30 giugno 2010

Arrestato in Libano un altro spione del Mossad.

Le forze di sicurezza libanesi hanno arrestato un agente del Mossad scoperto di recente (Charbel Q.), il quale occupava un posto delicato all’interno di Alfa, una delle due sole compagnie libanesi del settore delle telecomunicazioni. Le autorità libanesi hanno descritto la cattura del nuovo agente del Mossad come quella di una grossa preda, affermando di essere in procinto di scoprire un tesoro molto prezioso in termini di servizi ed informazioni che erano state fornite nel corso degli ultimi 14 anni agli Israeliani e al Mossad, incluse le informazioni che hanno aiutato l’esercito israeliano a identificare i propri obiettivi durante la criminale guerra del 2006.

Un altro agente del Mossad, l’olandese Anneke Potter, era stata direttore esecutivo della società Alfa. La Potter fuggì dal Libano alla fine del 2007, poche ore prima che venisse eseguito un mandato di arresto nei suoi confronti.

Il Sig. Charbel Q. è nato nel 1954 ad Alma al-Shouf. Dai particolari rivelati dell’arresto di questo agente libanese del Mossad, risulta che l’intelligence dell’esercito libanese, procedendo a raccogliere informazioni preliminari sullo stesso, lo ha sottoposto a controlli e ha raccolto prove circa la sua collaborazione con il Mossad e Israele. In coordinamento tra l’intelligence, il Procuratore generale e il comandante dell’esercito libanese, Generale Jean Kahwagi, si è deciso di procedere all’arresto della spia, che ha ammesso la sua collaborazione con il Mossad e Israele fin dal 1996.

Venerdì 25 giugno, il Procuratore generale libanese ha autorizzato l’intelligence dell’esercito ad effettuare perquisizioni negli edifici della compagnia di telecomunicazioni Alfa. Sono stati così sequestrati il computer di Charbel, alcuni documenti trovati nel suo ufficio ed altre apparecchiature di comunicazione in suo possesso.

Le indagini preliminari hanno dimostrato che il Sig. Charbel Q. ha consentito agli Israeliani di infiltrarsi nella rete di comunicazioni cellulari e di intercettare e monitorare le persone che Israele voleva spiare durante la criminale guerra del luglio del 2006. I servizi di Alfa Communications consentivano di determinare l’ubicazione di ogni persona raggiunta dalle sue linee di comunicazione in tutto il territorio libanese, così come di fornirne il nome, i numeri, gli indirizzi e le biografie. Charbel Q. ha permesso ad Israele di accedere a tutti questi servizi nel corso degli ultimi 14 anni.

Charbel Q. era responsabile, infatti, di un particolare settore della compagnia (BTS), un settore attraverso cui, nella prima fase, passava ogni comunicazione e che controllava più di 650 impianti di trasmissione e le interconnessioni in territorio libanese.

Le indagini preliminari hanno anche dimostrato che Charbel Q. ha installato attrezzature tecniche in ogni impianto della compagnia, attraverso cui ha fornito ad Israele le frequenze su cui trasmettevano gli impianti stessi. Gli investigatori stanno ora cercando di scoprire i complici di Charbel Q., e si aspettano che il suo arresto porti alla scoperta di una nuova rete di spionaggio israeliana. Non sarebbe certo una novità!

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Roma-Milano: una voce da Gaza assediata.

Roma, venerdi 2 luglio
UNA VOCE DA GAZA ASSEDIATA

Un'occasione di informazione e di confronto sulla situazione della Striscia di Gaza assediata, sulle condizioni della popolazione, sullo scenario politico e sociale, sull'attualità e le prospettive del popolo palestinese.

Venerdì 2 luglio, alle 18.00, in Via B. Orero n. 61,
Incontro pubblico con il Dott. Rabah Muhanna, fondatore dell'ospedale Al Awda di Gaza ed esponente della sinistra palestinese.

A seguire, cena sociale

Il Forum Palestina

Milano, sabato 3 luglio
Quali prospettive?

Dopo le elezioni in Palestina, dopo la legittima vittoria di Hamas, la situazione è cambiata: la Cisgiordania di Fayyad, il Muro della Vergogna, l'embargo internazionale, l'operazione Piombo Fuso, il massacro dei pacifisti della Freedom Flotilla, il nuovo muro alla frontiera con l'Egitto... Gaza è stata trasformata in una "prigione a cielo aperto"!

Incontro con Rabah Mohanna
Sabato 3 luglio 2010, ore 16.00
presso il Centro Sociale Vittoria
(via Muratori 43)

Organizzano: l'associazione culturale Wael Zwaiter, la rete milanese di solidarietà con il popolo palestinese e il CSA Vittoria
Introduce: Francesco Giordano del Forum Palestina

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25 giugno 2010

Scopri la differenza!


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"Palestina", un libro dalla parte della verità.


"Palestina" è una documentazione testimoniale e fotografica, che si propone di offrire un quadro realistico degli avvenimenti noti come "conflitto israelo-palestinese". Accanto alle testimonianze dei profughi palestinesi costretti a fuggire dalla loro terra, vengono proposte quelle dei soldati israeliani che li hanno cacciati con la forza delle armi e le dichiarazioni dei dirigenti sionisti che hanno pianificato e diretto le operazioni di pulizia etnica.

Come scrive Ugo Giannangeli sul sito web del Campo Antimperialista, “abbiamo iniziato a scrivere il libro 5 anni fa, poco prima della aggressione del 2006 al Libano.

In realtà l’editore Zambon aveva in mente un libro sulla Palestina già quando ha pubblicato il primo libro della collana “Crimini contro l’umanità”. Questa collana è formata da 5 libri dedicati, nell’ordine, ad Auschwitz, ad Hiroshima e Nagasaki, al Vietnam e all’America latina. Non è un caso che l’editore, ebreo, abbia dedicato il primo libro ad Auschwitz e l’ultimo alla Palestina a chiusura del percorso: da vittime a carnefici, speculando sulla passata condizione di vittime.

E’ stato un lavoro a molte mani; di alcuni autori non compare il nome (due palestinesi e un docente universitario italiano che ha svolto un immane lavoro di ricerca in archivio del materiale iconografico, rinvenendo foto rarissime). Il libro è sicuramente di parte: dalla parte della verità.

Ha il pregio (gli è stato riconosciuto dai primi lettori) di ricostruire la storia della Palestina dai primordi all’eccidio di Gaza con necessaria sintesi ma mai superficialmente. Le foto sono numerose e documentano quanto narrato.

Il libro vuole essere un tassello contro la mistificazione e la revisione storica portata avanti da Israele con una campagna mediatica battente, micidiale quanto i bombardamenti. Vorrei ricordare due compagni morti durante i lavori: Stefano Chiarini che si stava occupando della parte sul Libano e i campi profughi e Gian Luigi Nespoli che fungeva da coordinatore.

Nel frattempo sono stati uccisi migliaia di palestinesi, in massa o nello stillicidio quotidiano.Il sottotitolo recita: pulizia etnica e resistenza: prosegue ostinatamente la prima avviata nel 1948, prosegue tenacemente la seconda. Si può dare un contributo anche con un libro.

PALESTINA – Pulizia Etnica e resistenza
Pubblicazione: 05/2010
Numero di pagine: 228
Prezzo: € 35,00

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24 giugno 2010

Il conflitto tra ebrei ultraortodossi e le istituzioni laiche dilania Israele.

Lo scorso giovedì decine di migliaia di ebrei ultraortodossi sono scesi in piazza per manifestare contro le decisioni della Corte Suprema israeliana che vorrebbe imporre la “promiscuità” delle figlie degli ebrei religiosi ashkenaziti (di origine europea) con le figlie degli ebrei sefarditi (di origine araba). Che orrore, come può uno Stato laico imporre un abominio di tal genere?

Nell’articolo che segue, tradotto a cura di
Medarabnews, Matthew Kalman analizza la questione per conto del Time, sotto il profilo dello scontro tra gruppi religiosi e tra questi e le istituzioni laiche israeliane e, in specie, la Corte Suprema, facendoci capire quanto Israele sia in realtà lontano dagli standard degli stati europei (eppure c’è sempre qualcuno che blatera di un possibile ingresso di Israele nella Ue).

Rimane sullo sfondo l’aspetto più spiccatamente razzista della questione che, seppur negato dagli interessati, vede gli ebrei di origine europea che non sembrano gradire molto la convivenza con quelli di origine araba.

E, d’altronde, il caso dei Falasha (gli ebrei di origine etiope) ci ricorda come non sia la prima volta che gruppi consistenti di ebrei vengano dapprima “importati” in Israele e, successivamente, emarginati o discriminati, una volta che la coesistenza con loro si dimostri in qualche maniera “
scomoda”.

IL CONFLITTO RELIGIOSO EBRAICO DILANIA ISRAELE
di Matthew Kalman/Gerusalemme - Giovedì, 17.6.2010

In Israele la guerra culturale interna tra le comunità religiose e i tribunali laici è sfociata nelle piazze giovedì scorso, quando decine di migliaia di ebrei ashkenaziti (europei) ultra-ortodossi hanno paralizzato le strade di Gerusalemme e il sobborgo di Bnei Brak a Tel Aviv con una marcia di protesta. Oggetto della loro indignazione era l’ordine di arresto nei confronti di 43 coppie per aver rifiutato di permettere alle figlie di frequentare una scuola religiosa dove si sarebbero mescolate con le figlie di ebrei religiosi mizrahiti (un termine che a volte si sovrappone a quello di ‘sefarditi’, e che si riferisce agli ebrei che provengono principalmente dal mondo arabo). Vestiti con i loro abiti del sabato, con alti cappelli e lunghi cappotti di seta nera finemente ricamati, gli uomini destinati al carcere sono stati portati a spalla da una folla danzante, che intonava canti per le strade di Gerusalemme, fino al quartier generale della polizia nel distretto della missione russa. Alcuni indossavano una cintura rossa decorata con la scritta “Santità per amore del cielo».

“Andiamo con la gioia nei nostri cuori”, ha detto il rabbino Eliyahu Biton mentre camminava verso il carcere, anche se 22 delle donne condannate e 4 degli uomini non si sono presentati.

I genitori al centro del dramma di giovedì, seguaci del rabbino Shmuel Berzovsky che guida la piccola setta chassidica degli Slonimer, hanno preferito due settimane di carcere piuttosto che mandare le loro figlie alla scuola Beis Yaakov vicino alle loro case, nell’insediamento religioso di Emanuel, in Cisgiordania. Le loro ragioni? Alla scuola, le loro bambine ashkenazite si sarebbero mescolate con le bambine mizrahite, alcune delle quali provengono da famiglie allargate più laiche e quindi, dicono gli Slonimer, ciò potrebbe esporre le loro figlie a influenze indesiderate provenienti dal resto del mondo. E la loro detenzione è stata il culmine di una battaglia durata due anni tra la setta ultra-ortodossa, che controlla di fatto la scuola, e la laica Corte Suprema di Israele. Prima della polemica della scuola Beis Yaakov, poche persone avevano sentito parlare della setta degli Slonimer, dal nome di una città in Bielorussia, dove visse il loro primo rabbino 200 anni fa, e della lotta di potere interna alla setta tra i leader rivali di Gerusalemme e Bnei Brak. Ma la lotta per le scolarette ha riunito il piccolo gruppo trasformandolo nell’ultimo portabandiera di una sempre più aspra contesa tra gli ultra-ortodossi e le istituzioni laiche.

La manifestazione di giovedì è stata la più grande a Gerusalemme da quando manifestanti ultra-ortodossi si riunirono nel 1999 in una dimostrazione di forza contro i presunti pregiudizi antireligiosi della Corte Suprema di Israele. Dieci anni dopo, la distanza che divide gli ultra-ortodossi e la Corte è più grande che mai, mentre sono in corso dibattiti su questioni come il potere dei tribunali religiosi, le sovvenzioni pubbliche per gli studenti religiosi, l’esenzione religiosa dal servizio militare e l’accesso alle strade pubbliche di sabato.

Nell’agosto 2009 la Corte Suprema aveva stabilito che un corso separato creato nella scuola Beis Yaakov due anni fa per gli Slonimer equivaleva a una “palese discriminazione” contro il resto degli alunni, che sono mizrahiti per il 95%. Il giudice ha ordinato che la scuola, che è finanziata dallo Stato, rimuovesse le barriere fisiche e integrasse le classi. Per sei mesi, i genitori hanno sfidato il tribunale. Quando finalmente le barriere sono state rimosse, 43 famiglie hanno allontanato le loro figlie dalla scuola e poi le hanno inviate in un’altra scuola statale a Bnei Brak, a un’ora di distanza. Ma i genitori non possono spostare i loro figli da una scuola all’altra nel bel mezzo dell’anno scolastico senza l’autorizzazione delle autorità scolastiche; inoltre, la loro partenza ha lasciato la scuola Beis Yaakov con un numero troppo esiguo di bambini per poter funzionare.

Martedì scorso, la Corte Suprema aveva stabilito che entro giovedì i genitori dovevano riportare le loro figlie alla scuola in cui era stato rimosso il regime di segregazione, o presentarsi al carcere.

Il chiaro atteggiamento di sfida da parte dei genitori ha portato la leader dell’opposizione Tzipi Livni ad interrogarsi apertamente sul futuro dello stato di diritto in Israele e sul silenzio assordante dei ministri del governo, che hanno paura di offendere i partiti ultra-ortodossi che hanno in mano le sorti dell’esecutivo. “Ho sentito che c’è un gruppo di persone che ha detto in anticipo che si rifiuta di accettare una decisione della Corte Suprema”, ha detto la Livni ai suoi sostenitori questa settimana. “Non c’è spazio per queste dichiarazioni in uno stato democratico. Io non sono una fan del coinvolgimento della Corte Suprema in tutte le questioni, ma quando la leadership politica e statale non accetta le decisioni basate sui valori dello Stato di Israele, la Corte Suprema non ha scelta”.

Aviad Hacohen, l’avvocato che ha presentato la petizione alla Suprema Corte per conto di Yoav Lalum, presidente dell’associazione Noar Kahalacha, che combatte la discriminazione etnica nelle scuole religiose, ha detto al Time Magazine che il rifiuto degli Slonimer di permettere che le loro figlie frequentino la scuola con le bambine mizrahite ha portato all’esclusione dalla scuola di decine di queste ultime a partire dallo scorso autunno. E – ha ammonito – il problema dell’insediamento di Emanuel è solo la punta dell’iceberg ultra-ortodosso che minaccia di far sprofondare lo stato di diritto in Israele.

“Ciò può portare a una vera anarchia”, dice Hacohen. “Spero che lo stato di diritto prevalga, altrimenti la questione non finirà qui, con gli ultra-ortodossi ed altri che faranno lo stesso. Vorrei poter dire che la legge vincerà, ma non ne sono sicuro.”

Matthew Kalman è un giornalista e regista residente a Gerusalemme dal 1998; oltre a essere corrispondente del Time Magazine, ha scritto su Newsweek, Boston Globe, USA Today, ecc.; ha prodotto reportage per televisioni come l’americana PBS e la britannica Channel 4

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23 giugno 2010

Per un network europeo antisionista.

Qui di seguito propongo alcuni paragrafi dell’interessante documento programmatico, tratto dalla mailing list di ISM-Italia, sulla necessità di creare un vero e proprio network antisionista europeo che coordini gli sforzi di solidarietà in favore del popolo palestinese su pochi ma significativi obiettivi, con particolare riferimento alle campagne di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

L’intero documento è scaricabile qui.

7. Qualche punto fermo per ISM-Italia

ISM-Italia ritiene che la discriminante antisionista è una conditio sine qua non, alla quale non si può rinunciare per inseguire un attivismo o un iperattivismo senza principi.

Il sionismo è responsabile del politicidio, del sociocidio, del memoricidio e del genocidio dei palestinesi.

Antisionismo significa sostenere che lo Stato di Israele è l’ultima impresa coloniale di insediamento, che non esiste un diritto di esistenza dello Stato di Israele come Stato ebraico e che l’unica soluzione possibile è quella di una decolonizzazione etica.

ISM-Italia ritiene anche, sulla base di quanto sostengono intellettuali palestinesi come Ali Abuminah, Omar Barghouti, Joseph Massad, Saree Makdisi e altri, che i vertici dell’ANP costituiscono una cricca di collaborazionisti.

Allo stesso tempo occorre promuovere un rapporto costruttivo, superando gli stereotipi correnti anche nella sinistra (ex), con i movimenti di resistenza islamici. Per dirla con Ilan Pappé: “Solo due movimenti nell’area resistono contro Israele e gli Stati Uniti. Dolorosamente per le persone di sinistra, come me, non sono della “nostra scuola”, ma noi dobbiamo rispettare la loro volontà e la loro tenacia nel resistere all’occupazione e alla colonizzazione. Questi due movimenti sono Hamas e Hezbollah.”

Infine ISM-Italia ribadisce che le campagne BDS, un’altra discriminante fondamentale, sono contro Israele, e risibili appaiono gli sforzi per limitarle ai prodotti delle colonie negli OPT.

Un impegno particolare nei prossimi mesi, per ISM-Italia, sarà l’attivazione della partecipazione di attivisti italiani, sia in Cisgiordania che a Gaza, con la messa a punto del training necessario.

8. Perché ci occupiamo della Palestina

La motivazione di fondo è quella del dovere, morale e politico, di essere dalla parte dei mondi offesi, dalla parte degli oppressi e non degli oppressori, dalla parte degli assassinati e non degli assassini.

La Palestina è poi parte di un Medio Oriente colonizzato e distrutto dalla aggressione politica e militare dell’imperialismo, del neocolonialismo e del neoliberismo ed è la vittima, il capro espiatorio, dei sensi di colpa dell’Europa occidentale, coloniale e razzista.

I paesi occidentali, e l’Italia in modo particolare tra questi, sono complici iperattivi delle politiche sioniste.

La terza motivazione deriva dal fatto che impegnarsi dalla parte dei mondi offesi è un modo per contribuire alla ricostruzione della nostra democrazia. Il degrado morale, culturale e politico della società italiana si aggrava di giorno in giorno. L’ipocrisia, il cinismo, la menzogna e il razzismo attraversano la destra, il centro e la sinistra politica, ma attraversano anche la società nel suo complesso.

Solo un insieme di minoranze etiche si oppongono, con un lavoro quotidiano, ai processi in atto.

9. Per un network europeo antisionista

ISM-Italia ritiene che per superare la crisi dei movimenti di solidarietà con la Palestina, occorre promuovere un network europeo antisionista che porti avanti nella massima chiarezza un insieme coordinato di attività di informazione, formazione, mobilitazione e denuncia politica.

Uno degli obiettivi deve essere quello di costruire in Italia, in collegamento con organizzazioni di altri paesi europei, una struttura articolata sul territorio capace di concentrare su pochi obiettivi le energie disponibili, in modo da riuscire a ottenere qualche risultato politico significativo.

Da parte palestinese sono stati emessi due importanti documenti:
Il primo, l’1 giugno, da parrte del BNC (BDS National Committee), In response to Israel’s attack on the Freedom Flotilla: BNC Calls for Action.

Il secondo, l’8 giugno, da parte del PACBI (Palestinian Campaign for the Academic&Cultural Boycott of Israele), Israel's Freedom Flotilla Massacre underlines the urgency of intensifying BDS.

Le campagne BDS costituiscono allo stesso tempo una risposta all’appello palestinese e uno strumento per costruire questo network.

La preparazione politica e l’organizzazione logistica delle prossime flottiglie è un altro dei momenti di questo processo.

L’idea del Free Gaza Movement di arrivare da Cipro a Gaza, i convogli che hanno successivamente raggiunto Gaza via terra, hanno portato alla costituzione di vere e proprie brigate internazionali di attivisti, provenienti da numerosi paesi.

I progetti in corso o in preparazione tendono a rafforzare questa tendenza con l’aumento esponenziale degli attivisti coinvolti.

Questo può anche essere il momento in cui, seguendo Mahmoud Darwish, coltivare la speranza assume la dimensione di una utopia concreta. Può essere il momento in cui i processi storici in Palestina, in Afghanistan e in Iraq, possono avere una accelerazione inattesa, in positivo e in negativo.

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21 giugno 2010

Il boicottaggio contro Israele comincia a ingranare.

Tratto dal sito del Forum Palestina, pubblico la traduzione di un articolo apparso il 14 giugno sul sito del giornale economico israeliano The Marker, che mostra come la campagna internazionale di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) stia cominciando davvero a dare fastidio a Israele e alle sue aziende.

Dopo il caso "Flottiglia" gli imprenditori europei a Israele: "ci è vietato fare affari con voi".

In esclusiva da Yehuda Talmon: "Le aziende che in passato sono state orgogliose dei loro legami con il Ministero della Difesa cancellano le tracce dai loro siti, in quanto questo è diventato motivo per interrompere i rapporti commerciali."

Imprenditori israeliani hanno ricevuto circa dieci lettere nel corso delle ultime due settimane dai loro colleghi in Italia, Germania e Svezia, i quali chiedono una dichiarazione che non fabbricano prodotti "dual use" - per uso civile e sicurezza.

Le società che hanno inviato le lettere hanno detto che se non ricevono questo tipo di conferma, i loro codici etici li obbligano a interrompere i rapporti con le aziende israeliane, ha dichiarato ieri Yehuda Talmon, capo dell'Organizzazione degli appaltatori indipendenti (Lahav).

"Il fenomeno ha avuto inzio con l'arrivo di comunicazioni da parte di imprenditori europei, inclusi quelli che le quali hanno rapporti commerciali da 10 a 20 anni , all'ufficio della presidenza di Lahav. Nelle comunicazioni, affermavano che, secondo il codice etico della loro società, è vietato fare affari con chi fabbrica prodotti "dual use", direttamente o indirettamente".

"Anche se l'azienda produce una parte di un veicolo per il Ministero della Difesa, essa non è eligibile per il cliente europeo," ha dichiarato Talmon. "Questo fa sì che le imprese, che evidenziavano orgogliosamente i loro rapporti con il Ministero della Difesa come elemento utile a promuovere le vendite, oggi eliminano ogni traccia di tali rapporti dai loro siti, perché questo sta diventando causa per la rottura dei rapporti commerciali".

La scorsa settimana Shraga Brosh, che dirige l'Uffico di coordinamento per le organizzazioni finanziarie, ha ricevuto una lettera da Rifat Hisarciklioglu, presidente dell'Unione delle Camere di Commercio e di Borsa in Turchia (TOBB). In questa lettera ha attaccato Israele sulla vicenda della flottiglia e ha invitato le imprese turche a rivedere i loro rapporti d'affari con Israele. Un'inchiesta da parte dell'Associazione degli Industriali ha trovato che questa lettera era stata inviata ai membri della TOBB.

Per quanto è attualmente noto, questa è la prima direttiva inviata dai leader del settore commerciale in Turchia ai loro colleghi che invita a non fare affari con Israele. Fino ad oggi, gli uomini d'affari turchi pensavano che potevano continuare a fare affari con Israele, nonostante le tensioni politiche. "I governi vanno e vengono ma gli affari restano", era l'adagio popolare di Istanbul.

Un altro sviluppo è venuto dalle industrie della difesa. Un'azienda israeliana che opera nel settore della sicurezza che stava negoziando un accordo in Spagna ha recentemente riferito al Ministero dell'Industria e del Commercio che il potenziale partner sta evitando le comunicazioni con essa sin dalla vicenda della flottiglia. La società Gamatronic, che opera nel campo della produzione di elettricità, inclusi i generatori, la scorsa settimana ha riferito che una società svizzera ha cancellato un accordo a seguito degli eventi della Gaza Flottiglia.

Durante la sua visita in Corea del Sud la scorsa settimana il Ministro dell'Industria e del Commercio, Binyamin Ben Eliezer, ha saputo da altre società delle difficoltà di comunicazioni sulla collaborazione, a seguito della vicenda della Flottiglia. Il Ministero dell'Industria e del Commercio teme che le "cancellazioni silenziose" di questi accordi - cioè quelle che non fanno grandi titoli sui giornali - si espanderà e produrrà danni al commercio israeliano.

Al termine della visita, Ben Eliezer ha detto ai membri della delegazione economica che "Lo Stato di Israele è sotto un assedio politico che non può che peggiorare. In questo periodo il governo deve aiutarvi, e vi aiuteremo. Dovrete raccontarci sempre di qualsiasi sensazione che avete su danni commerciali, embarghi, e la politicizzazione del commercio. Potremmo essere in grado di fermare le cose prima che ci sia un effetto a valanga ".

L'articolo in questione è di Ora Koren ed è comparso su The Marker -- 14 giugno 2010

Tradotto dall'ebraico da Dena Bugel-Shunra e poi per la versione italiana da Stephanie Westbrook

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"Il buono, il cattivo e il pessimo governo" di don Curzio Nitoglia.


Conferenza a Catania, giovedì 1 luglio 2010, ore 18,30

La conferenza sarà preceduta da un'introduzione a cura del dott. Giuseppe Bonanno.
Moderatore l'avv. Massimiliano Catanzaro.

Relatori:
don Curzio Nitoglia
Filippo Fortunato Pilato

1) - Presentazione del libro di Curzio Nitoglia "IL BUONO, IL CATTIVO E IL PESSIMO GOVERNO - Filosofia della politica"

Relazione a cura di don Curzio Nitoglia (direttore di http://www.doncurzionitoglia.com/)

Dalla quarta di copertina:
L’Europa, ha conosciuto diverse epoche caratterizzate da rapporti di amore o odio tra potere spirituale e temporale, mai di indifferenza. Oggi essa sembra aver smarrito la sua identità e “come un vaso di argilla tra due di ferro” (Usa-Israele e Islam), non riesce a ritrovare la propria anima. Essa sbanda, apaticamente, ora verso l’occidente americanista, ora verso l’oriente islamista. È indifferente e disorientata. Però è proprio nei periodi di crisi che bisogna attingere alla fonte per andare innanzi.

Storicamente la Chiesa romana, ha contribuito a formare l’Europa, dopo la caduta dell’antico Impero romano. Se il Vecchio Continente vuole ritrovare se stesso (e non seguire, come un gregge, l’occidente o l’oriente), deve conoscere la propria storia, le sue origini, la sua filosofia e il suo pensiero politico. Occorre risalire alle radici. Esse (dopo il crollo dell’antica Roma) sono quelle dei Padri ecclesiastici, canonisti e scolastici. Purtroppo non le conosciamo più, al massimo risaliamo alla rivoluzione francese, luteranesimo o rinascenza, ma questi sono rivoli inquinati, che hanno deviato dalle fonti politico-religiose della cristianità europea. Purtroppo il cristianesimo moderno (liberale e occidentalizzato), ci presenta un’immagine irreale della filosofia politica che sta all’origine della cristianità. Questo libro cerca di riproporre all’attenzione dell’europeo odierno, la filosofia politica, com’è realmente e non com’è stata deformata dall’immanentismo liberale.

Non si può guardare positivamente al futuro e affrontarlo, senza conoscere il proprio passato. Tornare alle fonti non è mai anacronistico, i grandi filosofi del medioevo, ci porgono la dottrina per uscire dalla crisi d’identità, in cui ci troviamo oggi. Siamo di fronte ad un bivio: o tornare alla filosofia perenne come “nani sulle spalle di giganti”, oppure cadere in uno dei due errori attuali: l’americanismo o l’islamismo.

Invece esiste una filosofia della politica europea tradizionale, originale e integralmente cristiana; basta studiarla senza lasciarsi incantare dalle sirene della modernità, che l’hanno intorbidita e poi avvelenata. La dottrina su i rapporti tra Stato e Chiesa, guerra giusta, tirannicidio, forme di governo, origine del potere, questione sociale; sono state sviscerate dalla patristica e scolastica. Il comunismo, liberalismo, nazionalismo esagerato, neopaganesimo, democrazia cristiana; sono stati affrontati dal magistero tradizionale.

La postmodernità nichilista ha ucciso la modernità illuminista, che l’aveva partorita.

Quindi non ci resta che tornare alla metafisica aristotelico-tomista per non sprofondare nel mare del nulla nichilista, ove tutto affonda. La filosofia politica è la conseguenza pratica della filosofia dell’essere. Quindi è necessario ritornare alla fonte della metafisica tradizionale, per poter affrontare e risolvere i temi di filosofia politica che ci interessano. “L’Europa è una grande speranza che si realizzerà soltanto se terrà conto della sua storia: un’Europa senza storia sarebbe orfana. Poiché l’oggi discende dall’ieri, e il domani è il frutto del passato. L’avvenire deve poggiare sull’eredità che fin dall’antichità hanno arricchito l’Europa. Solo così si possono apportare elementi di risposta alle grandi domande; Chi siamo? Donde veniamo? Dove andiamo?” (Jacques Le Goff).

2) - La Difesa della Libertà d'espressione sul Web, ultima frontiera e spazio nel quale poter far circolare liberamente notizie, idee, cronaca, alternativamente allo strapotere della Israel Lobby e dei suoi media asserviti a finanza e governi camerieri delle banche in mano agli "eletti".

Relazione a cura di Filippo Fortunato Pilato (direttore di http://www.terrasantalibera.org/)

A seguito dei recenti attacchi ad alcuni siti web scomodi, da parte della Commissione Parlamentare presieduta dall'israelita Fiamma Nirenstein, cui hanno fatto seguito i servitori di Sion di Libero, Il Giornale, Il Foglio, si è fatta più urgente la necessità di organizzarsi e reagire da parte di chi nel web ha trovato un'utile strumento di veicolazione di notizie di cronaca, di idee, di proposte creative che hanno poi positivi sbocchi nel mondo reale e nella risoluzione di problemi creati dal monopolio dell'informazione nelle mani della solita lobby.

Non a caso la Commissione Parlamentare, che si occupa di tappare la bocca al web "politicamente scorretto", è nelle mani di un'ebrea spalleggiata da tutta la comunità ebraica romana e italiana. Questi "auto-eletti", grazie al servilismo di perfetti zerbini come Fini, che ha firmato nottetempo l'approvazione del finanziamento alla fondazione ebraica del CDEC, profumatamente finanziata con ben 300 mila euro l'anno, stanno cercando le scuse legali per inquisire chi dice verità scomode e imbavagliare la verità.

Verranno qui spiegati i meccanismi della diffamazione legalizzata, e pagata dai contribuenti, e le strategie di contrattacco da parte di chi da anni lotta per un'informazione libera.

Tale battaglia di difesa del web, si trasformerà in un boomerang per la Israel-lobby, che si troverà a fronteggiare, inaspettatamente, un ampio fronte di reazione per far valere i propri diritti costituzionali. Donna Fiammetta non lo sa, ma è andata a cacciarsi in un bel guaio, toccando uomini e organizzazioni che non sono abituati a subire angherie dal giudeo al potere, e che nella battaglia per la giustizia e la verità invece trovano la loro ragion d'esistere, come uomini d'onore e come italiani che non intendono subire ricatti e prepotenze da Nazioni straniere e dai loro maggiordomi infiltrati nel Parlamento italiano.

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18 giugno 2010

Palestina - Storia e futuro di una terra occupata.


Ultimi due appuntamenti in calendario per il seminario Palestina - Storia e futuro di una terra occupata, organizzato dall'associazione culturale Malausséne presso la propria sede a Palermo, Piazzetta di Resuttano n.4 (50 metri a destra dall'ingresso della Chiesa di S. Francesco d'Assisi).

Il seminario, tenuto da Fateh Hamdan, verterà oggi pomeriggio alle 18:00 sul tema La colonizzazione dei territori occupati, mentre il venerdì successivo - alla stessa ora - l'argomento trattato sarà costituito dagli Accordi di Pace.

Alla fine del ciclo di incontri sarà convocata una assemblea cittadina sulla questione palestinese.

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17 giugno 2010

Chi ha paura di una vera inchiesta sull'assalto alla Freedom Flotilla?

Segnalatomi dall'amica arial, pubblico qui il pezzo in cui Uri Avnery propone le 80 domande che, a suo giudizio, una vera Commissione d'inchiesta sull'assalto alla Freedom Flotilla e sul massacro di nove attivisti turchi imbarcati sulla Mavi Marmara dovrebbe porre alle autorità israeliane (la traduzione è a cura di Mariano Mingarelli).

Dubitiamo fortemente che il simulacro di commissione "indipendente" varato da Israele giusto per salvare la faccia vorrà farle sue.

A difesa di Israele, tuttavia, devo ricordare che, da qualche giorno, anche il coriandolo può essere importato nella Striscia di Gaza!

Uri Avnery’s Column

12.06.2010
http://zope.gush-shalom.org/home/en/channels/avnery/1276348453

Chi ha paura di una vera inchiesta?
di Uri Avnery

Se fosse stata istituita una Commissione d'inchiesta vera (al posto del patetico aborto di commissione), queste sono alcune delle domande che essa avrebbe dovuto porre:

1 - Qual è il vero scopo del blocco della Striscia di Gaza?

2 - Se l'obiettivo è quello di impedire il flusso di armi nella Striscia, perché vi sono ammessi solo 100 prodotti (rispetto agli oltre 12.000 presenti in un supermercato israeliano di media dimensione)?

3 - Perché è vietato introdurre cioccolato, giocattoli, materiale per scrivere, molti tipi di frutta e verdura (e perché la cannella, ma non il coriandolo)?

4 - Qual è il legame tra la decisione di vietare l'importazione di materiali da costruzione per la sostituzione o la riparazione di migliaia di edifici distrutti o danneggiati durante l'operazione Piombo fuso e il pretesto che essi possano servire per la costruzione dei bunker di Hamas - quando materiali finalizzati a questo scopo vengono introdotti in quantità più che sufficienti nella Striscia attraverso i tunnel?

5 - È vero che lo scopo del blocco consiste nel trasformare in un inferno la vita di 1,5 milioni di esseri umani, nella Striscia, nella speranza di indurli a rovesciare il regime di Hamas?

6 - Poiché questo non è successo, ma - al contrario - Hamas è diventato più forte durante i tre anni del blocco, il governo non ha mai preso in considerazione ripensamenti su questa faccenda?

7 - È stato imposto il blocco nella speranza di liberare Gilad Shalit, il soldato israeliano catturato?

8 - Se è così, ha contribuito in qualche modo il blocco alla realizzazione di questo obiettivo, o è stato controproducente?

9 - Perché il governo israeliano si rifiuta di scambiare Shalit con centinaia di prigionieri palestinesi, quando Hamas è favorevole a un tale accordo?

10 - E 'vero che il governo americano ha imposto un veto sullo scambio di prigionieri, con la motivazione che esso avrebbe rafforzato Hamas?

11 - Vi è stata una qualche discussione nel nostro governo sull’adempimento dell'impegno assunto con l’Accordo di Oslo – consistente nel rendere possibile e favorire lo sviluppo del porto di Gaza – fatto in modo tale da impedire il passaggio delle armi? (il successivo accordo AMA del novembre del 2005, sottoscritto da Israele, prevedeva addirittura che i lavori di costruzione del porto di Gaza "potevano iniziare" e che, del pari, dovevano iniziare le trattative per la costruzione di un aeroporto, n.d.r.).

12 - Perché il governo israeliano dichiara ancora una volta che le acque territoriali della Striscia di Gaza fanno parte delle acque territoriali appartenenti a Israele, e che le navi che vi entrano "violano la sovranità israeliana", contrariamente al fatto che la Striscia di Gaza non è mai stata annessa a Israele e che nel 2006 Israele ha annunciato ufficialmente, che se ne era "separata"?

13 - Perché l'ufficio del Procuratore Generale ha dichiarato che gli attivisti per la pace catturati in alto mare, che non avevano alcuna intenzione di entrare in Israele, avevano "tentato di entrare illegalmente in Israele", e li ha portati davanti a un giudice per l'estensione al loro arresto della legge che riguarda "l'ingresso illegale in Israele"?

14 - Chi è responsabile di queste affermazioni giuridiche contraddittorie, quando il governo israeliano sostiene in un primo momento che Israele si è "separato dalla Striscia di Gaza" e che "l’occupazione della stessa è finita" – mentre nell’istante successivo reclama la sovranità sulle acque prospicienti le coste della Striscia?

15 - Domande relative alla decisione di attaccare la flottiglia: Quando servizi segreti israeliani sono venuti a conoscenza della preparazione di questa flottiglia? (Testimonianze al riguardo possono essere ascoltate a porte chiuse).

16 - Quando tutto ciò è stato portato all'attenzione del Primo Ministro, del Ministro della Difesa, del Gabinetto, del Comitato dei Sette (responsabile delle questioni di sicurezza) e del capo di stato maggiore IDF? (Idem come sopra)

17 - Quali sono state le deliberazioni di tali funzionari e istituzioni? (Idem come sopra)

18 – Quali informazioni sono state fornite a ciascuno di loro? (Idem come sopra)

19 - Quando, da chi e come era stata presa la decisione di fermare la flottiglia con la forza?

20 - E 'vero che il segretario del gabinetto, Tzvi Hauser, ha messo in guardia sulle gravi conseguenze che sarebbero derivate da tali azioni e ha consigliato di lasciare che la flottiglia procedesse fino a Gaza?

21 - Ci sono stati anche altri che hanno suggerito di farlo?

22 - Il Ministero degli Esteri é stato un partner a pieno titolo in tutte le discussioni?

23 - Se è così, ha il Ministero degli Esteri messo sull’avviso circa l’impatto che una tale iniziativa avrebbe prodotto sulle nostre relazioni con la Turchia e gli altri paesi?

24 - Alla luce del fatto che, prima del incidente, il governo turco aveva informato il Ministero degli Esteri israeliano che la flottiglia era stata messa in atto da un organizzazione privata non soggetta al controllo del governo e che essa non violava alcuna legge Turca - ha il Ministro degli Esteri preso in considerazione l’opportunità di contattare l’organizzazione per cercare di raggiungere un accordo per scongiurare la violenza?

25 - È stata offerta la dovuta considerazione all'alternativa di fermare la flotta nelle acque territoriali, di ispezionare il carico per verificare la presenza di armi e di lasciarla procedere nella navigazione?

26 - È stato preso in considerazione l'impatto dell’intervento sull'opinione pubblica internazionale?

27 - È stato considerato l'impatto dell’intervento sulle nostre relazioni con gli Stati Uniti?

28 - È stato preso in considerazione il fatto che l'azione potesse in realtà rafforzare Hamas?

29 - È stato preso in considerazione il fatto che l'intervento potesse rendere più difficile il prosieguo del blocco?

30 - Domande concernenti la pianificazione dell'azione: quali informazioni di intelligence erano a disposizione di coloro che elaboravano il piano? (Le testimonianze possono essere ascoltate a porte chiuse.)

31 - È stato ritenuto che la composizione del gruppo degli attivisti presenti in questa flottiglia era diversa da quella delle navi di protesta precedenti, a causa dell'aggiunta della componente turca?

32 - È stato preso in considerazione il fatto che, diversamente dagli attivisti per la pace europei, che credono nella resistenza passiva, gli attivisti turchi avrebbero potuto adottare una politica di resistenza attiva nei confronti di soldati che assalissero una nave turca?

33 - Erano state prese in esame procedure alternative, come il blocco dell’avanzamento della flottiglia con barche della marina?

34 - In caso affermativo, quali erano le alternative prese in considerazione e perché erano state respinte?

35 - Chi è stato responsabile della pianificazione effettiva di tali azioni - il capo di stato maggiore dell’IDF o il comandante della Marina?

36 - Se è stato il comandante della Marina Militare a decidere sul metodo impiegato, la scelta, è stata approvata dal Capo di Stato Maggiore, dal Ministro della Difesa e dal Primo Ministro?

37 - Come sono state suddivise tra costoro le competenze della programmazione?

38 - Perché l’intervento ha avuto luogo fuori delle acque territoriali di Israele e della Striscia di Gaza?

39 - Perché l’intervento è stato eseguito nel buio?

40 - C’è stata una qualche obiezione nella marina sull'idea di far scendere i soldati dagli elicotteri fin sul ponte della nave "Mavi Marmara"?

41 - Nel corso delle discussioni, qualcuno ha richiamato alla memoria la somiglianza tra le operazioni pianificate e le azioni britanniche contro la nave "Exodus 1947", che si erano concluse in un disastro politico per i britannici?

42 - Domande relative all’intervento in se stesso: Se non c’era nulla da nascondere, perché la flottiglia, durante tutta l'operazione, era stata tagliata fuori da ogni contatto con il mondo?

43 - Qualcuno forse protesta che i soldati in realtà siano stati mandati in una trappola?

44 - È stato preso in considerazione il fatto che il piano adottato avrebbe posto i soldati per diversi minuti critici in pericolo di vita per una posizione di inferiorità?

45 - Quando, con esattezza, i soldati hanno cominciano a sparare proiettili veri?

46 - Qual’è il soldato che è stato il primo a far fuoco?

47 - La sparatoria è stata - del tutto o in parte - giustificata?

48 - E 'vero che i soldati hanno cominciato a sparare, ancor prima di scendere sul ponte, come affermano i passeggeri?

49 - E 'vero che il fuoco è proseguito anche dopo che il capitano della nave e gli attivisti avevano più volte annunciato con gli altoparlanti che la nave si era arresa e dopo che avevano effettivamente issato bandiera bianca?

50 - E 'vero che cinque delle nove persone uccise erano state colpite alla schiena, il che indica che esse stavano cercando di fuggire dai soldati e non potevano quindi mettere in pericolo la loro vita?

51 - Perché Bilgen Ibrahim, l’uomo di 61 anni ucciso, padre di sei figli e candidato sindaco nella propria città natale, è stato descritto come un terrorista?

52 - Perché Cetin Topcoglu, l’uomo ucciso di 54 anni, allenatore della nazionale turca di taekwondo (arte marziale coreana), la cui moglie era pure a bordo della nave, è stato descritto come un terrorista?

53 - Perché Cevdet Kiliclar, l’uomo ucciso di 38 anni, di professione giornalista, è stato descritto come un terrorista?

54 - Perché Ali Haydar Bengi, l’uomo ucciso padre di quattro figli, laureato alla facoltà di letteratura dell’università al-Azhar del Cairo, è stato descritto come un terrorista?

55 - Perché Necdet Yaldirim, di 32 anni e padre di una figlia; Fahri Yaldiz, di 43 anni e padre di quattro; Cengiz Songur, di 47 anni e padre di sette; Cengiz Akyuz, di 41 anni e padre di tre , uccisi, sono stati descritti come terroristi?

56 - E’ una menzogna il fatto che gli attivisti hanno preso una pistola a un soldato e gli hanno sparato con quella, come è stato descritto da parte dell'IDF, o la verità è che in realtà gli attivisti hanno gettato la pistola in mare senza utilizzarla?

57 - E 'vero, come dichiarato da Elshayyal Jamal, un cittadino britannico, che i soldati hanno impedito che i feriti turchi venissero medicati per la durata di tre ore, durante le quali alcuni di loro sono morti?

58 - E 'vero, come affermato da questo giornalista, che era stato ammanettato con le mani dietro la schiena e costretto a restare in inginocchio per tre ore sotto il sole cocente, che non gli era stato permesso di andare a urinare e gli era stato detto di “pisciare nelle mutande", che era rimasto ammanettato per 24 ore senza acqua, che il suo passaporto britannico gli era stato preso e non gli era stato restituito; che il suo computer portatile, tre telefoni cellulari e 1500 dollari in contanti gli erano stati presi e non erano stati restituiti?

59 - Ha l’ IDF isolato i passeggeri dal resto del mondo per 48 ore, confiscando tutte le telecamere, i film e telefoni cellulari dei giornalisti a bordo, allo scopo di sopprimere tutte le informazioni che non erano conformi alla versione fornita dall’IDF?

60 - Dato che è una procedura permanente quella di fotografare il primo ministro (o in questo caso il suo rappresentante provvisorio, Moshe Yaalon) durante un'operazione, questa procedura era stata messa in atto, ed era già stata attuata in casi precedenti, come ad esempio nell'operazione di Entebbe o nell'abbordaggio della nave "Karin A"?

61 - Domande relative al comportamento del portavoce dell'IDF: E’ vero che il portavoce dell'IDF ha divulgato una serie di menzogne, durante le prime ore, al fine di giustificare l'azione agli occhi sia degli israeliani che dell'opinione pubblica internazionale?

62 - I pochi minuti di film che sono stati mostrati centinaia di volte alla televisione israeliana, dal primo giorno fino a ora, fanno parte di un pezzo accuratamente modificato, in modo che non si veda ciò che è accaduto poco prima e subito dopo?

63 - Qual è la verità sull'affermazione secondo cui i soldati che erano stati presi dagli attivisti all'interno della nave stavano per essere "linciati", dal momento che le foto mostrano chiaramente che erano rimasti circondati per parecchio tempo da decine di attivisti, senza che venisse fatto loro del male, e che un medico o un infermiere presente tra gli attivisti, li aveva anche medicati?

64 - Che prove ci sono sull'affermazione che l'ONG turca, il cui nome è IHH, ha collegamenti con al-Qaeda?

65 - Su quali basi si era dichiarato più volte che essa era una "organizzazione terroristica", anche se non è stata fornita alcuna prova che confermasse questa affermazione?

66 - Perché si era affermato che l'associazione avesse operato agli ordini del Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan, quando in effetti essa è vicina a un partito dell’opposizione?

67 - Se essa fosse effettivamente una organizzazione terroristica nota ai servizi segreti israeliani, perché tale fatto non era stato preso in considerazione durante la progettazione dell'operazione?

68 - Perché il governo israeliano non aveva comunicato tutto ciò prima dell'attacco alla flottiglia?

69 - Perché le parole di uno degli attivisti, che al suo ritorno aveva dichiarato che avrebbe voluto essere uno "shahid", erano state tradotte in modo palesemente disonesto dalla propaganda ufficiale, come se avesse detto che avrebbe voluto "uccidere ed essere ucciso" ("shahid", sta a significare una persona che sacrifica la sua vita per testimoniare la sua fede in Dio, proprio come un martire cristiano)?

70 - Qual è la fonte della menzogna secondo la quale i turchi avrebbero gridato ad alta voce"Tornate ad Auschwitz"?

71 - Perché i medici israeliani non sono stati chiamati a informare il pubblico almeno una volta sul carattere delle lesioni dei soldati feriti, dopo che è stato dichiarato che almeno uno di loro era stato colpito?

72 - Chi ha inventato la storia che vi erano le armi sulla nave e che erano state gettate in mare?

73 - Chi ha inventato la storia che gli attivisti avevano portato con se armi letali - quando l’esibizione organizzata dal portavoce stesso dell'IDF non mostrava altro che attrezzi reperibili su qualsiasi nave, tra cui un binocolo, uno strumento per l’infusione di sangue, coltelli e asce, oltre che pugnali decorativi arabi e coltelli da cucina che si trovano su tutte le navi, perfino in una imbarcazione non equipaggiata per 1000 passeggeri?

74 -Tutti questi elementi – associati alla ripetizione all’infinito della parola "terroristi" e al blocco di tutte le informazioni di tipo diverso - non costituiscono forse un lavaggio del cervello?

75 - Domande relative alla inchiesta: Perché il governo israeliano si rifiuta di prendere parte ad una commissione internazionale di inchiesta, costituita da personalità neutrali di loro gradimento?

76 - Perché il Primo Ministro e il Ministro della Difesa hanno dichiarato di essere pronti a testimoniare – ma non per rispondere alle domande?

77 – Da dove viene il ragionamento secondo il quale soldati non devono essere chiamati a testimoniare quando in tutte le precedenti inchieste ufficiali superiori, ufficiali subalterni e gli uomini arruolati sono stati invece sottoposti a interrogatorio?

78 - Perché il governo si rifiuta di nominare una Commissione d'Inchiesta di Stato sulla base alla legge israeliana che è stata emanata dalla Knesset nel 1966 a questo scopo, soprattutto in considerazione del fatto che commissioni di questo tipo erano state nominate dopo la guerra dello Yom Kippur, dopo il massacro di Sabra e di Chatila, dopo che il pulpito della Moschea al-Aqsa era stato dato alle fiamme da un australiano folle, così come per indagare la corruzione nello sport e l'assassinio del leader sionista Chaim Arlosoroff (è avvenuto circa una cinquantina d'anni dopo!)?

79 - Il Governo ha qualcosa da temere da una simile commissione, i cui membri sono nominati dal Presidente della Corte Suprema, e che ha il potere di convocare testimoni e di sottoporli a contraddittorio, di richiedere la produzione di documenti e di definire la responsabilità personale per errori e crimini?

80 - Perché è stato deciso alla fine di nominare una patetica commissione, priva di qualsiasi potere giuridico, che sarà carente di una qualsiasi credibilità sia in Israele che all'estero?

E, infine, la domanda delle domande: *Che cosa sta cercando di nascondere la nostra leadership politica e militare?

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La vernice che uccide.


A quanto pare persino gli armamenti "non-letali" - nelle mani israeliane - uccidono quanto e di più di quelli convenzionali!

"L'ambasciatore israeliano ha affermato che l'Idf ha preso d'assalto la flottiglia con gli aiuti per Gaza con fucili che sparano proiettili di vernice!!!"

Primo riquadro: "Volontari turchi colpiti da proiettili di vernice israeliani..."

Secondo riquadro: "Ragazzino palestinese che tirava pietre colpito da proiettili di vernice israeliani..."

Terzo riquadro: "Gaza e Libano colpiti da proiettili di vernice israeliani..."

La solita vignetta antisemita di Carlos Latuff...

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Assemblea pubblica a Torino: "Il sionismo contro tutti?"

International Solidarity Movement-Italia

Dalla parte dei mondi offesi

Assemblea pubblica sul tema:
IL SIONISMO CONTRO TUTTI?

TORINO, lunedì 21 giugno 2010 ore 20.30
presso il Centro culturale italo-arabo Dar Al Hikma
in via Fiochetto 15 Torino

Interventi:

Diana Carminati –ISM-Italia

Giorgio S. Frankel – giornalista

Alfredo Tradardi - ISM-Italia


Nel corso dell’incontro sarà presentato il saggio di Giorgio S. Frankel L’Iran e la bomba, DeriveApprodi 2010,
http://sites.google.com/site/italyism/05-libri/l-iran-e-la-bomba

Tutti/e sono invitati a partecipare.
info@ism-italia.it

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14 giugno 2010

Il rapporto Goldstone e l'imparzialità di Israele.

Tratta dal sito del Campo Antimperialista, questa interessante analisi sulle conclusioni del rapporto Goldstone sui crimini di guerra commessi durante l’operazione “Piombo Fuso” e sulla “difesa” di Israele è stata scritta dall’avvocato Ugo Giannangeli sulla base di una sua relazione presentata alla Camera del Lavoro di Milano lo scorso 30 marzo.

E’ una lettura interessante innanzi tutto perché ci ricorda i crimini orrendi e bestiali di cui si è macchiato Israele ai danni di una popolazione pressoché inerme, impossibilitata persino – caso unico nei conflitti moderni – a fuggire dalle zone dei combattimenti. Oltre 1.400 morti, l’83% dei quali civili inermi e, tra essi, 352 bambini uccisi: questo il tragico bilancio dell’operazione militare che testimonia da solo il rispetto delle norme del diritto umanitario da parte di Israele.

Ma è interessante anche perché fa rilevare come Israele non sia assolutamente in grado di garantire una inchiesta credibile e indipendente su nessuno dei crimini di cui in questi anni si è macchiato il suo esercito. Basti pensare che l’unica condanna ad oggi intervenuta in relazione a “Piombo Fuso” è quella che ha colpito un soldato macchiatosi dell’orrendo crimine di aver rubato una carta di credito!

Non si capisce, quindi, come oggi Israele possa pretendere di indagare sull’assalto alle navi della Freedom Flotilla – costato la vita a 9 attivisti turchi – attraverso la costituzione di una “
commissione di inchiesta pubblica e indipendente”.

Ma a chi vogliono prendere in giro?

IL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE GOLDSTONE E LA “DIFESA” DI ISRAELE
di Ugo Giannangeli – 10 giugno 2010

Fin dalle prime righe degli scritti difensivi di Israele rispetto alle conclusioni della Commissione Goldstone (Israele ha commesso crimini di guerra e in taluni casi crimini contro l’umanità) si resta colpiti, più che dal contenuto, dal tono usato.

Quando si difende una causa indifendibile (per gravità delle imputazioni e per entità della prova a carico), è preferibile un tono sommesso, quasi a cercare l’altrui comprensione, nel tentativo di riduzione del danno.

Israele invece, usa la stessa arroganza che, recentemente, è stata usata da Netanyahu in alcune dichiarazioni pubbliche, ad esempio: “Costruire a Gerusalemme Est e a Tel Aviv non fa alcuna differenza”. Giungendo al dileggio: “Pretendere il blocco della colonizzazione è un ostacolo alla pace”.

Il disprezzo del diritto internazionale è ostentato; ed è ben comprensibile questo atteggiamento provocatorio, vista l’impunità di cui gode Israele dal 1948 ad oggi.

Le accuse della Commissione Goldstone sono gravissime: è violata praticamente tutta la Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 a tutela della popolazione civile nel corso dei conflitti e sono integrate quasi tutte le fattispecie di crimini di guerra e contro l’umanità, di cui gli artt. 7 e 8 dello Statuto di Roma del 1998, istitutivo del Tribunale Penale Internazionale.

Vediamo innanzitutto da chi provengono le accuse: Richard Goldstone è un ebreo, ex giudice della Corte Costituzionale del Sud Africa (quindi esperto di apartheid) nonché ex Pubblico Ministero al Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia ed il Rwanda. Certamente è una persona imparziale ed esperta, come gli altri tre membri. La Commissione ha svolto indagini tra maggio e luglio 2009.

Prima osservazione: Israele non ha collaborato, anzi ha boicottato il lavoro di indagine, giungendo a negare l’accesso a Gaza dalle proprie frontiere (la Commissione è dovuta entrare a Rafah dall’Egitto).

E’ stato impedito anche l’incontro con l’ANP in Cisgiordania (si sono incontrati ad Amman). Perfino all’interno di Israele è stata negata libertà di circolazione. Al contrario, massima collaborazione è stata offerta da Hamas (ne dà atto Goldstone).

Inizialmente la Commissione ha sottoposto una lista di domande: ANP e Hamas hanno risposto, il governo israeliano no. Un misto tra tracotanza e consapevolezza di avere molto da nascondere.

Seconda osservazione: Goldstone ha “contestualizzato” l’eccidio di Gaza tenendo presenti “le politiche dominanti nei Territori Palestinesi Occupati” e, per Gaza, l’embargo. Ha anche ribadito l’applicabilità della Quarta Convenzione di Ginevra e quindi lo status di Paese occupante per Israele (la questione, del resto, è da tempo risolta essendo stata ribadita l’applicabilità dall’ONU, dai Paesi firmatari e dalla stessa Alta Corte di Giustizia israeliana).

Si riportano, sintetizzandole, le conclusioni del rapporto.

- Gli edifici governativi e la sede del Consiglio Legislativo Palestinese bombardati non erano obiettivi legittimi.

- Le forze di polizia non erano obiettivi militari (sono stati uccisi 240 poliziotti, di cui 99 nei primi minuti di attacco).

- Non è stata trovata alcuna prova a sostegno del fatto che i combattenti palestinesi usassero civili a propria protezione (i combattimenti inevitabilmente, si svolgevano in aree urbane densamente popolate).

- Israele non si è adeguatamente preoccupato di tutelare i civili. Non possono essere ritenuti sufficienti gli avvisi (via telefono, volantini) talvolta utilizzati. E’ anche accaduto che siano stati fatti spostare civili verso i centri delle città, mentre questi erano bombardati dall’aviazione.

- È ingiustificato l’attacco alla sede UNRWA di Gaza City con fosforo bianco. Vi erano rifugiati circa 700 civili. L’attacco è durato molte ore.

- È ingiustificato l’attacco all’ospedale Al Quds di Gaza City con granate al fosforo; nessun avviso è stato lanciato.

- E’ ingiustificata l’uccisione di civili a Jabalya (oltre 35, di cui 11 membri di una famiglia nel proprio giardino, gli altri all’incrocio vicino); 40 sono stati i feriti. Vicino c’era una scuola UNRWA con oltre 1300 rifugiati.

Tutto ciò che è qualificato “ingiustificato” è da ritenere criminale, perché in violazione del diritto umanitario internazionale.

- Molteplici sono stati gli attacchi deliberati contro la popolazione civile, alcuni realizzati con modalità particolarmente efferate, ad esempio: è stata bombardata una casa dopo che vi erano stati fatti confluire molti civili (la memoria della nostra storia va a Sant’Anna di Stazzema); civili sono stati uccisi mentre abbandonavano le proprie case mostrando bandiera bianca.

- È stata impedita l’evacuazione di feriti o l’accesso di autoambulanze; autoambulanze sono state colpite durante il tragitto.

- Del tutto deliberata è stata anche l’uccisione di 15 persone all’interno di una moschea e altre 5 durante una veglia funebre.

- Solo in un caso Israele ha riconosciuto la propria responsabilità, attribuita ad un errore: è stata bombardata una casa e sono stati uccisi 22 familiari; doveva invece essere colpita una casa vicina, secondo Israele adibita a deposito di armi.

- Alcuni attacchi sono stati finalizzati esclusivamente alla privazione dei mezzi di sostentamento alla popolazione; ad esempio la distruzione del mulino Al Bader e quella di un grande allevamento di polli che forniva il 10% del fabbisogno di uova in tutta la Striscia.

- Altri attacchi sono stati finalizzati esclusivamente alla privazione di case, soprattutto negli ultimi tre giorni, a ritiro ormai in corso; complessivamente sono stati distrutti 280 edifici tra scuole ed asili.

- In almeno quattro casi l’esercito ha usato civili come scudi umani: bendati ed ammanettati sono stai fatti entrare nelle case, ove si sospettava che potessero esserci combattenti o cariche esplosive innestate; molti civili sono stati interrogati con uso di violenza o sotto minaccia di morte. Nel corso delle operazioni militari, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha ordinato l’immediata cessazione della pratica degli scudi umani ma l’ordine è stato ignorato.

- Sono stati fatti prigionieri molti civili e sono stati trasferiti in Israele; sono state catturati anche donne e bambini; sono stati detenuti anche in pozzi o buche nel terreno, senza acqua e cibo; moltissimi i casi di pestaggi nelle carceri.

E’, quella sintetizzata, una vera e propria galleria degli orrori. Non ho trovato traccia di stupri e voglio sperare che almeno questo crimine odioso non sia stato commesso, a meno che l’assenza non sia da addebitare alla difficoltà a che emergano simili fatti.

Dice Goldstone: “Poiché l’esercito afferma di non avere commesso errori e vista l’alta tecnologia usata, dobbiamo ritenere che tutto questo è stato pianificato e voluto”.

Goldstone, nel suo rapporto, si occupa anche della situazione a Gerusalemme est e in Cisgiordania: la repressione delle manifestazioni di solidarietà alla popolazione di Gaza, alcuni dimostranti uccisi, le condizioni di detenzione degli 8100 prigionieri politici (ragazzi inclusi), la detenzione amministrativa (priva cioè di specifica accusa), il muro, i check-points, il coprifuoco, le strade vietate ai palestinesi, le demolizioni di case, la continua colonizzazione (73.000 nuove case già progettate). Di queste 73.000 fanno parte le 1600 di Gerusalemme Est che hanno provocato contrasti tra USA e Israele , ma non per il fatto che ne sia prevista la costruzione, bensì perché l’annuncio è stato dato il giorno stesso dell’arrivo di Biden in Israele.

Goldstone si occupa anche della repressione del dissenso in Israele, che ha colpito soprattutto due organizzazioni: “New Profile” e “Breaking the silence”. Queste due organizzazioni infatti, insieme all’Alternative Information Center, hanno raccolto testimonianze di soldati e quindi hanno fornito prove sicure e dirette. Non dimentica, infine, Goldstone, che è stato precluso ogni accesso alla informazione: dal 05/11/2008 è stato negato l’ingresso ai giornalisti a Gaza (il giorno successivo alla rottura della tregua da parte israeliana, ad ulteriore dimostrazione della preordinazione dell’attacco).

Goldstone esclude la reale volontà di indagine di Israele: Israele indaga non per individuare responsabili di crimini, ma per migliorare l’operatività dell’intervento militare (c.d. “indagini operative”).

Questa affermazione di Goldstone è molto importante perché esclude la causa di non procedibilità (cioè consente la procedibilità) prevista dall’Art. 17 dello Statuto di Roma, secondo cui il Tribunale Penale Internazionale non può procedere nei confronti di chi è stato sottoposto ad indagini e processo corretti nello Stato.

Scatta, cioè, la giurisdizione internazionale quando è carente o inesistente quella nazionale.

La cosiddetta “unica democrazia del Medio Oriente” esce devastata dal rapporto. La sua difesa accresce la devastazione, sia per il tono arrogante sia per i contenuti risibili.

Esaminiamola. Israele ha presentato, ad oggi, due scritti difensivi, a luglio e a dicembre 2009. Perché lo ha fatto?

Dopo aver tentato di boicottare il lavoro della Commissione, sarebbe stato eccessivo perfino per Israele ignorarne le conclusioni. Prova a dimostrare di avere gli strumenti e la volontà di assicurare giustizia, individuando e punendo i responsabili di eventuali crimini.

La gravità dei fatti è minimizzata, quando non negata, e la responsabilità è attribuita alla iniziativa o all’errore del singolo militare. Israele sa che il rischio di essere sottoposto al giudizio di un organismo internazionale è minimo se non inesistente. Questo per ragioni politiche e giuridiche.

Politiche, perché Israele gode di troppi appoggi e beneficia dell’assenza di forze che vogliano e possano contrapporsi agli U.S.A. e ai suoi alleati, U.E. prima di tutti.

Giuridiche perché Israele non ha firmato (anzi ha votato contro) lo Statuto di Roma del 1998, istitutivo della Corte Penale Internazionale. Non solo, ma la Palestina non gode della soggettività giuridica di uno Stato.

Benché non abbia da temere, verosimilmente per un mero fatto di immagine, Israele abbozza una difesa. Questa si snoda attraverso tre linee:

- esaltazione del proprio sistema di garanzie giudiziarie (per le ragioni dette)
- attribuzione della responsabilità esclusiva dell’accaduto ad Hamas
- decontestualizzazione dei fatti: la narrazione parte dal 2000, dall’inizio cioè della 2° Intifada e quindi dal ritorno all’uso anche della violenza contro l’occupazione.

Sulla questione della violenza vi è da dire subito che il diritto di resistenza del popolo palestinese è di duplice natura: è violenza legittima, propria della guerra di liberazione nazionale; è anche legittima difesa ai sensi dell’Art. 51 della Carta delle N.U.

È bene anche ricordare che la repressione di Israele è sempre stata durissima anche nei confronti della resistenza non violenta: si pensi alle braccia spezzate dei bambini che lanciavano sassi nella 1° Intifada; ai bambini costretti a salire a recuperare le bandierine palestinesi sui cavi elettrici e quindi, spesso, fulminati. Per venire ai giorni nostri, si pensi alle manifestazioni pacifiche a Ni’lin e Bel’in, concluse sempre con pestaggi, arresti, feriti e, recentemente, un ucciso.

Israele inizia la propria difesa enfatizzando i danni provocati dai razzi Qassam e dai colpi di mortaio. E’ costretta ad ammettere che, in tutto il 2008, anno in cui si sarebbe fatta, a suo dire, più aggressiva l’azione di Hamas, sono stati quattro i morti israeliani colpiti da Qassam o mortai, di cui tre tra il 27 e il 29 dicembre, cioè ad attacco iniziato.

Afferma poi, di aver fatto di tutto per evitare l’attacco, inviando continui appelli al Segretario dell’ONU (giunge a citare, una per una, tutte le lettere spedite !).Israele sembra non avvedersi del ridicolo: si rivolge a quell’ONU di cui ha sempre ignorato le risoluzioni!

Se esalta, inoltre, il dato numerico dei quattro uccisi dai Qassam, omette di considerare che tra agosto 2007 e giugno 2008, sono stati uccisi 600 palestinesi, inclusi bambini che giocavano e contadini al lavoro!

Insiste molto sul caporale Shalit “rapito” nel 2006.

Si noti il termine “rapito” quasi si trattasse di una persona sequestrata da una organizzaione criminale quando è, invece, un militare catturato durante un’azione sulla linea di confine.

Sarà pur vero che Hamas non consente la visita della Croce Rossa al militare ma è pur vero che la doglianza proviene dallo Stato che ha distrutto sedi UNRWA, scuole, fabbriche e ha sparato sulle autoambulanze.

Si sofferma poi, Israele, su una questione giuridica. Dice di aver rispettato il diritto umanitario internazionale per essersi attenuto a due principi cardine: quello di “distinzione” e quello di “proporzionalità” (distinzione tra civili e combattenti; proporzione tra vittime innocenti e vantaggio militare perseguito).

È da notare che il principio di proporzionalità consente, comunque, il sacrificio di vittime innocenti purché il vantaggio militare da conseguire sia consistente.

Israele ammette che “in molti casi i risultati dell’operazione su Gaza sono stati sfortunati”. Per questo, al termine dell’eccidio, Olmert si è scusato! C’è da chiedersi perché, oltre a scusarsi, non abbia tolto l’assedio, consentendo la libera circolazione delle merci (cemento, medicinali, attrezzature mediche, cibo..).

In realtà non è vero che i due principi siano stati rispettati. Occorre tenere presente un dato tecnico-giuridico: la distinzione tra dolo e colpa.

Una condotta si dice dolosa quando vuole l’evento oppure (dolo eventuale) accetta il rischio che l’evento si verifichi; colposa quando non vuole l’evento ma lo provoca per imperizia o negligenza.

Un esempio: nel 2002 Israele ha buttato una bomba di una tonnellata a Gaza City sul condominio abitato, tra gli altri, da Saleh Sheadeh, ritenuto capo dell’ala militare di Hamas.Morirono in 25, tra familiari e vicini di casa, oltre Sheadeh; molti furono i feriti.L’azione fu rivendicata da Israele come giusta e il pilota dell’aereo se ne vantò.

In casi come questo, trattasi di dolo diretto e non di dolo eventuale perché Israele non si limita ad accettare il rischio che muoiano civili ma sa che moriranno.

Nulla fa per evitarlo perché, in realtà, il suo scopo è quello di diffondere quel terrore che lamenta per gli abitanti di Sderot e Askelon.

Israele osa parlare di codice etico per il proprio esercito

A parte l’uccisione deliberata di donne, vecchi e bambini che poco ha a che fare con l’etica, occorre ricordare le scritte contro arabi e islam sui muri delle case, scritte razziste tremendamente simili a quelle dei nazisti e dei fascisti contro gli ebrei.

Israele assume anche di aver utilizzato munizioni le meno distruttive possibili. Oltre ai morti e ai feriti provocati nella immediatezza, occorre conteggiare i danni a medio e lungo termine, in particolare quelli alla fertilità maschile e quelli sulla natalità (aborti e malformazione dei feti) causati dai residui lasciati dalle bombe.

Sono stati recentemente pubblicati dati relativi a Falluja in Iraq: nascono 1000 bambini malformati all’anno.

Goldstone non ha potuto investigare a fondo sulle armi utilizzate: nulla può riferire sull’uso di uranio (impoverito e non); non è certo l’uso di DIME mentre, sicuramente, sono stati usati fosforo bianco e missili flechette.

Israele accusa Hamas “di essersi confusa con la popolazione civile”, dimenticando (si fa per dire) la densità demografica di Gaza e comunque che quella palestinese è una lotta popolare di liberazione nazionale, con forte contiguità tra civili e combattenti.

In realtà Israele non lo dimentica e, memore anche dei risultati elettorali del 2006, non fa alcuna distinzione tra civili e combattenti sul campo.

A parole si rammarica per i civili; le regole di ingaggio sono invece estremamente elastiche e non tutelano minimamente i civili (è attualmente agli arresti domiciliari una ex soldatessa incriminata per aver rivelato dati di cui era venuta a conoscenza durante il servizio militare, in particolare sugli omicidi mirati e l’impunità garantita ai responsabili).

Molto insiste Israele anche sugli avvertimenti utilizzati (telefonate, volantini). Già si è detto che Goldstone ne ha escluso l’efficacia, per non dire dei casi in cui gli avvertimenti hanno rappresentato una vera e propria trappola: civili sono stati fatti confluire nei luoghi ove erano in corso bombardamenti.

Israele rivendica l’accuratezza e l’indipendenza del proprio sistema giudiziario. Già si è detto che Goldstone è di diverso avviso.

Parlano i fatti:

- la pratica degli scudi umani è proseguita, a Gaza, anche dopo che l’Alta Corte di Giustizia l’aveva proibita
- nel 2004 l’Alta Corte ha ordinato l’abbattimento di una porzione (circa 40 km.) di muro, pochi giorni prima del parere consultivo della Corte dell’Aja che ha condannato l’intero muro; il muro, anche quei 40 km, è ancora lì e cresce
- nel 2005 è stato respinto il ricorso dei coloni di Gaza contro il ritiro dalla Striscia; la sentenza è del tutto conforme alla decisione politico/militare di ritirarsi da Gaza.

Non sembra che l’Alta Corte goda di molta autonomia o autorevolezza, eppure dovrebbe essere l’organo garante sulle decisioni dei Tribunali militari.

In realtà, in Israele è messa in discussione la stessa ripartizione dei poteri di Montesquieu: legislativo, esecutivo, giudiziario.

In Parlamento non è mai esistita una vera contrapposizione tra maggioranza e minoranza, almeno nei confronti dei Palestinesi (ad esempio, la colonizzazione ha avuto maggiore impulso con i laburisti di Barak); i capi di Stato e i ministri provengono tutti dalle file dell’esercito, né potrebbe essere diversamente, vista la militarizzazione della società israeliana; i regolamenti e gli ordini militari governano ampie porzioni di territorio; il meccanismo giudiziario è spesso ridotto a farsa (testimoni segreti, incappucciati, come unica fonte di accusa, confessioni estorte con minacce di ritorsioni o tortura, diritto di difesa compresso o inesistente…).

Israele accusa Hamas di aver “gonfiato” il numero delle vittime; in realtà le cifre in gran parte coincidono: 1444 uccisi secondo Hamas, 1417 secondo le ONG, 1166 secondo Israele. A fronte abbiamo 6 uccisi israeliani, oltre a 4 uccisi da “fuoco amico”.

Quando qualche giornalista, in un eccesso di filo-sionismo, come il nostro Lorenzo Cremonesi, ha cercato di ridurre drasticamente il numero degli uccisi, è intervenuta la smentita dell’esercito a rivendicare la propria efficienza!

Un passaggio nella difesa israeliana è particolarmente odioso e mistificatorio, laddove si afferma che “la Striscia non è né uno Stato né un Territorio occupato o controllato da Israele”.Se è vero che dopo il ritiro del 2005 non può più parlarsi di occupazione, è anche vero che Gaza è sotto durissimo assedio.

Israele riconosce che è applicabile la Convenzione di Ginevra. E’ bene ricordare che, da tempo, Israele si sta muovendo a livello diplomatico/giudiziario per ottenere la modifica della Convenzione di Ginevra, ritenuta non più adatta ai moderni conflitti; in altri termini devono essere eliminate o ridotte le garanzie per i civili.

Israele giunge ad invocare il diritto all’autodifesa, di cui all’Art. 51 della Carta delle N.U. Si guarda bene dal riconoscere lo stesso diritto alla controparte!

Afferma di avere agevolato l’assistenza umanitaria.

È smentito da Goldstone, dai testimoni oculari e dai dati statistici: tra gli uccisi figurano 14 persone, tra medici ed infermieri.

È opportuno ricordare la testimonianza di Vittorio Arrigoni, relativa all’Ospedale Al Quds.
“A duecento metri dall’ospedale stavano riversi in strada una trentina di corpi, molte donne e bambini, alcuni dei quali ancora vivi. Non hanno potuto raggiungerli: i cecchini dai tetti delle case sparavano a qualsiasi cosa si muovesse. Quei corpi sanguinanti per strada erano civili in fuga dalle loro case colpite e incendiate dalle bombe. Gli snipers israeliani non hanno esitato un secondo a stenderli uno ad uno, una volta inquadrati nell’occhio del loro mirino, bambini compresi.” (“Gaza.Restiamo Umani” - pag.89- ed.ManifestoLibri)

Israele estende la nozione di combattente ed è considerato tale chi raccoglie informazioni, chi trasporta combattenti, chi custodisce armi… Sulle case afferma che se il combattimento si svolge casa per casa, tutte le case sono obiettivi militari. Se questi sono stati i criteri seguiti, ben si comprende l’alto numero di vittime e la completa distruzione.

Esplicito sui civili: questi non godono di assoluta impunità; la loro presenza non impedisce l’attacco purché ci sia un vantaggio militare adeguato (vedi quanto già detto sul principio di proporzionalità e di distinzione).

Ed ancora: “Gi errori non sono crimini di guerra” ed anche “Non si può ragionare con il senno di poi”.

Con questi criteri è stata uccisa una donna ritenuta combattente suicida (nulla è stato trovato sul cadavere); sono stai uccisi civili che, uscendo di casa, avevano preso per errore una direzione diversa da quella ordinata dai militari; sono state distrutte case ed ammazzati gli occupanti solo perché vicine all’obiettivo prescelto e colpite “per errore”.

Appare evidente che, nella realtà, è stata lasciata una completa libertà di decisione e di azione sul campo, senza alcuna seria verifica di dati e di informazioni, con ampia garanzia di impunità.

Lo confermano i dati statistici riferiti dallo stesso Israele: a luglio 2009, i Tribunali militari stavano esaminando 100 denunce su Gaza e nell’aggiornamento di dicembre 2009 (quindi a distanza di un anno) su 236 inchieste penali aperte erano intervenuti solo 14 rinvii a giudizio (che, quindi, lasciano ampiamente aperta la porta dell’assoluzione).

Era intervenuta una sola condanna che vale la pena riferire.

Un soldato ha rubato una carta di credito in una casa saccheggiata e l’ha utilizzata intascando il denaro prelevato. E’ stato condannato a 7 mesi di carcere per saccheggio. Interessante la motivazione: ha leso l’onore dell’esercito! E’ abbondantemente superata la soglia del ridicolo: un furto lede l’onore e non la strage.

In tema di impunità è bene ricordare (dati di Israele nella propria difesa) che tra il 2002 e il 2008 sono state avviate 1467 indagini e sono state inflitte 103 condanne.

Innanzitutto la media di 1 condanna su 15 casi dimostra una particolare indulgenza ma, soprattutto, Israele non riporta l’entità delle pene inflitte: sono sempre esigue, con omicidi ritenuti sempre colposi e puniti con sanzioni inferiori a quelle inflitte ai refusnik.

Israele conclude la difesa enfaticamente: “Siamo fermamente impegnati a rispettare il diritto internazionale”.

Sappiamo che, se così fosse, non esisterebbe la “questione palestinese”. Solo su un punto si deve dare ragione ad Israele ed è un punto su cui Israele insiste in molteplici passaggi: la sua condotta contro i civili non è stata dissimile da quella tenuta dalla Nato nel 1999 nella ex Jugoslavia ed oggi dagli USA e dai suoi alleati in Iraq e Afganistan.

Sappiamo che anche da questo discende l’impunità di Israele.

Che fare? Occorrono sanzioni

Il 10/03/2010 il Parlamento Europeo ha votato a favore del rapporto Goldstone. Quindi condivide le sue conclusioni così riassunte: Israele si è macchiato di crimini di guerra e contro l’umanità. Non solo, ma il suo sistema giudiziario non è idoneo a garantire la punizione dei colpevoli.

I passaggi dovrebbero essere i seguenti:

- Il Segretario Generale dell’ONU dovrebbe trasmettere il rapporto al Consiglio di Sicurezza.

- Il Consiglio di Sicurezza dovrebbe trasmettere al Procuratore della Corte penale Internazionale.

Sappiamo che nulla di tutto ciò avverrà.

In ogni caso, interverrebbe il veto del Consiglio di Sicurezza e, comunque, la Corte Penale Internazionale non riconoscerebbe la propria giurisdizione (per le ragioni esposte).

L’Europa neppure sospende l’accordo commerciale con Israele che ha come presupposto il rispetto dei diritti umani. Il rispetto dei diritti umani è molto, ma molto meno dei crimini di guerra e contro l’umanità di cui si è macchiato Israele.

Il Tribunale Russel per la Palestina, nella 1° sessione di Barcellona, a marzo ha, tra l’altro, auspicato un rafforzamento della campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele.

Un’iniziativa non violenta contro un paese tra i più violenti.

Avv. Ugo Giannangeli
Aprile 2010

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Oggi come ieri.



Nella foto sopra, bambini che introducono di nascosto cibo all'interno del Ghetto di Varsavia, in quella sotto bambini che portano cibo nella Striscia di Gaza attraverso un tunnel.

Parafrasando Ilan Pappé, cosa passa per la testa degli ebrei d'Israele quando continuano - senza alcuna logica e senza alcun briciolo d'umanità - ad affamare un milione e mezzo di Palestinesi nella Striscia di Gaza?

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10 giugno 2010

La violenza senza più limiti si ritorcerà contro Israele?

Nonostante ogni sforzo contrario della propaganda israeliana, tutto il mondo ha ben compreso come l’assalto alle navi della Freedom Flotilla sia stato un crimine brutale e assolutamente ingiustificato.

I fatti sono noti. La notte del 31 maggio, le navi della flottiglia – che erano state accuratamente ispezionate prima della partenza per controllare che non recassero armi – vengono intercettate da una forza navale israeliana che le abborda e, su una di esse (la Mavi Marmara) provoca un orrendo massacro: almeno 9 passeggeri uccisi e 45 feriti, alcuni in modo grave, mentre alcuni soldati israeliani vengono feriti così gravemente da poter ricevere in ospedale, nei giorni successivi, una imponente schiera di politici israeliani venuti a porgere entusiastiche congratulazioni.

Fin da subito il governo israeliano ha sostenuto che i propri soldati avevano agito per “legittima difesa”, in quanto attaccati da alcuni passeggeri della Mavi Marmara e, a sostegno della loro tesi, hanno immesso sul web un breve filmato dell’esercito. Evitando di sottolineare, naturalmente, che tutto il materiale fotografico e video degli attivisti della Freedom Flotilla era stato invece sequestrato per impedirne la diffusione.

La verità dei fatti sarà acclarata da una auspicabile inchiesta internazionale e, tuttavia, senza bisogno di indagini, possiamo domandarci che senso abbia invocare una presunta “autodifesa” quando si mandano ad assaltare una nave umanitaria gli assassini d’elité della Shayetet 13, una unità con compiti di contro-terrorismo, raid, sabotaggi e financo di eliminazione di elementi terroristici!

L’assalto israeliano – diversamente da quanto avverrà successivamente con la Rachel Corrie – è avvenuto in piena notte e in acque internazionali, un attacco armato che rappresenta un vero e proprio atto di pirateria. Per abbordare la nave turca gli Israeliani hanno utilizzato imbarcazioni ed elicotteri, lacrimogeni e bombe assordanti. Gli uomini del commando israeliano, peraltro, erano equipaggiati anche con armi automatiche caricate con proiettili veri, e ben presto hanno cominciato a sparare sui passeggeri della nave, uccidendo e ferendo indiscriminatamente, mentre le “armi” degli attivisti erano rappresentate da bastoni, fionde e alcuni coltelli.

Almeno cinque delle nove vittime fin’ora accertate, inoltre, sono state ripetutamente colpite alla schiena o dietro la testa, con colpi sparati a bruciapelo, il che fa pensare non tanto ad una “autodifesa” quanto ad una barbara esecuzione in puro stile SS. E, ancora, sulle altre navi – dove non c’è stata alcuna resistenza – gli attivisti hanno subito maltrattamenti ed umiliazioni ad opera dei valorosi soldati israeliani.

Perché questa violenza, perché questi morti? Noi non vogliamo sostenere, come qualcuno, che “ammazzare civili è ciò su cui Israele è nata … ed è ciò su cui sopravvive”, e, tuttavia, appaiono ben chiare due circostanze:

1) L’attacco alla Freedom Flotilla aveva uno scopo dissuasivo, in quanto Israele voleva assolutamente evitare che altre imbarcazioni in futuro tentassero nuovamente di far rotta verso Gaza;

2) Le modalità dell’abbordaggio della Mavi Marmara e la scelta di inviare i commandos della Shayetet 13 fanno capire che, a tale scopo, Israele era disposto – anzi predisposto – ad usare la violenza, fino a giungere all’assassinio a sangue freddo.

Perché il punto è proprio questo, Israele è talmente convinto di essere nel giusto e così determinato nel continuare a perseguire una linea politica ormai ritenuta insostenibile persino da Obama (l’assedio criminale contro i Palestinesi della Striscia di Gaza) da essere disposto a ricorrere al crimine e alla violenza indiscriminata, persino contro una nave carica di aiuti umanitari e contro degli attivisti che, con tutta la buona volontà, non possono essere certo paragonati a dei “pericolosi terroristi”.

E’ l’assalto sanguinoso alla Mavi Marmara non è certo un caso isolato, perché è ormai prassi per Israele affrontare ogni sorta di manifestazione non violenta contro l’occupazione dei Territori palestinesi e l’assedio a Gaza facendo ricorso alla violenza gratuita, al ferimento e all’uccisione di civili assolutamente inermi. E’ questo l’argomento dell’articolo che segue, scritto il 1° giugno da Nadia Hijab per il sito web di Agence Global e qui proposto nella traduzione di Medarabnews.

Qui voglio solo aggiungere una considerazione. L’articolo della Hijab si chiude sostenendo che “Israele ha due sole alternative: rappacificarsi con la giustizia e l’uguaglianza o subire un crescente e gravoso isolamento”.

E, tuttavia, l’isolamento di Israele dovrebbe discendere da una azione determinata dei governi occidentali, volta a ridurre il governo israeliano alla ragione e a costringerlo a raggiungere un equo accordo di pace con i Palestinesi, tutto il contrario di quanto avviene nella realtà.

Anche se ora, finalmente, persino il Presidente Obama sostiene che il blocco di Gaza è “insostenibile”, chi se non gli Stati Uniti ha contribuito di fatto al mantenimento in questi anni del blocco della Striscia di Gaza, dando persino un contributo determinante in finanziamenti e know-how alla costruzione del muro sotterraneo al confine tra Gaza e l’Egitto?

Persino adesso le generiche parole di condanna di Usa e Ue per l’aggressione alle navi della Freedom Flotilla non si accompagnano ad una azione efficace volta a premere su Israele perché revochi l’embargo di Gaza e intavoli serie trattative di pace con i Palestinesi. Condannare Israele solo a parole (e mica sempre!) e lasciare di fatto che continui le sue pratiche criminali non fa altro che convincere il governo israeliano della bontà delle sue strategie.

E, invece, Israele deve essere finalmente chiamato a rispondere delle sue azioni e a pagare per i suoi crimini. Solo così il processo di pace in medio oriente potrà cominciare a muovere qualche passo in avanti.

Comprendere il dilemma di Israele.
di Nadia Hijab – 1 giugno 2010

Israele è in difficoltà. Per decenni, ha fatto ricorso alla stessa strategia per raggiungere i suoi obiettivi e sbaragliare tutti gli avversari: una forza schiacciante. Quando risponde alla violenza con la violenza – anche quando fa uso di una forza sproporzionata, come fece a Beirut nel 1982 e nel 2006, e a Gaza nel 2008 – Israele invoca il diritto all’autodifesa e di solito riesce a cambiare la versione dei fatti a proprio vantaggio. E, dato che finora non è stata chiamata a rendere conto delle sue azioni in alcun modo significativo, ha ritenuto che non vi fosse alcuna ragione per cambiare la sua strategia.

Ma quando risponde alla nonviolenza con la violenza, questa strategia le si ritorce contro. Israele sta adottando la linea dell’autodifesa per cercare di proteggersi dalle critiche al suo attacco contro la Flottiglia della Libertà, che stava trasportando aiuti umanitari a Gaza – ma non sta funzionando.

Non si può reclamare il diritto all’autodifesa quando si decide di inviare circa un migliaio di soldati bene armati per assaltare navi in acque internazionali – imbarcazioni che erano state attentamente perquisite prima che si mettessero in viaggio per accertarsi che non vi fossero armi. O quando si uccidono forse una ventina di civili e se ne feriscono 54, senza aver subito alcuna perdita tra i propri uomini. Se la situazione non fosse così tragica, il modo in cui Israele sta cambiando la versione dei fatti potrebbe essere del buon materiale per una commedia.

L’evidente repressione di attivisti pacifici solitamente ha un potente effetto sull’opinione pubblica mondiale, e questa volta essa ha spinto i governi a prendere provvedimenti affinché Israele si assumesse le proprie responsabilità, come nessuna forza armata era riuscita a fare. E’ forse questo il contributo più importante che quei coraggiosi attivisti hanno dato alla battaglia palestinese per la giustizia.

E le cose continueranno a peggiorare per Israele, perché Israele sa usare solamente la forza per cercare di ottenere quel che vuole. Per ironia della sorte, l’uso eccessivo della forza da parte di Tel Aviv ha a sua volta fatto in modo che ricorrere alla forza avesse un prezzo talmente alto, per quanti prediligono la resistenza armata, da lasciare campo libero a coloro che credono sia più efficace ricorrere alla resistenza civile contro una forza armata nettamente superiore. Bisognerebbe ricordare che la resistenza civile palestinese non è affatto una novità sebbene sia stata “scoperta” solo recentemente dai media di grande diffusione.

La prima rivolta palestinese (Intifada) del 1987-1991 fu quasi del tutto nonviolenta e si impose alla coscienza mondiale, fornendo potenti argomenti a favore dei diritti dei palestinesi. Sfortunatamente, la leadership palestinese non seppe tradurre la forza da essa generata in benefici diplomatici. Ma quella rivolta fu solo un esempio di una serie di importanti azioni di resistenza civile che durano da più di un secolo.

Oggi, azioni di resistenza pacifica sono in corso in tutta Israele, nei territori palestinesi occupati, e nel resto del mondo. E un’ulteriore conseguenza del massacro che Israele ha compiuto ai danni della Flottiglia della Libertà è che tale episodio attirerà inesorabilmente l’attenzione sulle tattiche violente a cui Israele ricorre per opporsi a queste azioni nonviolente.

Per esempio molti palestinesi, e i loro sostenitori internazionali, hanno perso la loro vita o sono stati feriti nel corso di proteste contro il Muro illegale che Israele sta costruendo nei territori occupati a partire dal 2002. L’ultima vittima risale a lunedì 31 maggio: la ventunenne Emily Henochowicz, studentessa alla Cooper Union di New York, è stata colpita all’occhio da un candelotto di gas lacrimogeno che le forze armate di Israele sparano abitualmente contro i dimostranti disarmati. La ragazza, insieme a un gruppo di palestinesi e ad altre persone di diverse nazionalità, stava manifestando nella Cisgiordania occupata contro l’attacco di Israele alla Flottiglia. Nell’aprile del 2009 un candelotto di gas lacrimogeno uccise un pacifista anti-muro, Bassem Abu Rahme, mentre protestava contro l’espropriazione del 60% della terra del suo villaggio, Bil’in, avvenuta per permettere la costruzione del Muro e delle colonie – poche settimane prima era rimasto gravemente ferito il cittadino americano Tristan Anderson.

La reputazione internazionale di Israele è poi ulteriormente intaccata dalla violenza di cui fa uso contro i suoi stessi cittadini palestinesi, mentre portano avanti la loro battaglia nonviolenta per l’eguaglianza; l’ultimo esempio è il draconiano arresto dei leader della comunità palestinese Ameer Makhoul e Omar Saeed. Dopo averli tenuti entrambi in carcere per settimane senza che potessero usufruire del diritto ad un consulto legale, e sottoponendoli a torture come posizioni forzate e privazione del sonno, adesso Israele sostiene di avere, grazie alle “confessioni” dei due uomini, le prove di collaborazionismo coi nemici di Israele – confessioni che essi hanno poi ritrattato poiché ottenute sotto coercizione.

La parola di Israele contro quella di Ameer Makhoul? Quando dovrà giudicare la parola di uno stato noto per il proprio uso indiscriminato della forza e del terrore, e quella di un importante leader della società civile, il monda saprà a quale credere.

Il vero dilemma di Israele è che tutta la forza che esercita mira a raggiungere l’irraggiungibile: mantenere il possesso dei territori occupati nel 1967, illegalmente dal punto di vista del diritto internazionale; privilegiare gli ebrei rispetto ai non-ebrei all’interno di Israele, in violazione della Carta delle Nazioni Unite e delle convenzioni internazionali; e negare ai profughi palestinesi il loro diritto al ritorno. Israele ha solo due alternative: rappacificarsi con la giustizia e l’uguaglianza, o subire un crescente e gravoso isolamento.

Nadia Hijab è un’analista indipendente; è Senior Fellow presso l’Institute for Palestine Studies, con sede a Washington

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