30 novembre 2010

Una speranza delusa: il blocco di Gaza continua.

Ventidue organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno pubblicato oggi un rapporto ed un ennesimo appello affinché venga tolto l’embargo criminale che affama i Palestinesi di Gaza e impedisce di ricostruire e riparare le devastazioni israeliane dell’offensiva “Piombo Fuso”.

Come già aveva ricordato qualche tempo addietro John Ging, il Direttore dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency) nella Striscia, il presunto “alleggerimento” dell’assedio imposto a Gaza non ha portato “cambiamenti concreti per la popolazione”, ed ha più a che fare con una mossa propagandistica per allentare le pressioni internazionali su Israele.

E’ ora che la comunità internazionale si decida a costringere Israele a restituire ai Palestinesi di Gaza una condizione di vita degna di un paese civile.

Dashed hopes: continuation of the Gaza blockade.

Secondo un rapporto pubblicato oggi da una coalizione internazionale di 22 organizzazioni per lo sviluppo, la tutela dei diritti umani e la pace, le misure israeliane per “alleggerire” il blocco illegale di Gaza a fronte di una significativa pressione internazionale hanno fatto poco per modificare la situazione dei civili a Gaza. Esse chiedono una rinnovata azione internazionale volta a garantire una immediata, incondizionata e totale eliminazione del blocco. Secondo il rapporto Dashed Hopes: Continuation of the Gaza Blockade, la comunità internazionale ha allentato la sua pressione su Israele, ma troppo poco è stato fatto per alleviare effettivamente le restrizioni che colpiscono la vita quotidiana di un milione e mezzo di Palestinesi, la metà dei quali bambini. Il rapporto sostiene che Israele non solo ha trascurato di affrontare, con le sue misure di “alleggerimento”, i principali elementi del blocco, come l’eliminazione del divieto di esportazioni da Gaza, ma fino ad ora non è riuscita nemmeno a tener fede ai principali impegni che ha assunto.

Israele aveva promesso di accrescere e di accelerare l’importazione di materiali da costruzione di cui si ha un disperato bisogno per la realizzazione dei progetti dell’Onu e di altre organizzazioni internazionali, quali scuole, centri sanitari, case e impianti di depurazione, molti dei quali sono stati danneggiati o distrutti durante l’operazione militare nel periodo dicembre 2008 – gennaio 2009. Ma, in realtà, il rapporto mostra come i progressi siano stati lenti e limitati da quando questo impegno è stato assunto. Israele fin’ora ha approvato solamente l’importazione di materiali per la costruzione di 25 progetti dell’UNRWA per la costruzione di scuole e di cliniche, un mero sette per cento dell’intero piano di ricostruzione di Gaza dell’UNRWA. Ed anche per questi progetti approvati, fino ad ora è stato effettivamente autorizzato l’ingresso a Gaza solo per una piccola parte dei materiali da costruzione richiesti.

Più in generale, afferma il rapporto, le Nazioni Unite hanno stimato che soltanto per il fabbisogno di alloggi Gaza necessita di 670.000 camion di materiali da costruzione. Sempre secondo il rapporto, una media di soli 715 camion di materiali da costruzione al mese sono entrati nella Striscia di Gaza da quanto è stato annunciato l’”alleggerimento”. A questo ritmo, ci vorrebbero molti decenni per costruire le case di cui vi è necessità. E poiché l’UNRWA non è stata in grado di ottenere i materiali da costruzione per edificare nuove scuole, 40.000 bambini – pur avendone i requisiti – non potrebbero essere iscritti nelle scuole dell’ONU all’inizio del nuovo anno scolastico.

“Solo una piccola parte degli aiuti necessari hanno raggiunto i civili intrappolati a Gaza dal blocco”, ha affermato Jeremy Hobbs, il Direttore di Oxfam International. “Il mancato rispetto dei suoi impegni da parte di Israele e la mancanza di una azione internazionale volta a porre fine al blocco privano i Palestinesi di Gaza della possibilità di avere acqua potabile, elettricità, lavoro e un futuro di pace”.

L’”alleggerimento”, inoltre, non ha avuto alcun impatto sulle esportazioni, che fino ad ora restano vietate (con l’eccezione dell’esportazione di fragole e fiori, di cui oggi si ha notizia, n.d.t.). Ciò fa sì che i due terzi delle imprese industriali di Gaza restino chiuse e che il resto operi a capacità ridotta, mentre l’aumento delle importazioni di beni di consumo dannegga i produttori locali che non possono esportare o riavviare le loro attività, sostengono le organizzazioni.

Janet Symes, Direttore per il Medio Oriente di Christian Aid, afferma: “La comunità internazionale privilegia l’importanza dello sviluppo economico nel processo di pace in Medio Oriente. Eppure, con il mantenimento del blocco alle esportazioni, Gaza è economicamente paralizzata. Come può reggersi sulle sue sole gambe? L’impatto psicologico di dover dipendere dai buoni pasto è stato devastante per la popolazione di Gaza. La gente vuole un lavoro per poter vivere in modo dignitoso e non grazie alle donazioni”.

Anche la circolazione delle persone ha visto pochi cambiamenti. Nonostante il dichiarato impegno del governo israeliano di snellire l’entrata e l’uscita da e per Gaza degli operatori umanitari, il rapporto mostra che, di fatto, da quando le misure di “alleggerimento” sono state annunciate, vi è stato un aumento dei dinieghi di ingresso e di uscita del personale umanitario locale delle agenzie dell’Onu. Nel frattempo, la totalità della popolazione di Gaza resta bloccata, in quanto la sua libertà di movimento per viaggi, lavoro, studio o per visitare membri della famiglia o amici al di fuori di Gaza continua ad essere negata. Malgrado un incremento del numero di imprenditori a cui viene concesso di viaggiare, non vi è stato alcun aumento del numero complessivo di Palestinesi a cui è stato consentito di lasciare Gaza attraverso i valichi di frontiera israeliani, che rimane al di sotto dell’1% dei livelli precedenti alla seconda intifada del 2000.

In un recente commento, la responsabile della politica estera della UE Catherine Ashton ha dichiarato che “Riteniamo che ciò che è stato fatto per Gaza è insoddisfacent e, che Israele non ha tenuto fede ai suoi impegni in materia di alleggerimento del blocco della Striscia di Gaza”.

Il Direttore di Amnesty International UK Kate Allen ha detto: “il cosiddetto “alleggerimento” del blocco di Gaza non cambia il fatto che vi è ancora un blocco crudele e illegale che punisce collettivamente l’intera popolazione civile. L’unico vero alleggerimento è stato l’allentamento della pressione sulle autorità israeliane per porre fine a questa pratica crudele e illegale”.

Nota: la coalizione internazionale è formata dalle seguenti organizzazioni: AMNESTY INTERNATIONAL UK – BROEDERLIJK DELEN – CAFOD – CCFD-TERRE SOLIDAIRE – CHRISTIAN AID – CHURCH OF SWEDEN – CORDAID – DIAKONIA – EURO-MEDITERRANEAN HUMAN RIGHTS NETWORK – HANDICAP INTERNATIONAL – IKV PAX CHRISTI – INTERNATIONAL FEDERATION FOR HUMAN RIGHTS (FIDH) – MEDICAL AID FOR PALESTINIANS – MEDICO INTERNATIONAL – MS ACTION AID DENMARK – NORWEGIAN REFUGEE COUNCIL (NRC) – OXFAM INTERNATIONAL – QUAKER COUNCIL FOR EUROPEAN AFFAIRS – RCT – REDD BARNA – SAVE THE CHILDREN UK – TROCAIRE

Il rapporto completo è disponibile qui.

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3 Commenti:

Alle 1 dicembre 2010 alle ore 00:51 , Anonymous Andrea ha detto...

Ovviamente, come al solito, non fai cenno al terrorismo, che è il motivo delle misure restrittive israeliane. So già che ripeterai la tua solita storiella del paio di innocui razzi di Hamas, che non hanno colpito niente e nessuno, che non contano, che sono innocui. Le tue parole non possono essere prese sul serio se non dai professionsiti dell'odio contro Israele.

 
Alle 1 dicembre 2010 alle ore 08:54 , Blogger vichi ha detto...

Sfrondata dall'inevitabile citazione dell'"odio contro israele", la risposta l'hai già data tu: è mistificatorio e vergognosamente immorale mettere a confronto i razzetti artigianali di hamas con il poderoso arsenale bellico israeliano, che ha fatto strage di civili innocenti, donne e bambini compresi, morti spesso in maniera orribile.

Aggiungo tre cose. La prima: il blocco di gaza è illegale in quanto punizione collettiva ai danni di un milione e mezzo di persone, ed è dunque vietato dal diritto umanitario e non può trovare giustificazione alcuna.

La seconda: israele, già da molti anni, ha scelto come linea guida della sua politica quella di dividere gaza dalla west bank. Hamas, invece, ha più volte cercato di raggiungere un accordo per la cessazione delle ostilità, persino nei giorni immediatamente precedenti "piombo fuso".

La terza: chi ha iniziato? Non hamas e i suoi razzi, che sono una risposta, bensì israele con i suoi raid e i suoi blocchi illegali.

Sull'argomento è ancora disponibile sul web un bell'articolo di gideon levy, dal titolo appunto "who started", che illustra questo argomento.

Magari leggendolo potresti toglierti dagli occhi un po' delle fette di salame generosamente elargite dalla propaganda sionista.

A meno, naturalmente, di non voler pensare che anche levy appartiene alla schiera degli odiatori di israele, anzi degli ebrei odiatori di sé stessi!

 
Alle 11 luglio 2014 alle ore 20:26 , Anonymous Anonimo ha detto...

chi è sotto occupazione da 60 anni e cerca come può di liberare là propria terra non può essere considerato certo un terrorista.
Questo termine fa molto comodo a chi occupa il territorio altrui.
La situazione palestinese, mi ricorda molto il Far West,dove a detta dei coloni bianchi,(quelle terre erano infestate dà selvaggi sanguinari) In realtà solo persone che volevano vivere sulla loro terra.Oggi a distanza di qualche secolo si comincia timidamente ad ammettere che i veri sanguinari assassini erano i coloni bianchi.
Spero che per riconoscere il diritto ai palestinesi di vivere sulla propria terra non debbano passare alcuni secoli.

 

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