Ancora civili innocenti massacrati dall'esercito di Israele.
Nella notte tra il 24 ed il 25 agosto di quest’anno, nel campo profughi di Tul Karm, in Cisgiordania, l’esercito israeliano metteva in atto l’ennesimo raid in territorio palestinese utilizzando una delle sue unità di elite, la Duvdevan, soldati usualmente utilizzati per compiere azioni sotto copertura (vedi “Tanto per non perdere l’abitudine”, 25 agosto).
Il risultato dell’azione – secondo l’entusiastico comunicato ufficiale di Tsahal – era stato il seguente: “Cinque terroristi del network del terrore responsabile degli attacchi allo Stage Club ed all’area commerciale di Netanya sono stati uccisi a Tul Karm”; la solita incursione dei soldati israeliani nei territori palestinesi, dunque, notizia riportata in breve nella sezione esteri dei maggiori quotidiani, nessuno a ricordare – come al solito – che tali raids sono comunque illegali, ma vabbé, tutto si giustifica in nome alla lotta al terrorismo!
Senonché un’inchiesta condotta successivamente ai fatti dai giornalisti del quotidiano Ha’aretz e dagli attivisti di B’tselem ha dimostrato che, in realtà, ad essere stati uccisi dai valorosi soldati di Tsahal erano stati cinque Palestinesi disarmati e completamente estranei ai fatti, tre studenti di liceo 17enni, Anas Abu Zeina, Mahmoud Ahadib e Mohammed Othman, un simpatizzante di Fatah, il 18enne Majdi Aiya, ed il 28enne Adel Abu Khalil, l’unico in qualche modo ricollegabile alla Jihad islamica.
Secondo la versione dell’accaduto rilasciata dal portavoce dell’esercito israeliano, l’operazione della Duvdevan doveva consistere in un “tentativo di arresto” (!) di alcuni noti e pericolosi esponenti del terrorismo palestinese (si sarebbe dovuto trattare, in particolare, di Abu Khalil e di Ribhi Amara, di Hamas); durante l’operazione i soldati avrebbero circondato un gruppo di uomini, di cui alcuni armati, avrebbero intimato l’alt e sparato alcuni colpi di fucile in aria, e solo dopo, a fronte del tentativo di fuga dei ricercati, li avrebbero uccisi, mentre altri terroristi avrebbero sparato contro i soldati israeliani e avrebbero lanciato anche alcune bottiglie Molotov.
Secondo i testimoni palestinesi, invece, i soldati di Tsahal non avrebbero aspettato neanche un attimo prima di sparare, ed anzi, in alcuni casi, avrebbero “confermato la morte” dei feriti sparando loro a distanza ravvicinata.
Quel che è certo e indubitabile, dopo l’inchiesta di Ha’aretz, è che a morire in un maledetto cortile del campo profughi di Tul Karm sono stati cinque Palestinesi e che nessuno di loro era armato.
Anas Abu Zeina, uno studente di 17 anni, quella sera era andato a trovare il suo compagno Mohammed Othman ed altri amici per portare l’invito al matrimonio di suo fratello, che si sarebbe dovuto celebrare alcuni giorni appresso; nel tempo libero, lavorava al mercato di Tul Karm presso un fruttivendolo, non era mai stato arrestato e non aveva alcun collegamento con organizzazioni terroristiche: è morto in un vicolo, dove aveva cercato di sfuggire ai suoi boia.
Neanche Mohammed Othman era noto come appartenente ad alcuna organizzazione, suo padre lavora in Israele nel settore edilizio, e lui si trovava lì a chiacchierare e a mangiare semi di girasole, abitando poco distante: è morto in ospedale per le ferite riportate.
Mahmoud Ahadib era un ragazzo epilettico in cura presso un ospedale di Haifa, e fino a poco tempo prima soffriva di incontinenza; abitava nell’edificio immediatamente adiacente al luogo dell’assassinio: è morto sotto gli occhi di sua madre.
Majdi Atiya apparteneva ad una famiglia simpatizzante di Fatah, come metà degli abitanti del campo, ma mentre suo padre era noto come attivista (che non vuol dire terrorista!), lui non lo era affatto: è morto falciato mentre cercava di scappare.
Abu Khalil era l’unico ad essere inserito nella lista dei ricercati per la zona di Tul Karm, ma da qualche settimana era passato nelle fila dell’Anp, tanto da dormire presso una caserma della polizia per avere protezione: è morto fulminato sul posto, forse giustiziato a distanza ravvicinata.
Nessuno di queste persone – nemmeno Abu Khalil – era armata.
Fonti non ufficiali dell’esercito israeliano hanno riferito ai giornalisti di Ha’aretz che non è possibile sapere con certezza se i Palestinesi uccisi erano o no armati, perché l’Idf “non è stata la prima a raggiungere” i corpi delle vittime: giustificazione risibile, perché oltre agli uomini della Duvdevan c’erano altre unità di supporto, e per alcuni minuti i soldati israeliani hanno sparato all’impazzata tutt’intorno, così da non permettere ad alcun Palestinese di avvicinarsi.
L’Idf nega con decisione, poi, che vi sia stata alcuna “conferma di morte” da parte dei suoi soldati, ma un ufficiale superiore israeliano, in condizioni di anonimato, ha rivelato ad Amos Harel di Ha’aretz che, in un caso almeno, uno dei feriti è stato ucciso a breve distanza nel timore che stesse per tirare fuori un’arma: almeno uno dei feriti, insomma, è stato giustiziato sommariamente.
La stessa portavoce di B’tselem, Sarit Michaeli, ha successivamente dichiarato: al The NewStandard: “… questi metodi sollevano gravi sospetti (che si tratti) di una esecuzione”.
Continuano, dunque, gli assassinii di civili innocenti ad opera dei valorosi soldati di Tsahal, e continuano anche dopo il ritiro “epocale” dei coloni israeliani da Gaza, per il quale Sharon si aspetta in questi giorni applausi e complimenti alle Nazioni Unite.
Chissà se qualcuno gli chiederà conto di questo ennesimo massacro di persone inermi; pare molto difficile se persino la quasi totalità dei media ha ritenuto di dover ignorare la notizia, e di non riportare il contenuto delle investigazioni di un coraggioso gruppo di giornalisti e attivisti per i diritti umani, che ha inchiodato ancora una volta l’esercito israeliano alle sue responsabilità, quella di aver assassinato spietatamente e senza alcun motivo cinque Palestinesi disarmati, quella altrettanto grave e vergognosa di aver insistito e di insistere ancora a definirli e ad infamarli come terroristi.
Eh già, terroristi come Anas Abu Zeina, che portava agli amici gli inviti al matrimonio del fratello, uno studente 17enne che lavorava e studiava, terroristi come Mohammed Othman, suo compagno di liceo, terroristi come il povero Mahmoud Ahadib, un povero ragazzo malato di epilessia spirato sotto gli occhi di sua madre.
E i giornali e le tv italiane, con gran clamore e indignazione, parlano solo delle (ex) sinagoghe bruciate a Gaza, un fatto sconcertante e inconcepibile.
Evidentemente, l’assassinio a sangue freddo di cinque civili disarmati ad opera dei “travestiti” della Duvdevan è considerato un fatto normale ed eticamente corretto; naturalmente, a condizione che a morire siano i Palestinesi!
Ieri il Capo di Stato Maggiore israeliano Dan Halutz ha “assolto” i soldati responsabili della sanguinosa operazione di Tul Karm, e non c’era alcun dubbio in proposito.
Come già si è detto (“Assassini puniti? No, promossi!” – 10 agosto), il livello di impunità per i soldati israeliani che uccidono civili palestinesi inermi e innocenti è pressoché totale.
Peccato che non in tutto il mondo la pensino allo stesso modo, e che ormai i generali di Tsahal che vanno all’estero rischiano di essere arrestati per crimini di guerra: è successo domenica, ad esempio, al generale Doron Almog all’aeroporto londinese di Heatrow.
Soltanto in Israele – fino ad oggi – i giudici sono stati un po’ distratti!
Il risultato dell’azione – secondo l’entusiastico comunicato ufficiale di Tsahal – era stato il seguente: “Cinque terroristi del network del terrore responsabile degli attacchi allo Stage Club ed all’area commerciale di Netanya sono stati uccisi a Tul Karm”; la solita incursione dei soldati israeliani nei territori palestinesi, dunque, notizia riportata in breve nella sezione esteri dei maggiori quotidiani, nessuno a ricordare – come al solito – che tali raids sono comunque illegali, ma vabbé, tutto si giustifica in nome alla lotta al terrorismo!
Senonché un’inchiesta condotta successivamente ai fatti dai giornalisti del quotidiano Ha’aretz e dagli attivisti di B’tselem ha dimostrato che, in realtà, ad essere stati uccisi dai valorosi soldati di Tsahal erano stati cinque Palestinesi disarmati e completamente estranei ai fatti, tre studenti di liceo 17enni, Anas Abu Zeina, Mahmoud Ahadib e Mohammed Othman, un simpatizzante di Fatah, il 18enne Majdi Aiya, ed il 28enne Adel Abu Khalil, l’unico in qualche modo ricollegabile alla Jihad islamica.
Secondo la versione dell’accaduto rilasciata dal portavoce dell’esercito israeliano, l’operazione della Duvdevan doveva consistere in un “tentativo di arresto” (!) di alcuni noti e pericolosi esponenti del terrorismo palestinese (si sarebbe dovuto trattare, in particolare, di Abu Khalil e di Ribhi Amara, di Hamas); durante l’operazione i soldati avrebbero circondato un gruppo di uomini, di cui alcuni armati, avrebbero intimato l’alt e sparato alcuni colpi di fucile in aria, e solo dopo, a fronte del tentativo di fuga dei ricercati, li avrebbero uccisi, mentre altri terroristi avrebbero sparato contro i soldati israeliani e avrebbero lanciato anche alcune bottiglie Molotov.
Secondo i testimoni palestinesi, invece, i soldati di Tsahal non avrebbero aspettato neanche un attimo prima di sparare, ed anzi, in alcuni casi, avrebbero “confermato la morte” dei feriti sparando loro a distanza ravvicinata.
Quel che è certo e indubitabile, dopo l’inchiesta di Ha’aretz, è che a morire in un maledetto cortile del campo profughi di Tul Karm sono stati cinque Palestinesi e che nessuno di loro era armato.
Anas Abu Zeina, uno studente di 17 anni, quella sera era andato a trovare il suo compagno Mohammed Othman ed altri amici per portare l’invito al matrimonio di suo fratello, che si sarebbe dovuto celebrare alcuni giorni appresso; nel tempo libero, lavorava al mercato di Tul Karm presso un fruttivendolo, non era mai stato arrestato e non aveva alcun collegamento con organizzazioni terroristiche: è morto in un vicolo, dove aveva cercato di sfuggire ai suoi boia.
Neanche Mohammed Othman era noto come appartenente ad alcuna organizzazione, suo padre lavora in Israele nel settore edilizio, e lui si trovava lì a chiacchierare e a mangiare semi di girasole, abitando poco distante: è morto in ospedale per le ferite riportate.
Mahmoud Ahadib era un ragazzo epilettico in cura presso un ospedale di Haifa, e fino a poco tempo prima soffriva di incontinenza; abitava nell’edificio immediatamente adiacente al luogo dell’assassinio: è morto sotto gli occhi di sua madre.
Majdi Atiya apparteneva ad una famiglia simpatizzante di Fatah, come metà degli abitanti del campo, ma mentre suo padre era noto come attivista (che non vuol dire terrorista!), lui non lo era affatto: è morto falciato mentre cercava di scappare.
Abu Khalil era l’unico ad essere inserito nella lista dei ricercati per la zona di Tul Karm, ma da qualche settimana era passato nelle fila dell’Anp, tanto da dormire presso una caserma della polizia per avere protezione: è morto fulminato sul posto, forse giustiziato a distanza ravvicinata.
Nessuno di queste persone – nemmeno Abu Khalil – era armata.
Fonti non ufficiali dell’esercito israeliano hanno riferito ai giornalisti di Ha’aretz che non è possibile sapere con certezza se i Palestinesi uccisi erano o no armati, perché l’Idf “non è stata la prima a raggiungere” i corpi delle vittime: giustificazione risibile, perché oltre agli uomini della Duvdevan c’erano altre unità di supporto, e per alcuni minuti i soldati israeliani hanno sparato all’impazzata tutt’intorno, così da non permettere ad alcun Palestinese di avvicinarsi.
L’Idf nega con decisione, poi, che vi sia stata alcuna “conferma di morte” da parte dei suoi soldati, ma un ufficiale superiore israeliano, in condizioni di anonimato, ha rivelato ad Amos Harel di Ha’aretz che, in un caso almeno, uno dei feriti è stato ucciso a breve distanza nel timore che stesse per tirare fuori un’arma: almeno uno dei feriti, insomma, è stato giustiziato sommariamente.
La stessa portavoce di B’tselem, Sarit Michaeli, ha successivamente dichiarato: al The NewStandard: “… questi metodi sollevano gravi sospetti (che si tratti) di una esecuzione”.
Continuano, dunque, gli assassinii di civili innocenti ad opera dei valorosi soldati di Tsahal, e continuano anche dopo il ritiro “epocale” dei coloni israeliani da Gaza, per il quale Sharon si aspetta in questi giorni applausi e complimenti alle Nazioni Unite.
Chissà se qualcuno gli chiederà conto di questo ennesimo massacro di persone inermi; pare molto difficile se persino la quasi totalità dei media ha ritenuto di dover ignorare la notizia, e di non riportare il contenuto delle investigazioni di un coraggioso gruppo di giornalisti e attivisti per i diritti umani, che ha inchiodato ancora una volta l’esercito israeliano alle sue responsabilità, quella di aver assassinato spietatamente e senza alcun motivo cinque Palestinesi disarmati, quella altrettanto grave e vergognosa di aver insistito e di insistere ancora a definirli e ad infamarli come terroristi.
Eh già, terroristi come Anas Abu Zeina, che portava agli amici gli inviti al matrimonio del fratello, uno studente 17enne che lavorava e studiava, terroristi come Mohammed Othman, suo compagno di liceo, terroristi come il povero Mahmoud Ahadib, un povero ragazzo malato di epilessia spirato sotto gli occhi di sua madre.
E i giornali e le tv italiane, con gran clamore e indignazione, parlano solo delle (ex) sinagoghe bruciate a Gaza, un fatto sconcertante e inconcepibile.
Evidentemente, l’assassinio a sangue freddo di cinque civili disarmati ad opera dei “travestiti” della Duvdevan è considerato un fatto normale ed eticamente corretto; naturalmente, a condizione che a morire siano i Palestinesi!
Ieri il Capo di Stato Maggiore israeliano Dan Halutz ha “assolto” i soldati responsabili della sanguinosa operazione di Tul Karm, e non c’era alcun dubbio in proposito.
Come già si è detto (“Assassini puniti? No, promossi!” – 10 agosto), il livello di impunità per i soldati israeliani che uccidono civili palestinesi inermi e innocenti è pressoché totale.
Peccato che non in tutto il mondo la pensino allo stesso modo, e che ormai i generali di Tsahal che vanno all’estero rischiano di essere arrestati per crimini di guerra: è successo domenica, ad esempio, al generale Doron Almog all’aeroporto londinese di Heatrow.
Soltanto in Israele – fino ad oggi – i giudici sono stati un po’ distratti!
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