Ricostruire Gaza, ma non solo.
Si apre oggi a Sharm el-Sheikh la conferenza internazionale dei donatori per la ricostruzione della Striscia di Gaza ed il rilancio dell’economia palestinese, a sei settimane di distanza dalla fine dell’operazione “Piombo Fuso” scatenata da Israele contro un milione e mezzo di Palestinesi pressoché inermi.
Nel suo discorso di apertura il Presidente egiziano Hosni Mubarak, dopo aver preconizzato che questo “sarà l’anno di un accordo di pace tra Israeliani e Palestinesi” (ma non doveva essere il 2008?), ha affermato: “… ora la vera priorità è l’arrivo ad un accordo per la tregua tra Palestinesi ed Israeliani e nonostante il venir meno di Israele, e la sua volontà di inserire la tregua nella trattativa per lo scambio dei prigionieri, noi speriamo che possa cambiare la sua posizione”.
Non è che ci si debba aspettare molto da questa ennesima conferenza di pace, l’ennesimo profluvio di belle parole – che abbiamo scelto di sintetizzare pubblicando l’appello del Segretario Generale dell’Onu – e una bella cascata di dollari che serve ai Paesi occidentali per lavarsi la coscienza per la loro inazione e complicità nel massacro di centinaia di civili inermi ed innocenti e, soprattutto, per sostituirsi ancora una volta, nelle vesti di ufficiali pagatori, a quello Stato canaglia che così tante morti e distruzioni ha provocato, ma che non viene mai chiamato a rispondere dei danni provocati né, tanto meno, a risarcirli.
Perché l’operazione “Piombo Fuso” non ha provocato solo 1.440 morti e 5.380 feriti (con il 47% del totale costituito da donne e bambini), ma ha provocato anche la distruzione totale di 3.875 abitazioni e quella parziale di altre 34.270, oltre a quella di centinaia tra moschee, edifici pubblici, siti industriali e commerciali, istituzioni educative e caritatevoli. Un rapporto del 16 febbraio di Save the Children Alliance stima in almeno 100.000 persone, inclusi 56.000 bambini, il numero dei profughi, la gran parte dei quali trova rifugio in tende o accampamenti di fortuna (non è il caso di ricordare che siamo in inverno…).
L’aspetto simpatico della vicenda, se vogliamo, è che gli 80 Paesi donatori e organizzazioni internazionali presenti in Egitto sono chiamati a raccogliere fondi per 1.326 milioni di dollari a favore della ricostruzione della Striscia e per 1.415 milioni di dollari a supporto del budget di bilancio dell’Anp: ma non doveva essere una conferenza per Gaza?
Anche i fondi già stanziati o promessi sono di incerta consistenza e destinazione e peraltro in molti casi, con formula vagamente minacciosa, sono vincolati alla effettività del processo di pace. Così, ad esempio, gli Stati arabi del Golfo contano di stanziare 1,65 miliardi di dollari, ma in un periodo di 5 anni, gli Usa metteranno in campo 900 milioni di dollari, di cui però solo 300 per Gaza, la Ue stanzierà 550 milioni di dollari, da destinare sia alla ricostruzione sia alla riforma dell’Anp.
Anche Berlusconi ha promesso 100 milioni di dollari come aiuto “per la sola ricostruzione di Gaza”, ma se questi fondi hanno la stessa consistenza di quelli stanziati per gli ammortizzatori sociali o per il rilancio dell’economia italiana, allora gli abitanti di Gaza possono stare freschi…
Naturalmente ricostruire Gaza è solo il primo passo. Come nota Ban Ki-moon nell’appello che segue, è necessario garantire alla Striscia dei valichi accessibili per il movimento delle persone e delle merci e, soprattutto, è necessario che si raggiunga tra Israeliani e Palestinesi un accordo di pace equo e duraturo, che veda la fine dell’occupazione dei territori e la nascita di uno Stato palestinese che comprenda Gaza e la West Bank e abbia Gerusalemme est come capitale.
E questo è vero, come non essere d’accordo, ma la cosa più importante è passare dalle parole ai fatti, perché di bei discorsi come quello del Segretario Onu ne abbiamo sentiti centinaia, in questi anni.
E, allora, come non ricordare che soltanto poco più di tre anni fa Israeliani e Palestinesi avevano firmato un accordo per l’accesso e il movimento da e per la Striscia di Gaza (Agreement on Movement and Access), accordo che la comunità internazionale ha colpevolmente consentito che venisse da subito sabotato da Israele?
E come non ricordare i fiumi d’inchiostro versati dalla World Bank per segnalare l’inutilità dei finanziamenti allo sviluppo economico della Cisgiordania che non siano accompagnati da una significativa riduzione dei check-point, delle barriere, delle strade ad uso esclusivo dei coloni e di tutte le strutture a servizio della colonizzazione della West Bank?
E come non ricordare che, al riparo di Annapolis e delle innumerevoli e meramente dilatorie trattative di “pace” di questi anni, Israele ha continuato ha costruire nei Territori palestinesi e ad espandere le colonie, senza alcuna seria opposizione da parte di alcuno dei partecipanti alla conferenza di Sharm el-Sheikh?
Per ironia della sorte, un articolo pubblicato oggi sul quotidiano Ha’aretz svela come il governo israeliano sia in procinto di costruire in Cisgiordania più di 73.300 nuove unità abitative, di cui 15.000 già approvate e 58.000 in fase di approvazione.
Secondo Peace Now, se tutte le abitazioni in vario stato di progettazione venissero effettivamente costruite, il numero dei coloni nella West Bank raddoppierebbe, in base alla semplice stima di 4 nuovi residenti per ogni unità abitativa.
E’ chiaro che se un simile, colossale piano edificativo avesse luogo, anche solo in parte, la soluzione a due Stati del conflitto israelo-palestinese morirebbe ancor prima di nascere; ed è per questo che – forse più dei soldi per la ricostruzione e dei tanti bei discorsi – sono oggi necessari fatti concreti per impedire che Israele, ancora una volta, riesca a sabotare ogni accordo con i Palestinesi e la pacificazione dell’intera area mediorientale.
RICOSTRUIRE GAZA, PRIMO PASSO VERSO IL PROCESSO DI PACE.
di Ban Ki-moon *
DURANTE i combattimenti avvenuti fra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 nella striscia di Gaza e nelle zone circostanti, sono state le popolazioni civili di Gaza e del sud Israele a subire il peso di violenza, distruzione e sofferenza inflitte su vasta scala. Ne è risultato un ulteriore fardello di miseria e disperazione, in una prospettiva di futuro del tutto incerto per la popolazione di Gaza, già da anni sottoposta a condizioni estreme. Agli effetti deleteri provocati da occupazione, blocco, guerra civile e tracollo economico si sono sommati morte, distruzione, allontanamento forzato dalle proprie abitazioni. Durante la mia visita a Gaza, appena due giorni dopo la proclamazione del cessate il fuoco, ho toccato con mano la profonda umiliazione inflitta alla popolazione: quello che ho visto e sentito mi ha lasciato profondamente scosso.
Nel suo discorso di apertura il Presidente egiziano Hosni Mubarak, dopo aver preconizzato che questo “sarà l’anno di un accordo di pace tra Israeliani e Palestinesi” (ma non doveva essere il 2008?), ha affermato: “… ora la vera priorità è l’arrivo ad un accordo per la tregua tra Palestinesi ed Israeliani e nonostante il venir meno di Israele, e la sua volontà di inserire la tregua nella trattativa per lo scambio dei prigionieri, noi speriamo che possa cambiare la sua posizione”.
Non è che ci si debba aspettare molto da questa ennesima conferenza di pace, l’ennesimo profluvio di belle parole – che abbiamo scelto di sintetizzare pubblicando l’appello del Segretario Generale dell’Onu – e una bella cascata di dollari che serve ai Paesi occidentali per lavarsi la coscienza per la loro inazione e complicità nel massacro di centinaia di civili inermi ed innocenti e, soprattutto, per sostituirsi ancora una volta, nelle vesti di ufficiali pagatori, a quello Stato canaglia che così tante morti e distruzioni ha provocato, ma che non viene mai chiamato a rispondere dei danni provocati né, tanto meno, a risarcirli.
Perché l’operazione “Piombo Fuso” non ha provocato solo 1.440 morti e 5.380 feriti (con il 47% del totale costituito da donne e bambini), ma ha provocato anche la distruzione totale di 3.875 abitazioni e quella parziale di altre 34.270, oltre a quella di centinaia tra moschee, edifici pubblici, siti industriali e commerciali, istituzioni educative e caritatevoli. Un rapporto del 16 febbraio di Save the Children Alliance stima in almeno 100.000 persone, inclusi 56.000 bambini, il numero dei profughi, la gran parte dei quali trova rifugio in tende o accampamenti di fortuna (non è il caso di ricordare che siamo in inverno…).
L’aspetto simpatico della vicenda, se vogliamo, è che gli 80 Paesi donatori e organizzazioni internazionali presenti in Egitto sono chiamati a raccogliere fondi per 1.326 milioni di dollari a favore della ricostruzione della Striscia e per 1.415 milioni di dollari a supporto del budget di bilancio dell’Anp: ma non doveva essere una conferenza per Gaza?
Anche i fondi già stanziati o promessi sono di incerta consistenza e destinazione e peraltro in molti casi, con formula vagamente minacciosa, sono vincolati alla effettività del processo di pace. Così, ad esempio, gli Stati arabi del Golfo contano di stanziare 1,65 miliardi di dollari, ma in un periodo di 5 anni, gli Usa metteranno in campo 900 milioni di dollari, di cui però solo 300 per Gaza, la Ue stanzierà 550 milioni di dollari, da destinare sia alla ricostruzione sia alla riforma dell’Anp.
Anche Berlusconi ha promesso 100 milioni di dollari come aiuto “per la sola ricostruzione di Gaza”, ma se questi fondi hanno la stessa consistenza di quelli stanziati per gli ammortizzatori sociali o per il rilancio dell’economia italiana, allora gli abitanti di Gaza possono stare freschi…
Naturalmente ricostruire Gaza è solo il primo passo. Come nota Ban Ki-moon nell’appello che segue, è necessario garantire alla Striscia dei valichi accessibili per il movimento delle persone e delle merci e, soprattutto, è necessario che si raggiunga tra Israeliani e Palestinesi un accordo di pace equo e duraturo, che veda la fine dell’occupazione dei territori e la nascita di uno Stato palestinese che comprenda Gaza e la West Bank e abbia Gerusalemme est come capitale.
E questo è vero, come non essere d’accordo, ma la cosa più importante è passare dalle parole ai fatti, perché di bei discorsi come quello del Segretario Onu ne abbiamo sentiti centinaia, in questi anni.
E, allora, come non ricordare che soltanto poco più di tre anni fa Israeliani e Palestinesi avevano firmato un accordo per l’accesso e il movimento da e per la Striscia di Gaza (Agreement on Movement and Access), accordo che la comunità internazionale ha colpevolmente consentito che venisse da subito sabotato da Israele?
E come non ricordare i fiumi d’inchiostro versati dalla World Bank per segnalare l’inutilità dei finanziamenti allo sviluppo economico della Cisgiordania che non siano accompagnati da una significativa riduzione dei check-point, delle barriere, delle strade ad uso esclusivo dei coloni e di tutte le strutture a servizio della colonizzazione della West Bank?
E come non ricordare che, al riparo di Annapolis e delle innumerevoli e meramente dilatorie trattative di “pace” di questi anni, Israele ha continuato ha costruire nei Territori palestinesi e ad espandere le colonie, senza alcuna seria opposizione da parte di alcuno dei partecipanti alla conferenza di Sharm el-Sheikh?
Per ironia della sorte, un articolo pubblicato oggi sul quotidiano Ha’aretz svela come il governo israeliano sia in procinto di costruire in Cisgiordania più di 73.300 nuove unità abitative, di cui 15.000 già approvate e 58.000 in fase di approvazione.
Secondo Peace Now, se tutte le abitazioni in vario stato di progettazione venissero effettivamente costruite, il numero dei coloni nella West Bank raddoppierebbe, in base alla semplice stima di 4 nuovi residenti per ogni unità abitativa.
E’ chiaro che se un simile, colossale piano edificativo avesse luogo, anche solo in parte, la soluzione a due Stati del conflitto israelo-palestinese morirebbe ancor prima di nascere; ed è per questo che – forse più dei soldi per la ricostruzione e dei tanti bei discorsi – sono oggi necessari fatti concreti per impedire che Israele, ancora una volta, riesca a sabotare ogni accordo con i Palestinesi e la pacificazione dell’intera area mediorientale.
RICOSTRUIRE GAZA, PRIMO PASSO VERSO IL PROCESSO DI PACE.
di Ban Ki-moon *
DURANTE i combattimenti avvenuti fra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 nella striscia di Gaza e nelle zone circostanti, sono state le popolazioni civili di Gaza e del sud Israele a subire il peso di violenza, distruzione e sofferenza inflitte su vasta scala. Ne è risultato un ulteriore fardello di miseria e disperazione, in una prospettiva di futuro del tutto incerto per la popolazione di Gaza, già da anni sottoposta a condizioni estreme. Agli effetti deleteri provocati da occupazione, blocco, guerra civile e tracollo economico si sono sommati morte, distruzione, allontanamento forzato dalle proprie abitazioni. Durante la mia visita a Gaza, appena due giorni dopo la proclamazione del cessate il fuoco, ho toccato con mano la profonda umiliazione inflitta alla popolazione: quello che ho visto e sentito mi ha lasciato profondamente scosso.
Ma le popolazioni civili di Gaza e del sud di Israele non sono state le sole vittime. Anche il processo di pace avviato all'indomani della conferenza di Annapolis del novembre 2007 ha subito un pesante contraccolpo. Nel momento in cui affrontiamo la sfida di provvedere all'assistenza umanitaria e alle attività di soccorso e ricostruzione, non va però dimenticata la necessità di riavviare i processi politici: tra palestinesi, tra palestinesi e israeliani e tra Israele e il mondo arabo.
Le tre settimane di intensi combattimenti si sono concluse con cessate il fuoco unilaterali annunciati da entrambe le parti il 18 gennaio. Da allora la situazione è rimasta comunque precaria, con ulteriori gravi episodi di violenza e chiusure continue dei valichi. Ciò rende evidente il bisogno urgente di giungere a un cessate il fuoco che sia duraturo, sostenibile e pienamente rispettato dalle parti, come richiesto dal Consiglio di Sicurezza. L'Egitto non solo ha lodevolmente guidato gli sforzi per raggiungere tale obiettivo, ma ha anche tentato di trovare soluzioni a una serie di questioni correlate: la completa ri-apertura dei valichi di accesso a Gaza, il rilascio dei prigionieri palestinesi in cambio del caporale Shalit e la riunificazione dei palestinesi. Il Cairo ha inoltre preso l'iniziativa di ospitare un incontro importante, questa settimana a Sharm el-Sheikh, per rispondere agli immediati bisogni economici dei palestinesi e disegnare le strategie volte alla ripresa e alla ricostruzione di Gaza.
Garantire valichi accessibili, come previsto dagli accordi internazionali, è essenziale per la tenuta di qualsiasi cessate il fuoco e per permettere agli aiuti umanitari di raggiungere la popolazione. Se vogliamo ripristinare un corretto regime di funzionamento dei valichi, occorre tenere in considerazione le legittime preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza e in questo senso l'Autorità Palestinese dovrebbe essere in grado di assumersi le proprie responsabilità in virtù di questi accordi. A sua volta ciò comporta che la popolazione palestinese sia riunita sotto un unico governo, la cui azione si ispiri ai principi dell'OLP. Ho dichiarato che le Nazioni Unite coopereranno con un governo palestinese unitario, che riunisca Gaza e la Cisgiordania sotto l'autorità del presidente Abbas. Invito tutti i partiti palestinesi e tutti gli attori regionali e internazionali, a sostenere il processo di riconciliazione palestinese.
Garantire valichi accessibili, come previsto dagli accordi internazionali, è essenziale per la tenuta di qualsiasi cessate il fuoco e per permettere agli aiuti umanitari di raggiungere la popolazione. Se vogliamo ripristinare un corretto regime di funzionamento dei valichi, occorre tenere in considerazione le legittime preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza e in questo senso l'Autorità Palestinese dovrebbe essere in grado di assumersi le proprie responsabilità in virtù di questi accordi. A sua volta ciò comporta che la popolazione palestinese sia riunita sotto un unico governo, la cui azione si ispiri ai principi dell'OLP. Ho dichiarato che le Nazioni Unite coopereranno con un governo palestinese unitario, che riunisca Gaza e la Cisgiordania sotto l'autorità del presidente Abbas. Invito tutti i partiti palestinesi e tutti gli attori regionali e internazionali, a sostenere il processo di riconciliazione palestinese.
La crisi a Gaza, se non altro, ha messo in evidenza le radici profonde dei fallimenti politici del passato, il bisogno urgente di raggiungere una pace, giusta, duratura e complessiva, estesa a tutti i popoli del Medio Oriente. Così come occorre un governo palestinese unito impegnato a promuovere il processo di pace, abbiamo altrettanto bisogno di un governo israeliano che tenga fede ai propri impegni. Così come vogliamo che i palestinesi affrontino le questioni della sicurezza - e in questo senso è encomiabile quanto l'autorità palestinese sta facendo in Cisgiordania - è altrettanto necessario che gli israeliani diano attuazione a un congelamento effettivo dell'attività di insediamento. Il processo di espansione degli insediamenti da parte di Israele è illegale e inaccettabile e pregiudica la fiducia nel processo di pace in tutto il mondo arabo. In questo senso sto sollecitando tutti i partner internazionali a dare la massima priorità alla questione nel contesto dei rinnovati sforzi internazionali di pace.
Nel frattempo, le Nazioni Unite devono continuare a fornire assistenza umanitaria a Gaza e ovunque sia necessaria. Abbiamo lanciato un appello per l'assistenza poco dopo la fine dei combattimenti e mi auguro che il contributo dei donatori continui generoso, così come il sostegno all'Autorità Palestinese, dal cui bilancio dipendono migliaia di funzionari pubblici di Gaza oltre che la fornitura di servizi di base. Ho fatto appello a tutti le parti coinvolte affinché sia garantita la fornitura e la distribuzione degli aiuti umanitari in tutta Gaza, la sicurezza del personale umanitario e il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario. Nessun ostacolo o interferenza deve pregiudicare gli aiuti umanitari.
Occorre inoltre garantire una transizione tempestiva dallo stadio dell'assistenza umanitaria d'emergenza alla fase di ripresa e ricostruzione, senza la quale migliaia di persone a Gaza resterebbero bloccati ad un livello di sopravvivenza e di mera dipendenza, il che metterebbe a repentaglio crescita economica di lungo periodo e stabilità. Gaza deve essere riportata ad un livello di normalità. Dobbiamo lavorare in stretta intesa con l'Autorità Palestinese, che sta pianificando le priorità della fase di ripresa e ricostruzione, in un'unità di intenti tra gli attori regionali e all'interno della comunità internazionale. Non possiamo poi trascurare la Cisgiordania, dove è necessario assistere l'Autorità Palestinese nei propri attuali sforzi di riforma. Perché i palestinesi vedano un miglioramento concreto nella loro vita quotidiana, Israele deve adottare misure immediate che accrescano il movimento e l'accesso a risorse chiave quali terra e mercati.
Il nostro obiettivo non dovrebbe essere semplicemente il ritorno alla situazione di Gaza prima del 27 dicembre, o al processo di pace. Ora più che mai è il momento di raggiungere una pace piena e globale tra Israele e i suoi vicini arabi. Se da una parte ci sforziamo di garantire assistenza e sostegno alla ricostruzione di Gaza, dobbiamo anche perseguire in modo instancabile l'obiettivo su cui siamo d'accordo da tempo ma che non siamo stati in grado di perseguire: la fine dell'occupazione iniziata nel 1967, la creazione di uno stato palestinese che comprenda Gaza, la Cisgiordania e includa anche Gerusalemme orientale, e che coesista in pace e sicurezza accanto ad Israele, e una pace giusta, durevole e complessiva tra Israele e tutti i suoi vicini arabi. Mi impegno a fare tutto ciò che è in mio potere, in qualità di Segretario Generale delle Nazioni Unite, per raggiungere questa pace in una regione di vitale importanza. La comunità internazionale deve assumersi le proprie responsabilità per facilitare il progresso del processo di pace, e farlo con insistenza, quando sia necessario. Dopo il tragico conflitto a Gaza, ciò è più urgente che mai.
* L’autore è Segretario Generale dell’Onu
(2.3.2009)
(2.3.2009)
Etichette: gaza, Israele, palestina, piombo fuso, sharm el sheikh
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