25 gennaio 2008

Un appello al mondo arabo per salvare Gaza.


In questi ultimi giorni, l'attenzione di gran parte della stampa araba si è concentrata su quanto accade nella Striscia di Gaza, sulla drammatica situazione umanitaria in cui versano i suoi abitanti a causa dello strettissimo embargo imposto da Israele, sui massacri e sui crimini di guerra commessi dall'esercito israeliano.

Ad essere sotto accusa, in particolare, è l'indifferenza dei governi occidentali per le palesi violazioni del diritto umanitario e le punizioni collettive messe in atto da Israele e, soprattutto, l'inerzia dimostrata dai governi arabi nei confronti della sofferenza di un milione e mezzo di Palestinesi.

Ad essere maggiormente in difficoltà, in queste ore, sembra essere il raìs egiziano Mubarak, stretto da un lato dalle proteste dell'opposizione interna - e segnatamente dei Fratelli Musulmani - e dall'altro dal tentativo di Israele di addossargli il peso dell'emergenza umanitaria nella Striscia; questo senza contare il fatto che l'Egitto, dopo Israele, è il primo beneficiario degli aiuti economici e militari americani, ed è dunque particolarmente sensibile alle pressioni dell'amministrazione Usa.

L'articolo che propongo - nella traduzione offerta dall'ottimo sito Arabnews - è solo uno dei tanti proposti dalla stampa araba in questi giorni, davvero profetico per quanto riguarda il richiamo alla "caduta del muro".

Esso segnala, in particolare, il pericolo che la gravissima situazione di Gaza, ove non risolta, possa diventare l'ennesima occasione per rinfocolare pericolosamente il rancore del mondo arabo nei confronti di Israele e dell'Occidente nel suo complesso.


Un disperato appello alla legalità, per porre fine allo sterminio di Gaza (Dar al-Hayat, 21 gennaio 2008).


Se da un lato la più importante barriera politica del XX secolo, dopo la fine della II guerra mondiale, fu il muro che separava i tedeschi dell’Est e dell’Ovest, dall’altro l’evento più importante che ebbe luogo con la fine della Guerra Fredda fu proprio la caduta di questo muro per mano del popolo tedesco, che impose la propria volontà al mondo intero.


Le immagini della distruzione del muro ad opera dei picconi dei cittadini tedeschi – che furono riportate dalle televisioni di tutto il mondo – rappresentavano la rivendicazione di un diritto, di cui i tedeschi si riappropriavano d’autorità.


Oggi, mentre il mondo complotta ancora una volta ai danni della popolazione di Gaza, ridotta all’impotenza a causa del suo isolamento dal resto del mondo, ci converrà forse rievocare quelle immagini, per trarne un insegnamento a proposito di come i popoli si riappropriano della loro libertà e dei loro diritti.


Gaza vive oggi una fase drammatica sotto tutti i punti di vista. La situazione economica, sanitaria, ambientale, ed umanitaria – a causa dell’assedio economico e militare da parte di Israele e della rottura consumatasi con la Cisgiordania, a cui bisogna aggiungere le brutali e feroci aggressioni israeliane e la chiusura dei valichi di frontiera – è molto più grave di quanto si possa immaginare. Le condizioni in cui oggi versa la Striscia di Gaza corrispondono ormai pienamente al significato della parola “catastrofe”.


Attualmente Gaza muore di fame, di malattie, e di degrado ambientale. La maggior parte dei suoi abitanti vive sotto la soglia di povertà, non c’è lavoro, ed anche coloro che hanno un impiego non percepiscono gli stipendi a causa dell’assedio finanziario. Per la stessa ragione, a molti giovani è precluso il diritto all’istruzione. Ma la cosa di gran lunga peggiore è che aumenta il numero delle persone che muoiono per la scarsezza di generi di prima necessità, mentre il mondo soffoca nell’abbondanza.


L’assedio imposto da Israele con il sostegno e la collaborazione del mondo occidentale, accompagnato dal silenzio e dall’indifferenza dei deboli regimi arabi, e dalla condiscendenza del governo palestinese (provvisorio, e non eletto democraticamente) è da considerarsi una gravissima violazione della legalità internazionale.


Ridurre un popolo alla fame, negargli il cibo e i medicinali, equivale a ciò che il diritto internazionale definisce “sterminio”. E’ superfluo dire che la responsabilità legale di questo crimine ricade, non soltanto sullo stato occupante, ma anche su tutti coloro che contribuiscono a questo assedio.
Israele, in qualità di stato occupante, ha la responsabilità diretta di rifornire di cibo e di medicinali i cittadini dei territori che occupa militarmente, in base alle leggi sull’occupazione sancite dalla Convenzione di Ginevra del 1949. A Gaza, in virtù della natura dell’assedio impostole da Israele, vanno applicate le leggi che riguardano le regioni occupate, in base al diritto internazionale.


La Corte Penale Internazionale ha definito 11 azioni che possono essere definite “crimini contro l’umanità”. Fra esse vi è il crimine di “sterminio”, che comprende anche l’azione di “privare un gruppo di persone del cibo e dei medicinali con l’intenzione di sopprimerne una parte”. Affamare un popolo, in base a questa definizione, rientra fra i crimini di “sterminio”, che sono fra i più gravi previsti dal diritto internazionale.


L’interrogativo che incombe sulla nazione araba è il seguente: gli arabi attenderanno che venga annientato chiunque si trovi nella Striscia di Gaza, per avere un’ulteriore prova dei crimini di Israele contro l’umanità? Non è ancora venuto il momento di rompere questo iniquo assedio – se non in base alla nostra responsabilità morale, quantomeno in base alla nostra responsabilità giuridica?

La verità è che oggi è necessario mobilitarsi a tutti i livelli, all’interno del mondo arabo: a livello dei governi, dei popoli, dell’informazione, delle istituzioni ufficiali, e delle organizzazioni non governative. I governi arabi che prendono parte all’assedio sono responsabili, davanti alla storia e davanti ai loro popoli, di quella che può essere considerata una dichiarata complicità con il governo israeliano. I trattati che essi hanno firmato con Israele non serviranno a scagionarli dall’accusa di aver concorso ad uno sterminio di massa, poiché i trattati internazionali non possono violare le leggi e le consuetudini internazionali – per non parlare del fatto che è Israele che viola questi accordi giorno e notte.


Analogamente, i mezzi di informazione arabi hanno la specifica responsabilità di sensibilizzare e mobilitare l’opinione pubblica araba, come fecero in occasione della seconda Intifada palestinese nel 2002. Oggi come allora, è necessario che l’informazione araba faccia giungere la voce di Gaza all’uomo della strada in Occidente, che viene tenuto all’oscuro di molte delle catastrofi umanitarie nel mondo.


E’ necessario far comprendere all’opinione pubblica occidentale che l’assedio di Gaza non ha soltanto lo scopo di isolare Hamas, ma di isolare ed annientare un popolo intero.


Ogni religioso – sia esso musulmano o non musulmano – deve sapere che gli ulema di Gaza stanno discutendo sulla liceità di seppellire i loro morti senza il lenzuolo funebre – perché sono finiti! Si stanno interrogando sulla liceità di seppellire i loro morti senza i muri divisori in cemento che impediscono alla terra di cadere sulla salma all’interno della tomba, perché il cemento è finito! Ciascun genitore che compra il latte ai propri figli deve sapere che c’è gente a Gaza che muore perché non ha di che mangiare, a causa dell’assedio imposto dai “paesi occidentali progrediti”!


Ma la cosa più importante è che si mobilitino direttamente i popoli arabi, al fine di rompere questo assedio. La fine dell’assedio, se non avverrà ad opera dei popoli arabi, non avverrà di certo per gli sforzi della Lega Araba – che si dimentica del popolo palestinese per preparare i suoi discorsi – o per gli sforzi dei governi arabi, ancora inebriati dalla Conferenza di Annapolis!
Quando giungerà l’ora in cui i popoli arabi prenderanno questo compito direttamente sulle loro spalle, avremo fatto nostra la lezione della caduta del muro di Berlino, che venne distrutto per mano del popolo tedesco, e non del suo governo.


Mahmoud al-Mubarak è professore di diritto internazionale alla King Faisal University in Arabia Saudita
Titolo originale:

صرخة قانونية لإنهاء «جريمة الإبادة» في غزة

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22 gennaio 2008

Notizie in breve.

Dugard censurato.
Il 18 gennaio, nel corso della criminale escalation di raid israeliani nella Striscia di Gaza, John Dugard, Relatore Speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati, ha rilasciato questa dichiarazione ufficiale.

L’uccisione di circa quaranta Palestinesi a Gaza nella scorsa settimana, il bombardamento di un ufficio governativo nei pressi di un luogo in cui si stava svolgendo una festa di matrimonio che avrebbe dovuto far prevedere la perdita di vite umane e il ferimento di molti civili, e la chiusura di tutti i valichi verso Gaza, sollevano interrogativi molto seri sul rispetto di Israele per il diritto internazionale e il suo impegno nel processo di pace.
Le recenti azioni violano il rigido divieto di punizioni collettive contenuto nella Quarta Convenzione di Ginevra. Esse violano inoltre uno dei principi fondamentali del diritto umanitario internazionale secondo cui l’azione militare deve distinguere tra obiettivi militari e civili.
Israele avrebbe dovuto essere a conoscenza della festa di matrimonio vicino al Ministero degli Interni nel momento in cui lanciava missili contro l’edificio ministeriale.
I responsabili di azioni talmente vili sono colpevoli di seri crimini di guerra e dovrebbero essere incriminati e puniti per i loro crimini.
Gli Stati Uniti e gli altri Stati che hanno presenziato alla conferenza di Annapolis hanno l’obbligo legale e morale di esigere da Israele la cessazione delle sue azioni contro Gaza e di ristabilire la fiducia nel processo di pace, di assicurare il rispetto del diritto internazionale e di proteggere la vita dei civili.

Le affermazioni di Dugard rappresentano una chiara e semplice verità, assolutamente inconfutabile.
Ed è forse proprio per questo che tali dichiarazioni sono state incredibilmente censurate dai media di regime, soltanto l’Ansa – e in maniera molto succinta – le ha riportate.
Ma è giusto che sia così, e che Dugard rimanga una vox clamans in questa notte del diritto e della giustizia: sotto le mentite spoglie di un mite professore sudafricano, invero, si nasconde evidentemente un bieco antisemita nemico giurato di Israele.

Le “provocazioni” di B’tselem.
Il 19 gennaio scorso i soldati israeliani hanno arrestato Issa ‘Amro, un collaboratore della ong israeliana B’tselem, “colpevole” di avere filmato alcuni disordini provocati dai coloni israeliani nel sobborgo Wadi Hsein a est di Hebron.
Era accaduto, infatti, che un gruppo di coloni aveva iniziato a tirare pietre contro una casa abitata da Palestinesi, tentando di fare irruzione all’interno; sebbene sul luogo fossero presenti numerosi soldati di Tsahal e forze di polizia, nessuno di costoro ha tentato minimamente di allontanare i coloni né, tanto meno, di proteggere l’incolumità dei Palestinesi.
Il comandante delle eroiche truppe impegnate, appartenenti al battaglione Shimshon, ad un certo momento si è avvicinato all’attivista di B’tselem, chiedendogli di smettere di filmare gli incidenti e, subito dopo, alcune donne hanno circondato ‘Amro, tentando di strappargli la videocamera.
A quel punto sono intervenuti i soldati che hanno picchiato ‘Amro e lo hanno arrestato, portandolo via a bordo di una jeep dopo averlo picchiato un altro pochino, così, tanto per gradire; successivamente l’esercito avrebbe comunicato che l’attivista era stato arrestato per aver attaccato i soldati!
Naturalmente non è così, e B’tselem è in possesso di diversi video che provano l’esatto contrario, e cioè che ad essere stato attaccato è stato proprio il malcapitato collaboratore della ong.
Ma il punto più simpatico è che B’telem segnala come, negli ultimi tempi, ci sia stata una escalation negli attacchi contro gli attivisti per i diritti umani che tentano di testimoniare in video le violenze dei coloni a Habron: pare, infatti che, secondo Tsahal, l’atto di filmare i vandalismi dei bravi coloni israeliani costituisca una “provocazione”!
Ma questo è niente in confronto a quello che capita a quei giornalisti coraggiosi che rischiano la vita per testimoniare la verità dei crimini di guerra israeliani nei Territori occupati…

Quei coloni così prolifici.
A proposito di coloni, le ultime statistiche rilasciate dal Ministero degli Interni israeliano mostrano come, a gennaio del 2008, i settlers siano arrivati al rispettabile numero di 282.362, in aumento rispetto ai 268.163 del gennaio 2007 e ai 253.371 del gennaio 2006 (a cui vanno aggiunti i circa 200.000 coloni di Gerusalemme est).
Si tratta di un incremento percentuale pari al 5,1% su base annua, pari a tre volte l’aumento percentuale annuale della popolazione israeliana nel suo complesso.
La crescita del numero dei coloni viene attribuita in parte all’espansione degli insediamenti, che in base alla road map avrebbe dovuto essere bloccata, in parte ad una maggior propensione a far figli propria delle comunità religiose.
L’arma “demografica”, dunque, non appartiene soltanto agli Arabi…

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19 gennaio 2008

Living life as usual.


Secondo il portavoce del Ministro della Difesa israeliano, Shlomo Dror, "è inaccettabile che la gente a Sderot viva ogni giorno nella paura e la gente nella Striscia di Gaza viva la vita come al solito" (The Guardian, 18 gennaio).

Ci vuole davvero coraggio!

A Gaza, negli ultimi quattro giorni, sono già morti ben 35 Palestinesi, di cui almeno 11 civili, donne e bambini compresi, centinaia sono i feriti.

L'ultimo raid aereo israeliano, che ieri ha distrutto gli uffici del Ministero degli Interni, ha causato la morte di una donna e il ferimento di almeno 46 persone, alcune delle quali bambini che giocavano a pallone per la strada; un ragazzo 17enne è morto successivamente per le ferite riportate.

La donna e la maggior parte dei feriti stavano partecipando ai festeggiamenti per un matrimonio in un edificio adiacente...

A Gaza mancano luce, acqua, carburanti, medicinali, e la decisione assunta da Israele di chiudere ermeticamente ogni accesso alla Striscia rischia di provocare una tragedia umanitaria, dato che nemmeno i convogli dell'UNRWA possono entrare e portare quegli aiuti alimentari da cui ormai dipende l'80% della popolazione.

Living life as usual!

Si, certo, la vita che i Palestinesi usualmente sono costretti a vivere a causa di quell'entità criminale chiamata Israele.

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18 gennaio 2008

Fermiamo i macellai israeliani!

Nella Striscia di Gaza è in atto un massacro senza precedenti, condotto dai macellai di Tsahal con il complice silenzio - se non l'aperta connivenza - della comunità internazionale.
A partire dal meeting di Annapolis - che la propaganda ha definito come una tappa fondamentale nel processo di pace - Israele ha iniziato una serie sanguinosa di raid terrestri ed aerei contro i Palestinesi uccidendo, nel periodo 28 novembre 2007 - 15 gennaio 2008, ben 125 Palestinesi (8 nella West Bank, 117 nella Striscia di Gaza) e ferendone almeno 386 (116 W.B., 270 G.), senza considerare i 690 arresti operati nel frattempo.
Nella sola settimana compresa tra il 10 e il 16 gennaio, l'esercito israeliano ha ucciso ben 27 Palestinesi, di cui otto civili disarmati (tra loro, due fratelli, un bambino di 5 anni, un anziano), e ne ha feriti 51.
E' necessaria, dunque, una massiccia partecipazione alla fiaccolata di protesta che si svolgerà domani davanti all'ambasciata israeliana a Roma, al fine di imporre all'agenda politica un serio e fattivo dibattito sulla questione palestinese e, segnatamente, sulla disperata situazione che regna nella Striscia di Gaza.
Questo massacro e questi infami crimini di guerra devono cessare!

Fermiamo il massacro a Gaza
A POCHI GIORNI DI DISTANZA DAL VERTICE DI ANNAPOLIS E’ CHIARO A TUTTI COSA INTENTENDEVANO ISRAELIANI ED AMERICANI PER LA RIPRESA DEL PROCESSO DI PACE IN PALESTINA.

RIPRESA DELLA COSTRUZIONE DI COLONIE EBRAICHE INTORNO GERUSALEMME E IN CISGIORDANA,ARRESTI ,RAPIMENTI E UCCISIONI DI COMBATTENTI E CIVILI PALESTINESI, IN UNA ESCALATION CHE MIRA ALLA ELIMINAZIONE FISICA DELLA RESISTENZA PALESTINESE

IL 15 GENNAIO, L’ESERCITO DI OCCUPAZIONE ISRAELIANO HA COMPIUTO UNA STRAGE A GAZA CAUSANDO 20MORTI E OLTRE 50 FERITI, FACENDO USO DI ARMI NON CONVENZIONALI : BOMBE CON CHIODI E A FRAMMENTAZIONE, CHE STRAPPANO E BRUCIANO I CORPI DELLE VITTIME.

20 MORTI CHE SI AGGIUNGONO AGLI OLTRE 5700 PALESTINESI ASSASSINATI NEGLI ULTIMI SETTE ANNI DALL’ESERCITO E POLIZIA DELLO STATO ISRAELIANO.

OLTRE UN MILIONE E MEZZO DI PERSONE A GAZA SOFFRONO PER L’EMBARGO ATTUATO DAL GOVERNO DI TEL AVIV CON IL SOSTEGNO DI TUTTI I GOVERNI DELLA UE COMPRESO IL GOVERNO ITALIANO.

E’ UN EMBARGO PIU’ IGNOBILE DI ALTRI, PERCHE ‘ SI ACCANISCE SU UN POPOLO SOTTOPOSTO DA OLTRE 60 ANNI AD UNA DURISSIMA OCCUPAZIONE MILITARE CHE HA MINATO LE CONDIZIONI ECONOMICHE E DI VITA TANT’ E’ CHE LA MORTALITA INFANTILE E’ AI LIVELLI PIU ALTI DEL MONDO .

CHIEDIAMO CON FORZA LA FINE DELL’EMBARGO A GAZA. LO FAREMO VENERDI’ 18 DAVANTI L’AMBASCIATA ISRAELIANA E TORNEREMO A FARLO ANCHE A TORINO AL SALONE DEL LIBRO CHE QUESTO ANNO E’ STATO DEDICATO AD ISRAELE , I CUI SERVIZI SEGRETI HANNO ASSASSINATO MOLTI SCRITTORI PALESTINESI TRA CUI GHASSAN KANAFANI .

· BASTA CON IL TERRORISMO DI STATO ISRAELIANO
· SOSTENIAMO LA RESISTENZA DEL POPOLO PALESTINESE
· LIBERTA’ PER GLI 11.000 PRIGIONIERI PALESTINESI
· CHIEDIAMO LA FINE DELL’EMBARGO A GAZA
· DENUNCIAMO GLI ACCORDI ECONOMICI, CULTURALI E MILITARI TRA ITALIA ED ISRAELE

SABATO 19 GENNAIO ORE 17,30
PRESIDIO E FIACCOLATA DAVANTI L’AMBASCIATA ISRAELIANA
VIA ALDOVRANDI ANGOLO VIA MICHELE MERCATI QUARTIERE PARIOLI ROMA

PROMUOVONO
Campagna 2008 l’anno della Palestina ,Forum Palestina, Comitato Palestina nel cuore,Comunità Palestinese di Roma, Associazione Wael Zuaiter, Unione Democratica Arabo Palestinese,Associazione Amici della Mezza Luna Rossa Palestinese, Coordinamento Romano per l'Unità dei Comunisti, PdCI federazione di Roma, La Rete dei comunisti, la Rete nowar di Roma e Lazio

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17 gennaio 2008

La politicizzazione della sofferenza di Gaza.

La Striscia di Gaza e un milione e mezzo di Palestinesi che la abitano sono da mesi sottoposti ad un durissimo e inaudito assedio, privati di elettricità e di combustibile, in preda a una gravissima crisi alimentare, sanitaria e occupazionale.
A Gaza nessuno entra o esce, persino agli studenti è vietato di andare all’estero per seguire corsi universitari o master e, più di tutto, agli ammalati è vietato recarsi in Israele o all’estero per ricevere quelle cure a loro indispensabili ma che non sono disponibili nella Striscia: 70 sono i pazienti palestinesi di Gaza morti a causa del criminale assedio israeliano.
A Gaza, soprattutto, è in atto un massacro senza precedenti: 20 morti e 71 feriti nella settimana compresa tra il 3 e il 9 gennaio (tra essi 5 membri di una stessa famiglia uccisi da una cannonata), 22 morti in sole 24 ore tra il 15 e il 16 gennaio.
Tra questi ultimi, tre membri della famiglia al-Yazji (tra essi, un bambino di 5 anni), morti carbonizzati nella loro auto colpita per un “deplorevole errore” nel corso di una esecuzione “mirata” dei macellai israeliani della Iaf.
Eppure, di tutto questo, non v’è traccia nel dibattito politico, e i media soltanto distrattamente o in maniera distorta danno conto di quanto accade a Gaza e dei sanguinosi crimini di guerra commessi quotidianamente da Tsahal: la guerra ai “terroristi” di Hamas val bene la sofferenza di un milione e mezzo di innocenti il cui unico torto è stato quello di nascere e vivere nella Striscia di Gaza.
In questo quadro, vorrei riportare il bellissimo articolo del giornalista palestinese Ramzi Baroud, pubblicato l’8 gennaio di quest’anno sul Middle East Times, nella traduzione offerta dal sito
Arabnews.

La politicizzazione della sofferenza di Gaza.
L’intenso dibattito su Gaza si sta placando visto che lo status quo, prevedibilmente, verrà delineato dalla legge del più forte. Ma fino a che punto la sofferenza umana può essere politicizzata, e trasformata in una polemica puramente intellettuale insufficiente a determinare il più piccolo cambiamento nella vita della gente?

L’avvento politico di Hamas nel gennaio del 2006, in qualità di primo movimento di “opposizione” all’interno del mondo arabo ad ascendere al potere con mezzi pacifici e democratici, fu ostacolato con successo, grazie ad un colpo da maestro concordemente orchestrato dagli Stati Uniti, da Israele, e da “apostati” delle fazioni palestinesi. Successivamente, la storia – come al solito – fu riscritta dal vincitore. Dunque Hamas, un partito che rappresentava le istituzioni democratiche nei territori occupati, divenne il partito che “rovesciò” la democrazia “legittima” di Mahmoud Abbas. Pur trattandosi di un concetto assolutamente bizzarro – un governo che rovescia se stesso – esso entrò negli annali dei media occidentali come una incontestabile verità.

Ci si attendeva che tutte le parti, direttamente o indirettamente coinvolte, avrebbero determinato la propria posizione a partire da questa falsa affermazione, ed è ciò che esse effettivamente fecero al fine di salvaguardare i propri interessi. Alcuni non si fecero problemi a disconoscere del tutto la democrazia palestinese. Il governo americano, Israele, l’Unione Europea, e diversi governi arabi non democratici furono assai contenti del risultato dello scontro interno palestinese. Essi celebrarono Mahmoud Abbbas e la sua fazione come i reali e legittimi democratici, criticando aspramente coloro che dissentivano. Paesi come la Russia, il Sudafrica, ed alcuni paesi arabi del Golfo, si adeguarono, con qualche esitazione e con qualche malumore, espressi troppo debolmente per opporsi in maniera significativa allo status quo.

Sul fronte palestinese le scelte furono più difficili, nondimeno coloro che in precedenza non si erano schierati né con Fatah né con Hamas si misero rapidamente dalla parte che meglio serviva i loro interessi. Rinomati esponenti della sinistra, ad esempio, che normalmente si proponevano come rappresentanti della voce della ragione, in questo caso non potevano permettersi di perdere quelle poche ed inefficaci ONG che essi gestiscono secondo uno stile da “drogheria” (il nome che molti palestinesi utilizzano per prendersi gioco delle numerose ONG presenti in Palestina).

La paura di perdere la libertà di muoversi e di accedere alle istituzioni finanziarie europee ed americane spinse molti palestinesi a ripudiare Gaza completamente. La compassione che milioni di persone in tutto il mondo avevano dimostrato nei confronti delle continue sofferenze degli abitanti di Gaza si trasferì in gran parte nel regno dell’indefinibile. La debolezza prevalse e rapidamente si aggiunse al prevalente senso di impotenza e di incapacità da lungo tempo associati alla Palestina in generale ed a Gaza in particolare.

Per distogliere l’attenzione da questa questione, Mahmoud Abbas ed il primo ministro israeliano Ehud Olmert vennero in tutta fretta convocati ad Annapolis per mettere in piedi una messinscena mediatica di cui vi era urgente bisogno. Lodati dall’auto-proclamato campione della democrazia, il presidente americano George W. Bush, i due leader sono nuovamente alla ricerca della pace. Lo spettacolo di second’ordine organizzato dagli Stati Uniti ha raggiunto il suo scopo. Date come quella del gennaio 2006 sono ormai completamente dimenticate; nuovi appuntamenti, nuove manifestazioni di retorica e nuove promesse stanno prendendo il posto delle vecchie; tutti gli occhi sono ora puntati su Abbas e Olmert, su Ramallah e Tel Aviv, accompagnati dalla richiesta di future conferenze e di dolorosi compromessi. E Gaza sta diventando una dimenticata ed irrilevante nota a piè di pagina.

La Striscia di Gaza vive sotto un assedio senza precedenti, con la gente che muore per l’assenza di supporto medico. Israele ha tagliato le forniture di combustibile diesel a 60.000 litri, quando sarebbero necessari 350.000 litri al giorno. Come può funzionare un’economia già di per sé sottosviluppata con un così scarso rifornimento di energia, per non parlare degli ospedali e delle scuole? Anche l’elettricità è stata drasticamente tagliata, conformemente alle raccomandazioni della Corte Suprema di Israele, e la disoccupazione è ai massimi livelli di sempre (oltre il 75 %). Un milione e mezzo di abitanti è letteralmente intrappolato in uno spazio di appena 365 Km quadrati, senza neanche la possibilità per respirare, con poco cibo, con poca energia, e quel che è peggio è che, più o meno, viene detto loro che meritano il loro destino.

Se del tutto i media nominano Gaza, lo fanno in un contesto politicizzato. Ad esempio: “Tre militanti uccisi dai missili israeliani”; “L’esercito israeliano afferma che i militanti stavano per lanciare razzi contro Israele”; “I leader di Hamas perseverano nel loro atteggiamento di sfida”, e così via. Gran parte della copertura mediatica è concentrata esclusivamente ad ingigantire i peccati di Hamas, per cui ogni singolo comportamento, buono o cattivo, viene riportato in maniera del tutto deformata. L’assunto fondamentale è che qualsiasi sofferenza gli abitanti di Gaza siano costretti a sopportare, essa è causata dalla minaccia di Hamas e delle sue “forze oscure”. Il fatto che in molti casi le violazioni dei diritti umani da parte di Hamas possano essere legate allo stato di assedio, di morte, e di caos creato dalle molte circostanze che lo hanno preceduto, rimane una questione del tutto irrilevante. Gaza è diventato il principio guida di cui c’era bisogno per ricordare ai palestinesi, e ad altri, ciò che non debbono avere l’ardire di compiere se vogliono che venga loro risparmiato lo stesso destino. Ai palestinesi della Cisgiordania viene richiesto di offrire, in contrasto con le immagini dei barbuti ed arrabbiati poliziotti di Hamas che se la prendono con i manifestanti, quella del rispettabile e benvestito Abbas che presenzia conferenze internazionali brulicanti di facce nutrite e ben pasciute.

Le vere ragioni che stanno dietro le sofferenze di Gaza sono completamente omesse, con l’eccezione di pochi giornali arabi progressisti come questo. Attualmente il dibattito viene allontanato dall’attenzione immediata dei media per rimanere circoscritto alle conferenze accademiche, ai libri, ed alle opere di saggistica.

Con ciò non si vuole negare il riconoscimento a coloro che hanno avuto il coraggio di adottare la giusta posizione nei confronti dei drammatici eventi che si stanno succedendo a Gaza. Molti dispongono di sufficiente umanità per distinguere le politiche che hanno portato al completo isolamento di Gaza dal fatto che la gente comune, con i suoi sentimenti, le sue speranze, e le sue aspirazioni, sta sopportando privazioni, soffrendo, e morendo inutilmente sotto i nostri occhi. Il campo israeliano è implacabile nel giustificare la brutalità inflitta da Israele ai palestinesi usando i soliti triti argomenti, come la sicurezza di Israele ed il suo diritto ad esistere, ed accusando i suoi detrattori di antisemitismo ad ogni piè sospinto. Ma quale giustificazione ci può essere per coloro che sono turbati dalla sofferenza umana, e tuttavia perdono di vista la miseria in cui versa Gaza? Io non riesco a trovare alcuna giustificazione per l’apatia di fronte ad un bambino che muore, sia esso bianco, nero, arabo, ebreo, o qualsiasi altra cosa.

Non lasciamo che la disumanità divenga la norma accettata. Se permettiamo che trionfi a Gaza, allora lasceremo che possa ripetersi ovunque.

Ramzy Baroud è un giornalista arabo-americano; è caporedattore del Palestine Chronicle, ed è autore del libro: “The Second Palestinian Intifada: A Chronicle of a People’s Struggle (Pluto Press, Londra)
Titolo originale:
Politicizing Gaza misery (Middle East Times, 8.1.2008)

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15 gennaio 2008

Breaking news: 19 Palestinesi uccisi a Gaza.

Continua impunito il massacro dei Palestinesi nella Striscia di Gaza.
Nel corso dell'ennesima incursione aerea e terrestre dell'esercito israeliano, iniziata ieri notte nei sobborghi orientali di Gaza City di Sejaiyeh e di Zaitoun, sono stati uccisi 19 Palestinesi, di cui almeno tre civili (tra essi un uomo di 65 anni).
Tra i militanti uccisi spicca il nome di Hussam al-Zahar, figlio del leader di Hamas Mahmoud al-Zahar.
Persino Abu Mazen non si è potuto esimere dal dichiarare che si tratta di un massacro che non potrà essere dimenticato dai Palestinesi.
Come si possa ancora parlare di accordi di pace, in queste condizioni, è davvero difficle immaginarlo.

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14 gennaio 2008

Continua la campagna per Gaza.

GAZA VIVRA’
Campagna per la fine di un embargo genocida

info@gazavive.com
http://www.gazavive.com/

1) LA CAMPAGNA CONTRO L’EMBARGO CONTINUA

per decidere insieme le prossime iniziative

DOMENICA 27 GENNAIO, ore 10
Ex Scuola Elsa Morante, via Gian Paolo Orsini 44
FIRENZE
Assemblea nazionale

A Gaza la situazione sta peggiorando, ma la resistenza continua.
Se Israele credeva di poter piegare Gaza per dare il colpo mortale alla lotta di liberazione del popolo palestinese, questo disegno non è riuscito.
Non è riuscito nonostante la collaborazione plateale del burattino Abu Mazen, che anche nei giorni scorsi (vedi comunicato al punto 2) ha scatenato la repressione contro gli esponenti della resistenza per compiacere Israele e lo stesso Bush, sceso a dar man forte ad Olmert e a preparare le nuove guerre americane per il controllo del Medio Oriente.
Bush ha avuto la faccia tosta di chiamare “pace” un progetto di annichilimento del popolo palestinese: ulteriore allargamento dei confini israeliani, richiesta di riconoscimento della natura “ebraica” (cioè razziale) dello stato israeliano, chiusura totale sul rientro dei profughi, lotta frontale contro Hamas. Molti commentatori hanno letto queste dichiarazioni come un disco verde per una pesante offensiva contro Gaza.
Questa offensiva è in cantiere da tempo, e le quotidiane attività militari israeliane contro la Striscia si sono di fatto intensificate subito dopo l’incontro di Annapolis.
Tutto fa pensare che il momento dell’attacco si stia avvicinando, nel silenzio dei media e della politica occidentale.
Proprio per questo è ora il momento di riprendere con forza l’iniziativa contro l’embargo e per la libertà del popolo palestinese.
Abbiamo già scritto che quel che serve adesso è la passione e l’intelligenza di tutti quelli che sentono l’insopportabilità di quanto sta avvenendo.
Per questo l’invito ad unirsi alla campagna per Gaza non è affatto rituale.
Per questo chiediamo a tutti di essere presenti a Firenze all'assemblea del 27 gennaio.


2) Comitato Gaza Vivrà

Comunicato stampa sugli arresti di membri della resistenza palestinese in Cisgiordania
La delegazione di solidarietà con Gaza aveva incontrato due degli arrestati il giorno di Natale a Ramallah
Abbiamo appreso con grande tristezza la notizia dell’arresto di altri 35 membri della resistenza palestinese in Cisgiordania ad opera delle cosiddette “forze di sicurezza” che rispondono ad Abu Mazen.
La delegazione di solidarietà con Gaza aveva incontrato due degli arrestati – Shaikh Hussein Abu Kwek e Shaikh Faraj Rummana - il giorno di Natale a Ramallah. Con loro avevamo discusso della situazione a Gaza e in Cisgiordania e delle prospettive della lotta di liberazione del popolo palestinese.
Abu Kwek aveva illustrato la gravità della situazione, dichiarando testualmente di non sapere se il giorno dopo sarebbe stato ancora libero piuttosto che in qualche carcere. Ora, insieme ad altre decine di suoi fratelli e compagni è detenuto in un carcere della fazione collaborazionista che fa capo ad Abu Mazen.
E’ chiaro da tempo, tanto più dopo Annapolis, che Abu Mazen è ormai un burattino nelle mani degli Stati Uniti e di Israele con i quali collabora attivamente per piegare la resistenza a Gaza e non solo. La repressione che ha scatenato in queste settimane non riguarda soltanto Hamas, ma tutte le componenti (compresi ampi settori di al Fatah) che non intendono piegarsi all’oppressione.
Di Abu Kwek e Faraj Rummana vogliamo ricordare il loro messaggio di fratellanza e l’invito al popolo italiano affinché faccia tutte le pressioni possibili sul governo per ottenere un cambiamento di linea politica contro l’embargo e per il pieno riconoscimento dei diritti del popolo palestinese.
Il Comitato Gaza Vivrà, che a tal proposito ha già in programma una prossima assemblea nazionale, continuerà con più forza la sua campagna, ed invita tutte le persone libere a manifestare in ogni modo il loro sdegno per la stretta repressiva messa in atto dai collaborazionisti di Abu Mazen in stretto concerto con l’azione genocida di Israele nei confronti del milione e mezzo di palestinesi che vivono a Gaza.

07/01/2008


3) Sen. Fernando Rossi (MPC):
“Diritti umani: l’inferno è alle porte dell’Europa”

Il Sen. Fernando Rossi (Movimento Politico dei Cittadini), appena rientrato da un viaggio in Israele e Palestina, ha inviato una lettera appello a tutti i Deputati e Senatori del Parlamento italiano: “Mi rivolgo a tutti i Parlamentari, che non si sono venduti l’anima, pregandoli di sottoscrivere, per ragioni umanitarie, la richiesta della costituzione e invio di una delegazione ufficiale del Parlamento italiano che entri a Gaza, per controllare le condizioni di vita degli abitanti; e nelle carceri israeliane, per visitare i colleghi parlamentari palestinesi arrestati e carcerati, alcuni da vari anni, senza credibili motivazioni e senza alcun processo, a cominciare dal dott. Aziz Ad-Dweik, Presidente del Parlamento della Palestina.”
Rossi, nella sua missiva, tocca i nodi della questione mediorientale, evidenziando come “decine e decine di risoluzioni ONU che imponevano ed impongono ad Israele di ritirarsi dai territori arabi e palestinesi occupati in 60 anni di espansione coloniale e di abbattere il muro della vergogna che rinchiude in altrettanti ghetti le città della Palestina. Tali risoluzioni, che hanno anche condannato i crimini del suo esercito, che ha assassinato, ferito ed imprigionato migliaia di civili, sono state ignorate dai vari governi succedutisi in Israele e nei vari paesi d’Europa, che ora invece di chiedere l’attuazione delle risoluzioni ONU, hanno deciso di assecondare le richieste USA di costringere alla fame ed alla malattia, con un embargo vergognoso e criminale, un milione e mezzo di abitanti della Striscia di Gaza, colpevoli di non aver votato come gli Stati Uniti suggerivano.”
“In Israele e nei territori occupati dopo il 1948, vengono espropriati terreni agricoli ai contadini palestinesi che da secoli ne sono i legittimi proprietari, migliaia di case palestinesi sono state distrutte ed è appena partito un programma per abbatterne altre 80.000, mentre i nuovi insediamenti di coloni ebrei, tuttora in costruzione, vengono collocati sulle colline che sovrastano i villaggi palestinesi, a controllo delle fonti idriche.”
“Personalmente – conclude Rossi - esprimo un giudizio non positivo sulla politica estera del nostro Paese e sui silenzi dei vari partiti, ma non pretendo che questo sia condiviso; ciò che mi preme è ritrovare un comune sentire sui diritti umani”.

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9 gennaio 2008

Quegli ebrei "scomodi".


Nello sforzo inesausto di accreditarsi come il focolare domestico di tutti gli ebrei, Israele ha raccattato gente un po’ dappertutto nel mondo, compresi coloro che da generazioni con la Palestina non avevano nulla a che spartire, cacciando dalle loro terre gli originari residenti arabi, a cui tutt’ora viene negato quel diritto fondamentale – sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – che è il diritto al ritorno.
Così è stato anche per i Falasha, gli ebrei di origine etiope trasportati in Israele con una serie di imponenti ponti aerei a partire dal 1984-5 e fino al maggio del 1991 (con la cd. “Operazione Salomone”), i quali attualmente in Israele costituiscono una minoranza composta da quasi centomila persone.
E tuttavia questi ebrei “importati” non hanno mai avuto vita facile in Israele, ed anzi hanno subito delle forti crisi di rigetto.
Sporchi, neri ed ignoranti, usi a tradizioni barbare, non sono riusciti ad integrarsi in quel magnifico e civile Paese che è Israele e, a causa dell’alta percentuale di disoccupati, di anziani e di bambini da assistere, hanno cominciato a pesare sempre più sulle finanze dello Stato ebraico.
Così in Israele, per limitare i costi del Welfare, la Mutua generale – braccio operativo del Ministero della Sanità – ha pensato bene di varare una decisa politica di contraccezione di massa nei confronti di questa minoranza etiope, un tempo tra i gruppi etnici più prolifici del Paese.
Come si può notare, il problema demografico continua a costituire una vera e propria ossessione per i governanti e i burocrati israeliani…
Così, ad un certo punto, a molte donne falasha è stato proposto di assumere il “depo-provera”, un anticoncezionale sotto forma di iniezione i cui effetti durano circa tre mesi: il risultato è stato sorprendente, laddove si consideri che, in una comunità in cui i bambini erano in media 5-6 per famiglia, vanno sparendo i nuclei familiari.
Secondo il quotidiano “La Repubblica” del 7 gennaio, da cui in larga parte è tratto questo articolo, nel quartiere di Pardes Katz, a Beni Berak (cittadina nei pressi di Tel Aviv), tra le cento famiglie di etiopi, negli ultimi tre anni, è nata solo una bambina.
Il problema è che nessuno spiega a questa povera gente quali sono i pesanti effetti collaterali del “depo-provera”, che vanno dal semplice mal di testa alla depressione all’osteoporosi, nessuno dice agli uomini che le loro donne fanno queste iniezioni e quali sono gli effetti, nessuno informa le donne che esistono in realtà altri metodi anticoncezionali più semplici e con minori ricadute sulla loro salute, come la pillola.
La notizia di questa campagna anticoncezionale “mirata” – svelata al pubblico dal quotidiano “Yedioth Ahronoth – ha suscitato un certo numero di polemiche in Israele, ed alcuni intellettuali ne hanno apertamente parlato come di una pratica razzista.
Il portavoce della Mutua israeliana, naturalmente, ha respinto ogni accusa, affermando che il medicinale in questione viene distribuito indistintamente a tutta la popolazione, con la dovuta informazione.
Eppure non pare che sia esattamente così, visto che una delle donne intervistate ha affermato: “quando siamo arrivati, ci hanno detto che mantenere i bambini qui è molto difficile; poi, ci hanno proposto una medicina di cui non so nulla”.
Secondo Yossi Yonah, professore di filosofia all’Università Ben Gurion, “in Israele si incoraggia la natalità in maniera selettiva, non si proporrebbe mai l’iniezione anticoncezionale agli ebrei ortodossi”.
E poi, proseguendo, mette il dito sulla piaga: “La comunità etiope si sente rifiutata … Cosa dire del sangue donato dai Falasha e poi gettato? E della discriminazione nelle scuole? Tutto questo puzza di razzismo”.
Ed è proprio questo il punto – già ne avevamo parlato – Israele è uno Stato profondamente intriso di razzismo, usualmente rivolto nei confronti della minoranza araba.
Secondo l’Israeli Democracy Index 2007, solo il 50% degli Israeliani ritiene che arabi ed ebrei debbano avere uguali diritti, mentre il 55% degli ebrei israeliani sostengono l’idea che il governo debba incoraggiare gli arabi ad “emigrare”.
Uno studio del Center Against Racism (Index of racism for 2006), pubblicato nell’aprile del 2007, riporta dati ancora più agghiaccianti: il 49,9% degli ebrei, quando sente parlare per strada in arabo, prova un senso di paura, il 31,3% disgusto, il 43,6% disagio, mentre il 30,7% prova odio.
Addirittura il 75,3% degli intervistati dichiara che non accetterebbe mai di vivere in uno stesso edificio insieme ad arabi, il 61,4% rifiuterebbe di far visitare loro la propria casa, mentre il 55,6% si dichiara d’accordo a che arabi ed ebrei dispongano di strutture ricreative differenziate.
Questi sentimenti fraterni, naturalmente, si riflettono nella legislazione e nella pratica amministrativa, tanto da aver spinto un ex ministro israeliano, il laburista Ophir Pines-Paz, a dichiarare che la politica di Israele verso i cittadini arabi è caratterizzata da una “discriminazione istituzionale”.
Così la minoranza araba (circa il 20% della popolazione) è discriminata con riguardo all’unificazione familiare, all’assegnazione delle terre, all’erogazione di fondi per il welfare e di quelli per lo sviluppo: su quest’ultimo punto Mohammad Barakeh, leader del partito Hadash, ha recentemente denunciato alla Knesset che solo il 4% dei fondi per lo sviluppo viene destinato in favore delle popolazioni arabe.
La minoranza beduina, in particolare, è poi costantemente sotto attacco da parte del governo israeliano, che tende a confiscarne le terre per destinarle a sempre nuovi insediamenti urbani e a comunità agricole “solo per ebrei” nel deserto del Negev.
Adesso assistiamo a questa nuova pratica razzista, stavolta ai danni degli ebrei “neri” ormai divenuti scomodi e indesiderati, una subdola e sconcertante campagna di controllo delle nascite condotta con metodi indegni di un Paese civile.
Chissà che cosa ne penserebbe Papa Ratzinger…

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3 gennaio 2008

Meno male che le feste sono finite!



Il periodo delle festività è, quasi sempre, un momento di gioia e di serenità, da trascorrere con gli amici o con i propri familiari, e in cui i credenti di ogni religione onorano le rispettive ricorrenze.
Ma non è così dappertutto, e comunque non è stato così per i Palestinesi.
Secondo le statistiche fornite dall’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), nel periodo compreso tra le celebrazioni dell’Hanukah e quella dell’el-Eid, l’esercito israeliano non si è riposato ma, al contrario, nella Striscia di Gaza ha ucciso 16 Palestinesi e ne ha feriti 22, mentre nella West Bank il bilancio è stato di “soli” 14 feriti, in aggiunta a 120 arresti.
Ma non è finita qui.
Il Palestinian Monitoring Group (PMG) ci informa, infatti, delle ulteriori prodezze dei valorosi soldatini di Tsahal nel periodo compreso tra il 18 (el-Eid) e il 31 dicembre:
- Palestinesi uccisi dall’Idf: 35
- Palestinesi feriti dall’Idf: 76
- Palestinesi arrestati: 148
- Palestinesi detenuti: 240
- Raid dell’Idf: 335 (sia incursioni armate che operazioni di arresto)
- Nuovi checkpoint “volanti”: 185 (oltre quelli permanenti…)
- Attacchi dell’Idf: 158 (inclusi i raid aerei e i cannoneggiamenti).
Degno di nota il fatto che uno dei giorni più terribili è stato proprio il giorno di Natale, con 5 feriti, 18 arresti, 16 detenzioni, 12 attacchi dell’esercito israeliano (inclusi tre raid aerei nel nord della Striscia di Gaza): si sa, gli ebrei non celebrano il Natale!
Alla tirata delle somme, quindi, l’insieme delle festività di Hanukah, el-Eid, Natale e Capodanno, lungi dal portare un minimo di sollievo e di serenità ai Palestinesi, gli ha regalato un nuovo, sanguinoso fardello fatto di 51 morti, 112 feriti e 268 arrestati, per la gioia delle loro famiglie, dei parenti, degli amici.
Per fortuna le feste sono finite, rimane la speranza che il 2008, come promesso dai potenti, porti finalmente il dono della pace tra Israeliani e Palestinesi.
Ma le premesse non sono per nulla buone.

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Profughi palestinesi in Libano.

Dopo quasi 60 anni in Libano, i profughi Palestinesi si trovano ancora a dover fronteggiare durissime condizioni di vita quotidiana.
Hanno situazioni abitative molto difficili nei campi profughi, soffrono di povertà, razzismo e di molte forme di discriminazione sociale, politica e legale.
E' proibito loro di lavorare in dozzine di impieghi, specialmente in quelli che richiedono particolari abilità e alta scolarizzazione.
Questo breve filmato tratta di uno dei risultati di questa politica discriminatoria: molti profughi con buona istruzione non possono trovare un lavoro e finiscono così a fare gli autisti di taxi (illegali), i lavoratori a giornata o i negozianti, con turni di lavoro massacranti e guadagni da fame.
Questo breve filmato è stato prodotto nel campo profughi Bourj ash-Shamali, vicino Sour (nel sud del Libano).
A Bourj ash-Shamali abitano 20.000 profughi Palestinesi, la maggior parte proveniente dal nord della Palestina.
Migliaia degli abitanti lavorano a giornata, il che significa: lavoro duro (quando c'è...), salari bassi, nessuna sicurezza sul reddito.
Viene da chiedersi come si possa negare a costoro il diritto al ritorno, un diritto talmente importante e fondamentale da essere inserito nella carta universale dei diritti dell'uomo, un diritto riconosciuto a tutti i popoli della terra, eccezion fatta naturalmente per il popolo palestinese.
Perchè, evidentemente, in questo caso esso confligge con un diritto di ordine superiore, quello alla "ebraicità" vantato da Israele...
Il video di 10 minuti è tratto dal sito: http://a-films.blogspot.com, che consiglio vivamente di visitare.

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