23 settembre 2009

Israele in Africa.

I retroscena del recente tour del ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman in alcuni Paesi dell'Africa sub-sahariana in un articolo pubblicato da Galal Nassar per l'egiziano al-Ahram Weekly (10-16 settembre), qui proposto nella traduzione offerta da Medarabnews.


Il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman, a capo di un nutrito convoglio di politici, militari e consulenti per la sicurezza, oltre che di una delegazione di commercianti e rappresentanti delle maggiori compagnie israeliane, è andato recentemente a bussare alla porta di 5 Stati dell’Africa sub-sahariana. Le 54 nazioni dell’Africa per decenni hanno respinto le aperture diplomatiche di Israele. Oggi, l’amministrazione Netanyahu evidentemente ritiene che vi sia una possibilità di far breccia in quel muro. Dopotutto, alcuni paesi arabi ora riconoscono Israele. Tra questi non ultimo è l’Egitto, Stato che per lungo tempo aveva vanificato il sogno di Golda Meir e dei suoi successori di penetrare in Africa ed approvvigionarsi alle sue abbondanti fonti di ricchezza.

Attualmente, non solo molti Stati africani sono pronti a migliorare i propri rapporti con Israele, ma alcuni hanno già iniziato ad esplorare la possibilità di una cooperazione strategica. Tel Aviv apprezza pienamente il vasto potenziale che l’Africa offre. Oltre a disporre di abbondanti risorse naturali, l’Africa è un continente di importanza strategica per il mondo arabo, ragione per la quale Israele ha avuto un ruolo nell’armare alcuni regimi africani e nell’aggravare le crisi esistenti tra altri, incluse quelle in Somalia, Sudan, Eritrea e Sudafrica. Israele ha inoltre utilizzato parte del continente per i suoi esperimenti militari e scientifici, nel corso dei quali ha distrutto terreni adibiti all’agricoltura, ed ha seminato corruzione e miseria.

Se i popoli dei Paesi che Lieberman ha visitato pensano davvero che egli sia interessato a far crescere le loro economie, a migliorare la loro produzione agricola, ad ottimizzare le loro ingenti risorse idriche, e a mettere a loro disposizione l’esperienza tecnologica d’Israele, si stanno sbagliando. Essi stanno commettendo un errore ancora più grave se credono che Israele si preoccupi delle vite e del benessere dei popoli africani, sia impaziente di migliorare i loro standard di vita, di liberarli dalla piaga della povertà, della disoccupazione, delle malattie e della siccità, e di soffocare i focolai della guerra civile, delle ribellioni e dei conflitti fratricidi. Né Israele li aiuterà a superare le discriminazioni ed i complessi di inferiorità che Tel Aviv sostiene siano stati perpetuati e alimentati dagli arabi. Per quanto voglia far credere il contrario, Israele non è un porto sicuro per il loro benessere ed il loro futuro. Le preoccupazioni di Israele sono dettate solamente dalla logica dei suoi piani. Lo stato ebraico non potrebbe aver meno a cuore la stabilità, il benessere, la sicurezza e la stabilità delle popolazioni africane. Il Sudan offre la prova più lampante di ciò. Accusando il paese di armare e sostenere la resistenza palestinese, Tel Aviv sta lavorando assiduamente per accerchiare ed isolare il Sudan dall’esterno, e per alimentare la ribellione dall’interno.

Israele ha da tempo cercato di sfruttare le ricchezze minerali dell’Africa. Tel Aviv pianifica di appropriarsi dei diamanti africani e di lavorarli in Israele, paese che è già al secondo posto nel mondo nel campo della lavorazione dei diamanti. E a giudicare dalla composizione dell’entourage di Lieberman, Israele è inoltre interessato all’uranio africano, al torio, e ad altri elementi radioattivi utilizzati per produrre combustibile nucleare. Inoltre sta cercando nuovi mercati per la sua produzione di armi leggere. Sembra anche che non pochi militari in pensione stiano cercando opportunità di lavoro come addestratori di milizie africane, come confermerebbero i tentativi portati avanti da altri membri della delegazione di Lieberman. Le enormi riserve di petrolio in molti paesi africani costituiscono un’altra importante priorità nell’agenda di Israele, con Tel Aviv che sta cercando una propria compartecipazione nelle operazioni di esplorazione, estrazione ed esportazione di petrolio.

Fin dagli anni ’50 del secolo scorso, Israele ha cercato di compromettere la sicurezza idrica dell’Egitto consolidando la propria influenza sui paesi che si trovano tra le foci del Nilo e la zona dei grandi laghi dell’Africa centrale, e sugli altipiani dell’Etiopia. Tenendo l’Egitto occupato con la questione della propria sicurezza idrica, Israele immagina di poter ridimensionare il ruolo del Cairo nel conflitto arabo-israeliano.

Le preoccupazioni di Israele nei confronti dell’Iran hanno avuto anch’esse molta importanza nell’agenda del viaggio africano di Lieberman. Israele ha tenuto d’occhio molto da vicino la penetrazione iraniana in Africa, dove Teheran, seguendo le orme di Pechino, è coinvolta in una serie di importanti progetti di sviluppo. Tel Aviv è molto sospettosa circa le ambizioni di Teheran in un continente così ricco di materie prime utili per produrre combustibile nucleare, e spera di costituire una rete di relazioni strategiche per controllare l’espansione dell’influenza iraniana in Africa. In questo sforzo, un elemento a suo favore è rappresentato dai suoi stretti legami con Washington. Gli Stati Uniti possono infatti usare la loro grande influenza in Africa per appianare molti ostacoli che altrimenti impedirebbero la penetrazione africana di Israele.

Il ministro degli esteri israeliano crede di potersi infiltrare nel “giardino di casa” del mondo arabo-islamico al fine di privarlo della sua profondità strategica. E’ perciò essenziale che mettiamo in luce la vera natura dei piani economici e militari di Israele in Africa e ne riveliamo i reali motivi. Il fatto che Israele sia fisicamente presente nella Palestina occupata non significa che il pericolo sionista minacci solo la Palestina e i palestinesi. L’obiettivo dei piani sionisti riguarda ogni angolo del mondo arabo-islamico, nel quale essi alimentano crisi, organizzano complotti, sfruttano le risorse, indeboliscono le competenze, ed in generale cospirano contro le popolazioni. Si può individuare la mano sionista dietro molti conflitti che imperversano fra i regimi arabi. La sua rete di spionaggio cerca di infiltrarsi nelle società arabe e musulmane. Ora più che mai, i tentacoli militari, economici e politici di Israele hanno raggiunto ogni parte dell’Africa dissimulandosi sotto apparenze umanitarie, al fine di sfruttare la fame e la disperazione del continente per costringere gli arabi e i musulmani ad allontanarsi da una terra nella quale sono sempre stati i benvenuti. Il mondo arabo-islamico deve agire rapidamente per mantenere aperte le porte dell’Africa. Ciò richiede una nuova strategia che allo stesso tempo impedisca ad Israele di accerchiare il mondo arabo e di ottenere il controllo delle sue risorse di ricchezza e di benessere.

Galal Nassar è un giornalista egiziano; scrive abitualmente sul settimanale al-Ahram Weekly

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1 Commenti:

Alle 28 settembre 2009 alle ore 19:13 , Anonymous Anonimo ha detto...

la strategia puo'iniziare dal eliminare Berlusconi che e'un perno di blocco al avenire della Palestina,mantenendo l'operazione segreta.

 

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