31 ottobre 2007

Perchè gli ebrei sono così intelligenti?

Pare ormai accertato che il quoziente intellettivo degli ebrei sia particolarmente elevato, come proverebbe, ad esempio, il gran numero di Premi Nobel ebrei (fatto questo, peraltro, di cui molti appartenenti alla categoria amano vantarsi in forum e pubbliche discussioni).
E così in questi giorni l’American Enterprise Institute (Aei) ha deciso di organizzare un convegno dal suggestivo titolo “Perché gli ebrei sono così intelligenti?”, invitando a discutere dell’argomento John Entine (ebreo, autore del libro “I figli di Abramo: razza, identità e dna del popolo eletto”), Charles Murray (presbiteriano, teorico dell’inferiorità dei neri), e Laurie Zoloth (ebrea, professoressa di bioetica alla Northwestern University).
Va qui ricordato che l’Aei è uno dei più importanti ed influenti think-tank neocon degli Stati Uniti, una istituzione culturale di cui fanno parte, tra gli altri, Paul Wolfowitz (ex sotto-segretario alla Difesa), lo storico Frederik Kagan, Newt Gingrich.
Il dibattito – come riferito dal Washington Post - è stato ampio e articolato.
Entine ha ipotizzato che il notevole q.i. degli ebrei sia dovuto a mutazioni genetiche, quale ad esempio il morbo di Tay Sachs, mutazioni “che potrebbero aver favorito la crescita delle cellule cerebrali”.
Murray ha attribuito la poderosa intelligenza del popolo ebraico al rigore degli studi religiosi nel corso dei secoli: “se eri ebreo e poco intelligente ti riusciva più facile diventare cristiano” (!).
La Zoloth, infine, ha sostenuto che a rendere gli ebrei più intelligenti sia stata, nel corso dei secoli, soprattutto la necessità di sopravvivere alle persecuzioni.
Mentre attendiamo con ansia che gli studiosi arrivino ad un punto fermo circa i motivi della grande intelligenza degli ebrei, non possiamo, tuttavia, fare a meno di notare come l’insistenza nel voler segnalare e motivare differenze tra gli uomini sulla base della razza – soprattutto quando queste differenze vengono imputate a cause genetiche – storicamente ha contribuito, e ancora oggi può contribuire, a quella pericolosa deriva antisemita di cui pure gli ebrei, un giorno si e l’altro pure, si lamentano con grande clamore.
Non c’è bisogno di essere esimi scienziati, peraltro, per capire che effettivamente il popolo ebraico è davvero dotato di una intelligenza fuori dal comune.
Bisogna essere, infatti, davvero abili ed intelligenti per piegare, come avviene da decenni, la politica estera Usa agli obiettivi e alle esigenze strategiche della nazione ebraica.
Bisogna davvero essere dotati di una intelligenza fuori dal comune (combinata ad una straordinaria faccia tosta) per far digerire a tutto il mondo (occidentale) la colossale panzana che dipinge i Palestinesi come dei terroristi spietati e sanguinari e gli Israeliani come delle vittime di una aggressione ingiusta e immotivata.
Non si spiegherebbe altrimenti la circostanza – rilevata qualche giorno addietro da John Dugard con particolare riferimento alla situazione di Gaza – che vede i Palestinesi come l’unico caso al mondo di popolazione che vive sotto occupazione militare e che, tuttavia, viene sottoposta ad un incredibile boicottaggio politico ed economico.

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26 ottobre 2007

Solidarietà (concreta) per Dacia Valent.

Ho appena letto, davvero con disgusto misto a sgomento, le disavventure a sfondo giudiziario-razzista capitate alla coraggiosa e brava Dacia Valent, ampiamente resocontate nel suo blog: davvero una vicenda indegna di un Paese (che dovrebbe essere) civile, moderno, tollerante, solidale.
E quindi non possono che concordare con quanto scritto da Miguel Martinez sulla vicenda e, in particolare, con l'appello da lui lanciato per dimostrare solidarietà alla Valent (appello riportato qui sotto).
Fate quello che potete!
"Hanno confermato l'incredibile ingiustizia contro Dacia.
A questo punto bisogna fare qualcosa di concreto.
Due proposte molto semplici.
Per gli abbonati semplici, andare dal tabaccaio sotto casa, comprare una scheda Vodafone e ricaricare il telefono che hanno regalato a Dacia (il suo telefonino è rimasto nella casa sequestrata):
346-4260605
Così almeno potrà telefonare ai suoi avvocati, senza pesare su chi di volta in volta la ospita.
Per gli abbonati sostenitori, c'è una proposta più impegnativa: ospitare Dacia.
Lo so, ho già capito, avete ragione.
Comunque si tratta di organizzare una catena di persone in grado di ospitare la Nera Errante, per qualche giorno, e poi consegnarla delicatamente a qualcun altro. Contattate Dacia direttamente, oppure contattate me all'indirizzo mail
muqawama@gmail.com, che le faccio da agenzia viaggi per l'occasione (non rispondete tra i trollatissimi e sorvegliatissimi commenti).
Le catene servono a questo. La rabbia, invece, serve per capire l'infamità del mondo in cui ci troviamo.".

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25 ottobre 2007

I bambini di Tel 'Adasa e il muro di "sicurezza".

Il muro di “sicurezza” che Israele sta attualmente completando, in buona parte in territorio palestinese, è chiaramente illegale.
Il suo attuale tracciato, disegnato per includere al suo interno il 76% dei coloni israeliani, corre per l’80% all’interno dei Territori occupati e, in corrispondenza dell’insediamento di Ariel, si insinua per ben 22 km. all’interno della West Bank.
Quando il muro sarà completato (inglobando un ulteriore 10,2% della terra di Palestina), circa 60.000 Palestinesi si troveranno imprigionati tra la green line e la barriera, ma un numero ben maggiore, pari ai circa 500.000 Palestinesi che vivono entro una fascia di un chilometro dal muro stesso, dovranno attraversarlo per raggiungere i propri campi o il proprio posto di lavoro, o semplicemente per mantenere i rapporti familiari, con le ovvie difficoltà causate dalle restrizioni arbitrarie di accesso operate da Israele.
In questo quadro si colloca l’assurda situazione in cui sono venuti a trovarsi i bambini palestinesi di Tel ‘Adasa, raccontata da un video di YouTube.
Sessantotto Palestinesi, tra cui 26 bambini, vivono oggi a Tel ‘Adasa, un’area di Gerusalemme est occupata da Israele nel 1967, situata nei pressi della zona industriale di ‘Atarot e della Route 404.
A ovest di questa strada, il cui uso non è consentito ai Palestinesi, Israele ha costruito una sezione del muro, separando i residenti di Tel ‘Adasa dalla vicina cittadina di Bir Nebala.
La situazione è complicata dal fatto che, sebbene questi Palestinesi risiedano nella zona da decenni (alcuni addirittura sono nati li), Israele non ha mai voluto riconoscere loro lo status di residenti di Gerusalemme e non gli ha mai rilasciato un documento d’identità israeliano: in pratica, questi sventurati sono considerati tecnicamente come dei residenti illegali di Gerusalemme, non possono entrarvi (in teoria non potrebbero nemmeno entrare in casa loro!), e ad essi non può essere fornito alcun servizio dalla municipalità.
Questa situazione ha costretto gli abitanti di Tel ‘Adasa a dipendere dalla cittadina di Bir Nebala per ogni esigenza legata alla quotidianità, gli acquisti, le cure mediche, l’istruzione.
Una volta costruito il muro, agli abitanti di Tel ‘Adasa venne concesso di attraversarlo tramite un passaggio pedonale, attraverso il quale i residenti potevano passare senza dover presentare alcun permesso alla polizia di frontiera israeliana.
Questo passaggio rappresentava l’unica via per gli abitanti del luogo per poter raggiungere Ramallah e il resto della West Bank, dato che il tragitto alternativo – attraverso il check point di Qalandiya – era ad essi impedito a causa del mancato rilascio, come abbiamo visto, di validi documenti di identità o di permessi di ingresso in Israele.
Il 12 settembre, senza alcun preavviso, le forze di sicurezza israeliane hanno chiuso il passaggio attraverso il muro, con il risultato che i 26 bambini di Tel ‘Adasa non sono potuti andare a scuola per dieci giorni; successivamente, il 23 settembre, i bambini hanno ripreso ad andare a scuola attraverso il check point di Qalandiya, con molti disagi e solo grazie all’intervento della ong israeliana B’tselem, ma si tratta di una situazione chiaramente provvisoria.
I bambini, infatti, possono passare al check point solo dopo che gli inviati di B’tselem ottengono lo sta bene dalle autorità israeliane, e questo stato di cose è chiaramente precario visto che questi bambini non hanno documenti di identità validi ed in ogni momento potrebbero essere fermati e rimandati indietro.
La soluzione equa sarebbe, naturalmente, il riconoscimento dei Palestinesi di Tel’ Adasa quali residenti di Gerusalemme est e la rimozione della sezione di muro (illegale) che impedisce loro ogni comunicazione con il resto della West Bank, in spregio a ogni norma di diritto umanitario e in grave violazione, tra gli altri, del diritto di libera circolazione.
Naturalmente, ogni volta che si parla del muro di separazione, gli Israeliani amano parlare della “sicurezza” del loro Paese, anche in casi come questo, in cui 26 pericolosi “terroristi” sono tagliati fuori dalle loro scuole.
Ma, ormai è chiaro, il muro serve solo a sottrarre ulteriore terra e risorse naturali ai Palestinesi, a render loro la vita impossibile e a scacciarli dalle loro case, a creare nuovi “fatti sul terreno” in attesa di una nuova, inutile conferenza di pace o di nuove, “generose” concessioni da parte degli aguzzini che siedono al governo di Israele.
E il parere dell’Alta Corte di Giustizia dell’Aja (fatto proprio dalla risoluzione ES-10/15 dell’Assemblea Generale dell’Onu), che ha stabilito l’illegalità del muro costruito in territorio palestinese e ne ha chiesto la distruzione, sembra ormai dimenticato.

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18 ottobre 2007

Apartheid in Palestina? No, peggio!

L’Unità on-line del 17 ottobre pubblica, a firma di Umberto De Giovannangeli, un’intervista a John Dugard, attuale Relatore speciale delle Nazioni Unite per la tutela dei diritti umani dei Palestinesi, in cui il professore sudafricano – rimarcando la differenza tra la propaganda sionista e la realtà sul terreno – denuncia il costante deterioramento delle condizioni di vita della popolazione palestinese, i quotidiani crimini e le violazioni dei diritti umani da parte di Israele, il completo fallimento del Quartetto nel suo compito di honest broker del conflitto.
Non è la prima volta che Dugard denuncia con forza le reiterate e gravi violazioni dei diritti umani a danno dei Palestinesi, incomprensibilmente ignorate dalla comunità internazionale, la quale, al contrario, ha adottato un incredibile boicottaggio politico ed economico nei confronti dell’Autorità palestinese e dei ministri in quota Hamas, prima, e dei Palestinesi di Gaza, ora.
La pace e il rispetto dei diritti umani – aveva dichiarato il Relatore Onu – non potranno mai costituire un obiettivo raggiungibile se la comunità internazionale non si deciderà una volta per tutte a intervenire per persuadere, ed eventualmente costringere, entrambe le parti ad impegnarsi seriamente a risolvere le questioni che ancora impediscono la nascita di uno Stato palestinese indipendente e sovrano, adottando un approccio equo ed imparziale nei confronti di entrambe le parti in conflitto.
Le affermazioni di Dugard riecheggiano quanto già sostenuto da Alvaro De Soto nel suo "End of Mission Report" del maggio 2007, in cui l’ex inviato dell’Onu per il Medio oriente aveva denunciato il fallimento della diplomazia nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese e le fortissime pressioni degli Usa che avevano trasformato il ruolo di mediatore dell’Onu in una completa “sottomissione” ai desiderata di Israele, condannando nel contempo anch’egli il boicottaggio nei confronti dei Palestinesi, considerato “miope” e insensato.
Dugard, constatando il completo fallimento del Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia), si spinge a proporre un gesto simbolico e provocatorio, l’uscita dell’Onu dal Quartetto, proposta questa che non mancherà di sollevare aspre polemiche, nonché le consuete e trite accuse di antisemitismo rivolte nei confronti di coloro i quali cercano soltanto di raccontare al mondo la verità sui fatti che accadono in Palestina.


IN PALESTINA VITA PIU’ DURA CHE CON L’APARTHEID
Umberto De Giovannangeli

Una richiesta che scatenerà polemiche: l’Onu si ritiri dal Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Russia, Ue, Onu) nel caso in cui non vengano presi in maggiore considerazione i diritti umani dei palestinesi. Una richiesta tanto più significativa, e allarmante, perché ad avanzarla è John Dugard, inviato speciale delle Nazioni Unite per la tutela dei diritti umani nei Territori palestinesi. Avvocato sudafricano, docente di Diritto internazionale, paladino della lotta all’apartheid, Dugard visita la Cisgiordania e Gaza da sette anni e redige i suoi dettagliati rapporti sulla situazione. “Dalla mia ultima visita - afferma - ho ricavato una impressione drammatica: nel popolo palestinese è diffuso un sentimento di disperazione causato dalla violazione dei diritti umani. Ogni volta che vado la situazione sembra essere ulteriormente peggiorata”. Un peggioramento che investe sia la Cisgiordania che Gaza: “Gaza - sottolinea Dugard - è una prigione isolata dal mondo e che Israele sembra averne buttato via le chiavi”.
Professor Dugard, alla fine del mese lei presenterà il suo rapporto alle Nazioni Unite sullo stato dei diritti umani nei Territori. Qual è la situazione?
“Gravissima, direi disperata. Una percezione netta che ho maturato da una visione diretta della situazione. Ciò che più mi ha colpito è l’assenza di speranza del popolo palestinese. Tutti noi dovremmo interrogarci sulle ragioni di questo degrado” .
Qual è la sua risposta?
“Non vi è dubbio che questa situazione di sofferenza e disperazione è frutto della violazione dei diritti umani e in particolare delle restrizioni israeliane alla libertà di movimento dei palestinesi”.
Le autorità israeliane ribatterebbero che questa situazione è dovuta alla necessità di contrastare gli attacchi terroristici. I kamikaze palestinesi non sono certo un’invenzione israeliana.
“Non metto in discussione il diritto di Israele di difendere la sua sicurezza, ma ritengo che il governo israeliano continui a gestire la sua sicurezza con un uso sproporzionato della forza”.
A cosa si riferisce in particolare?
“Penso ai centinaia di check-point che spezzano in mille frammenti territoriali la Cisgiordania, penso a Gaza, prigione a cielo aperto dove sopravvivono a stento un 1milione e 400 mila palestinesi. Sì, Gaza è una prigione della quale Israele sembra aver buttato via le chiavi”.
Gaza, soprattutto dopo il colpo di mano militare di Hamas, molto si è detto e scritto. Meno della Cisgiordania. Lei l’ha visitata recentemente. Qual è la realtà che ha registrato sul campo?
“La Cisgiordania è oggi frammentata in quattro settori: il Nord (Jenin, Nablus e Tulkarem), il Centro (Ramallah), il Sud (Hebron) e Gerusalemme est che assomigliano sempre di più ai Bantustan del Sudafrica. Le restrizioni alla circolazione imposte da un rigido sistema di autorizzazioni, rinforzato da circa 520 check point e blocchi stradali, assomigliano al sistema del "lascia-passare" (in vigore nel Sudafrica dell’apartheid) applicato con una severità che va molto al di là…”.
La sua è un'accusa molto grave, alla quale più volte in passato Israele ha ribattuto con durezza accusandola di forzature inaccettabili viziate da un evidente pregiudizio.
“Vede, io non ho alcun pregiudizio anti-israeliano e rigetto con sdegno le accuse strumentali di antisemitismo. I miei rapporti non hanno nulla di ideologico, essi sono basati su fatti circostanziati, su una documentazione ineccepibile. Israele rivendica la sua democrazia ma i principi su cui si fonda non valgono per la popolazione palestinese dei Territori. Con grande amarezza, mi creda, devo affermare che molti aspetti dell’occupazione israeliana superano quelli del regime di apartheid. Si pensi alla distruzione in larga scala da parte israeliana di case palestinesi, lo spianamento di terreni fertili, le incursioni e gli omicidi mirati dei palestinesi, per non parlare del muro eretto per l’80% in territorio palestinese. Il Muro è, attualmente, costruito in Cisgiordania e Gerusalemme est in maniera da inglobare la maggior parte delle colonie nella sua cinta. Inoltre, i tre grandi blocchi di insediamenti di Gush Etzion, Ma’aleh Adumim e Ariel dividono il territorio palestinese in enclave, distruggendo così l’integrità territoriale della Palestina. Tutto ciò, lo ribadisco, produce sofferenze, umiliazioni e, ed è quello che più mi ha colpito nella mia recente visita nei Territori, la perdita di speranza da parte del popolo palestinese. A tutto ciò va aggiunto che, di fatto, il popolo palestinese è sottoposto a sanzioni economiche, e ciò è il primo esempio di un simile trattamento applicato a un popolo occupato. Verso i palestinesi dei Territori, Israele non si comporta come una democrazia ma come una potenza colonizzatrice”.
Dalla Cisgiordania a Gaza e allo scontro interno al campo palestinese. Uno scontro che aggiunge sofferenza a sofferenza. Qual è in proposito la sua valutazione?
“Se vuole sapere il mio modesto punto di vista, le dirò che a mio avviso la Comunità internazionale sta commettendo un errore gravissimo, che renderà ancor più ostica la ricerca di un accordo di pace con Israele”.
Quale sarebbe questo errore?
“Aver deciso di appoggiare solo una fazione palestinese, quella del Fatah. Questo ruolo non compete all’Onu”.
A fine mese lei illustrerà il suo rapporto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. A quale conclusione è giunto?
“Al segretario generale Ban Ki-moon chiederò di ritirare le Nazioni Unite dal quartetto, se il Quartetto dovesse fallire nel tentativo di avere la massima attenzione per la situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi”.
Lei appare alquanto pessimista sulla possibilità di una svolta nella tutela dei diritti umani in Palestina. Perché?
«Perché sull’inazione del Quartetto in questo campo pesa l’influenza politica degli Stati Uniti. Una influenza negativa».

Pubblicato il: 17.10.07

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15 ottobre 2007

Uguaglianza, e che cos'è?

Anche Israele, a sessant’anni dalla sua nascita, avrà finalmente una Costituzione.

E già, perché molti non sanno che questo Paese, autodefinitosi l’unica democrazia del medio oriente, a tutt’oggi manca di una vera e propria Costituzione, la cui bozza è attualmente all’esame di un apposito comitato della Knesset.

Il suo cammino, tuttavia, non si preannuncia né breve né facile, e i primi contrasti sono sorti in ordine alla “Legge del Ritorno” e, più specificatamente, in ordine a chi debba intendersi per “ebreo”.

Molto probabilmente, verrà previsto un generico principio in base al quale “ogni ebreo ha il diritto di immigrare in Israele”, mentre il Comitato – insieme alla bozza di Costituzione – presenterà all’esame del Parlamento israeliano una modifica alla Legge del Ritorno, sostituendo la cd. “clausola del nipote” (che attualmente permette a chiunque nel mondo possa vantare un nonno ebreo di ottenere la cittadinanza israeliana) con una diversa precondizione, attribuendo cioè il diritto al “ritorno” in Israele a chiunque appartenga ad una “comunità ebraica”.

Quel che è certo – e non è una sorpresa – è che il preambolo alla Costituzione israeliana non farà alcuna menzione del principio di uguaglianza, che dovrebbe stare alla base di ogni Paese civile e democratico.

Ma, naturalmente, un Stato che si autodefinisce “ebraico” e che, secondo l’affermazione di un ex ministro del suo stesso governo, pratica una discriminazione “istituzionale” verso i cittadini di origine araba, non può certamente essere, allo stesso tempo, anche uno Stato “democratico”.

Né, peraltro, il concetto di uguaglianza e di non-discriminazione risulta essere familiare agli ebrei, dato che – come mostra un recentissimo sondaggio di cui ha dato notizia Ynetnews – l’81% degli Israeliani vogliono che il Jewish National Fund continui a vendere la terra di sua proprietà soltanto agli ebrei.

Poi, naturalmente, se si osa affermare che in Israele si pratica la discriminazione razziale, il meno che ci si possa aspettare è di essere tacciati di antisemitismo.

A meno di non riuscire a dimostrare di avere almeno un nonno ebreo.

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12 ottobre 2007

Una novità in libreria: "Muri, lacrime e za'tar - Storie di vita e voci dalla terra di Palestina".

La casa editrice Nuovadimensione ha da poco pubblicato il libro di Gianluca Solera “Muri, lacrime e za’tar – Storie di vita e voci dalla terra di Palestina (448 pagine, €18,00), un racconto-testimonianza di un viaggio nella Terra Santa di oggi, sofferente e divisa, con prefazione del patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah e postfazione di Luisa Morgantini.
Muri, lacrime e za’tar è il viaggio di un pellegrino che ha evitato i tour organizzati per scoprire luoghi e persone della Terra Santa. Riunisce in sé l'anima politica e quella spirituale di un’indagine sulla gente che, trovatasi prigioniera dell’ultima ideologia etno-coloniale, resiste affidandosi alla forza travolgente della vita e a certe piccole cose, come lo za’tar (il timo) nell’olio d’oliva, in cui si intinge il pane casereccio. In tempi nei quali si sta cercando di cancellare l’identità della Palestina dalle cartografie, l'autore registra segni e parole, e documenta sia la sofferenza palestinese che le conseguenze sociali e umane dell'occupazione sugli israeliani. Attraverso associazioni della vivace società civile, incontrando politici, rifugiati e professori, vescovi e patriarchi, resistenti e gente comune, si ricostruisce tassello dopo l'altro il quadro di una terra confusa e spaccata. Nel libro possiamo ascoltare la testimonianza di un intransigente colono di Qiryat Arba che descrive Hebron da entrambi i lati; o farci condurre per mano da un rabbino tra i beduini che vivono nelle baracche alla periferia degli eleganti insediamenti israeliani a Est di Gerusalemme. Tra i Muri ci sono sempre delle fessure, e le persone di buona volontà o quelli che disperatamente cercano di vivere con dignità sanno incontrarle. E passarci attraverso.
L’autore sarà in Italia per un breve tour di presentazione del libro dal 12 al 20 di questo mese, secondo questo calendario:
12 ottobre 2007 ore 21.00 - Villa Ronzani di Giai, Gruaro (VE) a cura dell’Associazione Culturale La Ruota
14 ottobre 2007 ore 15.00 – Venezia, Editoria della Pace, Scoletta di San Rocco - Interverranno l’Assessore comunale Mara Rumiz e la responsabile Centro Pace Alberta Basaglia
15 ottobre 2007 ore 11.00 – Portogruaro (VE) - Liceo Marconi
15 ottobre 2007 ore 18.30 – Portogruaro (VE) – Collegio Marconi, Sala delle Colonne, a cura dell’Istituto di Scienze Religiose in collaborazione con il Centro Studentesco G. Calasanzio e Portogruaro Campus
16 ottobre 2007 ore 21.00 – Bologna – Oratorio Davide Marcheselli
17 ottobre 2007 ore 17.30 – Mestre – Centro Culturale Candiani, a cura del Circolo Culturale Walter Tobagi. Dialogherà con l’autore Tiziana Agostini
19 ottobre 2007 ore 18.00 – Mantova - Provincia di Mantova, Sala Manto, a cura della Provincia di Mantova e del Comune di Mantova. Interverranno Maurizio Fontanili, Presidente della Provincia di Mantova, Paolo Gianolio, Assessore alla Cultura del Comune di Mantova, Don Benito Regis, direttore de La Cittadella. E’ prevista la partecipazione del Vescovo emerito Egidio Caporello.

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