23 febbraio 2007

Il bilancio della seconda Intifada.

Il Servizio statale di informazione della città di Gaza ha riferito che il numero dei caduti per mano delle forze di occupazione israeliana dall’inizio dell’Intifada di Al-Aqsa il 28 settembre 2000, e fino al 31 gennaio 2007, ammonta a 5.050. I feriti sono 49.760, di cui 4.835 hanno ricevuto le cure sul posto. Il numero di morti tra i minori di età inferiore ai 18 anni è pari a 937. Quello degli omicidi mirati 481. Il rapporto, che è stato preparato dal Centro di informazione nazionale palestinese, che è parte del Servizio statale di informazione, ha ricordato che:

351 sono le donne uccise;
150 i malati (soprattutto bambini, anziani) deceduti ai posti di blocco e a cui le autorità israeliane hanno impedito di raggiungere ospedali o centri di cura;
66 sono le vittime delle aggressioni dei coloni;
36 sono i medici e il personale sanitario o della protezione civile morti mentre prestavano i soccorsi.
9 i giornalisti, fotografi e altri operatori dell’informazione uccisi mentre testimoniavano le aggressioni israeliane;
220 gli sportivi morti.

Il rapporto ha anche indicato che il numero dei detenuti e dei sequestrati che si trovano ancora nelle prigioni israeliane è di 10.400, di cui 553 sono prigionieri da prima dell’inizio dell’Intifada di Al-Aqsa. Di questi, 1.150 sono malati cronici.
1.175 sono gli studenti e gli universitari detenuti, di cui 330 minorenni.
106 sono gli insegnanti e i dipendenti maschi del ministero dell’Istruzione pubblica incarcerati e 118 le femmine.

Strutture pubbliche e private danneggiate:
645 strutture pubbliche e della sicurezza danneggiate fino al 31 luglio 2006; 72.437 abitazioni danneggiate totalmente e in maniera parziale; 30.871 case distrutte totalmente – di cui 4.785 nella Striscia di Gaza fino al 31 ottobre 2006.

Scuole e università:
12 sono le scuole e le università chiuse su ordine militare fino all’8 agosto 2006
1.125 tra scuole e istituti superiori chiusi a seguito delle aggressioni israeliane
359 tra sedi della pubblica istruzione, scuole, uffici e università bombardate
43 scuole sono state trasformate in caserme militari
848 gli studenti uccisi dalle forze di occupazione
4.792 gli studenti e i dipendenti pubblici feriti

Terreni, alberi, ecc. danneggiati o sradicati fino al 31 luglio 2006:
80.712 dunum (80,7 ettari)
13.572.896 gli alberi sradicati
784 depositi agricoli demoliti
788 allevamenti aviari e animali distrutti, comprese le attrezzature
uccisi: 148.209 ovini, 12.151 bovini, 899.767 polli da carne, 350.292 polli da uova 1.650 conigli d’allevamento
16.549 arnie da miele distrutte; 425 pozzi d’acqua danneggiati; 207 abitazioni agricole demolite.
Le forze di occupazione hanno danneggiato 33.792 dunum (33,79 ettari) di terreni con impianto di irrigazione, distrutto 1.360 piscine e contenitori idrici, e 631.182 metri di reti agricole e muri di sostegno; hanno danneggiato 979.239 metri della linea idrica principale.
16.195 sono i contadini danneggiati fino al 31 luglio 2006
16 le serre e 16 i trattori e gli attrezzi agricoli distrutti.

Dal 1 ottobre 2001 fino al gennaio scorso sono stati distrutte 9.547 bancarelle, negozi e cantieri.
Il rapporto ha rilevato che la percentuale di disoccupati palestinesi ammonta al 30,3% nell’ultimo quarto del 2006: si tratta di 288.300 palestinesi (fino al 30 settembre 2006).
La percentuale di povertà nei territori palestinesi a causa dell’assedio è pari al 70%.
Altre aggressioni israeliane.
1.147 giornalisti aggrediti
5.001 posti di blocco e postazioni militari installate dal 1 ottobre 2001
36.724 bombardamenti contro quartieri abitati (fino alla fine di gennaio 2007)
247.291 dunum (247,29 ettari) di terreno sequestrati a causa della costruzione del Muro di separazione razziale (dal 29 marzo 2003)
432 fabbriche hanno subito danni a causa delle violazioni e delle aggressione israeliane.

Queste le cifre nude e crude, che mostrano la portata e l’entità dei crimini e della barbarie di quello Stato razzista e colonialista che ha per nome Israele.

All’impressionante quadro fornito dal Servizio di informazione palestinese possiamo solo aggiungere quanto riportato dall’ong israeliana B’tselem, secondo cui – con riferimento al 2006 – quasi la metà dei palestinesi uccisi (322, pari esattamente al 48,57% del totale) erano uomini, donne e bambini assolutamente disarmati ed estranei a scontri o combattimenti.

Eppure, anche a fronte di questa realtà di morte e disperazione, la comunità internazionale non solo assiste impotente, ma addirittura impone all’Anp un incredibile boicottaggio economico volto a costringere i Palestinesi a riconoscere la legittimità dello Stato oppressore ed assassino, a riconfermare i precedenti accordi siglati con uno Stato che li disattende puntualmente, a deporre le armi e a rinunciare anche a quel minimo di difesa che i militanti palestinesi possono assicurare al loro popolo.

Noi credevamo che i vari organismi sovranazionali, in primis l’Onu, il Quartetto, i Paesi firmatari della IV Convenzione di Ginevra avessero come compito precipuo quello di assicurare il rispetto della legalità internazionale e di difendere le popolazioni aggredite, oppresse, massacrate.

Ed invece bisogna ancora una volta constatare, con profondo stupore ed amarezza, che la comunità internazionale si comporta alla stessa stregua di un arbitro che, invece di separare due contendenti, ne immobilizza uno per consentire all’altro di picchiarlo meglio.

(tratto da: http://www.forumpalestina.org/news/2007/Febbraio07/23-02-07bilancio_repressione_israeliana.htm)

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21 febbraio 2007

La lotta armata che si traveste da antisionismo.

Che il vittimismo sia un tratto dominante della propaganda pro Israele è certamente un dato di fatto consolidato.
Così, il 19 febbraio, il sito web “informazione corretta” (un nome che è tutto un programma!) riporta un articolo di Davide Romano (pubblicato dagli amici di Israele) in cui si ricordano tutti gli odiosi episodi di questo antisemitismo sempre incombente e minaccioso accaduti in questi ultimi anni a Milano, e che si riducono sostanzialmente ad un paio di bandiere bruciate, qualche fischio, dei volantini e/o manifesti contro Israele, nonché ad una aggressione fisica (quella si, deplorevole) ai danni del portavoce della comunità ebraica Reibman, nel giugno del 2002.
Non è che sia gran cosa, evidentemente, ma la propaganda sionista è ben abituata ad arrampicarsi sugli specchi pur di dimostrare uno dei propri assunti fondanti, e cioè che l’antisemitismo è sempre ben presente nella società moderna, in agguato e pronto a colpire; prova ne è l’accanimento degno di miglior causa con cui alcuni loschi figuri si ostinano a voler criticare l’occupazione israeliana e i crimini di guerra commessi da Tsahal a danno del popolo palestinese, chiaro indice di un irrazionale e profondo odio contro gli ebrei.
La stessa informazione “corretta” si è premurata ad esempio, qualche tempo addietro, di indicare questo blog addirittura come “un sito dedicato alla propaganda d’odio contro Israele e gli ebrei”, solo per aver citato marginalmente il caso di Ariel Toaff nel contesto di un pezzo in cui, peraltro, si intendeva denunciare la campagna di intimidazione e di censura a danno di chi, in qualche modo, si avventuri nel voler trattare in maniera critica di Israele o della storia ebraica.
Il testo “incriminato” lo trovate qui, e ognuno potrà giudicare se davvero esso, come pure l’intero blog, costituiscano uno strumento dedito alla “propaganda d’odio” contro gli ebrei.
In maniera analoga Davide Romano, dopo aver premesso (bontà sua!) che ogni critica ad Israele è “benvenuta”, subito dopo però mette in guardia contro le visioni unilaterali e la “demonizzazione” di Israele, citando a mo’ di esempio le dichiarazioni “eccessive” del Segretario regionale della Cgil Susanna Camuso nel 2002: “Palestina: la comunità internazionale si mobiliti per fermare il massacro”.
Ora, si vorrebbe ricordare a Romano i dati forniti dall’ong israeliana B’tselem, secondo cui, nel solo 2006, Israele ha ucciso ben 660 Palestinesi, di cui circa la metà (esattamente 322) erano uomini, donne e bambini inermi e totalmente estranei a scontri e combattimenti, e gli si vorrebbe chiedere se 322 persone brutalmente assassinate da un esercito di occupazione costituiscano un numero sufficiente per poter parlare di “massacro” o se, piuttosto, dovremmo considerarli un semplice incidente di percorso.
Ma il peggio è che, sempre secondo Romano, quando a questa “demonizzazione” si unisce la rimozione di fatti non coerenti con la propria visione ideologica - citando in proposito l’asserita censura operata dai principali quotidiani comunisti (sic!) delle dichiarazioni di Napolitano sull’antisemitismo che si maschera da antisionismo – ecco che si creano “le pre-condizioni necessarie a creare il mostro da odiare e, nelle teste più calde, da abbattere. Questo tipo di propaganda si applica a Israele tanto quanto agli Usa o al professor Ichino"!
No, non stropicciatevi gli occhi, avete letto bene.
Nelle farneticazioni di Davide Romano e degli amici di Israele la legittima critica ad uno Stato che perpetua una pluridecennale e illegittima occupazione dei territori palestinesi e che, nel 2006, ha in media ucciso quasi un Palestinese inerme e innocente per ogni giorno dell’anno, viene paragonata al brodo di cultura ideologico delle nuove BR, a quell’area di vicinanza e di contiguità alla lotta armata che la sinistra, peraltro, non da ora sta cercando di estirpare.
Siamo ormai più che abituati alla propaganda sionista e alle sue malevole e allucinate esternazioni, ma non può assolutamente essere tollerato un simile accostamento.
Ciò è offensivo, in primo luogo, nei confronti della Camuso e di quanti altri, con piena legittimità, intendono criticare con fermezza le azioni criminali dello Stato di Israele e del suo esercito.
Ma tali affermazioni, soprattutto, sono ripugnanti e vergognose nel loro voler tirare in ballo, con il malcelato scopo di tacitare ogni voce critica, la violenza assassina delle BR, quella progettata ai danni del Professor Ichino e quella portata a termine contro i poveri Tarantelli, Ruffilli, D’Antona, Biagi.
Davvero eravamo convinti di aver visto e letto di tutto, ma non ci aspettavamo certo di assistere alla vergognosa strumentalizzazione del dramma della morte di questi servitori dello Stato per sostenere la causa di Israele!

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9 febbraio 2007

Guai a chi tocca Israele!

Il vento della censura e dell’intimidazione con cui, in tutto il mondo occidentale, si tenta di imbavagliare e di impedire ogni libera discussione che verta in qualche modo sugli ebrei e su Israele sta soffiando sempre più impetuoso e preoccupante e, soprattutto, sta cominciando a mietere le prime vittime, non più solo tra i “negazionisti”.
L’ex Presidente americano Jimmy Carter, reo di aver pubblicato un libro (“Palestine: Peace, not Apartheid”) in cui si criticano aspramente il muro di imprigionamento costruito da Israele e le violazioni dei diritti umani commesse nei Territori palestinesi, paragonate al regime dell’apartheid, è stato sottoposto a critiche feroci e ad attacchi sovente sferrati sul piano personale e familiare.
E’ curioso osservare che, come spesso accade quando entra in azione il fuoco di sbarramento della propaganda sionista, la maggior parte delle critiche e dei rimproveri rivolti a Carter non entrino nemmeno nel merito delle questioni sollevate, ma si limitino a brandire la solita arma impropria dell’antisemitismo o, quanto meno, dell’ostilità nei confronti dell’ebraismo.
Così, uno dei più acerrimi avversari di Carter, il celebre avvocato Alan Dershowitz, che minaccia di inseguire l’ex Presidente in ogni luogo ove si rechi a presentare il proprio libro, si limita nello specifico ad accusare Carter e la sua fondazione di ricevere soldi dall’Arabia Saudita, e di rivolgere esclusivamente le proprie accuse ad Israele e non a Riyadh.
Una tattica ben nota anche a quanti si cimentino, su forum o in altri luoghi di pubblico dibattito, a discutere di Israele e dei crimini commessi dai soldati di Tsahal: evitare di rispondere sulle questioni sollevate, sviare il discorso e, piuttosto, indagare minacciosamente sulle bieche ed oscure ragioni che spingono il malcapitato interlocutore a insistere ostinatamente a voler criticare le azioni di Israele.
E se negli Usa la potenza di fuoco della lobby ebraica è davvero spaventosa e condiziona pesantemente gran parte dei media, in Europa, e in Italia in particolare, non è che le cose vadano meglio.
E’ notizia di ieri l’altro, ad esempio, quella secondo cui in Austria i quattro figli del rabbino Moshe Arye Friedman sono stati espulsi dalla loro scuola e banditi da tutte le altre scuole ebraiche austriache, in considerazione del fatto che il loro padre è uno dei rabbini che hanno preso parte alla conferenza sull’Olocausto organizzata dal Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad lo scorso mese.
E questo nonostante Neturei Karta, il gruppo cui Friedman è associato, abbia più volte pubblicamente smentito di aver negato l’Olocausto o le sue proporzioni.
Ma la situazione più penosa e preoccupante è quella a cui assistiamo oggi nel nostro Paese.
A partire dal gennaio di quest’anno, con l’approvazione all’unanimità del ddl Mastella (ma la sinistra non ha avuto proprio niente da ridire?), si era già capito che l’aria si stava facendo pesante, laddove si sono pericolosamente reintrodotti reati d’opinione punendo non più la “propaganda”, ma la semplice “diffusione” di idee antisemite o sulla superiorità e l’odio razziale, prevedendo un’aggravante qualora i reati in discussione vengano commessi negando in tutto o in parte l’esistenza di genocidi o di crimini contro l’umanità per i quali vi sia stata una sentenza definitiva di condanna da parte dell’autorità giudiziaria italiana o internazionale (una vera e propria norma fotografia!).
E a rendere le cose ancora più chiare ha provveduto il Presidente Napoletano con il suo pubblico no all’antisemitismo “anche quando si travesta da antisionismo”, in quanto “l’antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita ieri e della sua sicurezza oggi”.
Dunque il cerchio si chiude, non solo è vietato negare (in tutto o in parte) o ridiscutere storicamente l’Olocausto, ma è vietato mettere in discussione la natura di Israele come Stato “etnico” (e caratterizzato da una legislazione pesantemente discriminatrice verso i non ebrei) e, infine, appare persino vietato criticare le politiche brutali e assassine con cui Israele garantisce la propria “sicurezza” nei confronti del popolo palestinese, sottoposto a incredibili vessazioni, umiliazioni, massacri.
Partendo da un simile assunto, è chiaro che anche la trattazione delle più banali questioni storiche appaia irta di difficoltà e di pericoli.
Chi conosce la storia e ha avuto la ventura di assistere allo sceneggiato tv “Exodus”, che ha raccontato la storia di Ada Sereni, la donna coraggiosa che è riuscita nell’impresa di portare clandestinamente in Palestina oltre 20.000 ebrei sfuggiti alle persecuzioni, di certo non sarà rimasto sorpreso dalla pressoché totale eliminazione dalla fiction (perché tale è divenuta) di ogni contesto storico, dall’assenza nella narrazione di ogni accenno all’antifascismo di Enzo e Ada Sereni e, soprattutto, della loro idea di fare della Palestina una patria unica per arabi ed ebrei.
Ma naturalmente vi è di peggio, ed è cronaca di oggi.
Lo studioso Ariel Toaff (figlio del rabbino Elio Toaff) ha da poco pubblicato un saggio (“Pasque di sangue”, Ed. Il Mulino) in cui tenta di restituire dignità storica all’accusa rivolta in passato agli ebrei di uccidere ritualmente bambini cristiani in occasione della Pasqua.
Apriti cielo! Ne sono derivate una messe di dure critiche e reprimende nei confronti dell’autore, provenienti anche da chi non aveva nemmeno aperto il libro incriminato, ma si limitava a “suggerire” che le implicazioni che questo argomento porta sul piano dell’attualità dovrebbero spingere chiunque alla “moderazione” e al “riguardo” (cioè, in pratica, a non trattarlo proprio o a occuparsene per negarne la veridicità, tertium non datur…).
Questo senza parlare del fatto che all’autore – come lui stesso ha affermato l'altro ieri al tg2 – è stato caldamente “consigliato” di non farsi vedere dalle parti del quartiere ebraico a Roma…
Ma il fatto più grave, naturalmente, è l’iscrizione nel registro degli indagati del portavoce e del Presidente dell’U.C.O.I.I. (Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia), con l’ipotesi di reato di istigazione all’odio razziale e religioso.
In particolare, il Presidente dell’U.C.O.I.I., Mohamed Nour Dachan, viene accusato di essere uno degli ispiratori della controversa inserzione a pagamento effettuata su alcuni quotidiani italiani lo scorso 19 agosto, in cui si paragonavano le stragi naziste di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine ai crimini di guerra commessi da Israele in Libano e nei Territori palestinesi.
Hamza Piccardo, invece, sarebbe indagato per una pagina web comparsa sul sito http://www.islam-online.it/ in cui si parlava delle 750 vittime dei bombardamenti israeliani in Libano e della strage di Qana.
Ora, io non ho letto la lettera per la quale Piccardo viene indagato dalla Procura di Roma, ma ho certamente letto, ed in parte condiviso, il contenuto dell’inserzione del 19 agosto dal titolo “Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane” (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/08/in-difesa-dellucoii.html) e in essa, per quanto mi sforzi, non riesco a trovare nulla che possa ricondurre alla “istigazione all’odio razziale”.
Nel testo non si paragonano certo gli ebrei ai nazisti, ma si fa un parallelo molto più limitato tra le stragi compiute dai nazisti in Italia, e segnatamente quelle di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine, e i massacri compiuti da Israele in Libano e in Palestina dal 1948 ai giorni nostri.
Nessun incitamento all’odio contro gli ebrei, dunque, ma soltanto una denuncia accesa e vibrante contro i crimini di guerra commessi ai danni delle popolazioni arabe di Libano e Palestina, delle politiche repressive mette in atto da Israele, dell’occupazione illegale dei Territori palestinesi, denuncia che naturalmente può essere condivisa o meno, ma il cui scopo non è certamente quello di istigare all’odio razziale e/o religioso.
Per essere chiari, il paragone tra le stragi naziste in Italia e l’operato di Tsahal in Libano e in Palestina può senz’altro apparire forzato, quanto meno sul piano puramente “quantitativo”.
Ma non v’è dubbio alcuno, da un punto di vista della “qualità” dei crimini di guerra commessi, che Israele ed il suo esercito abbiano posto in essere in questi anni tutta una serie di brutalità, di assassinii illegali, di punizioni collettive, di massacri in un numero ed in una varietà davvero impressionanti e sbalorditivi.
Secondo il rapporto di Human Rights Watch relativo al 2006, la guerra in Libano ha causato la morte di oltre 1.100 Libanesi, per gran parte civili, e il ferimento di oltre 4.000 persone, oltre ad aver provocato circa un milione di profughi; degno di nota è il fatto che circa un terzo dei morti e dei feriti è rappresentato da bambini.
Sempre secondo HRW, “nella sua condotta delle ostilità, l’Idf (l’esercito israeliano, n.d.r.) ha ripetutamente violato le leggi di guerra mancando di distinguere tra combattenti e civili”, e questo senza considerare l’uso massiccio e indiscriminato delle cd. cluster bombs, che continuano anche dopo la cessazione delle ostilità a reclamare il loro tributo di morti e di feriti.
Nei Territori occupati, l’esercito israeliano – solo nel 2006 – ha ucciso ben 660 Palestinesi, 141 dei quali di età inferiore a 18 anni; ben 322 degli uccisi, secondo l’ong israeliana B’tselem, erano disarmati e non stavano in alcun modo partecipando a scontri o combattimenti: si tratta di quasi il 50% del totale!
In questo anno, al pari degli anni precedenti, abbiamo assistito a crimini ed atrocità senza paragoni, bambini e adolescenti uccisi mentre andavano a scuola, o addirittura seduti al loro banco, oppure mentre giocavano per strada, interi gruppi familiari massacrati da bombardamenti indiscriminati nelle loro case o su una spiaggia, oppure uccisi nel sonno da una bomba della Iaf, oppure ancora devastati nel corso di una delle tante esecuzioni “mirate”, donne e bambini uccisi perché si erano avvicinati troppo alla barriera “difensiva”, militanti palestinesi uccisi nel corso di operazioni di arresto che – come certificato da varie organizzazioni di tutela dei diritti umani – troppo spesso si sono trasformate in liquidazioni sommarie.
Come dovremmo definire tutto questo, che termini o paragoni dovremmo usare, oppure saremo costretti a rivolgerci ad un avvocato per poter criticare senza rischi l’operato di Israele e i crimini di guerra commessi dalle sue truppe di occupazione?
O, meglio ancora, dovremo delegare ogni critica a Israele agli ebrei “dissenzienti”, magari ai membri di European Jews for a Just Peace, visto che, almeno loro, difficilmente rischierebbero di essere incriminati per istigazione all’odio razziale e religioso?
Non posso credere che, in nome della “sicurezza” di Israele e, soprattutto, della terribile minaccia portata da questo fantomatico e sempre risorgente antisemitismo, stiamo sacrificando uno dei nostri beni più preziosi, la libertà di manifestazione del pensiero.
Libertà di parola e di espressione che costituisce, al contrario del sionismo, uno dei valori fondanti del nostro Paese come di ogni democrazia che si rispetti e che per questo, con molto maggior merito, avrebbe potuto trovar posto in un intervento del nostro Presidente della Repubblica.

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