Un esercito di vili e assassini e l'informazione a senso unico.
Una vera e propria leggenda racconta che Tsahal, l’esercito israeliano, sia in assoluto l’esercito più “morale” che esista al mondo, come ha di recente sostenuto, ancora una volta, il premier Olmert.
Che si tratti di una delle tante, colossali menzogne spacciate da Israele è facilmente dimostrabile prendendo spunto dai fatti della cronaca quotidiana palestinese, così come da quelli del recente passato.
Tra i tanti, abbiamo scelto tre casi particolarmente indicativi non solo della “moralità” dei soldati di Israele, ma anche del loro valore e del loro coraggio.
1) Verso i primi giorni di marzo la televisione israeliana ha trasmesso un documentario dal titolo “Spirit of Shaked” in cui venivano narrate le eroiche gesta di una unità speciale dell’esercito israeliano – la Shaked Reconnaissance Unit per l’appunto – durante la Guerra dei sei giorni del 1967, ed è venuto fuori che tra queste “gesta” vi sarebbe stato anche il massacro di almeno 250 prigionieri di guerra egiziani avvenuto durante le operazioni belliche nel Sinai.
Il documentario in questione ha suscitato un vespaio in Egitto e ha rischiato di compromettere seriamente le relazioni tra questo Paese e Israele, costringendo tra l’altro il Ministro delle Infrastrutture Ben-Eliezer – all’epoca comandante della Shaked e ritenuto coinvolto nel massacro – a rinviare una visita ufficiale in Egitto.
Naturalmente gli Israeliani si sono affrettati a smentire, seppur in maniera un po’ confusa.
Secondo un comunicato del portavoce del Ministero degli Esteri, il filmato mostrerebbe chiaramente che non si è trattato “dell’assassinio di prigionieri di guerra inermi, ma piuttosto di un combattimento tra i soldati israeliani e un commando egiziano”.
Per l’autore del documentario, il giornalista israeliano Ran Ederlist, citato da Ha'aretz, l’incidente non avrebbe affatto coinvolto prigionieri di guerra egiziani, bensì militanti palestinesi in azione di guerra.
Dice il vero Ederlist o si tratta di una ritrattazione alla Toaff?
Resta il fatto che, al di là dell’azione incriminata, numerose sono le testimonianze che attestano come Israele, nel corso della guerra dei sei giorni, abbia commesso vari ed efferati crimini di guerra.
Osama el-Sadek, ufficiale dell’esercito egiziano ai tempi della guerra del ’67, ha raccontato al quotidiano el-Masri el-Youm del ritrovamento, avvenuto dopo il 6 giugno, dei corpi di circa 40 soldati egiziani, tutti liquidati con un colpo alla testa e i cui cadaveri recavano le tracce del passaggio di alcuni tanks sopra di essi.
Secondo Aryeh Yitzhaki, storico della Università Bar-Ilan (ancora loro!), varie centinaia di prigionieri di guerra egiziani furono trucidati durante la Guerra dei sei giorni, e il fatto più grave accadde a El Arish, dove la Shaked si rese responsabile del massacro di un numero di egiziani compreso tra le 300 e le 400 unità, la maggior parte dei quali si era già arresa.
Una dozzina di anni fa un ex generale dell’Idf, Ariel Biro, ammise di aver ucciso a sangue freddo 49 prigionieri di guerra egiziani: il suo battaglione aveva ricevuto l’ordine di muovere verso sud e non poteva portarsi dietro i prigionieri, né avrebbe potuto liberarli perché, in questo caso, avrebbero potuto svelare la presenza del reparto israeliano (cfr. Il Manifesto, 6.3.2007).
Biro ha aggiunto: “anche oggi, in circostanze simili, lo rifarei”.
E noi non abbiamo alcun dubbio in proposito.
2) Negli ultimi mesi, lungi dal cessare la pratica illegale degli assassinii mirati, Israele ha tuttavia deciso di rinunciare ad utilizzare a questo fine le incursioni aeree - a causa delle proteste della comunità internazionale legate al troppo alto numero di civili innocenti coinvolti nei raid – ed ha deciso di affidare il compito di portare a termine le esecuzioni ai “travestiti” di Tsahal, le unità di élite che operano sotto copertura.
Tali reparti (come la ormai tristemente famosa Duvdevan), che compiono le loro azioni camuffandosi da civili palestinesi, sono da considerarsi unità di élite nel senso che costituiscono dei veri e propri squadroni della morte, formati da soldati senza alcuna pietà che non si curano più nemmeno di mascherare i loro crimini come delle operazioni di arresto finite “male”.
Così, ad esempio, la mattina del 28 febbraio una unità dell’Idf sotto copertura, a bordo di una vettura con targhe palestinesi, nei pressi di Jenin ha affiancato l’automobile su cui viaggiavano tre militanti della Jihad islamica ed ha aperto il fuoco all’impazzata, uccidendo gli occupanti.
Hanno trovato così la morte il capo delle Brigate al-Quds per la Cisgiordania settentrionale, il 25enne Ashraf Mahmoud Nafe’ al-Sa’di, insieme ad altri due militanti, il 34enne Mohammed Ibrahim Abu Naa’sa e il 24enne ‘Alaa’ Braiki.
Degno di nota è il fatto che l’autovettura dei palestinesi è uscita di strada ed è andata a finire contro un muro; all’interno di essa, al-Sa’di era rimasto solamente ferito ed avrebbe potuto essere catturato, ma i soldati israeliani lo hanno liquidato sparandogli a bruciapelo.
Qualcuno plaude a questa “svolta” operata dall’esercito israeliano, il quale avrebbe ogni “diritto” di uccidere i (presunti) “terroristi” in ogni luogo, e che in questo modo riesce anche ad evitare (eccola la “moralità” di Tsahal!) il versamento di sangue innocente.
Ma naturalmente non è proprio così.
Per tutto il mondo (eccettuati ovviamente Usa e Israele) gli assassinii “mirati” sono contrari al diritto, in quanto equivalgono ad una condanna a morte eseguita senza alcun processo, alcuna giuria, alcuna prova, ma solo sulla base di “segnalazioni” dei servizi segreti di dubbia veridicità e provenienza.
Ma è lo stesso modus operandi delle unità sotto copertura, in realtà, ad essere vietato dalle leggi di guerra, di cui pure gli stessi Israeliani pretendono l’applicazione nelle loro operazioni di “polizia” nei Territori occupati
Tra i divieti imposti dalla legislazione internazionale, infatti, vi è anche il divieto di “slealtà”, che impedisce ai soldati di camuffarsi dietro abiti civili, e ciò allo scopo di salvaguardare il più possibile l’incolumità della popolazione civile, nel duplice senso di permettere una chiara distinzione tra civili e combattenti – i quali ultimi soltanto possono costituire l’oggetto di un attacco militare – e di consentire ai civili stessi, alla vista delle uniformi, di rendersi conto del pericolo e di porsi tempestivamente al riparo.
Cosa che, purtroppo, non è avvenuta nel pomeriggio di venerdì 4 gennaio 2007, durante un’altra incursione delle unità israeliane sotto copertura, quando i soldati di Tsahal incaricati del recupero dei propri “travestiti” – con l’accompagnamento dei bulldozer e del fuoco degli elicotteri – hanno messo a ferro e fuoco il centro della cittadina di Ramallah, distruggendo varie auto, negozi e banconi di merce e, soprattutto, uccidendo quattro civili palestinesi e ferendone altri quaranta, di cui dieci in modo grave (tra questi, sei erano minori di 18 anni).
Unità di élite, dunque, specializzate nel massacrare civili disarmati e nel liquidare i ricercati con un colpo alla nuca: evidentemente, a questo fine, sono necessari un coraggio da leoni e un grande senso etico!
3) Ma l’aspetto più repellente della condotta dei valorosi soldati di Tsahal consiste certamente nell’uso disinvolto di civili palestinesi come “scudi umani” nel corso delle quotidiane operazioni di arresto compiute nei Territori occupati, nonostante i divieti a ciò imposti dal diritto umanitario internazionale e dalla stessa Corte di Giustizia israeliana.
Così, ad esempio, nel corso dell’operazione “Hot Winter” a Nablus, in un lasso di tempo compreso tra il 25 e il 28 febbraio di quest’anno, l’esercito israeliano, in almeno tre casi, ha usato dei Palestinesi inermi come scudo durante la ricerca di militanti casa per casa, e in due di questi casi si trattava di ragazzini.
L’operazione militare denominata “Hot Winter”, mirata alla ricerca di militanti e alla distruzione di laboratori clandestini di esplosivi a Nablus, in realtà, quasi da subito, si era rivolta come al solito a danno della popolazione civile innocente, imponendo oltre due giorni di stretto coprifuoco e causando la morte del 42enne ‘Anan Mohammed al-Teebi, colpito al collo da un cecchino israeliano, ed il ferimento del figlio 24enne Ashraf, accorso per soccorrerlo.
Durante il primo giorno delle operazioni, il 25 febbraio, i soldati israeliani costringevano sotto la minaccia delle armi i due cugini ‘Amid e Samah Amirah, rispettivamente di 15 e di 24 anni, a camminare davanti ai fucili puntati mentre effettuavano la loro ricerca casa per casa di militanti palestinesi, talvolta facendo irruzione in alcuni appartamenti sparando vari colpi all’interno: questa azione valorosa è stata immortalata da una troupe dell’Associated Press e diffusa da vari telegiornali, sia in Israele sia all’estero, ma nessuna inchiesta è stata promossa in merito, né alcuna protesta ufficiale è stata avanzata all’indirizzo di Israele…
Tre giorni dopo, il 28 febbraio, i soldati dell’Idf, nel corso di una analoga operazione svoltasi nel quartiere di Yasmina, nella città vecchia, non esitavano a ripararsi dietro una bambina di 11 anni, Jihan Tadush, obbligandola a precederli mentre eseguivano l’ispezione di un edificio.
Non è peregrino osservare che la Quarta Convenzione di Ginevra proibisce esplicitamente l’utilizzo di civili come “scudi umani” al fine di rendere certi punti o aree immuni da attacchi (articolo 28), così come può essere utile ricordare che le note ufficiali di commento alla Convenzione riferiscono di questa pratica come di un atto “crudele e barbarico”; la Convenzione, inoltre, proibisce l’uso della coercizione fisica e morale a danno della popolazione civile, nonché l’utilizzo di civili per compiti o incombenze di carattere militare (articoli 31 e 51).
E poiché i minori di 15 anni godono di una ulteriore protezione addizionale, loro riconosciuta dal diritto umanitario, il loro utilizzo quali scudi umani costituisce una grave crimine di guerra che dovrebbe (dovrebbe!) essere perseguito dalle autorità preposte, sia in Israele che a livello internazionale.
Ma, al di là delle considerazioni basate sul diritto umanitario, ciò che colpisce e disgusta è il solo immaginare i prodi soldati israeliani, armati fino ai denti, che si fanno precedere nelle loro operazioni da una bimbetta di 11 anni tremante di paura: davvero un coraggio senza pari!
Quelli che abbiamo riportato costituiscono soltanto tre esempi della enorme quantità e varietà dei crimini di guerra commessi dai soldati israeliani oggi come nel recente passato, ma potremmo elencarne molti altri, dall’uso eccessivo della forza (leggi: fucilate) nei confronti dei ragazzini che lanciano pietre contro i soldati ai maltrattamenti ai check-points, dal divieto di consentire cure mediche ai feriti agli arresti indiscriminati di minorenni e così via discorrendo.
Ma di tutto questo un lettore dei quotidiani italiani (o uno spettatore dei vari telegiornali di casa nostra), pur attento, farebbe fatica a trovare anche un breve accenno, e non perché i media non si occupino di Palestina, tutt’altro.
Tra il 22 e il 23 marzo, i tg italiani e i quotidiani della carta stampata (questi ultimi spesso con un richiamo in prima pagina) hanno dato ampio risalto all’intervista effettuata dalla tv di Hamas a due bambini palestinesi di nome Doha e Muhammad Al-Riyashi, rispettivamente di 5 e 3 anni, figli di una giovane palestinese che si è fatta saltare in aria al valico di Erez il 14 gennaio 2004, uccidendo 4 soldati israeliani.
Questa vicenda merita una attenta riflessione.
Sfruttare dei bambini a fini di propaganda, e soprattutto per esaltare il martirio suicida, è un puro e semplice abominio, e su questo non vi è discussione.
Ma da qui a dire (come ha fatto Guido Rampoldi su La Repubblica) che questi bambini “sono già carne da macello” c’è davvero una bella differenza!
A Rampoldi vorremmo ricordare che i bimbi palestinesi portati al macello sono quelli uccisi o feriti dai soldati israeliani, che non si soffermano certo su considerazioni di carattere umanitario: nei soli primi due mesi del 2007, i Palestinesi minori di 18 anni uccisi o feriti da Israele sono stati, rispettivamente, 5 e 43, e questi numeri salgono a 140 e 505 con riferimento al 2006 (cfr. in proposito il report OCHA-oPT Protection of Civilians, febbraio 2007).
Ma vi è di più.
La prima segnalazione del video della tv Al-Aqsa risale al 14 marzo, ad opera del Memri (Middle East Media Research Institute), un ben noto istituto di disinformazione e di propaganda sionista: come mai, a distanza di ben 8/9 giorni, i media italiani, all’unisono, hanno deciso di dare ampio risalto alla “scoperta” del Memri?
E perché altrettanto spazio e diffusione non è stato dato al video che mostra i soldati israeliani che utilizzano un ragazzino come scudo umano, o al più recente filmato che mostra degli altri soldati che picchiano uno studente palestinese ad un check-point “volante”?
Ho già scritto della sempre più pervasiva e preoccupante influenza della lobby ebraica nel campo dell’informazione, negli Usa e ora anche in vari Paesi europei, e avendo al riguardo citato il caso di Ariel Toaff ho ricevuto numerose critiche e reprimende, come ad esempio dal blog di rosalux.
Tutti sanno come è andata a finire in quel caso, con lo studioso costretto ad una clamorosa (e vergognosa) abiura e a ritirare il proprio libro dal mercato, non già per le critiche ricevute dagli altri “luminari” del settore – perché chi avesse letto il libro avrebbe scoperto che era stato scritto con consapevolezza in senso diametralmente opposto alle altre pubblicazioni sull’argomento – ma per il fuoco di sbarramento davvero spaventoso scatenato dalla comunità ebraica italiana, dalla Knesset, dai finanziatori (ebrei) dell’Università Bar-Ilan, nonché in conseguenza dell’incombente pericolo di perdere la propria cattedra universitaria.
Nel caso di cui ci occupa i meccanismi naturalmente sono diversi, entrando anche in gioco questioni di carattere geopolitico, ma il risultato è il medesimo: è più che lecito, anzi auspicabile, mettere in cattiva luce i Palestinesi (rectius, gli Arabi), è assolutamente vietato (tranne casi eccezionali) parlar male degli Israeliani, figuriamoci accusarli di commettere crimini di guerra!
Eppure ci viene davvero difficile capire come si possa, anche da parte di un giornalismo disinformato e cialtrone come quello di casa nostra, condannare con parole anche aspre (come è giusto) l’utilizzo di bambini a fini di propaganda ma, contemporaneamente, considerare lecito e “normale – tanto da non meritare nemmeno due righe in fondo alla pagina esteri – l’utilizzo degli stessi bambini come scudi umani nelle operazioni di arresto/assassinio del valoroso esercito israeliano.
Che si tratti di una delle tante, colossali menzogne spacciate da Israele è facilmente dimostrabile prendendo spunto dai fatti della cronaca quotidiana palestinese, così come da quelli del recente passato.
Tra i tanti, abbiamo scelto tre casi particolarmente indicativi non solo della “moralità” dei soldati di Israele, ma anche del loro valore e del loro coraggio.
1) Verso i primi giorni di marzo la televisione israeliana ha trasmesso un documentario dal titolo “Spirit of Shaked” in cui venivano narrate le eroiche gesta di una unità speciale dell’esercito israeliano – la Shaked Reconnaissance Unit per l’appunto – durante la Guerra dei sei giorni del 1967, ed è venuto fuori che tra queste “gesta” vi sarebbe stato anche il massacro di almeno 250 prigionieri di guerra egiziani avvenuto durante le operazioni belliche nel Sinai.
Il documentario in questione ha suscitato un vespaio in Egitto e ha rischiato di compromettere seriamente le relazioni tra questo Paese e Israele, costringendo tra l’altro il Ministro delle Infrastrutture Ben-Eliezer – all’epoca comandante della Shaked e ritenuto coinvolto nel massacro – a rinviare una visita ufficiale in Egitto.
Naturalmente gli Israeliani si sono affrettati a smentire, seppur in maniera un po’ confusa.
Secondo un comunicato del portavoce del Ministero degli Esteri, il filmato mostrerebbe chiaramente che non si è trattato “dell’assassinio di prigionieri di guerra inermi, ma piuttosto di un combattimento tra i soldati israeliani e un commando egiziano”.
Per l’autore del documentario, il giornalista israeliano Ran Ederlist, citato da Ha'aretz, l’incidente non avrebbe affatto coinvolto prigionieri di guerra egiziani, bensì militanti palestinesi in azione di guerra.
Dice il vero Ederlist o si tratta di una ritrattazione alla Toaff?
Resta il fatto che, al di là dell’azione incriminata, numerose sono le testimonianze che attestano come Israele, nel corso della guerra dei sei giorni, abbia commesso vari ed efferati crimini di guerra.
Osama el-Sadek, ufficiale dell’esercito egiziano ai tempi della guerra del ’67, ha raccontato al quotidiano el-Masri el-Youm del ritrovamento, avvenuto dopo il 6 giugno, dei corpi di circa 40 soldati egiziani, tutti liquidati con un colpo alla testa e i cui cadaveri recavano le tracce del passaggio di alcuni tanks sopra di essi.
Secondo Aryeh Yitzhaki, storico della Università Bar-Ilan (ancora loro!), varie centinaia di prigionieri di guerra egiziani furono trucidati durante la Guerra dei sei giorni, e il fatto più grave accadde a El Arish, dove la Shaked si rese responsabile del massacro di un numero di egiziani compreso tra le 300 e le 400 unità, la maggior parte dei quali si era già arresa.
Una dozzina di anni fa un ex generale dell’Idf, Ariel Biro, ammise di aver ucciso a sangue freddo 49 prigionieri di guerra egiziani: il suo battaglione aveva ricevuto l’ordine di muovere verso sud e non poteva portarsi dietro i prigionieri, né avrebbe potuto liberarli perché, in questo caso, avrebbero potuto svelare la presenza del reparto israeliano (cfr. Il Manifesto, 6.3.2007).
Biro ha aggiunto: “anche oggi, in circostanze simili, lo rifarei”.
E noi non abbiamo alcun dubbio in proposito.
2) Negli ultimi mesi, lungi dal cessare la pratica illegale degli assassinii mirati, Israele ha tuttavia deciso di rinunciare ad utilizzare a questo fine le incursioni aeree - a causa delle proteste della comunità internazionale legate al troppo alto numero di civili innocenti coinvolti nei raid – ed ha deciso di affidare il compito di portare a termine le esecuzioni ai “travestiti” di Tsahal, le unità di élite che operano sotto copertura.
Tali reparti (come la ormai tristemente famosa Duvdevan), che compiono le loro azioni camuffandosi da civili palestinesi, sono da considerarsi unità di élite nel senso che costituiscono dei veri e propri squadroni della morte, formati da soldati senza alcuna pietà che non si curano più nemmeno di mascherare i loro crimini come delle operazioni di arresto finite “male”.
Così, ad esempio, la mattina del 28 febbraio una unità dell’Idf sotto copertura, a bordo di una vettura con targhe palestinesi, nei pressi di Jenin ha affiancato l’automobile su cui viaggiavano tre militanti della Jihad islamica ed ha aperto il fuoco all’impazzata, uccidendo gli occupanti.
Hanno trovato così la morte il capo delle Brigate al-Quds per la Cisgiordania settentrionale, il 25enne Ashraf Mahmoud Nafe’ al-Sa’di, insieme ad altri due militanti, il 34enne Mohammed Ibrahim Abu Naa’sa e il 24enne ‘Alaa’ Braiki.
Degno di nota è il fatto che l’autovettura dei palestinesi è uscita di strada ed è andata a finire contro un muro; all’interno di essa, al-Sa’di era rimasto solamente ferito ed avrebbe potuto essere catturato, ma i soldati israeliani lo hanno liquidato sparandogli a bruciapelo.
Qualcuno plaude a questa “svolta” operata dall’esercito israeliano, il quale avrebbe ogni “diritto” di uccidere i (presunti) “terroristi” in ogni luogo, e che in questo modo riesce anche ad evitare (eccola la “moralità” di Tsahal!) il versamento di sangue innocente.
Ma naturalmente non è proprio così.
Per tutto il mondo (eccettuati ovviamente Usa e Israele) gli assassinii “mirati” sono contrari al diritto, in quanto equivalgono ad una condanna a morte eseguita senza alcun processo, alcuna giuria, alcuna prova, ma solo sulla base di “segnalazioni” dei servizi segreti di dubbia veridicità e provenienza.
Ma è lo stesso modus operandi delle unità sotto copertura, in realtà, ad essere vietato dalle leggi di guerra, di cui pure gli stessi Israeliani pretendono l’applicazione nelle loro operazioni di “polizia” nei Territori occupati
Tra i divieti imposti dalla legislazione internazionale, infatti, vi è anche il divieto di “slealtà”, che impedisce ai soldati di camuffarsi dietro abiti civili, e ciò allo scopo di salvaguardare il più possibile l’incolumità della popolazione civile, nel duplice senso di permettere una chiara distinzione tra civili e combattenti – i quali ultimi soltanto possono costituire l’oggetto di un attacco militare – e di consentire ai civili stessi, alla vista delle uniformi, di rendersi conto del pericolo e di porsi tempestivamente al riparo.
Cosa che, purtroppo, non è avvenuta nel pomeriggio di venerdì 4 gennaio 2007, durante un’altra incursione delle unità israeliane sotto copertura, quando i soldati di Tsahal incaricati del recupero dei propri “travestiti” – con l’accompagnamento dei bulldozer e del fuoco degli elicotteri – hanno messo a ferro e fuoco il centro della cittadina di Ramallah, distruggendo varie auto, negozi e banconi di merce e, soprattutto, uccidendo quattro civili palestinesi e ferendone altri quaranta, di cui dieci in modo grave (tra questi, sei erano minori di 18 anni).
Unità di élite, dunque, specializzate nel massacrare civili disarmati e nel liquidare i ricercati con un colpo alla nuca: evidentemente, a questo fine, sono necessari un coraggio da leoni e un grande senso etico!
3) Ma l’aspetto più repellente della condotta dei valorosi soldati di Tsahal consiste certamente nell’uso disinvolto di civili palestinesi come “scudi umani” nel corso delle quotidiane operazioni di arresto compiute nei Territori occupati, nonostante i divieti a ciò imposti dal diritto umanitario internazionale e dalla stessa Corte di Giustizia israeliana.
Così, ad esempio, nel corso dell’operazione “Hot Winter” a Nablus, in un lasso di tempo compreso tra il 25 e il 28 febbraio di quest’anno, l’esercito israeliano, in almeno tre casi, ha usato dei Palestinesi inermi come scudo durante la ricerca di militanti casa per casa, e in due di questi casi si trattava di ragazzini.
L’operazione militare denominata “Hot Winter”, mirata alla ricerca di militanti e alla distruzione di laboratori clandestini di esplosivi a Nablus, in realtà, quasi da subito, si era rivolta come al solito a danno della popolazione civile innocente, imponendo oltre due giorni di stretto coprifuoco e causando la morte del 42enne ‘Anan Mohammed al-Teebi, colpito al collo da un cecchino israeliano, ed il ferimento del figlio 24enne Ashraf, accorso per soccorrerlo.
Durante il primo giorno delle operazioni, il 25 febbraio, i soldati israeliani costringevano sotto la minaccia delle armi i due cugini ‘Amid e Samah Amirah, rispettivamente di 15 e di 24 anni, a camminare davanti ai fucili puntati mentre effettuavano la loro ricerca casa per casa di militanti palestinesi, talvolta facendo irruzione in alcuni appartamenti sparando vari colpi all’interno: questa azione valorosa è stata immortalata da una troupe dell’Associated Press e diffusa da vari telegiornali, sia in Israele sia all’estero, ma nessuna inchiesta è stata promossa in merito, né alcuna protesta ufficiale è stata avanzata all’indirizzo di Israele…
Tre giorni dopo, il 28 febbraio, i soldati dell’Idf, nel corso di una analoga operazione svoltasi nel quartiere di Yasmina, nella città vecchia, non esitavano a ripararsi dietro una bambina di 11 anni, Jihan Tadush, obbligandola a precederli mentre eseguivano l’ispezione di un edificio.
Non è peregrino osservare che la Quarta Convenzione di Ginevra proibisce esplicitamente l’utilizzo di civili come “scudi umani” al fine di rendere certi punti o aree immuni da attacchi (articolo 28), così come può essere utile ricordare che le note ufficiali di commento alla Convenzione riferiscono di questa pratica come di un atto “crudele e barbarico”; la Convenzione, inoltre, proibisce l’uso della coercizione fisica e morale a danno della popolazione civile, nonché l’utilizzo di civili per compiti o incombenze di carattere militare (articoli 31 e 51).
E poiché i minori di 15 anni godono di una ulteriore protezione addizionale, loro riconosciuta dal diritto umanitario, il loro utilizzo quali scudi umani costituisce una grave crimine di guerra che dovrebbe (dovrebbe!) essere perseguito dalle autorità preposte, sia in Israele che a livello internazionale.
Ma, al di là delle considerazioni basate sul diritto umanitario, ciò che colpisce e disgusta è il solo immaginare i prodi soldati israeliani, armati fino ai denti, che si fanno precedere nelle loro operazioni da una bimbetta di 11 anni tremante di paura: davvero un coraggio senza pari!
Quelli che abbiamo riportato costituiscono soltanto tre esempi della enorme quantità e varietà dei crimini di guerra commessi dai soldati israeliani oggi come nel recente passato, ma potremmo elencarne molti altri, dall’uso eccessivo della forza (leggi: fucilate) nei confronti dei ragazzini che lanciano pietre contro i soldati ai maltrattamenti ai check-points, dal divieto di consentire cure mediche ai feriti agli arresti indiscriminati di minorenni e così via discorrendo.
Ma di tutto questo un lettore dei quotidiani italiani (o uno spettatore dei vari telegiornali di casa nostra), pur attento, farebbe fatica a trovare anche un breve accenno, e non perché i media non si occupino di Palestina, tutt’altro.
Tra il 22 e il 23 marzo, i tg italiani e i quotidiani della carta stampata (questi ultimi spesso con un richiamo in prima pagina) hanno dato ampio risalto all’intervista effettuata dalla tv di Hamas a due bambini palestinesi di nome Doha e Muhammad Al-Riyashi, rispettivamente di 5 e 3 anni, figli di una giovane palestinese che si è fatta saltare in aria al valico di Erez il 14 gennaio 2004, uccidendo 4 soldati israeliani.
Questa vicenda merita una attenta riflessione.
Sfruttare dei bambini a fini di propaganda, e soprattutto per esaltare il martirio suicida, è un puro e semplice abominio, e su questo non vi è discussione.
Ma da qui a dire (come ha fatto Guido Rampoldi su La Repubblica) che questi bambini “sono già carne da macello” c’è davvero una bella differenza!
A Rampoldi vorremmo ricordare che i bimbi palestinesi portati al macello sono quelli uccisi o feriti dai soldati israeliani, che non si soffermano certo su considerazioni di carattere umanitario: nei soli primi due mesi del 2007, i Palestinesi minori di 18 anni uccisi o feriti da Israele sono stati, rispettivamente, 5 e 43, e questi numeri salgono a 140 e 505 con riferimento al 2006 (cfr. in proposito il report OCHA-oPT Protection of Civilians, febbraio 2007).
Ma vi è di più.
La prima segnalazione del video della tv Al-Aqsa risale al 14 marzo, ad opera del Memri (Middle East Media Research Institute), un ben noto istituto di disinformazione e di propaganda sionista: come mai, a distanza di ben 8/9 giorni, i media italiani, all’unisono, hanno deciso di dare ampio risalto alla “scoperta” del Memri?
E perché altrettanto spazio e diffusione non è stato dato al video che mostra i soldati israeliani che utilizzano un ragazzino come scudo umano, o al più recente filmato che mostra degli altri soldati che picchiano uno studente palestinese ad un check-point “volante”?
Ho già scritto della sempre più pervasiva e preoccupante influenza della lobby ebraica nel campo dell’informazione, negli Usa e ora anche in vari Paesi europei, e avendo al riguardo citato il caso di Ariel Toaff ho ricevuto numerose critiche e reprimende, come ad esempio dal blog di rosalux.
Tutti sanno come è andata a finire in quel caso, con lo studioso costretto ad una clamorosa (e vergognosa) abiura e a ritirare il proprio libro dal mercato, non già per le critiche ricevute dagli altri “luminari” del settore – perché chi avesse letto il libro avrebbe scoperto che era stato scritto con consapevolezza in senso diametralmente opposto alle altre pubblicazioni sull’argomento – ma per il fuoco di sbarramento davvero spaventoso scatenato dalla comunità ebraica italiana, dalla Knesset, dai finanziatori (ebrei) dell’Università Bar-Ilan, nonché in conseguenza dell’incombente pericolo di perdere la propria cattedra universitaria.
Nel caso di cui ci occupa i meccanismi naturalmente sono diversi, entrando anche in gioco questioni di carattere geopolitico, ma il risultato è il medesimo: è più che lecito, anzi auspicabile, mettere in cattiva luce i Palestinesi (rectius, gli Arabi), è assolutamente vietato (tranne casi eccezionali) parlar male degli Israeliani, figuriamoci accusarli di commettere crimini di guerra!
Eppure ci viene davvero difficile capire come si possa, anche da parte di un giornalismo disinformato e cialtrone come quello di casa nostra, condannare con parole anche aspre (come è giusto) l’utilizzo di bambini a fini di propaganda ma, contemporaneamente, considerare lecito e “normale – tanto da non meritare nemmeno due righe in fondo alla pagina esteri – l’utilizzo degli stessi bambini come scudi umani nelle operazioni di arresto/assassinio del valoroso esercito israeliano.
Etichette: palestina memri crimini di guerra
5 Commenti:
ciauz
ho linkato il tuo post nella nuova rubrica...
ovviamente, perchè è ben scritto e sono d'accordo...
bravo ke hai riassestato i commenti...
bel post fin'ora, sono molto stanco e lo finiro di leggere domani...
ciao
orso
come volevasi dimostrare...post interessante....
sto preparando anche io un altro post sulla palestina e sulla prepotenza israeliana...spero bene....
alla prossima
orso
.. .. ...
Bel post...condivido pienamente.
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