29 giugno 2011

La sfida della Freedom Flotilla 2: riaffermare la supremazia del diritto internazionale

Quando si ha a che fare con Israele, le comuni regole del diritto, della morale e del semplice buonsenso vengono travolte e sovvertite, lo sappiamo.

Solo per restare alle ultime settimane,
l’assassinio a sangue freddo di decine di civili inermi che ha macchiato le giornate di commemorazione della Nakba e della Naksa il 15 maggio e il 5 giugno è stato fatto passare da Israele come un atto di “autodifesa” contro l’immotivata “aggressione” da parte di chi, invece, tentava soltanto di manifestare pacificamente per il diritto al ritorno. Senza che alcuno abbia avuto niente da ridire.

Analogamente, ora, Israele dipinge i partecipanti alla Freedom Flotilla 2 come un’accolita di terroristi e di antisemiti, e minaccia di usare la forza per bloccare l’arrivo delle navi a Gaza. E, anche in questo caso, non solo i governi delle nazioni i cui cittadini saranno a bordo delle navi della flottiglia – tra cui purtroppo anche l’Italia – evitano accuratamente di ammonire Israele a garantirne l’incolumità, ma addirittura alcuni di essi preferiscono piuttosto ammonire i propri cittadini a non partecipare alla spedizione della Freedom Flotilla!

Eppure la sfida che gli eroi della Freedom Flotilla 2 si apprestano ad affrontare è di importanza fondamentale, ed attiene non già al solo obiettivo umanitario, ma anche e soprattutto alla questione più fondamentale, se debba cioè prevalere la forza del diritto o il diritto del più forte.

Di questo tratta l’articolo che segue, scritto da Richard Irvine per il sito web del Palestine Chronicle e qui proposto nella traduzione di
Medarabnews.

La sfida della Flottiglia di Gaza: un’agenda politica radicale
di Richard Irvine – 24.6.2011

Recentemente ho spesso pensato di essere entrato in un universo parallelo. Un universo in cui ciò che sarebbe illegale è legale; in cui la vittima è il criminale; in cui Golia deve difendersi da Davide.

I palestinesi hanno certamente subito quest’esperienza negli ultimi 100 anni, ma nelle ultime settimane le denunce di Israele contro la prossima flottiglia di Gaza, giunte sulla scia della condanna israeliana dei profughi morti sulle alture del Golan, hanno spinto l’incredulità al punto di rottura.

Quando Israele ha ucciso 14 profughi disarmati nella giornata della Nakba, e poi ha superato se stessa in una replica della propria performance tre settimane più tardi, mi aspettavo che la comunità internazionale avrebbe parlato; che avrebbe espresso la propria condanna, e avrebbe riaffermato la promessa della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, secondo cui ognuno ha il diritto di lasciare il proprio paese e di farvi ritorno. Ma ho atteso invano.

Al di là dei borbottii del Quartetto, e del patetico appello di Ban Ki-moon alla “moderazione”, la voce più stridente certamente è stata quella di Israele. Indignata per il fatto di dover uccidere civili disarmati, ha trasformato il “tiro al piccione” contro i profughi in una difesa della sovranità israeliana, e i profughi in aggressori – colpevoli della “provocazione” di tentare di esercitare i loro diritti umani.

Oggi, mentre la flottiglia di Gaza si avvicina, la stessa trasformazione di attivisti inermi in pericolosi ed irresponsabili estremisti è già in atto da tempo. Mentre Israele si esercita nelle sue operazioni navali, intensifica anche la sua offensiva diplomatica e mediatica. L’ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite, Ron Prosor, ripete minacciosamente il linguaggio usato prima della strage dello scorso anno, definendo la flottiglia “una provocazione” e invitando la comunità internazionale a fare tutto ciò che è in suo potere per fermarla.

Ovviamente omessa in questo discorso, è la dichiarazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa che il blocco di Gaza è illegale; o quella dell’ex capo dell’UNRWA a Gaza, John Ging, che l’anno scorso ha invitato gli attivisti a rompere il blocco. In effetti, già dimenticato è anche il fatto che la precedente aggressione di Israele alla Mavi Marmara era sia illegale, sia – secondo la relazione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite – omicida.

In altre parole, tutto il contesto giuridico oggettivo necessario perché l’opinione pubblica e la comunità internazionale possano giudicare le azioni degli attivisti e di Israele è assente. Invece quella che viene presentata è la storia di un’Israele sotto attacco – o addirittura di un’Israele sotto assedio. Come dice Prosor: “L’obiettivo della flottiglia non è quello di consegnare aiuti umanitari, ma di stimolare e sostenere un’agenda politica radicale”.

Tale agenda politica radicale è l’applicazione delle convenzioni internazionali e dei diritti umani.
E, naturalmente, Israele ha avuto i suoi successi. L’organizzazione umanitaria turca IHH si è tirata fuori dalla flottiglia, molto probabilmente per le pressioni del governo turco che, alla luce della rivolta siriana, sembra desideroso di sanare i rapporti con Israele. Ancor più preoccupante, però, è stato il vile appello rivolto da Ban Ki-moon ai paesi mediorientali affinché facessero tutto il possibile per fermare la flottiglia (28/05/2011).

Allo stesso modo, i protettori di Israele nei media non hanno tardato a strombazzare le dichiarazioni dei politici israeliani e a diffamare gli attivisti della flottiglia come “esponenti dell’estrema sinistra”, “antisemiti” o “terroristi”. L’ammiraglio israeliano Eliezer Marom l’ha definita “una flottiglia dell’odio i cui unici obiettivi sono di scontrarsi con i soldati delle Forze di Difesa Israeliane, di creare provocazioni sui media, e di delegittimare lo Stato di Israele” ( Ha’aretz, 19/06/2011).

Purtroppo, in tutta questa tempesta mediatica, ciò che viene delegittimato non è Israele, ma il diritto internazionale. Per quanto ne so, nessun paese ha rilasciato una dichiarazione che ammonisse Israele a non attaccare i propri cittadini, ma diversi paesi hanno ammonito i propri cittadini a non prendere parte alla flottiglia e ad evitare qualsiasi viaggio in direzione di Gaza. Questo atteggiamento invia un messaggio inquietante. Nel caso di un attacco israeliano, questo approccio attribuisce la colpa di eventuali vittime tra gli attivisti agli attivisti stessi. In effetti si tratta di governi che si lavano diplomaticamente le mani di fronte a ciò che potrà accadere, dando allo stesso tempo ad Israele un alibi bell’e pronto che le consente di ricorrere alla violenza nella misura in cui le fa più comodo. Un fenomeno, che nel contesto di Gaza, è tutt’altro che insolito.

Eppure il diritto umanitario internazionale richiede che tutti gli Stati “rispettino e assicurino il rispetto” delle leggi di guerra; la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo richiede che tutti gli Stati promuovano “il rispetto e l’osservanza universali dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. Perciò, quando i governi si lavano le mani di fronte a Gaza e agli attivisti che cercano di aiutare la sua gente, essi si lavano le mani anche di fronte a questi impegni.

Quindi cerchiamo di considerare la sfida della flottiglia di Gaza per quello che realmente è: essa non riguarda la possibilità che alcune navi raggiungano Gaza con successo, o che vengano consegnate alcune tonnellate di aiuti; né riguarda la delegittimazione di Israele. In effetti tale sfida riguarda la questione più fondamentale di tutte: se debba prevalere lo stato di diritto o la legge del più forte. In fin dei conti, non è solo l’assedio a Gaza che gli attivisti della flottiglia stanno sfidando, ma l’assedio al diritto internazionale. Dunque, sì, sono d’accordo con Ron Prosor: quella della flottiglia è “un’agenda politica radicale”.

Richard Irvine è un autore irlandese; è titolare di un corso alla Queen’s University di Belfast intitolato “The Battle for Palestine”, che esplora l’intera storia del conflitto; ha lavorato come volontario nei campi profughi palestinesi in Libano e in Cisgiordania

(Traduzione di Roberto Iannuzzi)

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9 Commenti:

Alle 29 giugno 2011 alle ore 13:27 , Anonymous Ale ha detto...

Inermi civili? Volevano passare il confine ed entrare in Israele!! E' mai possibile un tale odio? Cosa avrebbero fatto la Francia,l'Inghilterra la Russia al posto di Israele? Quale Paese farebbe tranquillamente passare dei clandestini che tagliano le recinzioni e creano tafferugli al confine? Cazzo!Siamo davvero alla frutta!

 
Alle 29 giugno 2011 alle ore 14:59 , Blogger vichi ha detto...

"Inermi" sta a significare che si trattava di persone disarmate e che non ponevano alcuna minaccia verso le truppe israeliane, come riconosciuto peraltro dalle stesse Idf.

E già questo di per sé è un crimine umanitario e una violazione delle stesse regole israeliane di ingaggio e uso delle armi da fuoco, che dovrebbe essere investigata (ma da chi, dagli assassini?).

Per il resto, la Francia, l'Inghilterra, l'Italia e l'universo mondo non occupano manu militari territori non propri. Israele è l'unico caso al mondo di stato riconosciuto ma dai confini, come dire, incerti...

Chiudo ricordando che il diritto al ritorno è un diritto scolpito nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Ma la parola "diritto", e soprattutto "diritti umani", in israele evidentemente ha un altro significato rispetto alle nazioni civili.

Siamo proprio alla frutta, hai ragione, di fronte a tanto cieco e ignorante fanatismo.

 
Alle 29 giugno 2011 alle ore 22:00 , Anonymous Ale ha detto...

E' veramente demoralizzante vederti rimpastare sempre la stessa pappa. Te ne devo dare atto, con la gente ignorante ci sai fare. Ma chiunque abbia un briciolo di buon senso capirebbe da sè che uno stato non può permettere l'immigrazione clandestina,per di più violenta. Non capisco se concordi o no sul fatto che nessuno stato lo permetterebbe...potresti rispondere con argomentazioni valide una volta tanto..

 
Alle 1 luglio 2011 alle ore 16:02 , Anonymous Anonimo ha detto...

l'italia ha perso alcuni territori dopo aver perso una guerra,la francia e l'inghilterra hanno fatto la loro fortuna dopo aver occupato territori illegalmente in tutto il mondo e li difendevano con la forza.quindi qulsiasi paragone con questi stati non ti conviene

 
Alle 3 luglio 2011 alle ore 03:23 , Blogger vichi ha detto...

Gira che ti rigira la frittata è sempre la stessa, israele occupa territori non suoi in chiara violazione del diritto internazionale, come tra l'altro affermato dall'Icj dell'Aja.

Parlare poi di "immigrazione clandestina" con riferimento a gente che vuole andare a GAZA mi sembra francamente ridicolo...

 
Alle 3 luglio 2011 alle ore 14:25 , Anonymous Ale ha detto...

Immigrazione clandestina riferita ai tentativi di penetrare in territorio israeliano dalla Siria e Libano poco tempo fa.
La tua frittata è sempre la stessa,ed è pure andata a male. Quando mai fatah e hamas hanno rispettato il diritto internazionale?Con shalit?con i missili sui civili inermi da Gaza? Fanculo l'organizzazione fantoccio ONU,come fa a definirsi democratica avendo la maggior parte dei membri antidemocratici? Quanti sono gli Stati Arabi nel mondo? Sono loro a decidere le leggi internazionali perchè sono la maggioranza! Siamo nel cuore di Eurabia!

 
Alle 3 luglio 2011 alle ore 15:54 , Anonymous Ale ha detto...

per la cronaca,un altro razzo è stato lanciato oggi da Gaza,e gli Israeliani non hanno mosso un dito...

 
Alle 4 luglio 2011 alle ore 18:26 , Anonymous Anonimo ha detto...

israele occupa territori di stati(egitto,giordania,siria) che hanno perso delle guerre, e chiunque abbia perso nei secoli ha dovuto cedere dei territori,per di più se paesi attaccanti.
potevano accettare di riprenderseli con i trattati di pace e poi darli ai palestinesi.
perchè non l'hanno fatto?

 
Alle 6 luglio 2011 alle ore 10:22 , Blogger vichi ha detto...

Ripeto, ancora una volta. Israele occupa illegalmente territori non propri, che non a caso le organizzazioni internazioni definiscono come TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI (in inglese oPT).

Ciò premesso, qui la questione è un'altra e ulteriore rispetto a questa, la libertà di movimento da e per Gaza, e il fatto che l'embargo alla Striscia costituisce una punizione collettiva vietata come tale dal diritto umanitario.

In sintesi, israele, un paese fondato sull'illegalità e sul crimine.

 

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