Un commento ai fatti di Gaza
Dall'amico Mauro Manno ricevo e pubblico questo interessante commento sugli ultimi, tragici avvenimenti nella Striscia di Gaza e sulla profonda crisi dell'esperimento sionista.
Cosa succede ai palestinesi? Invece di lottare contro una delle più orribili occupazioni della storia, il popolo palestinese si divide e si fa la guerra civile?
Chi è privo di strumenti per capire cosa stia avvenendo oggi in tutto il Medio Oriente potrebbe giungere a questa conclusione. Ma sbaglierebbe, perché non comprende che quanto più si addensano le difficoltà per gli oppressori, e quanto più si fanno scure le nubi della tempesta, tanto più essi tramano complotti per tentare di restare a galla.
Per orientarsi nella complessa situazione di una regione in cui si sono accumulate tante contraddizioni, sono state commesse tante ingiustizie e in cui le speranze di soluzione sono andate regolarmente ad infrangersi contro le forze del sionismo e dell’imperialismo americano, è assolutamente necessario guardare la realtà con attenzione e senza quei metri di giudizio che ci derivano da schemi mentali vecchi e sorpassati, oltretutto, occidentali. Primo tra questi quello tipico della cosiddetta sinistra che considera sempre positivo il laicismo, negativo tutto quello che è religioso. Nel nostro caso, stiamo parlando di Hamas.
È un tipico errore dell’Occidente dove le forze della religione hanno avuto storicamente un ruolo di conservazione rispetto alle forze del liberalismo e del socialismo. Altro errore sempre più diffuso è quello di equiparare i movimenti religiosi nel mondo islamico con l’estremismo o il terrorismo.
Il piano sionista
La vittoria elettorale del 2005 di Hamas, un movimento di liberazione fortemente caratterizzato dalla religione islamica, ha precipitato nella confusione e nello spavento i sionisti e gli imperialisti americani. Dopo il fallimento di Oslo, era naturale che una situazione di stallo nelle “trattative”, accompagnata dalla continua e selvaggia colonizzazione da parte di Israele, sfociasse nel progressivo indebolimento di quelle forze come Fatah che avevano puntato sul processo di “pace” e, in mancanza di risultati, avevano finito per costituire un regime (senza Stato) mantenuto dalla corruzione derivante dalla spartizione degli “aiuti” americani e europei. Di questi ben poco giungeva al popolo palestinese e quel poco che esso otteneva sotto forma di sovrastruttura civile, veniva immediatamente distrutto dagli interventi militari israeliani.
Il progetto israeliano era quello di indebolire sempre più il Presidente Arafat prima e Abu Mazen dopo e tutta l’Autorità Nazionale Palestinese. Contemporaneamente il piano di Sharon prevedeva la creazione unilaterale, sul campo, di una situazione irreversibile, col muro, gli insediamenti ebraici e i bantustan palestinesi. I due processi - indebolimento ANP e bantustan palestinesi - dovevano portare alla fine alla “pace”: Agli israeliani il 90% della Cisgiordania e il 100% di Gerusalemme Est, tutta l’acqua della Palestina e il controllo dei confini; ai palestinesi un pugno di mosche, cioè quattro prigioni a cielo aperto divise tra di loro che il mondo occidentale avrebbe accettat come “Stato Palestinese”. La prima di queste prigioni era Gaza, che Sharon ha sgomberato nel 2006.
La Road Map, come ha ammesso recentemente perfino un generale israeliano, era solo un pretesto per prendere tempo, uno specchietto per le allodole per l’UE, i governi occidentali e la gente di buone intenzioni ma di cervello limitato. (1)
Questo piano coloniale e razzista veniva sconvolto dalla vittoria di Hamas. Se una ANP indebolita e corrotta, mantenuta coi denari dell’Occidente, se un presidente incapace e insignificante come Abu Mazen, avrebbero forse accettato un “compromesso” come quello pensato dai sionisti, era evidente che Hamas non lo avrebbe mai fatto. Il popolo palestinese aveva eletto democraticamente i suoi rappresentanti perché non lo facessero.
Per gli USA e i sionisti, le elezioni rappresentavano una sconfitta di cui vendicarsi al più presto.
Stati Uniti e Israele
Qui s’impone un chiarimento sulle differenze e le convergenze tra la politica mediorientale degli Stati Uniti e quella di Israele e della lobby ebraica in America. Chi parla dell’importanza della lobby ebraica nella società americana e della sua incidenza nella politica mediorientale degli Stati Uniti viene spesso, se non sempre, accusato di esagerarne il ruolo e di sminuire il carattere imperialista degli USA in Medio Oriente. Lo si accusa, in altri termini, di pensare che l’intervento imperialista USA in Medio Oriente sarebbe positivo se non ci fosse la lobby o Israele. Questa critica ne nasconde un’altra ben più maligna, che cioè chi parla della lobby cela dietro il termine l’idea del complotto ebraico che con l’inganno è penetrato nell’apparato decisionale americano e ne distorce la politica a suo favore, secondo un piano di dominio mondiale ebraico del tipo “Protocolli dei Savi di Sion”. Sciocchezze !
L’obiettivo della superpotenza imperialista americana è il dominio sul Medio Oriente. Ciò comporta: 1) l’eliminazione di tutte le forze, paesi o partiti e movimenti, che si oppongono ad esso, 2) il sostegno a Israele agli stati “moderati” (stati clienti) come Egitto, Giordania, paesi del Golfo e Arabia Saudita, 3) la creazione di uno Stato debole e federale in Iraq dove Kurdi, Sciiti e Sunniti si contrastino a vicenda in un equilibrio precario di cui si fanno garanti gli americani con una loro presenza stabile nel paese, 4) il contenimento, accerchiamento e sovversione (Regime Change) o, se necessario, bombardamento e eventualmente invasione dei paesi “canaglia” Iran e Siria. 5) il rafforzamento delle forze filo-occidentali in Libano e soluzione favorevole a Israele e all’America della situazione di stallo nel paese, con il disarmo e lo smantellamento di Hezbollah.
In Palestina l’obiettivo della superpotenza americana richiede l’appoggio alle forza filo-occidentali di Fatah e il disarmo e smantellamento di Hamas, ma anche la creazione di uno staterello palestinese da affidare a un governo amico degli USA e di Israele.
Sembrerebbe dunque che gli obiettivi americani e quelli israeliani coincidano esattamente ma non è proprio così.
Gli Usa, per garantirsi una supremazia duratura e possibilmente poco costosa nella regione, sarebbero disposti alla creazione di uno Stato palestinese viabile su quei territori che la Risoluzione 242 chiede a Israele di liberare. Nel passato hanno chiesto a Israele di smantellare la maggior parte delle colonie e qualche serio compromesso territoriale (scambio di territori). Sinceramente non vedo perché gli Stati Uniti dovrebbero opporsi alla creazione di uno Staterello palestinese possibilmente amico e riconoscente. Un altro Stato cliente come la Giordania o forse in qualche modo associato ad essa. Il che farebbe felice Abdallah, il figlio del “piccolo re”.
Cosa ci perderebbero gli Usa dalla creazione di un simile Stato? Niente. Ci guadagnerebbero invece moltissimo perché vedrebbero rafforzata la loro posizione nella regione, darebbero un aiuto importante agli stati “moderati” arabi, toglierebbero una ragione di reclutamento ad Al Qaida e indebolirebbero enormemente l’influenza di Siria e Iran in Medio Oriente. Ma gli Usa possono operare per la creazione di uno Staterello palestinese?
Verrebbe spontaneo dire che, siccome gli Usa sono l’unica superpotenza rimasta, essi possono fare quello che vogliono e possono costringere Israele a cedere ai palestinesi i territori occupati nel 1967, ma sarebbe dire cosa non esatta. Se così non fosse dovremmo concludere che gli Stati Uniti, visto che fino ad ora non è avvenuto alcun ritiro israeliano, non vogliono assolutamente uno Stato palestinese. Perché mai non dovrebbero volerlo? Per prestare ancora il fianco al terrorismo internazionale? O per qualche altra ragione economica? C’è forse petrolio o incredibili ricchezze nei territori occupati da Israele? Ne trae forse l’America qualche sostanzioso guadagno?
La potenza degli Stati Uniti non è illimitata. Lo si è capito dall’incapacità americana di vincere in Iraq. Ma la potenza Usa è limitata anche dal sistema delle lobby a Washington. Così gli Stati Uniti non possono operare liberamente per la nascita di uno Staterello palestinese, come hanno fatto a danno del loro alleato indonesiano per la costituzione dello Stato di Timor orientale. Negli Stati Uniti la forza della Lobby ebraica nel Congresso e l’influenza che esercita in entrambi i partiti Democratico e Repubblicano impedisce a qualsiasi potere esecutivo di ottenere il ritiro israeliano dai territori occupati. Dovrebbe essere chiaro ormai dopo il grande dibattito sorto sulla Lobby in seguito alle accuse circostanziate di voci autorevoli quali quelle di Mersheimer e Walt, Jimmy Carter, George Soros, James Petras, Norman Finkelstein, Scott Ritter, il Financial Time, ecc. (2)
Chi è privo di strumenti per capire cosa stia avvenendo oggi in tutto il Medio Oriente potrebbe giungere a questa conclusione. Ma sbaglierebbe, perché non comprende che quanto più si addensano le difficoltà per gli oppressori, e quanto più si fanno scure le nubi della tempesta, tanto più essi tramano complotti per tentare di restare a galla.
Per orientarsi nella complessa situazione di una regione in cui si sono accumulate tante contraddizioni, sono state commesse tante ingiustizie e in cui le speranze di soluzione sono andate regolarmente ad infrangersi contro le forze del sionismo e dell’imperialismo americano, è assolutamente necessario guardare la realtà con attenzione e senza quei metri di giudizio che ci derivano da schemi mentali vecchi e sorpassati, oltretutto, occidentali. Primo tra questi quello tipico della cosiddetta sinistra che considera sempre positivo il laicismo, negativo tutto quello che è religioso. Nel nostro caso, stiamo parlando di Hamas.
È un tipico errore dell’Occidente dove le forze della religione hanno avuto storicamente un ruolo di conservazione rispetto alle forze del liberalismo e del socialismo. Altro errore sempre più diffuso è quello di equiparare i movimenti religiosi nel mondo islamico con l’estremismo o il terrorismo.
Il piano sionista
La vittoria elettorale del 2005 di Hamas, un movimento di liberazione fortemente caratterizzato dalla religione islamica, ha precipitato nella confusione e nello spavento i sionisti e gli imperialisti americani. Dopo il fallimento di Oslo, era naturale che una situazione di stallo nelle “trattative”, accompagnata dalla continua e selvaggia colonizzazione da parte di Israele, sfociasse nel progressivo indebolimento di quelle forze come Fatah che avevano puntato sul processo di “pace” e, in mancanza di risultati, avevano finito per costituire un regime (senza Stato) mantenuto dalla corruzione derivante dalla spartizione degli “aiuti” americani e europei. Di questi ben poco giungeva al popolo palestinese e quel poco che esso otteneva sotto forma di sovrastruttura civile, veniva immediatamente distrutto dagli interventi militari israeliani.
Il progetto israeliano era quello di indebolire sempre più il Presidente Arafat prima e Abu Mazen dopo e tutta l’Autorità Nazionale Palestinese. Contemporaneamente il piano di Sharon prevedeva la creazione unilaterale, sul campo, di una situazione irreversibile, col muro, gli insediamenti ebraici e i bantustan palestinesi. I due processi - indebolimento ANP e bantustan palestinesi - dovevano portare alla fine alla “pace”: Agli israeliani il 90% della Cisgiordania e il 100% di Gerusalemme Est, tutta l’acqua della Palestina e il controllo dei confini; ai palestinesi un pugno di mosche, cioè quattro prigioni a cielo aperto divise tra di loro che il mondo occidentale avrebbe accettat come “Stato Palestinese”. La prima di queste prigioni era Gaza, che Sharon ha sgomberato nel 2006.
La Road Map, come ha ammesso recentemente perfino un generale israeliano, era solo un pretesto per prendere tempo, uno specchietto per le allodole per l’UE, i governi occidentali e la gente di buone intenzioni ma di cervello limitato. (1)
Questo piano coloniale e razzista veniva sconvolto dalla vittoria di Hamas. Se una ANP indebolita e corrotta, mantenuta coi denari dell’Occidente, se un presidente incapace e insignificante come Abu Mazen, avrebbero forse accettato un “compromesso” come quello pensato dai sionisti, era evidente che Hamas non lo avrebbe mai fatto. Il popolo palestinese aveva eletto democraticamente i suoi rappresentanti perché non lo facessero.
Per gli USA e i sionisti, le elezioni rappresentavano una sconfitta di cui vendicarsi al più presto.
Stati Uniti e Israele
Qui s’impone un chiarimento sulle differenze e le convergenze tra la politica mediorientale degli Stati Uniti e quella di Israele e della lobby ebraica in America. Chi parla dell’importanza della lobby ebraica nella società americana e della sua incidenza nella politica mediorientale degli Stati Uniti viene spesso, se non sempre, accusato di esagerarne il ruolo e di sminuire il carattere imperialista degli USA in Medio Oriente. Lo si accusa, in altri termini, di pensare che l’intervento imperialista USA in Medio Oriente sarebbe positivo se non ci fosse la lobby o Israele. Questa critica ne nasconde un’altra ben più maligna, che cioè chi parla della lobby cela dietro il termine l’idea del complotto ebraico che con l’inganno è penetrato nell’apparato decisionale americano e ne distorce la politica a suo favore, secondo un piano di dominio mondiale ebraico del tipo “Protocolli dei Savi di Sion”. Sciocchezze !
L’obiettivo della superpotenza imperialista americana è il dominio sul Medio Oriente. Ciò comporta: 1) l’eliminazione di tutte le forze, paesi o partiti e movimenti, che si oppongono ad esso, 2) il sostegno a Israele agli stati “moderati” (stati clienti) come Egitto, Giordania, paesi del Golfo e Arabia Saudita, 3) la creazione di uno Stato debole e federale in Iraq dove Kurdi, Sciiti e Sunniti si contrastino a vicenda in un equilibrio precario di cui si fanno garanti gli americani con una loro presenza stabile nel paese, 4) il contenimento, accerchiamento e sovversione (Regime Change) o, se necessario, bombardamento e eventualmente invasione dei paesi “canaglia” Iran e Siria. 5) il rafforzamento delle forze filo-occidentali in Libano e soluzione favorevole a Israele e all’America della situazione di stallo nel paese, con il disarmo e lo smantellamento di Hezbollah.
In Palestina l’obiettivo della superpotenza americana richiede l’appoggio alle forza filo-occidentali di Fatah e il disarmo e smantellamento di Hamas, ma anche la creazione di uno staterello palestinese da affidare a un governo amico degli USA e di Israele.
Sembrerebbe dunque che gli obiettivi americani e quelli israeliani coincidano esattamente ma non è proprio così.
Gli Usa, per garantirsi una supremazia duratura e possibilmente poco costosa nella regione, sarebbero disposti alla creazione di uno Stato palestinese viabile su quei territori che la Risoluzione 242 chiede a Israele di liberare. Nel passato hanno chiesto a Israele di smantellare la maggior parte delle colonie e qualche serio compromesso territoriale (scambio di territori). Sinceramente non vedo perché gli Stati Uniti dovrebbero opporsi alla creazione di uno Staterello palestinese possibilmente amico e riconoscente. Un altro Stato cliente come la Giordania o forse in qualche modo associato ad essa. Il che farebbe felice Abdallah, il figlio del “piccolo re”.
Cosa ci perderebbero gli Usa dalla creazione di un simile Stato? Niente. Ci guadagnerebbero invece moltissimo perché vedrebbero rafforzata la loro posizione nella regione, darebbero un aiuto importante agli stati “moderati” arabi, toglierebbero una ragione di reclutamento ad Al Qaida e indebolirebbero enormemente l’influenza di Siria e Iran in Medio Oriente. Ma gli Usa possono operare per la creazione di uno Staterello palestinese?
Verrebbe spontaneo dire che, siccome gli Usa sono l’unica superpotenza rimasta, essi possono fare quello che vogliono e possono costringere Israele a cedere ai palestinesi i territori occupati nel 1967, ma sarebbe dire cosa non esatta. Se così non fosse dovremmo concludere che gli Stati Uniti, visto che fino ad ora non è avvenuto alcun ritiro israeliano, non vogliono assolutamente uno Stato palestinese. Perché mai non dovrebbero volerlo? Per prestare ancora il fianco al terrorismo internazionale? O per qualche altra ragione economica? C’è forse petrolio o incredibili ricchezze nei territori occupati da Israele? Ne trae forse l’America qualche sostanzioso guadagno?
La potenza degli Stati Uniti non è illimitata. Lo si è capito dall’incapacità americana di vincere in Iraq. Ma la potenza Usa è limitata anche dal sistema delle lobby a Washington. Così gli Stati Uniti non possono operare liberamente per la nascita di uno Staterello palestinese, come hanno fatto a danno del loro alleato indonesiano per la costituzione dello Stato di Timor orientale. Negli Stati Uniti la forza della Lobby ebraica nel Congresso e l’influenza che esercita in entrambi i partiti Democratico e Repubblicano impedisce a qualsiasi potere esecutivo di ottenere il ritiro israeliano dai territori occupati. Dovrebbe essere chiaro ormai dopo il grande dibattito sorto sulla Lobby in seguito alle accuse circostanziate di voci autorevoli quali quelle di Mersheimer e Walt, Jimmy Carter, George Soros, James Petras, Norman Finkelstein, Scott Ritter, il Financial Time, ecc. (2)
Per Israele è questione fondamentale inglobare quanto più territori possibile e impossessarsi delle riserve idriche di tutta la Palestina. Questo è essenziale per uno Stato che punta sull’immigrazione ebraica e che necessita di territori più estesi per difendersi dai paesi arabi circostanti con cui non è riuscito o non ha voluto realizzare la pace e la convivenza. Israele ha quindi affidato alla sua lobby in America il compito importantissimo di impedire la nascita di uno Stato palestinese su tutti i territori occupati, con le sue riserve d’acqua (maggiori di quelle di Israele) con un esercito proprio e il controllo dei suoi confini. Se un eventuale Stato palestinese dovesse controllare le proprie riserve idriche, avere propri confini e un esercito per difenderli, per Israele diventerebbe un prolungamento degli altri paesi arabi e una minaccia allo Stato ebraico. È quindi vitale per Israele, ma non per gli Stati Uniti, che non nasca uno Stato palestinese normale e che i palestinesi siano rinchiusi in prigioni a cielo aperto circondate dal muro dell’apartheid e da filo spinato. Come a Gaza, che pur essendo stata sgomberata dipende in tutto e per tutto da Israele e non ha il controllo della sua frontiera con l’Egitto né il controllo della sua costa e fascia marittima prospiciente.
La situazione attuale a Gaza e in Cisgiordania
Gli obiettivi israeliani e quelli americani, quindi, in parte coincidono (su Hamas e il governo Palestinese), in parte divergono (sulla costituzione di uno Stato palestinese, piccolo, ma viabile). L’isolamento di Hamas e l’appoggio a Fatah e Abu Mazen sono obiettivi comuni. Per Israele, perché Hamas non accetterà mai i Bantustan; per gli americani, perché la Palestina governata da Hamas può essere, con Hezbollah e la Siria, un altro importante alleato dell’Iran contro i moderati arabi e contro il dominio USA sul Medio Oriente.
È comprensibile quindi che i sionisti e gli americani, trascinandosi dietro l’inetta, vile e insignificante Unione Europea, abbiano iniziato a tramare per rovesciare il governo legittimo di Hamas prima, e il governo di Unità Nazionale (nato con l’accordo della Mecca) poi. Lo apprendiamo dagli stessi giornali israeliani o dalle grandi Agenzie di Stampa. (3)
Il primo passo è stato l’imposizione di sanzioni economiche, blocco dei fondi palestinesi, blocco economico di Gaza e Cisgiordania. Quindi si è iniziato a tramare per il rovesciamento armato di Hamas. In questa sporca operazione segreta, iniziata assai presto, l’uomo chiave di Israele e di Bush è stato Mohammad Dahlan.
Questo criminale, responsabile delle forze di sicurezza di Fatah, ha accettato i piani israelo-americani, facendo istruire con dollari Usa (60 milioni) e con istruttori della Cia, diretti dal luogotenente-generale Keith Dayton, giovani disoccupati, e uomini di Fatah. Preparati in Egitto con la complicità dei governi egiziano e giordano questi uomini venivano fatti affluire nella Striscia di Gaza in vari gruppi, piccoli ma ben equipaggiati, in modo da costituire quelle forze che una volta diventate forti e numerose avrebbero dovuto fare contro Hamas quello che invece preventivamente ha fatto Hamas contro Fatah, sventando il complotto ai suoi danni.
I combattimenti striscianti tra Hamas e Fatah a Gaza, che duravano da più di un mese, non erano il segno di una “guerra civile” come ci volevano far credere. Erano le avvisaglie della messa in opera del piano americano-sionista. In questi scontri preparatori, gli uomini di Dahlan hanno sempre avuto la peggio, perdendo molto materiale, oggi in mano ad Hamas. Disperato, Dahlan ha addirittura fatto richiesta a Israele di avere armi più potenti, mortai, lanciagranate e autoblindo. (4) Israele ha rifiutato temendo (come prevedibile) che esse finissero nelle mani degli islamici.
Chi ha attentamente studiato le immagini degli scontri definitivi a Gaza e Rafah, ha potuto notare grande partecipazione di folle accanto ai combattenti di Hamas. Ha potuto notare la partecipazione di molta gente alla cattura dei capi traditori e al loro sbeffeggiamento nelle strade cittadine. Nelle sue operazioni contro gli uomini di Dahlan, Hamas ha riscosso l’appoggio di altre organizzazioni politiche come i Comitati Popolari e organizzazioni e clan familiari patriottici.
Il rapido collasso di Fatah nella Striscia è la prova del totale isolamento dei traditori di Dahlan.
In questa vicenda, Abu Mazen si è dimostrato quello che è, un uomo debole e compromesso. Per qualche tempo ha cercato di difendere il governo di unità nazionale e le istituzioni parlamentari, in cui Hamas e i suoi alleati hanno la maggioranza, infine sotto la minaccia di essere dimesso da Fatah, o peggio, ha ceduto. (5) Ha sciolto il governo legittimo e nominato un governo “di transizione” con uomini di Dahlan, di Fatah e degli americani, presieduto dall’economista Fayyad, altro uomo di Bush. Tutto senza approvazione parlamentare.
È un colpo di Stato. Favorisce il piano strategico israeliano: dividere quel che resta della Palestina.
Prospettive
Ma quello che ora aspetta i Palestinesi è ancora più drammatico. Mentre Usa, Israele e UE (la cosiddetta Comunità Internazionale) si sono affrettati di riconoscere il governo non eletto di Fatah, togliendo le micidiali sanzioni imposte contro un governo democraticamente eletto, Israele si è subito mobilitato per chiudere Gaza in un cerchio di ferro. Blocco delle frontiere e delle esportazioni; niente più forniture di carburante, niente denari delle tasse palestinesi ingiustamente trattenuti e oggi dati ad Abbas. Sembra riuscito il piano di mettere palestinesi contro palestinesi; di affamare e massacrare chi si oppone a Israele con la complicità di chi invece piega il capo.
Abbas non otterrà nulla da Israele, mentre bisogna aspettarsi una nuova vasta campagna militare a Gaza, per distruggere Hamas.
Paradossalmente questi avvenimenti accadono nel momento in cui Israele si trova nella crisi più profonda della sua storia. Basta leggere i commenti al 40° della guerra dei 6 giorni (giugno 1967) per vedere come tutti i commentatori israeliani, identificano in quella “grande vittoria” di Israele la fine delle speranze di pace in Medio Oriente. Doveva mettere al sicuro lo Stato ebraico e invece lo ha reso più odiato e più isolato nella regione. Oggi è più debole di prima.
Tutti insistono sul degrado morale a cui l’esercito e tutta la società israeliana è andata incontro a causa della guerra condotta contro popolazioni civili nei territori occupati nel 1967 e in Libano. A causa dell’occupazione, dicono i commentatori, Israele è diventato uno paese paranoico e violento.
Questi mali, in realtà, hanno le radici nell’ideologia sionista e l’occupazione li ha solo messi a nudo.
Se n’è accorto l’ex presidente della Knesset, Avrahm Burg, il quale, dopo aver preso il passaporto francese ed essere emigrato nel paese del buon vino e dei buoni formaggi, ha dichiarato che “definire lo Stato di Israele come Stato ebraico è la chiave per giungere alla sua fine. Uno Stato ebraico è esplosivo. É dinamite”. Ha quindi ribadito meglio il concetto aggiungendo che la definizione di Israele come Stato “ ‘ebraico-democratico’ è nitroglicerina”. (6)
Avrahm Burg non è Mister Nessuno. É un sionista della prima ora e adesso ha capito che Israele non può essere ebraico e democratico contemporaneamente. O l’uno o l’altro. Se è ebraico, non può concedere uguali diritti ai palestinesi, quindi è uno Stato razzista di apartheid. Se è democratico deve offrire uguali diritti a ebrei e palestinesi e quindi non è ebraico. Uno Stato “ebraico-democratico” è nitroglicerina perché un tale Stato di può realizzare solo con l’espulsione di tutti i palestinesi. Una operazione nazista.
Burg ha capito la contraddizione del sionismo, per questo ha lasciato Israele. Meglio avrebbe fatto a restare nel suo paese e battersi per un unico Stato democratico per ebrei e palestinesi, uno Stato normale come il Sudafrica post-apartheid, come l’Italia o la Francia, sua nuova patria di elezione. Come lui si stanno comportando decine di migliaia di giovani israeliani che chiedono il passaporto dei paesi Europei o degli Stati Uniti e vengono a vivere una vita normale in Occidente. È l’inizio della fine dello Stato sionista.
Lo Stato ebraico, comunque, non sta solo attraversando la sua peggiore crisi morale. Essa porterà indubbiamente alla fine dell’esperimento sionista. Ma le crisi morali necessitano di tempo per giungere a maturazione e portare i frutti definitivi. Israele in crisi potrebbe durare ancora a lungo. Quello che preme sottolineare è invece che, per la prima volta dalla sua fondazione, lo Stato ebraico è entrato in una vera e propria agonia.
Finora gli analisti israeliani hanno sempre messo in rilievo la forza militare di Israele, le sue vittorie lampo, e, in contrapposizione, le cocenti sconfitte degli Stati arabi.
Nell’ultimo anno, il corso degli avvenimenti sembra essersi rovesciato. Nel 2006, il potente esercito israeliano ha subito la prima vera sconfitta della sua storia. La milizia islamica di Hamas ha umiliato Israele portando la guerra sul territorio israeliano e mantenendovela per tutto il corso delle operazioni militari. È un principio militare israeliano quello di fare la guerra sul territorio del nemico, devastandolo il più possibile. L’anno scorso, benché l’esercito sionista avese scatenato una guerra di sorpresa e invaso il Sud del Libano, Hezbollah è riuscita ad inchiodarlo sul terreno per un mese e contemporaneamente colpire profondamente il territorio nemico. Città sono state evacuate, strutture militari distrutte, navi colpite, in Israele.
Alla fine uno dei più potenti eserciti del mondo ha dovuto ritirarsi e chiedere ai paesi amici, Italia e Francia, di andare in Libano per difendere le sue (di Israele) frontiere. Non si era mai visto.
Recentemente una secondo sconfitta, più piccola ma molto più significativa è stata inflitta al mostro dai piedi di argilla. Da Gaza sono partiti e possono riprendere a partire in qualsiasi momento i razzi Kassam verso il territorio israeliano. Israele ha cercato in tutti i modi di fermarli ma non ci è riuscito. Ha invece dovuto evacuare la città di Sderot.
Questa sconfitta è ancora più cocente per la stella di Davide. I palestinesi di Gaza infatti non hanno il retroterra di Hezbollah e i Kassam sono razzi primitivi e artigianali. Eppure hanno inflitto un danno militare e, ancor più, psicologico, che lo Stato più potente del Medio Oriente e lontano dal dimenticare.
Tutto questo interviene mentre gli americani si trovano impantanati in Iraq e mentre in America, per la prima volta si alzano le voci contro la lobby ebraica. Il tempo sembra giocare contro Israele e gli americani.
Siamo certi che la piccola rivincita che Israele e gli americani hanno ottenuto con l’operazione Abu Mazen-Dahlan, sarà di corta durata. Il popolo palestinese saprà riconoscere i suoi veri dirigenti.
I venti della tempesta si calmeranno e allora il sereno non potrà essere lontano. Le condizioni maturano per la costituzione di un solo Stato democratico in Palestina. Nostro compito è quello di isolare Israele e impedire un colpo di testa nucleare sionista, il quale porterebbe certo ad un terribile bagno di sangue ma anche ad una ancora più rapida dissoluzione dello Stato sionista.
La situazione attuale a Gaza e in Cisgiordania
Gli obiettivi israeliani e quelli americani, quindi, in parte coincidono (su Hamas e il governo Palestinese), in parte divergono (sulla costituzione di uno Stato palestinese, piccolo, ma viabile). L’isolamento di Hamas e l’appoggio a Fatah e Abu Mazen sono obiettivi comuni. Per Israele, perché Hamas non accetterà mai i Bantustan; per gli americani, perché la Palestina governata da Hamas può essere, con Hezbollah e la Siria, un altro importante alleato dell’Iran contro i moderati arabi e contro il dominio USA sul Medio Oriente.
È comprensibile quindi che i sionisti e gli americani, trascinandosi dietro l’inetta, vile e insignificante Unione Europea, abbiano iniziato a tramare per rovesciare il governo legittimo di Hamas prima, e il governo di Unità Nazionale (nato con l’accordo della Mecca) poi. Lo apprendiamo dagli stessi giornali israeliani o dalle grandi Agenzie di Stampa. (3)
Il primo passo è stato l’imposizione di sanzioni economiche, blocco dei fondi palestinesi, blocco economico di Gaza e Cisgiordania. Quindi si è iniziato a tramare per il rovesciamento armato di Hamas. In questa sporca operazione segreta, iniziata assai presto, l’uomo chiave di Israele e di Bush è stato Mohammad Dahlan.
Questo criminale, responsabile delle forze di sicurezza di Fatah, ha accettato i piani israelo-americani, facendo istruire con dollari Usa (60 milioni) e con istruttori della Cia, diretti dal luogotenente-generale Keith Dayton, giovani disoccupati, e uomini di Fatah. Preparati in Egitto con la complicità dei governi egiziano e giordano questi uomini venivano fatti affluire nella Striscia di Gaza in vari gruppi, piccoli ma ben equipaggiati, in modo da costituire quelle forze che una volta diventate forti e numerose avrebbero dovuto fare contro Hamas quello che invece preventivamente ha fatto Hamas contro Fatah, sventando il complotto ai suoi danni.
I combattimenti striscianti tra Hamas e Fatah a Gaza, che duravano da più di un mese, non erano il segno di una “guerra civile” come ci volevano far credere. Erano le avvisaglie della messa in opera del piano americano-sionista. In questi scontri preparatori, gli uomini di Dahlan hanno sempre avuto la peggio, perdendo molto materiale, oggi in mano ad Hamas. Disperato, Dahlan ha addirittura fatto richiesta a Israele di avere armi più potenti, mortai, lanciagranate e autoblindo. (4) Israele ha rifiutato temendo (come prevedibile) che esse finissero nelle mani degli islamici.
Chi ha attentamente studiato le immagini degli scontri definitivi a Gaza e Rafah, ha potuto notare grande partecipazione di folle accanto ai combattenti di Hamas. Ha potuto notare la partecipazione di molta gente alla cattura dei capi traditori e al loro sbeffeggiamento nelle strade cittadine. Nelle sue operazioni contro gli uomini di Dahlan, Hamas ha riscosso l’appoggio di altre organizzazioni politiche come i Comitati Popolari e organizzazioni e clan familiari patriottici.
Il rapido collasso di Fatah nella Striscia è la prova del totale isolamento dei traditori di Dahlan.
In questa vicenda, Abu Mazen si è dimostrato quello che è, un uomo debole e compromesso. Per qualche tempo ha cercato di difendere il governo di unità nazionale e le istituzioni parlamentari, in cui Hamas e i suoi alleati hanno la maggioranza, infine sotto la minaccia di essere dimesso da Fatah, o peggio, ha ceduto. (5) Ha sciolto il governo legittimo e nominato un governo “di transizione” con uomini di Dahlan, di Fatah e degli americani, presieduto dall’economista Fayyad, altro uomo di Bush. Tutto senza approvazione parlamentare.
È un colpo di Stato. Favorisce il piano strategico israeliano: dividere quel che resta della Palestina.
Prospettive
Ma quello che ora aspetta i Palestinesi è ancora più drammatico. Mentre Usa, Israele e UE (la cosiddetta Comunità Internazionale) si sono affrettati di riconoscere il governo non eletto di Fatah, togliendo le micidiali sanzioni imposte contro un governo democraticamente eletto, Israele si è subito mobilitato per chiudere Gaza in un cerchio di ferro. Blocco delle frontiere e delle esportazioni; niente più forniture di carburante, niente denari delle tasse palestinesi ingiustamente trattenuti e oggi dati ad Abbas. Sembra riuscito il piano di mettere palestinesi contro palestinesi; di affamare e massacrare chi si oppone a Israele con la complicità di chi invece piega il capo.
Abbas non otterrà nulla da Israele, mentre bisogna aspettarsi una nuova vasta campagna militare a Gaza, per distruggere Hamas.
Paradossalmente questi avvenimenti accadono nel momento in cui Israele si trova nella crisi più profonda della sua storia. Basta leggere i commenti al 40° della guerra dei 6 giorni (giugno 1967) per vedere come tutti i commentatori israeliani, identificano in quella “grande vittoria” di Israele la fine delle speranze di pace in Medio Oriente. Doveva mettere al sicuro lo Stato ebraico e invece lo ha reso più odiato e più isolato nella regione. Oggi è più debole di prima.
Tutti insistono sul degrado morale a cui l’esercito e tutta la società israeliana è andata incontro a causa della guerra condotta contro popolazioni civili nei territori occupati nel 1967 e in Libano. A causa dell’occupazione, dicono i commentatori, Israele è diventato uno paese paranoico e violento.
Questi mali, in realtà, hanno le radici nell’ideologia sionista e l’occupazione li ha solo messi a nudo.
Se n’è accorto l’ex presidente della Knesset, Avrahm Burg, il quale, dopo aver preso il passaporto francese ed essere emigrato nel paese del buon vino e dei buoni formaggi, ha dichiarato che “definire lo Stato di Israele come Stato ebraico è la chiave per giungere alla sua fine. Uno Stato ebraico è esplosivo. É dinamite”. Ha quindi ribadito meglio il concetto aggiungendo che la definizione di Israele come Stato “ ‘ebraico-democratico’ è nitroglicerina”. (6)
Avrahm Burg non è Mister Nessuno. É un sionista della prima ora e adesso ha capito che Israele non può essere ebraico e democratico contemporaneamente. O l’uno o l’altro. Se è ebraico, non può concedere uguali diritti ai palestinesi, quindi è uno Stato razzista di apartheid. Se è democratico deve offrire uguali diritti a ebrei e palestinesi e quindi non è ebraico. Uno Stato “ebraico-democratico” è nitroglicerina perché un tale Stato di può realizzare solo con l’espulsione di tutti i palestinesi. Una operazione nazista.
Burg ha capito la contraddizione del sionismo, per questo ha lasciato Israele. Meglio avrebbe fatto a restare nel suo paese e battersi per un unico Stato democratico per ebrei e palestinesi, uno Stato normale come il Sudafrica post-apartheid, come l’Italia o la Francia, sua nuova patria di elezione. Come lui si stanno comportando decine di migliaia di giovani israeliani che chiedono il passaporto dei paesi Europei o degli Stati Uniti e vengono a vivere una vita normale in Occidente. È l’inizio della fine dello Stato sionista.
Lo Stato ebraico, comunque, non sta solo attraversando la sua peggiore crisi morale. Essa porterà indubbiamente alla fine dell’esperimento sionista. Ma le crisi morali necessitano di tempo per giungere a maturazione e portare i frutti definitivi. Israele in crisi potrebbe durare ancora a lungo. Quello che preme sottolineare è invece che, per la prima volta dalla sua fondazione, lo Stato ebraico è entrato in una vera e propria agonia.
Finora gli analisti israeliani hanno sempre messo in rilievo la forza militare di Israele, le sue vittorie lampo, e, in contrapposizione, le cocenti sconfitte degli Stati arabi.
Nell’ultimo anno, il corso degli avvenimenti sembra essersi rovesciato. Nel 2006, il potente esercito israeliano ha subito la prima vera sconfitta della sua storia. La milizia islamica di Hamas ha umiliato Israele portando la guerra sul territorio israeliano e mantenendovela per tutto il corso delle operazioni militari. È un principio militare israeliano quello di fare la guerra sul territorio del nemico, devastandolo il più possibile. L’anno scorso, benché l’esercito sionista avese scatenato una guerra di sorpresa e invaso il Sud del Libano, Hezbollah è riuscita ad inchiodarlo sul terreno per un mese e contemporaneamente colpire profondamente il territorio nemico. Città sono state evacuate, strutture militari distrutte, navi colpite, in Israele.
Alla fine uno dei più potenti eserciti del mondo ha dovuto ritirarsi e chiedere ai paesi amici, Italia e Francia, di andare in Libano per difendere le sue (di Israele) frontiere. Non si era mai visto.
Recentemente una secondo sconfitta, più piccola ma molto più significativa è stata inflitta al mostro dai piedi di argilla. Da Gaza sono partiti e possono riprendere a partire in qualsiasi momento i razzi Kassam verso il territorio israeliano. Israele ha cercato in tutti i modi di fermarli ma non ci è riuscito. Ha invece dovuto evacuare la città di Sderot.
Questa sconfitta è ancora più cocente per la stella di Davide. I palestinesi di Gaza infatti non hanno il retroterra di Hezbollah e i Kassam sono razzi primitivi e artigianali. Eppure hanno inflitto un danno militare e, ancor più, psicologico, che lo Stato più potente del Medio Oriente e lontano dal dimenticare.
Tutto questo interviene mentre gli americani si trovano impantanati in Iraq e mentre in America, per la prima volta si alzano le voci contro la lobby ebraica. Il tempo sembra giocare contro Israele e gli americani.
Siamo certi che la piccola rivincita che Israele e gli americani hanno ottenuto con l’operazione Abu Mazen-Dahlan, sarà di corta durata. Il popolo palestinese saprà riconoscere i suoi veri dirigenti.
I venti della tempesta si calmeranno e allora il sereno non potrà essere lontano. Le condizioni maturano per la costituzione di un solo Stato democratico in Palestina. Nostro compito è quello di isolare Israele e impedire un colpo di testa nucleare sionista, il quale porterebbe certo ad un terribile bagno di sangue ma anche ad una ancora più rapida dissoluzione dello Stato sionista.
[1] Vedi: The Independent on Sunday, 10 giugno 07 , “General who helped redraw the borders of Israel says road map to peace is a lie”, http://news.independent.co.uk/world/middle_east/article2640432.ece .
[2] Abbiamo già affrontato altrove il problema della lobby su cui, malgrado il grande dibattito in America, qui da noi, non giunge voce. Lo faremo nuovamente in uno scritto circostanziato di prossima pubbicazione.
[3] Vedi Ha’aretz, 18 giugno 07, “Hamastan and Fatahland, Ariel Sharon’s Dream”
http://www.haaretz.com/hasen/objects/pages/PrintArticleEn.jhtml?itemNo=871983 ,
Vedi Reuters, 18 giugno 07, “After Gaza, some question who was overthrowing whom”,
http://www.alertnet.org/thenews/newsdesk/L17443574.htm.
[4] Vedi Ha’aretz – 6 giugno 07, “Fatah to Israel: Let us get arms to fight Hamas”,
http://www.haaretz.com/hasen/spages/867987.html .
[5] Vedi Jerusalem Post, 14 giugno 07, “Fatah officials call for Mahmoud Abbas to resign”,
http://www.jpost.com/servlet/Satellite?cid=1181570268148&pagename=JPost/JPArticle/Printer
[6] Vedi: Ha’aretz , 10 giugno 07, "Leaving the Zionist ghetto”,
http://www.haaretz.com/hasen/pages/ShArt.jhtml?itemNo=868385&contrassID=2&subContrassID=14 .
2 Commenti:
analisi molto ben fatta, almeno per me, ovvio....
non sono proprio "vicino" alle posizioni di Hamas (sono ateo) ma è una formazione di quei posti, nata lì e culturalmente vicina alla popolazione che l'ha votata, come ben dici...
e barghuti? dalle carceri israeliane invita hamas a sciogliere il suo governo a gaza, l'ha chiamato colpo di stato....insomma, per me una mezza delusione...
ancora complimenti per il post
orso
Diciamo che la storia di questi ultimi due anni puo' essere riassunta così.
Gennaio 2006: libere e democratiche elezioni portano al potere Hamas, in parte per errori tattici di Fatah in parte per reazione alla corruzione della classe dirigente palestinese.
La comunità internazionale reagisce con un incredibile boicottaggio politico e soprattutto economico che mette in ginocchio l'Anp.
Giugno 2007: Abu Mazen con un vero e proprio "colpo di stato", ovvero con una serie di decreti che stravolgono la Basic Law palestinese, insedia un governo guidato dal tecnocrate Fayyad che non ha alcuna rappresentatività, escludendo dalla compagine ministeriale i rappresentanti legittimi di quasi la metà del popolo palestinese.
E Bush, nel suo incontro recente con Olmert, straparla di "libertà e democrazia"!
Se non si trattasse della tragedia di un popolo, verrebbe da sbellicarsi dalle risate.
Ciao,
Vichi
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