1 aprile 2009

Un esercito di assassini religiosi.

Secondo una delle statistiche più attendibili, dei 1.434 Palestinesi uccisi durante l’operazione “Piombo Fuso” a Gaza, soltanto 235 (poco più del 16%!) erano effettivamente combattenti uccisi con le armi in pugno.

Questo significa che per ben l’84% dei casi i Palestinesi massacrati nella Striscia dai valorosi soldatini di Tsahal erano civili o non-combattenti, come tali protetti dalle norme del diritto umanitario internazionale.

Un così alto numero di innocenti uccisi dall’esercito israeliano è motivato, in parte, dall’utilizzo in aree densamente popolate di armamenti proibiti quale le granate a flechettes o al fosforo bianco, un uso ripetuto ed indiscriminato che, come tale, costituisce un crimine di guerra di cui dovrebbero essere chiamati a rispondere gli alti comandi militari e i vertici politici israeliani, che hanno autorizzato l’operazione “Piombo Fuso” e le sue criminali modalità pur nella piena consapevolezza delle
conseguenze che ne avrebbe patito la popolazione civile palestinese.

Ma si spiega anche con i
crimini di guerra imputabili singolarmente ai soldati israeliani, di cui ogni giorno che passa emergono particolari raccapriccianti per la loro ferocia e brutalità, crimini motivati dal razzismo e dal disprezzo del valore della vita umana (altrui) che sempre più pervadono i ranghi dell’esercito più “morale” al mondo.

Il vero è che, secondo un trend già da tempo rilevato, l’ossatura dell’esercito israeliano è sempre più in prevalenza costituita da persone giunte in Israele dall’ex Unione Sovietica – che fanno del razzismo antiarabo una vera e propria bandiera – e, soprattutto, da elementi pervasi dal fanatismo religioso e messianico, per i quali la santità della terra ha un carattere assolutamente prevalente sul rispetto della vita umana e dei diritti altrui.

Su quest’ultimo aspetto, riporto qui di seguito l’illuminante articolo di Ethan Bronner, pubblicato il 21 marzo sul New York Times e qui proposto nella traduzione offerta da Arabnews.

Qui voglio soltanto aggiungere come, ancora una volta, un fenomeno già di per sé pericoloso venga vieppiù alimentato dall’indifferenza o, peggio, dalla tacita approvazione degli alti comandi militari israeliani, che non solo
non si curano di punire in alcun modo i pur evidenti crimini commessi dai soldati israeliani nei Territori palestinesi occupati, ma evitano accuratamente di affrontare il pericolo razzismo che affiora sempre più tra i ranghi dell’Idf.

Di recente Yesh Din ha denunciato come un ufficiale israeliano avesse distribuito un opuscolo in cui si incitavano i soldati a non mostrare “alcuna pietà” nei confronti del nemico. Risultato: l’ufficiale in questione è stato” severamente
rimproverato”.

Eh si, avete letto bene.

UNA GUERRA DI RELIGIONE NELL’ESERCITO ISRAELIANO
21.3.2009

La pubblicazione, nelle scorse settimane, dei resoconti delle testimonianze dirette di soldati israeliani che denunciavano violenti maltrattamenti di civili palestinesi, nei recenti combattimenti a Gaza, fa emergere un dibattito circa le regole della guerra. Ma svela anche qualcos’altro: lo scontro tra liberali laici e nazionalisti religiosi per il controllo dell’esercito e della società israeliana.

Molte testimonianze, pubblicate da un istituto che gestisce un corso premilitare legato al movimento dei kibbutz, laico e di sinistra, hanno mostrato una chiara insofferenza nei confronti dei soldati religiosi, facendoli apparire come autoproclamati combattenti di una guerra santa.

Un soldato, identificato con lo pseudonimo di Ram, è citato per aver detto che a Gaza “il rabbinato ha diffuso parecchi articoli ed opuscoli che esprimevano un messaggio molto chiaro: noi siamo il popolo ebraico, siamo venuti in questa terra grazie a un miracolo, Dio ci ha riportato qui e ora dobbiamo lottare per espellere i non ebrei che ci stanno ostacolando nella conquista di questa terra santa. Questo era il messaggio principale, e l’impressione collettiva che molti soldati hanno avuto rispetto a questa operazione è che fosse una guerra di religione”.

Dany Zamir, direttore del corso premilitare annuale, che ha sollecitato le testimonianze e le ha poi diffuse, inducendo l’esercito a promettere che avrebbe investigato a riguardo, è citato nelle trascrizioni delle testimonianze per aver espresso angoscia riguardo al crescente numero di elementi religioso-nazionalisti nelle forze armate.

“Se i religiosi ci ungono con olio santo e ci appioppano libri sacri, e se i soldati in queste unità non sono rappresentativi del popolo ebraico nella sua eterogeneità, ma solamente di alcuni segmenti della popolazione, cosa possiamo aspettarci?”, ha detto. “Presso chi dobbiamo lamentarci?”.

Per i primi quattro decenni dell’esistenza di Israele, l’esercito – come molte delle istituzioni del paese – è stato dominato da membri di kibbutz, che si consideravano laici, occidentali e colti. Nell’ultimo o negli ultimi due decenni, i nazionalisti religiosi – ivi compresi molti affiliati al movimento dei coloni in Cisgiordania – hanno cominciato ad occupare sempre più posizioni di responsabilità all’interno dell’esercito. (Nella società israeliana, essi rappresentano una forza crescente, distinta – e più moderna – rispetto agli ultra-ortodossi vestiti di nero, i quali sono esonerati dal servizio militare).

In molti casi, i nazionalisti religiosi sono giunti a posizioni di comando a partire dallo stesso tipo di corso premilitare gestito dal sig. Zamir – con la differenza che i loro sono gestiti da movimenti religiosi, mentre il suo è laico, il che significa che la competizione tra i due è sia ideologica che di carriera.

“Il corpo ufficiali della brigata d’élite Golani è ora fortemente popolato da religiosi di destra che hanno frequentato le accademie preparatorie”, fa notare Moshe Halbertal, un professore di filosofia ebraica che ha partecipato alla stesura del codice di etica militare, e che è egli stesso religioso osservante, ma liberale da un punto di vista politico. “La destra religiosa sta cercando di avere un influsso sulla società israeliana attraverso l’esercito”.

Per il professor Halbertal, come per la stragrande maggioranza degli israeliani, l’esercito è un’istituzione particolarmente delicata, in quanto ha sempre funzionato da fucina sociale, che fa incontrare persone di tutte le classi sociali e di qualsiasi retroterra etnico e nazionale, e contribuisce a farne una società coesa attraverso delle reti sociali che le accompagnano per tutta la loro vita.

Coloro che si oppongono alla destra religiosa sono particolarmente preoccupati per l’influenza del rabbino capo dell’esercito, il brigadier generale Avichai Rontzki, egli stesso un colono della Cisgiordania che è stato molto attivo durante la guerra, quando trascorreva la maggior parte del tempo sul campo in compagnia delle truppe.

Egli ha tratto una citazione da un testo classico ebraico e, durante la guerra, l’ha trasformata in uno slogan: “Colui che è misericordioso con il crudele finirà per essere crudele con il misericordioso”.

E’ nata poi un controversia, quando si scoprì che un opuscolo distribuito ai soldati conteneva un editto rabbinico che scoraggiava la misericordia nei confronti del nemico. Il Ministero della Difesa ha rimproverato il rabbino.

In quel periodo, nel mese di gennaio, Avshalom Vilan, allora deputato di sinistra al Parlamento, aveva accusato il rabbino di aver “trasformato le attività dell’esercito israeliano da un combattimento di necessità in una guerra santa”.

Subito dopo che Israele ebbe ritirato i suoi coloni e i suoi soldati da Gaza nel 2005 e, successivamente, da vari insediamenti in Cisgiordania, emerse un invito a sospendere determinati programmi religiosi che si svolgevano all’interno dell’esercito poiché alcuni soldati che facevano parte di tali programmi avevano detto che si sarebbero rifiutati di obbedire a futuri ordini che prevedevano lo smantellamento di insediamenti. Dopo l’ascesa di Hamas a Gaza e l’aumento di attacchi missilistici su Israele, questa discussione si è placata.

Ma Yaron Ezrahi, un politologo di sinistra all’Università Ebraica che ha tenuto delle lezioni a comandanti dell’esercito, ha detto che l’invito a sospendere tali programmi ora dovrebbe essere rinnovato, in quanto ciò che è risultato evidente a Gaza è che laggiù la tradizione umanistica da cui deriva il codice etico non è stata sufficientemente rispettata.

La disputa sul controllo dell’esercito non è solo ideologica. E ‘ anche personale, così come tutta la politica in questo piccolo, intimo, paese. Coloro che sono in disaccordo con il rabbino capo lo hanno diffamato. Coloro che sono insoddisfatti del fatto che il sig. Zamir abbia diffuso la trascrizione delle testimonianze dei soldati di Gaza, la settimana scorsa, hanno diffuso la voce che egli è un ideologo di sinistra che opera a danno di Israele.

Nel 1990, Zamir, allora comandante di una compagnia di paracadutisti nella riserva dell’esercito, fu condannato al carcere per aver rifiutato di proteggere una cerimonia religiosa che coinvolgeva degli ebrei religiosi in visita alla città di Nablus, in Cisgiordania. Per alcuni, quel rifiuto fu un segno di onore, per altri un atto di insubordinazione e tradimento. Nei giorni scorsi, è iniziata una tacita campagna contro le inclinazioni di sinistra del sig. Zamir, per screditare la trascrizione che egli ha reso pubblica.

Allo stesso tempo, i numerosi detti e scritti del rabbino Rontzki hanno fatto il giro degli intellettuali di sinistra. Egli ha scritto, ad esempio, che quelli che altri chiamano “valori umanistici” sono semplicemente sensazioni soggettive che dovrebbero essere subordinate al rispetto della legge della Torà.

Egli ha anche detto che se un medico ebreo cura un non ebreo nel giorno dello Shabbat – quando il lavoro è sì vietato, ma la cura dei malati e dei feriti è prevista – è principalmente per evitare di esporre gli ebrei della diaspora all’odio.

Il professor Halbertal, il filosofo ebreo che si oppone all’atteggiamento del rabbino Rontzki, ha detto che la spaccatura che si sta aggravando in Israele non è solo tra ebrei religiosi e laici, ma anche tra gli stessi religiosi. La discussione riguarda tre questioni: la santità della terra rispetto alla vita, il rapporto tra messianismo e sionismo, e il posto dei non ebrei in uno stato ebraico sovrano.

La sinistra religiosa sostiene che la destra abbia fatto della terra di Israele un feticcio, invece di far sì che la vita abbia la priorità – dice Halbertal. La sinistra religiosa rifiuta anche la natura messianica del discorso sionista di destra, e sostiene che la tradizione ebraica valorizzi ogni vita umana, e non principalmente quella ebraica.

“La destra tende a stabilire un’equazione tra autenticità e brutalità, come se l’idea di umanesimo fosse un elemento occidentale e straniero trapiantato nell’ebraismo”, dice. “Essi sembrano non sapere che anche il nazionalismo e il fascismo sono idee occidentali, e che l’ultranazionalismo non è per nulla ebraico.”

Ethan Bronner è direttore degli uffici di Gerusalemme del New York Times; in precedenza ha lavorato nell’unità investigativa del giornale, occupandosi degli attacchi dell’11 settembre; tra il 1985 ed il 1997 aveva lavorato per il Boston Globe, del quale era stato a lungo corrispondente per il Medio Oriente, da Gerusalemme

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