Vivere nel sovraffollamento
Il 10 dicembre scorso ricorreva il 63° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UDHR), il cui articolo 13 prevede che “ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato” e il “diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese”. Ma questa celebrazione ha scarso o nullo valore per i profughi palestinesi, soprattutto per quelli di Gaza che, oltre a vedersi negato questo diritto fondamentale, sono costretti a vivere, anzi a sopravvivere, in condizioni disumane.
L’attuale situazione nei Territori occupati mostra come Israele continui a violare impunemente il diritto internazionale e i diritti umani dei Palestinesi, particolarmente proprio quelli scolpiti nella Dichiarazione. Israele prosegue la sua occupazione illegale, compie assassinii e atti di violenza e di tortura a danno dei prigionieri palestinesi, infligge enormi danni a persone e proprietà, impone restrizioni punitive del movimento di beni e merci da e per Gaza e con l’estero. Centinaia di pazienti non possono essere curati all’estero o ricevere le medicine indispensabili a causa di una delle più infami punizioni collettive che si siano viste al mondo. Tutto questo costituisce una palese e vergognosa violazione della UDHR.
Dal 10 dicembre dello scorso anno, solo nella Striscia di Gaza, Israele ha ucciso circa 130 persone, tra cui due donne e 16 bambini, ha arrestato 68 persone, inclusi nove bambini, ha danneggiato 150 case, di cui dieci totalmente distrutte, ha raso al suolo e livellato 9.200 metri quadri di campi coltivati, ha danneggiato 50 strutture pubbliche, di cui 4 completamente distrutte; 21 di queste erano strutture scolastiche. In aggiunta, l’esercito israeliano ha danneggiato 20 negozi e 22 fabbriche, sei delle quali interamente distrutte, e 17 veicoli.
E, soprattutto, i rifugiati palestinesi della Striscia di Gaza, devono affrontare una realtà quotidiana veramente drammatica, senza mezzi di sussistenza e con condizioni abitative assolutamente disastrose. E’ il caso della famiglia di Muhammed Salman Abu Rashad, che qui di seguito viene raccontato.
Muhammed Salman Abu Rashad, 45 anni, Amna Abu Rashad, 31 anni, e i loro nove figli vivono nel campo profughi di Jabalia , una delle zone più densamente popolate della terra. I componenti di questa famiglia rappresentano soltanto 11 degli 1,1 milioni di rifugiati che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione di Gaza, pari approssimativamente a 1,7 milioni di persone.
Secondo la United Nations Relief and Works Agency (UNRWA), Jabalia è il più grande degli otto campi profughi di Gaza e ospita circa 110.000 rifugiati registrati in un’area di soli 1,4 chilometri quadrati; ovviamente, il campo è tristemente noto per il suo sovraffollamento. La politica israeliana illegale di blocco, utilizzata per la prima volta per isolare la Striscia di Gaza nel 1991, è stata particolarmente devastante per i residenti del campo di Jabalia che, come Muhammed Abu Rashad, in precedenza facevano affidamento sui lavori all’interno di Israele per mantenere le loro famiglie. Dall’inizio del blocco totale di Gaza nel 2007, gli ormai disoccupati residenti sono stati costretti a fare affidamento per sopravvivere sugli aiuti dell’UNRWA.
La struttura della casa di Abu Rashad, in gran parte costituita da una stanza di 3 metri per 3, è tipica di molte case del campo di Jabalia. Una singola stanza funge da camera da letto, soggiorno, studio e zona pranzo per tutti gli undici membri della famiglia. Con l’inverno alle porte, è ovvio che la casa, che mostra lunghe crepe serpeggianti sui muri ed un vano d’ingresso aperto dove ci dovrebbe essere una porta funzionante, è del tutto inadeguata per la coppia ed i loro nove figli, con un decimo in arrivo. Quando arriva la pioggia, scorre dentro la casa e sulle loro coperte, e nonostante fuori sia una giornata fresca ed asciutta, l’umidità nella stanza è particolarmente avvertibile. Muhammed è pronto a far notare che le condizioni in carcere sarebbero migliori: “non è una casa, ma un cimitero”.
Vivere ammassati incide su tutti gli aspetti della vita familiare, ma per i 9 figli della coppia l’effetto è paralizzante. La maggioranza dei bambini della famiglia studia durante il turno serale nella locale scuola dell’UNRWA, che è costretta a tenere doppi turni per agevolare tutti gli studenti del campo. Quando i bambini ritornano a casa è buio e, date le costanti interruzioni di corrente, la mancanza di spazio, ed il forte rumore dei generatori elettrici, i bambini non riescono a studiare. Come risultato, due dei figli di Abu Rashad sono stati bocciati un anno a scuola e sono rimasti indietro.
Con la mancanza di spazio per giocare – sia in casa sia all’esterno negli stretti vicoli disseminati di rifiuti – i bambini hanno poco spazio fisico o emotivo e tendono come risultato a scagliarsi l’uno contro l’altro. I ragazzi ricorrono alla violenza contro i loro fratelli più piccoli e Muhammed mi racconta che le sue due figlie sono incapaci “di comportarsi come giovani ragazze”, imitando invece la violenza dei loro fratelli nel tentativo di “tenergli testa”. Muhammed stesso si rammarica di scagliarsi contro i suoi figli quando si comportano male, dicendo che lo stress di vivere in ambienti così opprimenti lo rende ansioso e incline a scoppi d’ira.
Vivere ammassati ha ripercussioni non solo sulla salute mentale dei componenti della famiglia ma anche sulla loro salute fisica. Colpendo i bambini è ovvio che tutti soffrono di raffreddori ed influenza. Muhammed dice che “quando un bambino contrae una malattia, senza lo spazio per tenerlo isolato e per curarlo, gli altri bambini vengono tutti rapidamente infettati”. Data l’umidità ed il freddo costanti, far stare di nuovo bene i bambini una volta che si sono ammalati non è un compito facile.
Mentre l’affollamento ha lasciato la famiglia ad un punto di crisi, la situazione è solo in via di peggioramento. I figli attualmente sono piccoli, il maggiore ha 15 anni, ma via via che crescono la piccola stanza progressivamente diventerà più angusta. La figlia più grande Sundus, di 10 anni, presto sarà troppo grande per dormire accanto ai suoi fratelli. Muhammed ci dice che con la sopraelevazione delle case attuali dei vicini nel tentativo di alleviare i loro problemi di affollamento, presto il sole sarà completamente oscurato dalla casa della famiglia, già umida. Il risultato, secondo Muhammed, sarà “la distruzione della famiglia”.
La crisi dei rifugiati palestinesi è uno dei problemi più grandi e di più lunga durata al mondo riguardanti i rifugiati; oggi all’incirca uno su quattro dei rifugiati di tutto il mondo è un Palestinese. I diritti dei profughi palestinesi, e in particolare il “diritto al ritorno”, sono protetti da numerose Risoluzioni Onu, inclusa la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu 194. Tuttavia, fintanto che la comunità internazionale rifiuterà di far rispettare il diritto internazionale, queste risoluzioni continueranno ad avere una scarsa rilevanza per i rifugiati della Striscia di Gaza, i cui diritti umani fondamentali continuano ad essere sistematicamente negati.
Etichette: dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, palestina, rifugiati, striscia di gaza, unrwa
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page