La ricostruzione di Jenin.
Il 3 aprile del 2002 l'esercito israeliano lanciava un'operazione militare di portata senza precedenti all'interno del campo profughi di Jenin, nel West Bank, segnando una delle pagine più barbare e vergognose della guerra "difensiva" di Israele contro i Palestinesi.
L'operazione, condotta con armi pesanti, tank, elicotteri lanciamissili all'interno di un campo profughi densamente popolato (circa 14.000 abitanti), si concluse con l'uccisione di 52 Palestinesi, tra i quali un numero compreso tra 22 e 25 erano civili disarmati e innocenti, bambini, disabili, anziani.
La valorosa operazione di Tsahal, inoltre, fu contrassegnata da un numero impressionante di violazioni del diritto umanitario internazionale e da veri e propri crimini di guerra: uccisioni illegali di civili disarmati, demolizioni di case, a volte senza alcun preavviso per i residenti (durante una di queste demolizioni trovò la morte un 37enne paralitico), esecuzioni sommarie di nemici feriti e inermi, uso di civili come scudi umani, divieto di soccorso medico ai feriti e attacchi contro il personale medico, il tutto tesimoniato da un analitico rapporto di Human Rights Watch, ancora oggi reperibile sul web per chi abbia voglia di avere una reale conoscenza dei fatti palestinesi al di là della propaganda sionista, purtroppo imperante nei media di tutto il mondo.
Tra i tanti aspetti tragici dell'operazione Jenin vi fu anche il fatto che circa 2.000 rifugiati palestinesi rimasero senza una casa, perchè completamente rasa al suolo oppure pericolante.
Ieri, tuttavia, l'Unrwa - l'Agenzia dell'Onu che cerca di alleviare le sofferenze dei rifugiati - ha dato notizia (finalmente una buona notizia!) della avvenuta ricostruzione delle case distrutte nel campo di Jenin, e della riparazione di centinaia di altre.
In tal modo, 435 famiglie palestinesi ora hanno di nuovo una casa, e ciò grazie alla Mezzaluna Rossa degli Emirati Arabi, che ha provveduto ai necessari mezzi finanziari (27 milioni di dollari!), e al British Department for International Development, che ha fornito il management per il progetto.
Gli Israeliani, che notoriamente fanno di tutto per alleviare le penose condizioni di vita dei Palestinesi, in questi anni hanno sempre cercato di ostacolare il lavoro dell'Unrwa, secondo la quale almeno 150 giorni lavorativi (circa 1/4 del totale) sono stati persi a causa dei coprifuoco e delle incursioni di Tsahal.
L'esercito israeliano, soprattutto, si è macchiato dell'omicidio di Iain Hook, il responsabile originario del progetto di ricostruzione, ucciso il 22 novembre 2002 all'interno di un compound Onu da un cecchino israeliano, mentre stava parlando al cellulare (Tsahal in seguito si giustificherà dicendo che il cellulare era stato scambiato dal soldato israeliano per una bomba a mano!).
Ancora nel maggio di quest'anno, i soldati israeliani penetravano negli uffici dell'Unrwa, li mettevano a soqquadro e fermavano il nuovo responsabile del progetto per molte ore, senza alcun motivo.
Di tutto questo, la stampa internazionale non ha mai dato che scarse e lacunose notizie; la morte di Iain Hook è stata relegata alla pg.34 del Washington Post (e mai pubblicata in Italia...).
Nessuno ha mai reso noto che, nello stesso giorno in cui veniva ucciso Hook, un bambino palestinese di 10 anni veniva assassinato e altri tre suoi coetanei venivano feriti dal fuoco dei tank di Israele.
Oggi, almeno, la notizia della ricostruzione di Jenin rende un po' meno triste il ricordo di tante morti assurde e ingiustificate, ad opera di un esercito la cui vantata "forza etica", in questi ultimi anni, sembra essere venuta un po' meno.
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