A Tel Aviv non comanda più nessuno.
di Meron Rapaport (L’Espresso, 17.5.2007)
Il rapporto della commissione d’inchiesta sulla seconda guerra in Libano, guidata dall’ex giudice Eliyahu Winograd, ha provocato in Israele una bufera politica che non si vedeva dai tempi della guerra del Kippur nel 1973. Mai la classe dirigente israeliana è stata criticata così pesantemente, mai gli attacchi così personali. Il rapporto dice che il premier Ehud Olmert “ha fallito gravemente nel modo di ragionare, nelle responsabilità e negli esiti”. Anche il ministro della Difesa Amir Peretz è finito nel ciclone.
Subito dopo la pubblicazione del rapporto sembrava che Olmert sarebbe stato costretto alle dimissioni nello spazio di pochi giorni. Invece, sulle prime è riuscito a domare la ribellione nel suo partito, Kadima. Ma la testa di Olmert l’hanno chiesta anche il popolare ministro degli Esteri, Tzipi Livni, e 100.000 dimostranti che hanno manifestato nella più grande piazza di Tel Aviv. Nel partito laburista, che a settimane dovrà eleggere il futuro leader, tre dei quattro candidati hanno già dichiarato che, in caso di nomina, chiederanno le dimissioni del premier.
Il dato più inquietante che emerge dal rapporto Winograd è la debolezza dell’attuale classe politica israeliana. Si legge, per esempio, che nella riunione di governo del 12 giugno 2006, giorno in cui due soldati israeliani vennero rapiti lungo la frontiera con il Libano, il capo di Stato Maggiore. Generale Dan Haluz, spiega così il suo piano di bombardamenti sul Libano: “Nessuno verrà risparmiato. L’obiettivo è dimostrare che Israele è il soggetto più duro nell’area”. Simon Peres, premio Nobel per la pace, due volte primo ministro, l’uomo più esperto della politica israeliana, gli chiede chiarimenti: “Bisogna pensare bene prima di compiere due passi in avanti”, dice timidamente a Haluz: “Se noi bombarderemo e loro reagiranno, dopo che accadrà?”. E Haluz, rivolgendosi a Peres come fosse un bambino un po’ ritardato: “Io penso sempre due passi in avanti, anzi quattro passi…”. Peres, in politica da più di 50 anni, tra gli strateghi della guerra del Sinai del 1956, viene umiliato da un generale che deve la sua fama soprattutto per aver dato l’ordine di lanciare una bomba di una tonnellata su un palazzo di Gaza, uccidendo 18 civili palestinesi. Il disprezzo totale di Haluz verso Peres è la manifestazione più estrema dell’impotenza dei politici israeliani.
Questa atmosfera di disprezzo spira da ogni riga del rapporto. I dibattiti fondamentali di politica nazionale e internazionale si sono svolti nello Stato Maggiore. Sono i generali a discutere sulla linea da tenere in Libano, sulla posizione internazionale di Israele, sul Quartetto, sul G8, sull’Unione europea. Questo conflitto, diceva Haluz ai suoi generali prima ancora di confrontarsi con il governo, “dev’essere un punto di svolta nel dialogo fra Israele e Libano … Se non capiamo che il Libano è in uno stato di caos, perdiamo un’enorme opportunità di raggiungere la nostra meta. Dobbiamo cambiare le regole del gioco”. Il governo, dal punto di vista dei militari israeliani, serve solo a dare “più tempo” all’esercito.
Non stupisce se, dopo sei mesi di inchieste, la commissione non ha ancora scoperto chi abbia preso la decisione di attaccare il Libano. Nella sera del primo giorno di combattimenti, il ministro Livni chiede a Haluz quando sarebbe finita l’operazione militare. “Nel primo pomeriggio di domani”, le risponde Haluz. Meno di 12 ore dopo, lui racconta ai suoi generali che la guerra durerà “parecchie settimane … Lo Stato d’Israele non ha interesse che tutto finisca troppo presto”. Haluz, come Luigi XIV, è lo Stato.
Ma le colpe non sono solo dei militari. Fin dal fallimento di Camp David, nel 2000, la classe dirigente israeliana ha rinunciato al tentativo di suggerire una soluzione politica al conflitto con i Palestinesi e con il mondo arabo. Israele, si ritiene a Tel Aviv, gode di una superiorità militare tale per cui non converrebbe cercare un compromesso con i nemici che la vogliono distruggere. La guerra in Libano ha ora messo in dubbio questa certezza. E’ per questo che l’opinione pubblica israeliana è ora così confusa: ha scoperto che non soltanto i politici, ma anche i generali, non rappresentano una garanzia per il suo futuro.
Fin qui l’articolo di Rapaport, restano da aggiungere alcune considerazioni su fatti peraltro già noti.
Né il rapporto Winograd né le 100.000 (o 150.000) persone che hanno affollato piazza Rabin per chiedere le dimissioni del premier israeliano Olmert hanno inteso imputare a lui e al suo governo di avere scatenato l’inferno in Libano; la guerra, secondo la stragrande maggioranza degli Israeliani era “giusta”, il problema è che è stata condotta con imperizia e negligenza, il problema è che Israele la seconda guerra in Libano l’ha persa.
Ciò che, in sostanza, viene rimproverato a Olmert, a Peretz e all’ex capo di Stato Maggiore Halutz è di non aver annientato le milizie di Hezbollah, di avere mandato allo sbaraglio i riservisti dell’Idf, di aver sottovalutato il pericolo dei razzi Katyusha e di non avere adeguatamente protetto i civili da questo letale pericolo.
Nessuna parola di biasimo dalla commissione Winograd – né alcuna protesta dell’opinione pubblica israeliana – per gli evidenti e gravissimi crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano nei 34 giorni di combattimento.
Come è ormai noto, già poche ore dopo l’inizio delle ostilità era chiaro che l’obiettivo di liberare i due soldati non avrebbe potuto essere raggiunto, e tuttavia lo Stato Maggiore israeliano – con il pieno e consapevole avallo del governo - decise ugualmente di dare il via a una massiccia serie di raid aerei e di bombardamenti con il dichiarato scopo di ribadire il principio secondo cui chi tocca Israele deve pagare uno scotto atroce, ivi compresa la popolazione civile: per dirla con le parole di Halutz, bisognava dimostrare che gli attributi più grossi nell’area mediorientale sono quelli israeliani, e bisognava dimostrarlo senza risparmiare nessuno.
La seconda guerra in Libano ha provocato la morte di 1.189 libanesi (in gran parte civili), mentre i feriti sono stati 4.399 e circa un milione i profughi: da segnalare che circa un terzo delle perdite è rappresentato da bambini; dalla parte israeliana, i morti sono stati 159, di cui 39 civili.
Immense sono state le distruzioni in territorio libanese, infrastrutture, ponti, strade, porti, aeroporti, almeno 15.000 abitazioni interamente distrutte, secondo Oxfam l’85% degli agricoltori libanesi ha perso il proprio raccolto, le stime dei danni complessivi ammontano a oltre cinque miliardi di dollari, e questo senza contare i mancati introiti del turismo.
Secondo Human Rights Watch, nella condotta delle ostilità l’esercito israeliano ha ripetutamente violato le leggi di guerra, colpendo e uccidendo indiscriminatamente senza distinguere tra civili e combattenti.
Secondo Tsahal la colpa di ciò è addebitabile a Hezbollah, che nascondeva le proprie milizie e i propri armamenti in città e villaggi densamente popolati ma, sempre secondo Hrw, la gran parte delle uccisioni di civili si sono verificate in zone in cui non vi era nessuna evidenza che, nei pressi, fossero situate milizie o armamenti, come nel caso del massacro dei 29 civili di Qana.
Né gli ordini di evacuazione – talvolta impartiti dall’Idf prima degli attacchi – valgono a sollevare l’esercito israeliano dalle proprie responsabilità – dato che molti civili non avrebbero comunque potuto allontanarsi a causa dell’età, di infermità varie, della mancanza di mezzi idonei di trasporto.
Senza contare che alcuni convogli di civili, pur scortati da automezzi Onu, sono stati ugualmente fatti oggetto di attacco da parte dell’aviazione israeliana.
Ma il capitolo più orrendo e criminale nella condotta delle ostilità da parte di Israele è senza dubbio quello costituito dal massiccio uso di cluster-bombs.
L’Onu ha stimato che Israele ha lanciato bombe “cluster” contenenti da 2,6 a 4 milioni di ordigni esplosivi. Steve Goose, direttore della divisione armamenti di Hrw, ha affermato: “Abbiamo investigato sulle munizioni cluster in Kosovo, Afghanistan e Iraq, ma non abbiamo mai osservato un uso di munizioni cluster così massiccio e pericoloso per la popolazione civile”.
Le ricerche di Hrw hanno dimostrato che, nella maggior parte dei casi, il lancio delle cluster-bombs da parte israeliana è avvenuto senza che vi fossero “evidenti obiettivi militari” da colpire.
Si stima che, di tali ordigni, almeno 1 milione sia rimasto inesploso alla fine della guerra, e le operazioni di bonifica continueranno almeno per tutto il 2007: dalla fine della guerra alla fine di gennaio di quest’anno, gli ordigni inesplosi hanno già causato 30 morti e 184 feriti.
Non va dimenticato peraltro che, sempre secondo le stime Onu, il 90% delle cluster-bombs è stato lanciato da Israele durante gli ultimi tre giorni di ostilità, in un’ultima, vigliacca e spietata rappresaglia.
Naturalmente nessuno è chiamato a rispondere di questi crimini, di queste distruzioni ingiustificate, di questi morti innocenti, nessuna incriminazione è stata richiesta, né ciò mai avverrà.
Verso la metà di aprile – durante un incontro con i rappresentanti di Medical Aid for the Third World – il ministro della Difesa belga Andre Flahaut aveva lanciato l’idea di addebitare ad Israele, quanto meno, le spese per la rimozione degli ordigni inesplosi e per la bonifica dei territori, calcolate in circa 13 milioni di dollari.
Pochi spiccioli rispetto alle spese di ricostruzione del Libano, ma che rappresentano l’affermazione di un principio dall’evidente impatto politico, e infatti – per quel che è dato sapere – non se ne è fatto nulla.
Evidentemente, la fine della stagione della totale impunità per i criminali di Israele tarda ancora ad arrivare.
Il rapporto della commissione d’inchiesta sulla seconda guerra in Libano, guidata dall’ex giudice Eliyahu Winograd, ha provocato in Israele una bufera politica che non si vedeva dai tempi della guerra del Kippur nel 1973. Mai la classe dirigente israeliana è stata criticata così pesantemente, mai gli attacchi così personali. Il rapporto dice che il premier Ehud Olmert “ha fallito gravemente nel modo di ragionare, nelle responsabilità e negli esiti”. Anche il ministro della Difesa Amir Peretz è finito nel ciclone.
Subito dopo la pubblicazione del rapporto sembrava che Olmert sarebbe stato costretto alle dimissioni nello spazio di pochi giorni. Invece, sulle prime è riuscito a domare la ribellione nel suo partito, Kadima. Ma la testa di Olmert l’hanno chiesta anche il popolare ministro degli Esteri, Tzipi Livni, e 100.000 dimostranti che hanno manifestato nella più grande piazza di Tel Aviv. Nel partito laburista, che a settimane dovrà eleggere il futuro leader, tre dei quattro candidati hanno già dichiarato che, in caso di nomina, chiederanno le dimissioni del premier.
Il dato più inquietante che emerge dal rapporto Winograd è la debolezza dell’attuale classe politica israeliana. Si legge, per esempio, che nella riunione di governo del 12 giugno 2006, giorno in cui due soldati israeliani vennero rapiti lungo la frontiera con il Libano, il capo di Stato Maggiore. Generale Dan Haluz, spiega così il suo piano di bombardamenti sul Libano: “Nessuno verrà risparmiato. L’obiettivo è dimostrare che Israele è il soggetto più duro nell’area”. Simon Peres, premio Nobel per la pace, due volte primo ministro, l’uomo più esperto della politica israeliana, gli chiede chiarimenti: “Bisogna pensare bene prima di compiere due passi in avanti”, dice timidamente a Haluz: “Se noi bombarderemo e loro reagiranno, dopo che accadrà?”. E Haluz, rivolgendosi a Peres come fosse un bambino un po’ ritardato: “Io penso sempre due passi in avanti, anzi quattro passi…”. Peres, in politica da più di 50 anni, tra gli strateghi della guerra del Sinai del 1956, viene umiliato da un generale che deve la sua fama soprattutto per aver dato l’ordine di lanciare una bomba di una tonnellata su un palazzo di Gaza, uccidendo 18 civili palestinesi. Il disprezzo totale di Haluz verso Peres è la manifestazione più estrema dell’impotenza dei politici israeliani.
Questa atmosfera di disprezzo spira da ogni riga del rapporto. I dibattiti fondamentali di politica nazionale e internazionale si sono svolti nello Stato Maggiore. Sono i generali a discutere sulla linea da tenere in Libano, sulla posizione internazionale di Israele, sul Quartetto, sul G8, sull’Unione europea. Questo conflitto, diceva Haluz ai suoi generali prima ancora di confrontarsi con il governo, “dev’essere un punto di svolta nel dialogo fra Israele e Libano … Se non capiamo che il Libano è in uno stato di caos, perdiamo un’enorme opportunità di raggiungere la nostra meta. Dobbiamo cambiare le regole del gioco”. Il governo, dal punto di vista dei militari israeliani, serve solo a dare “più tempo” all’esercito.
Non stupisce se, dopo sei mesi di inchieste, la commissione non ha ancora scoperto chi abbia preso la decisione di attaccare il Libano. Nella sera del primo giorno di combattimenti, il ministro Livni chiede a Haluz quando sarebbe finita l’operazione militare. “Nel primo pomeriggio di domani”, le risponde Haluz. Meno di 12 ore dopo, lui racconta ai suoi generali che la guerra durerà “parecchie settimane … Lo Stato d’Israele non ha interesse che tutto finisca troppo presto”. Haluz, come Luigi XIV, è lo Stato.
Ma le colpe non sono solo dei militari. Fin dal fallimento di Camp David, nel 2000, la classe dirigente israeliana ha rinunciato al tentativo di suggerire una soluzione politica al conflitto con i Palestinesi e con il mondo arabo. Israele, si ritiene a Tel Aviv, gode di una superiorità militare tale per cui non converrebbe cercare un compromesso con i nemici che la vogliono distruggere. La guerra in Libano ha ora messo in dubbio questa certezza. E’ per questo che l’opinione pubblica israeliana è ora così confusa: ha scoperto che non soltanto i politici, ma anche i generali, non rappresentano una garanzia per il suo futuro.
Fin qui l’articolo di Rapaport, restano da aggiungere alcune considerazioni su fatti peraltro già noti.
Né il rapporto Winograd né le 100.000 (o 150.000) persone che hanno affollato piazza Rabin per chiedere le dimissioni del premier israeliano Olmert hanno inteso imputare a lui e al suo governo di avere scatenato l’inferno in Libano; la guerra, secondo la stragrande maggioranza degli Israeliani era “giusta”, il problema è che è stata condotta con imperizia e negligenza, il problema è che Israele la seconda guerra in Libano l’ha persa.
Ciò che, in sostanza, viene rimproverato a Olmert, a Peretz e all’ex capo di Stato Maggiore Halutz è di non aver annientato le milizie di Hezbollah, di avere mandato allo sbaraglio i riservisti dell’Idf, di aver sottovalutato il pericolo dei razzi Katyusha e di non avere adeguatamente protetto i civili da questo letale pericolo.
Nessuna parola di biasimo dalla commissione Winograd – né alcuna protesta dell’opinione pubblica israeliana – per gli evidenti e gravissimi crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano nei 34 giorni di combattimento.
Come è ormai noto, già poche ore dopo l’inizio delle ostilità era chiaro che l’obiettivo di liberare i due soldati non avrebbe potuto essere raggiunto, e tuttavia lo Stato Maggiore israeliano – con il pieno e consapevole avallo del governo - decise ugualmente di dare il via a una massiccia serie di raid aerei e di bombardamenti con il dichiarato scopo di ribadire il principio secondo cui chi tocca Israele deve pagare uno scotto atroce, ivi compresa la popolazione civile: per dirla con le parole di Halutz, bisognava dimostrare che gli attributi più grossi nell’area mediorientale sono quelli israeliani, e bisognava dimostrarlo senza risparmiare nessuno.
La seconda guerra in Libano ha provocato la morte di 1.189 libanesi (in gran parte civili), mentre i feriti sono stati 4.399 e circa un milione i profughi: da segnalare che circa un terzo delle perdite è rappresentato da bambini; dalla parte israeliana, i morti sono stati 159, di cui 39 civili.
Immense sono state le distruzioni in territorio libanese, infrastrutture, ponti, strade, porti, aeroporti, almeno 15.000 abitazioni interamente distrutte, secondo Oxfam l’85% degli agricoltori libanesi ha perso il proprio raccolto, le stime dei danni complessivi ammontano a oltre cinque miliardi di dollari, e questo senza contare i mancati introiti del turismo.
Secondo Human Rights Watch, nella condotta delle ostilità l’esercito israeliano ha ripetutamente violato le leggi di guerra, colpendo e uccidendo indiscriminatamente senza distinguere tra civili e combattenti.
Secondo Tsahal la colpa di ciò è addebitabile a Hezbollah, che nascondeva le proprie milizie e i propri armamenti in città e villaggi densamente popolati ma, sempre secondo Hrw, la gran parte delle uccisioni di civili si sono verificate in zone in cui non vi era nessuna evidenza che, nei pressi, fossero situate milizie o armamenti, come nel caso del massacro dei 29 civili di Qana.
Né gli ordini di evacuazione – talvolta impartiti dall’Idf prima degli attacchi – valgono a sollevare l’esercito israeliano dalle proprie responsabilità – dato che molti civili non avrebbero comunque potuto allontanarsi a causa dell’età, di infermità varie, della mancanza di mezzi idonei di trasporto.
Senza contare che alcuni convogli di civili, pur scortati da automezzi Onu, sono stati ugualmente fatti oggetto di attacco da parte dell’aviazione israeliana.
Ma il capitolo più orrendo e criminale nella condotta delle ostilità da parte di Israele è senza dubbio quello costituito dal massiccio uso di cluster-bombs.
L’Onu ha stimato che Israele ha lanciato bombe “cluster” contenenti da 2,6 a 4 milioni di ordigni esplosivi. Steve Goose, direttore della divisione armamenti di Hrw, ha affermato: “Abbiamo investigato sulle munizioni cluster in Kosovo, Afghanistan e Iraq, ma non abbiamo mai osservato un uso di munizioni cluster così massiccio e pericoloso per la popolazione civile”.
Le ricerche di Hrw hanno dimostrato che, nella maggior parte dei casi, il lancio delle cluster-bombs da parte israeliana è avvenuto senza che vi fossero “evidenti obiettivi militari” da colpire.
Si stima che, di tali ordigni, almeno 1 milione sia rimasto inesploso alla fine della guerra, e le operazioni di bonifica continueranno almeno per tutto il 2007: dalla fine della guerra alla fine di gennaio di quest’anno, gli ordigni inesplosi hanno già causato 30 morti e 184 feriti.
Non va dimenticato peraltro che, sempre secondo le stime Onu, il 90% delle cluster-bombs è stato lanciato da Israele durante gli ultimi tre giorni di ostilità, in un’ultima, vigliacca e spietata rappresaglia.
Naturalmente nessuno è chiamato a rispondere di questi crimini, di queste distruzioni ingiustificate, di questi morti innocenti, nessuna incriminazione è stata richiesta, né ciò mai avverrà.
Verso la metà di aprile – durante un incontro con i rappresentanti di Medical Aid for the Third World – il ministro della Difesa belga Andre Flahaut aveva lanciato l’idea di addebitare ad Israele, quanto meno, le spese per la rimozione degli ordigni inesplosi e per la bonifica dei territori, calcolate in circa 13 milioni di dollari.
Pochi spiccioli rispetto alle spese di ricostruzione del Libano, ma che rappresentano l’affermazione di un principio dall’evidente impatto politico, e infatti – per quel che è dato sapere – non se ne è fatto nulla.
Evidentemente, la fine della stagione della totale impunità per i criminali di Israele tarda ancora ad arrivare.
E, altrettanto evidentemente, l’opinione pubblica israeliana non ha ancora compreso come l’unica garanzia per il proprio futuro sia rappresentata non già dall’oppressione, dai crimini di guerra, dalla cieca forza delle armi, ma piuttosto dalla risoluzione pacifica ed equa di tutte le vertenze e i conflitti in corso con il mondo arabo.
6 Commenti:
e dici bene...
il rapporto letto bene dice proprio che la guerra è stata fatta male senza centrare gli obiettivi cardine...
che secondo me era di arrivare in pochi giorni fino al Litani, e stazionare lì....un bel confine naturale con buone approvigionamenti
di acqua....
bel post
a presto
orso
l'ultima riflessione è molto acuta; sembra che oggi manchi completamente una coscienza critica verso la politica criminale che ha contraddistinto Israele. se non c'è una reale presa di consapevolezza, qualsiasi tentativo di ricostruire un equilibrio e di raggiungere la risoluzione pacifica si rivelerà fallimentare... ma purtroppo sembra che per Israele il fine ultimo giustifichi qualsiasi forma di azione criminale. ottimo post. un saluto, Tiziana
sull'equità di tutte le vertenze nutro i miei dubbi purtroppo...
notizia di oggi che israele ha bombardato un'università palestinese. così, dopo gli ospedali, si danno alle scuole!
un abbraccio, emanuele.
penso che in Israele sia in atto un "golpe" militare strisciante. la strategia della tensione,così funzionale ai falchi di entrambi gli schieramenti, evidentemente si ferma miracolosamente in Israele ..e chissà come mai i qassam continuano ad essere lanciati nonostante Gaza sia una prigione a cielo aperto, controllata da un esercito dotato di armi super sofisticate: questa storia dura dal 2001 e per scovare i tunnel sono stati distrutte 3000 case..chissà come mai non si trovano i due prigionieri israeliani, chissà come mai hamas non ha mai insistito troppo sulla liberazione di Barghouti
Libano: è storia nota che questa guerra è stata voluta dalla destra nazionalista, dai neoconservatori americani, da generali "felloni": G. Levy su haaretz si chiede giustamente come mai non sia stata aperta un'inchiesta su quei militari che fornirono a Olmert informazioni false per spingerlo alla guerra e così via .........
scusate il post doppio: fulminante e tragicamente lucido l'editoriale di G. Levy..per chi avesse ancora dubbi
http://www.haaretz.com/hasen/spages/863400.html
TYANTO PER RIBADIRE UN CONCETTO SEMPLICE E FACILE FACILE ANCHE PER DEGLI SPROVVEDUTI COME VOI: LA CAPITALE DI ISRAELE E'
G E R U S A L E M M E!!!!
YERUSHALAIM
E NON TEL AVIV.
Così oggi avete imparato una cosa di geografia!
Alla prossima zucconi
VIVA ISRAELE!!!
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