14 maggio 2011

63 anni di Nakba, 63 anni di pulizia etnica




Come ci ricorda Wikipedia, al-Nakba (la catastrofe) è il termine usato dai Palestinesi per riferirsi alla cacciata di buona parte degli abitanti della Palestina dalle loro case e dalle loro terre, intensificatasi a partire dal 15 maggio 1948 a seguito della nascita dello Stato di Israele (i quali però festeggiano tale evento il 14 maggio). E per rendere più lieta la festa, nel febbraio del 2010 il Parlamento israeliano ha varato un legge per vietare ogni celebrazione della Nakba con manifestazioni di lutto e di dolore da parte della popolazione araba...

La Nakba viene commemorata ogni anno e per questo, che è il 63* anniversario, molte realtà locali, organizzazioni e istituzioni della società civile di Gaza - come ci informa Infopal - hanno chiesto alla popolazione una partecipazione di massa alla campagna per il Ritorno, sostenuta pure da un gruppo di giovani palestinesi che su Facebook ha riscontrato molto successo anche tra gli utenti di altri Paesi arabi e islamici.

Lo Stato di Israele è nato con il peccato originale di una pulizia etnica accuratamente pianificata e portata a termine nel giro di circa sei mesi con deliberata ferocia, una ininterrotta serie di violenze, di crimini e di massacri, da Deir Yassin a Tantura a episodi meno noti come la contaminazione dell'acquedotto di Acri con i microbi del tifo. Al termine, come ci ricorda Ilan Pappe nel suo La Pulizia etnica della Palestina, più di metà della popolazione palestinese originaria, quasi 800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi erano stati distrutti e 11 quartieri urbani interamente svuotati dei loro abitanti.

E la pulizia etnica israeliana continua ancora oggi, in maniera solo più subdola e strisciante, attraverso le violenze e i raid quotidiani - vuoi dei tagliagole di Tsahal vuoi della marmaglia colonica - le umiliazioni ai check-point, la demolizione delle case, la negazione dei diritti più elementari.

Forse oggi non è più possibile punire come meriterebbero quanti pianificarono ed eseguirono i crimini e i massacri del 1948, pochissimi dei quali sono peraltro ancora in vita. E' certamente possibile, ed anzi costituisce un imperativo morale, far sì che oggi si ponga finalmente rimedio alla "catastrofe", garantendo ai Palestinesi uno stato e, soprattutto, quel diritto al ritorno che (purtroppo vanamente) risulta scolpito nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

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2 Commenti:

Alle 14 maggio 2011 alle ore 20:53 , Anonymous Andrea ha detto...

Mi dispiace ma io non credo ad una parola di quello che Ilan Pappè afferma nei suoi testi sulla pulizia etnica del 1948. In realtà ci sono testimonianze di leader arabi e di giornali arabi dell'epoca che affermano come i palestinesi nel 1948 lasciarono le loro terre non perchè spinti dalle forze ebraiche, ma perchè i leader arabi volevano che lo facessero perchè non fossero d'intralcio alle operazioni belliche, per poi tornare vittoriosi in una Palestina completamente arabizzata.
Ecco una testimonianza che contrastano con la versione di Ilan Pappè:
Dal giornale libanese Al-Sada Janub, agosto 1948, dichiarazione del vescovo di galilea George Akim “ I rifugiati (arabi ndF) erano fiduciosi che la loro assenza si sarebbe protratta per una settimana o due, avevano avuto promessa dai loro leader che le armate arabe avrebbero distrutto le bande sioniste velocemente…”
Da questo articolo appare evidente come la maggior parte di questi profughi non fu affatto cacciata, ma se ne andò volutamente spinti dai proclami dei peader antisionisti.
Non solo, ma anche altre informazioni date da Ilan Pappè sono false, come ad esempio il fatto che secondo lui il massacro di Deir Yassein fu commesso dall'Haganà, ma in realtà era stato il gruppo terroristico dell'Irgun:è evidente che Ilan Pappè, mettendo in campo l'Haganà, voleva attribuire la colpa di quel crimine a tutto l'esercito israeliano, mentre invece si trattava solo di una minoranza di fondamentalisti ebraici fanatici.
Ilan Pappè inoltre ideologicamente è un comunista e quindi è interessato a fornire una storiografia faziosa del conflitto israelo-palestinese, proprio perchè molti intellettuali israeliani di sinistra sono filo-palestinesi per partito preso.

 
Alle 15 maggio 2011 alle ore 08:32 , Anonymous Anonimo ha detto...

a parte che i cosiddetti rifugiati sono già tutti morti di vecchiaia, proprio come gli ebrei della diaspora, a parte che sono stati oppressi dagli stessi fratelli arabi che prima li hanno bombardati nel 48 solo perchè si trovavano nello stato ebraico e poi si sono rifiutati di dargli un'accoglienza, ma non si capisce perchè questi rifugiati, morti di vecchiaia, vogliano ad andare a vivere da morti in un stato ebraico. o sono fessi, o vogliono attraverso un'invasione demografica cancellare il carattere ebraico di Israele voluto dalle nazioni unite
www.maurod.ilcannocchiale.it

 

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