9 dicembre 2008

Gli orfani di Fatah.

Dal sito web del Campo Antimperialista riporto questa interessante lettera aperta di Ugo Giannangeli – che lo scorso Natale cercò insieme ad altri compagni del Comitato Gaza Vivrà di entrare nella Striscia di Gaza – indirizzata al segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero.
Sullo stesso argomento, da leggere anche l'articolo di Angela Lano di Infopal del 7 dicembre scorso.
3 dicembre 2008

Caro Ferrero, innanzitutto mi presento. Sono quell’avvocato di cui la scorsa settimana “Liberazione” ha pubblicato il lungo articolo contro l’ergastolo.
Ho in comune con te l’essere tuttora comunista e il rivendicarlo pubblicamente.
Ho difeso per 35 anni i compagni che si imbattevano con la legge. Quale laico dò l’otto per mille ai Valdesi (quindi anche a te); il cinque per mille lo dò a “Per Gazzella”, l’associazione che assiste i bambini palestinesi feriti fondata dalla compagna partigiana Marisa Musu e da Marina Rossanda.
Alle ultime elezioni ho sottoscritto il manifesto astensionista e non ho votato. Alle precedenti ho votato Comunisti Italiani per la presenza in lista di Stefano Chiarini; prima ancora sempre Rifondazione, più o meno convinto.
Ciò detto, veniamo al dunque.
Credo che sia giunto il momento di affrontare senza reticenze e ambiguità il problema di Hamas.
Vado in Palestina dal 1988, in piena prima Intifada. Il primo palestinese conosciuto è stato un grande compagno, Kamal El Kaissi, che ci ha lasciato lo scorso anno dopo avere subito l’ultimo affronto israeliano: l’autoambulanza ferma per ore al check point di Betlemme con lui dentro morente. Lo avevo visto nella sua nuova casa a Betlemme due giorni prima che morisse.
Per tanti anni, come tanti “internazionali”, ho collaborato prevalentemente con le forze palestinesi di sinistra e con gli israeliani che, battendosi per la pace, necessariamente di sinistra erano.
Hamas era appena nato.
Le donne palestinesi con cui lavoravo erano vestite all’occidentale (jeans e maglietta); a Gaza trovavi qualcuna col velo, retaggio egiziano.
Ora tutto è cambiato: Hamas, appena ha deciso di presentarsi alle elezioni politiche, le ha vinte alla grande; in giro per Nablus e per Hebron trovi molte donne velate, più o meno integralmente. Le stesse donne che, come scrutatrici elettorali, nel 2006 non nascondevano il loro entusiasmo ad ogni voto per Hamas.
Ero lì come osservatore elettorale. Tutti hanno dato atto della assoluta regolarità delle elezioni. Appena noto l’esito, ho visto subito lo sgomento in faccia ai compagni che erano con me, soprattutto quelli legati a partiti e/o istituzioni (sindacati, ecc.). Uno si è spinto a dire: “questi sono fascisti”.
Erano gli stessi compagni che si erano rifiutati di incontrare esponenti di Hamas prima del voto ed anche dopo il voto. Li ho chiamati gli orfani di Fatah.
Successivamente sono tornato in Palestina ed Israele con un altro giro di compagni ed abbiamo incontrato prevalentemente esponenti di Hamas. Lasciamo stare le positive impressioni soggettive.
Il dato politico incontrovertibile è questo: chi porta avanti la resistenza contro l’occupazione colonialista sionista oggi è Hamas.
Senza la resistenza protrattasi per 60 anni (pensa che la nostra contro i nazifascisti è durata più o meno un anno e mezzo!), da tempo i palestinesi sarebbero una minoranza più o meno tollerata nel Grande Israele. Ora, invece, è ancora un popolo che lotta tra infinite difficoltà che avrebbero distrutto chiunque altro.
Fatah (almeno ai vertici) è ormai una forza collaborazionista, ampiamente foraggiata dall’Europa e dagli USA.
Con Israele c’è addirittura collaborazione militare (in maniera più o meno esplicita) in chiave antihamas e quindi antiresistenza.

Chi ragiona ancora in termini di classe conosce il vecchio metodo usato anche dagli antichi romani: per governare lontane provincie conquistate militarmente, selezionavano una elite dell’alta borghesia che comandava in nome e per conto del conquistatore (servi del padrone, padroni tra i servi).
Qualcosa di simile ai governi fantoccio in Iraq e in Afganistan.
Chiunque osi oggi ancora parlare di “processo di pace” è oggettivamente un collaborazionista filosionista. Nessun processo di pace è mai esistito nella realtà e nelle intenzioni israeliane; Oslo è stato un grande inganno. Oggi più che mai Israele porta avanti il suo antico progetto: più terra possibile, con meno palestinesi possibile (ricordi il detto: una terra senza popolo per un popolo senza terra?). Livni ha recentemente intimato: “Lasciateci fare; è affar nostro”.
A “sinistra” (!) ora tutti guardano ad Obama. Il colore della sua pelle fa dimenticare quanti miliardi ha speso nella campagna elettorale e chi lo ha foraggiato. Prima ancora che si sia insediato sono iniziate le prime delusioni.
Per la Palestina nessuna delusione perchè non c’è stato neppure tempo per illudersi.
Dopo due giorni dalla presentazione della candidatura, più o meno in contemporanea con Mc Cain, ha ritualmente espresso il suo amore per Israele, come tutti i Presidenti prima di lui.
La scelta del capo-staff è stata conseguenziale: il figlio di un terrorista dell’Irgun, quelli che mettevano le bombe negli alberghi (ricordi il King David?). Il giovanotto è molto legato al babbo (vedi la gaffe del vecchietto) e ad Israele.
Perchè questa lettera proprio oggi?
Perchè stai per andare in Palestina (ho letto la tua risposta ad una lettera). Ti invito a provare ad entrare a Gaza; se non riesci, incontra almeno Hamas in Cisgiordania; oppure prova ad andare a trovare i parlamentari palestinesi, regolarmente eletti, rinchiusi senza alcuna accusa nelle carceri israeliane.
E poi ti scrivo perchè ho letto parole che lasciano trapelare l’avversione per Hamas anche sul tuo giornale. Corrispondenza di Marretta da Gerusalemme: “Questa non è la Gaza dell’ANP; è l’Hamastan” “Embargo che colpisce solo la popolazione civile e non il movimento islamico Hamas”.
Una offensiva militare in Hamastan è legittima? Se l’embargo colpisse Hamas sarebbe legittimo?
Eppure la stessa giornalista ricorda che una delle condizioni poste da Hamas per il cessate il fuoco era la fine del soffocamento economico e umanitario dell’enclave palestinese e, a detta dell’UNRWA, non c’è stato neppure un allentanamento dell’embargo da giugno ad oggi. Non solo, ma la stessa giornalista ricorda che gli attacchi di Hamas hanno avuto come obiettivo l’esercito israeliano, cioè la forza militare occupante.
Ebbene, debbo ricordare ancora una volta che la resistenza anche armata contro l’occupante è legittima secondo le convenzioni di Ginevra? (di cui, non a caso, si sta pensando a una revisione).
Strafalcioni paurosi, poi, nel breve resoconto della manifestazione del 29/11.“I manifestanti hanno chiesto l’abbattimento del muro sorto sul territorio di Israele e rivendicano il diritto al ritorno dei palestinesi nei territori lasciati circa 60 anni fa ”.

1) Il muro non è un fungo che sorge, ma viene costruito.
2) Il muro è costruito non in Israele ma rubando altra terra ai palestinesi.
3) I territori non sono stati lasciati circa 60 anni fa ma esattamente 60 anni fa circa 750/800.000 palestinesi sono stati cacciati dalle loro case con le armi e con il terrore.

Fa meglio perfino il Corriere che usa il termine “lasciati" per i territori ma per il muro quantomeno dice che è stato “costruito da Israele”.
Il Manifesto (che, stranamente, dà un numero di partecipanti – 3.000 – inferiore a quello del Corriere – 5000) ricorda che solo il PdCI era visibile (Rifondazione ha firmato ma, evidentemente, non ha mobilitato).
Dice Marco Rizzo: “La sinistra sui temi dell’internazionalismo non esiste più”.
Dice Marco Ferrando: “Da tempo i gruppi dirigenti hanno cancellato la questione palestinese”.
Dici tu nella tua risposta alla lettrice: “Non possiamo permetterci l’indifferenza”.
Io, aggiungo, neppure l’ipocrisia di considerare Israele uno stato democratico e non vedere l’evidenza: è uno stato colonialista cui tutto è permesso in nome della Shoah.
La politica criminale dello Stato Israeliano provoca il diffondersi dell’antisionismo che nulla ha a che vedere con l’antisemitismo (quanti ebrei antisionisti ci sono!).
Napolitano su questo tema è recidivo.

Buon viaggio.
Ugo Giannangeli

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