitivamente in soffitta, adesso che il ritiro degli israeliani da Gaza sembra prefigurare un sia pur timido passo in avanti verso la pace, ecco che rispunta il terrorismo ebraico, che trova il suo alimento ed il suo humus, ancora una volta, nella destra religiosa e messianica (e razzista) e nell’ambito degli insediamenti colonici.
Un colono del West Bank è Asher Weisgann, l’assassino di Shiloh, un colono di Tapuah era Eden Natan Zada, l’assassino di Shfaram, un estremista religioso che aveva studiato nella locale scuola talmudica (yeshiva), un colono era Baruch Goldstein, che nel 1994 trucidò 29 Palestinesi nella Grotta dei Patriarchi nel tentativo di sabotare gli accordi di pace di Oslo.
Prima che iniziasse il “disengagement plan” da Gaza, Israele aveva più volte ammonito i Palestinesi che il ritiro si sarebbe fermato in caso di attacchi delle milizie, e che l’esercito israeliano avrebbe risposto duramente ad ogni azione terroristica palestinese; adesso, con colpevole ritardo, ci si accorge che il vero pericolo ed il vero terrorismo nasce dagli ambienti dell’estrema destra israeliana, ed ancora adesso si stenta a prendere i provvedimenti conseguenti.
A parti inverse – se cioè un Palestinese avesse ucciso quattro israeliani e ne avesse ferito altri due – cosa sarebbe successo?
Facile rispondere: come sempre è avvenuto, infatti, Tsahal avrebbe prima di tutto raso al suolo la casa dell’attentatore (e pazienza se genitori, fratelli, parenti che vi abitavano restavano senza un tetto…), poi avrebbe imposto chiusure, posti di blocco e coprifuoco, ed infine avrebbe messo in atto qualche bell’assassinio “mirato” (con il contorno dell’uccisione di civili innocenti).
La risposta palestinese all’attentato di Shiloh, viceversa, è stata esemplare ed ammirevole: Abu Mazen ha invitato alla moderazione, Saeb Erekat ha chiesto alla giustizia israeliana di punire il colpevole in maniera esemplare, persino un portavoce di Hamas, Sheikh Hassan Yusef, ha assicurato che il movimento palestinese continuerà ad astenersi da qualsiasi azione contro Israele.
Adesso è tempo che anche il governo israeliano si assuma le proprie responsabilità e blocchi sul nascere questa pericolosa deriva terroristica di matrice colonica, confiscando le armi ai settlers (che ne dispongono in gran quantità), smantellando le infrastrutture terroristiche ebraiche al di qua e al di là della green line, compiendo arresti preventivi negli insediamenti più estremisti e ideologizzati, eventualmente imponendo coprifuoco nelle aree da cui provengono gli attentatori: è quello che chiedono, peraltro, alcuni parlamentari della Knesset come Ephraim Sneh o Avshalom Vilan.
Adesso è tempo di vedere chi vuole davvero la pace tra Israeliani e Palestinesi.

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10 agosto 2005

Assassini puniti? No, promossi!

Messo in secondo piano dall’escalation di morte e distruzione in Iraq e dai recenti attentati terroristici di Londra, continua tuttavia ininterrotto lo stillicidio di uccisioni di civili palestinesi inermi ed innocenti ad opera dei valorosi soldati dell’esercito israeliano, un bagno di sangue che va avanti dall’inizio dell’Intifada e continua con sistematicità senza che i media ne diano notizia, nemmeno in un trafiletto di poche righe.
Così il 6 agosto, nei sobborghi meridionali della cittadina di Rafah, ha trovato la morte il 21enne palestinese Mohammad Hamdan Qishta, ucciso mentre andava a fare la spesa al mercato da raffiche di “avvertimento” sparate a casaccio dai soldati israeliani, in un’area completamente calma ed in cui non si svolgevano combattimenti.
Così lunedì 8 agosto è stato assassinato nel campo profughi di Nur Shams, vicino alla città di Tul Karm, nel West Bank, il 18enne Samer Zandik, quando i soldati di Tsahal hanno risposto sparando ad altezza d’uomo al lancio di pietre da parte di una dozzina di giovani del luogo.
L’Anp e le associazioni per la difesa dei diritti umani hanno ripetutamente protestato, in questi anni, contro le sparatorie indiscriminate e l’uso illegittimo della forza da parte dell’esercito israeliano, purtroppo con scarso risultato.
Secondo i dati forniti da B’tselem, dall’inizio della seconda Intifada (29.9.2000) al 30 giugno di quest’anno, su 3.185 Palestinesi uccisi nei Territori occupati (di cui 645 minori di 18 anni) almeno 1.722 erano civili disarmati e che non stavano in alcun modo partecipando a dei combattimenti: si tratta del 54% del totale!
Queste cifre impressionanti mostrano come Israele abbia violato e violi continuamente le norme del diritto internazionale e del diritto umanitario, con riguardo all’uso indiscriminato della forza, all’utilizzo di armamenti pesanti in centri densamente abitati, al mancato rispetto del principio di proporzionalità nella risposta agli attacchi, all’utilizzo di armamenti proibiti, alle sparatorie indiscriminate.
A questo si aggiunga che, in quasi nessun caso, le inchieste promosse dall’Idf hanno mai portato all’incriminazione di soldati israeliani per l’uccisione illegale o il ferimento di civili palestinesi, nemmeno nei casi più eclatanti, creando all’interno dei ranghi di Tsahal un clima di sostanziale impunità e autorizzando, di fatto, dei veri e propri assassinii “legalizzati” ovvero un “terrorismo di Stato”, se si preferisce.
Secondo Human Rights Watch, che sull’argomento ha pubblicato un circostanziato report (“Promoting Impunity: The Israeli Military’s Failure to Investigate Wrongdoing”, disponibile su http://hrw.org/reports/2005/iopt0605), a fronte degli oltre 1.722 civili palestinesi innocenti uccisi da Tsahal (e delle altre diverse migliaia feriti più o meno gravemente), si sono avute soltanto 19 incriminazioni e “ben” 6 (sei!) condanne: di queste la più grave è stata una condanna alla detenzione per 20 mesi, ma in tutti gli altri casi – come ha notato Hrw – le pene sono state meno severe di quelle, per fare un esempio, comminate agli obiettori di coscienza.
E, siccome al peggio non c’è mai fine, a fine luglio si è avuta notizia che un ufficiale dell’esercito israeliano – pur “biasimato” per il suo coinvolgimento nell’uccisione di un giovane palestinese a Rafah – è stato promosso dal Capo di Stato Maggiore Dan Halutz.
Più precisamente, il tenente colonnello Adam Zussman, comandante di battaglione, è stato promosso a comandante di brigata ed assegnato al Comando meridionale, con il grado di colonnello.
Due anni fa Zussman autorizzò una compagnia, che si trovava in marcia nei pressi dell’insediamento colonico di Morag, ad aprire un fuoco di “deterrenza” in direzione delle vicine case palestinesi, provocando la morte di un 15enne palestinese.
L’incidente provocò severe critiche nei confronti dell’esercito israeliano, dato che, va specificato, questo fuoco di “deterrenza” consisteva in centinaia di colpi sparati a casaccio e indiscriminatamente contro abitazioni civili, e la relativa inchiesta interna all’Idf ha portato all’incriminazione di Zussman per uso illegale di armi.
E la pena? E’ stata resa nota due settimane fa, una severa “reprimenda” a cui la Corte, tuttavia, si è premurata di aggiungere una raccomandazione a non bloccare la promozione del colpevole!
Muore un adolescente palestinese, il comandante delle truppe è accusato di uso illegale delle armi e il risultato è un buffetto sulla guancia, tutto a posto, non farlo più, ma ti promuoviamo lo stesso?!
A questo punto ci aspettiamo, per equità, che venga al più presto promosso anche il capitano dell’Idf che, il 5 ottobre del 2004, liquidò con un colpo alla testa la 13enne Imam al-Hams, ferita nei pressi dell’avamposto di Girit mentre andava a scuola e stesa immobile in terra.
E il quasi leggendario valore e la “forza morale” dell’esercito israeliano? Bé, si vede che i tempi sono cambiati…

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8 agosto 2005

I surfisti di Dio.

La settimana scorsa il quotidiano israeliano Ha'aretz ha riportato la notizia secondo cui - tra le varie manifestazioni di protesta organizzate dai coloni contro il ritiro israeliano da Gaza - vi sarebbe anche quella di alcuni giovani provenienti dal blocco del Gush Katif, che avrebbero annunciato la loro intenzione di suicidarsi per protesta contro il "disengagement plan" proprio nel giorno previsto per l'evacuazione, allontanandosi nel Mediterraneo con i loro surf e lasciandosi annegare.
Un gesto degno di un film come "Un mercoledì da leoni" o, ancora meglio, come "Point break", ma forse si tratta solo di una leggenda metropolitana.
Certo è che dalle mie parti il surf, come ogni sport, significa affratellamento, amicizia, sana e onesta competizione.
Qui, invece, anche lo sport viene piegato alle visioni messianiche e pseudo religiose (e razziste) di chi ancora sogna il "Grande Israele", e non è disposto a restituire ai legittimi proprietari (cioè ai Palestinesi) neanche un maledetto cmq. di terra insanguinata.
Vorrei qui ricordare che nella Striscia di Gaza poco più di 8.000 coloni israeliani occupano (illegalmente, ma è un dettaglio...) circa 54 kmq. di terra, costringendo 1.130.000 palestinesi a vivere (un po' strettini...) nei restanti 310.
Vorrei ricordare che, per il "doloroso sacrificio" del ritiro da Gaza, ciascuna famiglia di coloni riceverà da 200.000 a 400.000 dollari, a seconda del numero dei componenti e degli anni trascorsi nella Striscia, oltre a sgravi fiscali e contributi per gli affitti.
Più che essere un "doloroso sacrificio", il ritiro di Israele da Gaza rappresenta, piuttosto, un primo, piccolo atto di giustizia nei confronti del popolo palestinese, a cui è auspicabile ne seguano altri con riferimento alle questioni delle colonie del West Bank, di Gerusalemme, dei diritti dei profughi.
Questo sempre che i surfisti di Dio (o magari Bibi Netanyahu...) non riescano ad impedire persino il miniritiro da Gaza del prossimo 17 agosto.

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5 agosto 2005

La via di Israele verso la pace.

Ieri pomeriggio un giovane estremista israeliano, il 19enne Eden Tzubeiri, ha aperto il fuoco con il suo fucile contro i passeggeri di un autobus nella cittadina arabo-israeliana di Shfaram, nella Galilea, uccidendo quattro passeggeri e ferendone altri dodici, di cui almeno quattro in maniera molto grave, prima di essere linciato dalla folla inferocita.
I morti, tutti cittadini arabi di Israele, sono Michel Bahus, 56 anni, Nader Hayak, 55 anni, Hazar Turki, 23 anni, e sua sorella Dina, 21 anni.
Il terrorista israeliano era una Guardia di Frontiera che due mesi fa aveva disertato dalla sua unità in segno di protesta contro il "disengagement plan" da Gaza e si era trasferito a Tapuah, un insediamento del West Bank dove studiava in un collegio talmudico (yeshiva).
L'insediamento di Tapuah è una delle colonie più estremiste, dominata dai seguaci del rabbino Kahane, fondatore del Kach, movimento estremista e razzista propugnatore dell'espulsione degli Arabi da Israele e dal West Bank, dichiarato fuorilegge; Tzubeiri era lui stesso attivista del Kach ed aveva legami con il movimento Revava, che recentemente aveva progettato di portare 10.000 persone in una marcia di protesta sulla Spianata delle Moschee.
Ritorna in azione il terrorismo religioso di estrema destra israeliano, dunque, ancora una volta in un momento in cui - seppur con tutte le limitazioni del caso - il processo di pace tra arabi ed israeliani sembra fare alcuni timidi passi in avanti.
E il terrorista di oggi viene fuori dagli stessi ambienti che avevano armato la mano di Ygal Amir, l'assassino di Rabin, o di Baruch Goldstein, il colono ebreo di origine americana che nel 1994 aveva ucciso 29 Palestinesi che stavano pregando nella Grotta dei Patriarchi, nel tentativo di sabotare gli accordi di pace di Oslo.
E' in forse il piano di ritiro dei coloni israeliani da Gaza?
Alcuni sembrano sottovalutare il pericolo rappresentato dalla follia pseudo-religiosa e dal messianismo di alcuni ambienti della destra religiosa, le scritte del tipo "gli arabi al crematorio", le minacce contro Sharon.
Si tende a non considerare con la giusta attenzione le tensioni all'interno dell'esercito israeliano, in cui il 40% degli ufficiali di grado inferiore appartiene al settore religioso.
Ci si rifiuta di capire che molti, all'interno di Israele, considerano la legge di Dio prevalente su quello dello Stato, farneticano ancora del mito del "Grande Israele", si considerano sempre il popolo eletto, unico titolare di diritti, al contrario dei Palestinesi.
Non è un caso che il Consiglio dei Coloni (Yesha) abbia liquidato l'attentato di Shfaram come il semplice atto di un povero pazzo, atto che non può "far parte della lotta democratica" (sic!): si disse lo stesso, a suo tempo, di Baruch Goldstein...
Non è un caso come buona parte dei media israeliani si siano limitati a descrivere il barbaro assassinio di arabi inermi come uno "shooting incident", come ha denunciato il deputato Azmi Bishara del Balad.
Non è, forse, un caso nemmeno il fatto che Tzubeiri - benché disertore - fosse ancora in possesso della sua arma, nonostante la sua stessa madre avesse avvertito l'esercito della necessità di disarmarlo.
A questo punto, a parti inverse, i Palestinesi dovrebbero intimare a Israele di disarmare i coloni e di impedire ulteriori atti di violenza contro palestinesi indifesi, minacciando di provvedere in proprio (con assassinii "mirati") in caso di inadempienza: di solito è così che si comporta Israele, accusando l'Anp di non far nulla per agevolare il processo di pace.Ma anche per gli atti di terrorismo, come avviene ormai da anni per gli assassinii di civili innocenti, si continuano ad usare due pesi e due misure...

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