13 ottobre 2011

Sostegno ai prigionieri palestinesi in sciopero della fame

Naturalmente quella dell’accordo concluso tra Israele e Hamas per la liberazione di Gilad Shalit è una notizia che non può non essere accolta con gioia da tutti (o quasi tutti, visto che qualcuno avrebbe voluto che venisse dichiarato morto…), sia perché Shalit tra pochi giorni ritornerà libero dopo più di cinque anni di prigionia, sia perché – in fasi successive – verranno anche liberati 1.027 degli oltre 5.200 prigionieri palestinesi che, alla data del 31 agosto di quest’anno, ancora languivano nelle carceri israeliane (fonte: B’Tselem).

E, tuttavia, da’ un certo senso di fastidio la copertura mediatica fornita alla liberazione del soldato “rapito” dai cattivi di Hamas, l’enfasi sulla durata della sua prigionia, indicata in giorni – 1.935 – così fa più effetto, l’entusiasmo declinato persino nei comunicati ufficiali di governi e istituzioni sovranazionali, a cominciare dalla Ue.

Perché altrettanta copertura mediatica e altrettanta trepidazione non si è avuta mai per la sorte delle migliaia di prigionieri palestinesi che languono anche da diversi decenni nelle carceri israeliane, per i 272 prigionieri in detenzione amministrativa – senza alcuna accusa né alcun processo, per i 164 minori rapiti nel cuore della notte e sbattuti nelle galere israeliane, 35 dei quali di età compresa tra i 12 e i 15 anni.

E, del pari, quasi nessuna copertura mediatica – in Israele come in tutto il mondo occidentale – ha ricevuto lo sciopero della fame iniziato il 27 settembre da poco più di cento prigionieri palestinesi e oggi portato avanti da oltre trecento di essi, per protestare contro le condizioni di detenzione, indegne di un paese civile quale si picca di essere Israele.

Uno sciopero volto soprattutto a esigere la fine della detenzione in regime di isolamento di tutti i prigionieri politici palestinesi e, in particolare, di Ahmad Sa’adat, il Segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, rapito illegalmente (lui sì!) da un carcere dell’Anp il 13 marzo del 2006.

Negli ultimi anni, infatti, le condizioni in cui i prigionieri palestinesi vengono trattati all’interno delle prigioni israeliane è costantemente e sensibilmente peggiorato, fino al punto da configurare una vera e propria punizione collettiva. Tali condizioni di detenzione violano i diritti fondamentali dei prigionieri, riconosciuti dalle convenzioni internazionali e persino dalla stessa legge israeliana.

Rimandando agli aggiornamenti sullo sciopero al sito web dedicato alla campagna per la liberazione di Ahmad Sa’adat nonché, in italiano, alle belle pagine del blog “Da Gaza – boicotta israele”, qui di seguito riporto il testo dell’appello che le associazioni per i diritti umani Physicians for Human Rights – Israel, Adalah e Al-Mezan hanno pubblicato a sostegno dei diritti e delle istanze dei prigionieri palestinesi, denunciando le condizioni disumane della loro detenzione.

Physicians for Human Rights – Israel, Adalah e Al-Mezan sostengono le richieste dei prigionieri palestinesi in sciopero della fame – 29.9.2011

Martedì, 27 settembre 2011, più di cento prigionieri palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato per protestare contro le politiche del governo israeliano intenzionalmente lesive nei loro confronti, tra cui le dure condizioni di detenzione ed il trattamento collettivamente ostile.

E’ previsto che lo sciopero della fame continui fino a che tutte le richieste dei prigionieri non saranno soddisfatte o “fino alla perdita della vita”. Al centro di queste richieste vi è l’abolizione della misura dell’isolamento prolungato, incluso quello di Ahmad Sa’adat, il Segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Un gruppo a parte di prigionieri ha deciso di astenersi dal mangiare tre giorni alla settimana fino a quando queste richieste non saranno soddisfatte.

Le autorità e il governo israeliani negli ultimi anni hanno peggiorato le condizioni di detenzione dei prigionieri palestinesi. Le misure adottate hanno incluso pratiche di punizione collettiva, in violazione dei principi costituzionali fondamentali radicati nella legge israeliana e nel diritto internazionale. L’abuso collettivo dei prigionieri palestinesi si è intensificato, ed è stato ancorato a nuove leggi e disposizioni draconiane. Queste hanno portato i prigionieri a ritenere che uno sciopero della fame, che potrebbe mettere in pericolo le loro vite, costituisca la loro ultima possibilità di ottenere un cambiamento.

Le politiche adottate dalle autorità israeliane includono:

- L’isolamento prolungato, soprattutto dei leader politici. La detenzione in isolamento è un trattamento crudele, disumano e degradante che può causare gravi e in alcuni casi irreversibili danni fisici e psicologici.

- La violazione di diritti fondamentali come il diniego della assistenza legale durante gli interrogatori, la limitazione del sindacato giudiziario delle procedure di arresto e di interrogatorio.

- La detenzione dei prigionieri palestinesi provenienti dai Territori palestinesi occupati (Tpo) in strutture situate all’interno di Israele in violazione del diritto internazionale umanitario.

- L’impedimento negli ultimi cinque anni di tutte le visite dei familiari dalla Striscia di Gaza, e di alcune dalla Cisgiordania; l’imposizione di ostacoli burocratici alle visite dei familiari, che equivalgono a vessazioni.

- Le punizioni severe e sproporzionate durante il periodo di detenzione in carcere, tra cui l’isolamento punitivo, le multe, il diniego delle visite dei familiari, il diniego del diritto di acquistare cibi alla mensa della prigione, ed altro ancora.

- Le perquisizioni giornaliere nelle celle con l’uso della forza, le perquisizioni effettuate facendo spogliare completamente le persone e le umilianti perquisizioni corporali, nonché le perquisizioni similari dei familiari in visita.

- L’incatenamento di mani e gambe dei prigionieri durante le visite di familiari e avvocati, e durante le cure mediche negli ospedali.

- Il diniego del diritto di istruzione durante la detenzione in carcere.

- Il blocco di canali televisivi, il diniego di libri, giornali e altre pubblicazioni.

- L’imposizione delle divise nonostante i prigionieri si definiscano come prigionieri politici e non criminali.

Le sottoscritte organizzazioni per i diritti umani esprimono la loro preoccupazione per il deterioramento delle condizioni dei prigionieri palestinesi e sono del parere che le loro richieste siano giustificate. Il loro diritto all’autonomia del proprio corpo e della propria vita non dovrebbe essere negato in conseguenza della reclusione, una pena detentiva non può servire come scusa per la negazione di diritti fondamentali.

Le tre organizzazioni invitano il Servizio delle Carceri israeliano (IPS) a non danneggiare o punire i prigionieri in sciopero. Sottolineano che la responsabilità professionale ed etica di coloro i quali sono incaricati dei servizi medici all’interno dell’IPS è di prendersi cura della salute dei loro pazienti – i prigionieri. I medici che assistono i prigionieri in sciopero della fame devono monitorare le loro condizioni di salute su base individuale e prendersi cura di ogni prigioniero quando necessario, sulla base del consenso del paziente. Inoltre, deve essere concesso il permesso di entrata a medici indipendenti che godono della fiducia dei prigionieri e delle loro famiglie, al fine di poterli visitare – secondo le istruzioni della WMA (World Medical Association, n.d.t.).

Progetto finanziato dall’Unione Europea

Progetto comune di Adalah, Al-Mezan (Gaza) e Physicians for Human Rights – Israel

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2 Commenti:

Alle 16 ottobre 2011 alle ore 11:50 , Anonymous Anonimo ha detto...

la differenza c'è: shalit lavorava per salvare la sua vita e quella dei suoi compatrioti, i palestinesi lavoravano per togliere la vita degli ebrei e magari anche la propria, che fa martire. la differenza è sottolissima, ma c'è

www.maurod.ilcannocchiale.it

 
Alle 20 ottobre 2011 alle ore 12:18 , Blogger vichi ha detto...

Gilad Shalit è un soldato delle truppe di occupazione, che non è stato "rapito" durante una vacanza o una gita al mare, ma catturato mentre era al confine con Gaza, partecipando a quell'assedio illegale e immorale che ormai da anni strangola e opprime un milione e mezzo di civili innocenti.

Semmai "rapiti" sono i bambini e i ragazzini palestinesi, prelevati nel cuore della notte dai loro letti e buttati nelle fetide carceri israeliane in violazione di svariate norme e convenzioni internazionali.

Tra i palestinesi liberati c'è anche chi ha partecipato o organizzato attentati, naturalmente.

Avresti ragione - e avrebbero ragione quanti in Israele protestano per lo scambio con Shalit - laddove israele avesse cessato l'assedio di Gaza e l'occupazione dei Territori palestinesi.

Ma così non è...

 

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