14 settembre 2004

Arafat a rischio di espulsione o di assassinio?

In una intervista rilasciata oggi al quotidiano Yedioth Ahronoth, il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha nuovamente rilanciato l'ipotesi di espellere Arafat dalla Cisgiordania.
Si tratta dell'ennesima minaccia pronunciata contro Arafat da esponenti del governo israeliano, evidentemente non paghi di tenerlo confinato tra le macerie del suo quartier generale di Ramallah ormai da più di due anni.
In tal senso, infatti, durante i giorni scorsi si erano già espressi il ministro della difesa Mofaz ("Israele troverà il modo ed il tempo giusti per rimuovere Yasser Arafat dalla regione") ed il ministro degli esteri Shalom ("l'espulsione di Arafat è più vicina che mai").
Questa volta, tuttavia, la questione sembra essere ben diversa, visto che Sharon, nell'intervista odierna, ha dichiarato di non vedere differenza tra Arafat e i leader di Hamas Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi, entrambi vittime qualche mese fa di assassinii extra-giudiziari da parte di Israele.
Tutti e tre infatti, secondo Sharon, "hanno scelto una politica di morte; come abbiamo agito contro altri assassini, così agiremo contro Arafat".
A questo punto, tuttavia, Sharon dovrebbe mettersi d'accordo con sé stesso dato che, con gli altri "assassini" da lui citati, l'opzione scelta non è stata certo quella dell'espulsione!
Ma dovrebbe mettersi d'accordo anche con Shimon Peres, il quale, giusto ieri, ha ribadito che Arafat meritò, senza dubbio alcuno, il Nobel per la pace conferitogli nel 1994.
Secondo Peres, "a Oslo Arafat fece molto: riconobbe lo Stato di Israele, accettò la linea di demarcazione in vigore fino al 1967 come futuro confine dello Stato palestinese, denunciò il terrorismo, si impegnò per la pace; si, penso proprio che si sia meritato il premio Nobel".
Ma insomma, dunque, Arafat è un terrorista o un uomo di pace?
In ogni caso, la progettata "rimozione" di Arafat dai Territori occupati, con il mezzo che Israele riterrà "appropriato", è destinata a scontrarsi con la netta contrarietà degli Usa a tale ipotesi e, soprattutto, con la posizione tenuta dall'Unione europea.
La scorsa settimana, infatti, sia il ministro degli esteri danese Bernard Bot - in qualità di Presidente di turno del Consiglio europeo dei ministri degli esteri - sia il ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer hanno ribadito, per l'ennesima volta, la richiesta europea di porre fine al confino di Arafat alla Muqata e la necessità di coinvolgerlo nuovamente nel processo di pace.
Come andrà a finire, Israele procederà per davvero all'espulsione (o all'assassinio...) di Arafat ovvero continuerà a tenerlo confinato in quel di Ramallah?
La prima ipotesi, in verità, sembra poco probabile, sia per le conseguenze che, sul piano internazionale, ne deriverebbero ad Israele, ormai a rischio di sanzioni dopo la pronuncia dell'Icj dell'Aja sulla illegalità del muro di "sicurezza", e sia per il rischio di una vera e propria sollevazione popolare che inevitabilmente seguirebbe ad una tale azione.
Tenere Arafat in vita, ma "congelato", serve invece ad Israele per poter sostenere che, tra i Palestinesi, non vi è un partner idoneo per trattare la pace, per poter definire ormai morta la road map e, in definitiva, per continuare a fare i propri comodi senza tener conto neanche di quei pochi obblighi che la road map stessa poneva in capo ad Israele.
Ma si sa, con gli Israeliani non si è mai sicuri di niente!

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