Una classica operazione di arresto.
Pochi lo sanno, e ancora di meno sono quelli che lo dicono, ma il mese di aprile che si è appena concluso è stato un mese da sballo per quella banda di vili assassini in cui si è trasformato il valoroso esercito israeliano, il mese più cruento dall’inizio del 2006, in cui sono stati uccisi 33 Palestinesi (di cui 8 minori di 18 anni) e ne sono stati feriti 142.
Ed il mese di maggio non si apre certo con delle prospettive più rosee.
Lunedì 1° maggio, infatti, di buon mattino, nel corso di un’operazione di arresto nella città di Tul Karm, nel West Bank, l’esercito israeliano ha ucciso ‘Itaf Zalat, una povera donna palestinese di 44 anni.
E’ successo che, entrati in città, soldati israeliani dell’unità di élite Duvdevan hanno circondato la casa in cui si sospettava si nascondesse un importante esponente della Jihad islamica, Iyad Abdullah, ed hanno intimato agli occupanti di uscire fuori.
Senonché questi “specialisti” (in assassinii), senza dar tempo ai Palestinesi di ottemperare ai loro ordini e, soprattutto, senza che dall’interno fosse stato sparato alcun colpo, hanno notato all’interno della casa dei movimenti “sospetti” ed hanno aperto il fuoco senza esitazione.
Il risultato è che una povera donna assolutamente incolpevole è stata uccisa da un colpo di fucile alla testa, e che due delle sue figlie sono rimaste lievemente ferite; ‘Itaf Zalat ed il militante palestinese, peraltro, non erano nemmeno parenti, ma quest’ultimo viveva in affitto in un appartamento dell’edificio.
L’ennesimo raid illegale dell’esercito israeliano nei Territori occupati, l’ennesimo crimine di guerra addebitabile ad Israele ed alla sua politica brutale e spietata, non il primo e quasi certamente, purtroppo, nemmeno l’ultimo.
In proposito basterà riportare il commento dell’ong israeliana B’tselem sull’accaduto:
“Le circostanze in cui ‘Itaf Zalat … è stata uccisa … fanno sorgere il grave sospetto che le forze di sicurezza israeliane abbiano agito come se stessero conducendo un assassinio piuttosto che un’operazione di arresto. Tale comportamento costituisce una palese violazione dei principi del diritto umanitario internazionale”.
B’tselem, peraltro, non è nuova a denunce di tal genere.
In un report del maggio 2005 dal titolo molto significativo, a cui rimando per la sua completezza (Take No Prisoners Eng.pdf), l'ong israeliana aveva già testimoniato numerosi casi in cui operazioni di arresto si erano concluse con l’uccisione di civili innocenti o con l’assassinio dei ricercati, pur se disarmati o se non avevano opposto alcuna resistenza; in taluni altri casi, inoltre, era stata addirittura provata l’esecuzione sommaria dei militanti, in grave e palese violazione delle norme del diritto umanitario.
Aggiornando le statistiche, possiamo notare che – nel periodo compreso tra il gennaio del 2004 ed il 1° maggio di quest’anno – ben 157 Palestinesi sono stati uccisi durante questi raid assassini eufemisticamente definiti come “operazioni di arresto”; tra questi, secondo quanto ammesso dallo stesso esercito israeliano, ben 35 erano civili che solo per caso si erano trovati sul luogo delle operazioni, mentre 54 erano quelli che, definiti come “ricercati” dall’Idf, sono stati uccisi a sangue freddo, pur essendo disarmati e/o non avendo opposto alcuna resistenza.
Possiamo tranquillamente affermare, dunque, che la “classica” operazione di arresto israeliana prevede, nella maggioranza dei casi almeno, l’uccisione del ricercato, e pazienza se talvolta ci vanno di mezzo anche civili completamente estranei ed incolpevoli: detta in parole povere, se non ci scappa il morto i soldati israeliani non tornano in caserma contenti!
Ed ancora più penosi sono i casi in cui a cadere vittima della furia di Tsahal sono povere donne come ‘Itaf , oppure dei poveri bambini ignari ed indifesi.
Il 18 marzo, durante un’altra operazione di arresto nel villaggio di Al-Yaamoun, vicino a Jenin, alcuni poliziotti di frontiera israeliani hanno ucciso una bambina palestinese di soli 10 anni, Akbar Zaid, che stava andando in ospedale, accompagnata da alcuni familiari, per togliere dei punti di sutura (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/03/ennesimo-tributo-di-sangue-innocente.html).
In totale, secondo i calcoli di B’tselem, dall’inizio della seconda Intifada al 15 febbraio del 2006, su 3.318 Palestinesi uccisi nei Territori occupati, almeno 1.806 erano disarmati e/o non stavano partecipando in alcun modo a scontri a fuoco o ad azioni violente, il che val quanto dire che più di un Palestinese su due è stato brutalmente assassinato a sangue freddo e senza alcuna giustificazione.
Ciò è in primo luogo addebitabile alle norme che regolano, o dovrebbero farlo, l’uso delle armi da fuoco da parte dell’esercito israeliano, che sono ben al di sotto dagli standard richiesti a livello internazionale.
Così, oggi, i soldati israeliani sono autorizzati a sparare anche in situazioni in cui non vi è immediato pericolo per la loro vita (ad es. nel caso di lancio di pietre), a sparare senza preavviso, ad aprire il fuoco contro chiunque entri in una determinata area (in primo luogo, la striscia di confine tra Gaza e Israele), ad assassinare i Palestinesi sospettati di aver commesso attacchi contro civili israeliani.
Ma, in secondo luogo, l’uccisione di civili innocenti da parte dei soldati israeliani è favorita, se non palesemente incoraggiata, dalla mancanza di serie investigazioni su tali “incidenti” da parte delle autorità israeliane, che crea un clima di sostanziale impunità e fa passare il chiaro messaggio secondo cui i membri delle forze di sicurezza non verranno mai chiamati a rispondere del loro operato.
Su quest’ultimo punto Human Rights Watch ha pubblicato nel giugno del 2005 un circostanziato report (“Promoting Impunity: The Israeli Military’s Failure to Investigate Wrongdoing”, disponibile su http://hrw.org/reports/2005/iopt0605), da cui si può rilevare che, a fronte degli oltre 1.722 civili palestinesi innocenti uccisi da Tsahal a quella data (e delle altre diverse migliaia feriti più o meno gravemente), si sono avute soltanto 198 investigazioni, e che da queste sono scaturite 19 incriminazioni e “ben” 6 (sei!) condanne: di queste la più grave è stata una condanna alla detenzione per 20 mesi, ma in tutti gli altri casi – come ha notato Hrw – le pene sono state meno severe di quelle, per fare un esempio, comminate agli obiettori di coscienza.
Ora, dopo l’assassinio della povera ‘Itaf Zalat, l’esercito israeliano ha espresso il proprio “rammarico” (rammarico eh, nemmeno le scuse!), ed ha promesso che lancerà un’indagine sull’accaduto: visti i numeri di cui sopra, più che una promessa pare proprio una barzelletta!
‘Itaf Zalat è il morto numero 100 dall’inizio del 2006, mentre il numero dei feriti ammonta a ben 419; dall’inizio della seconda Intifada i morti Palestinesi salgono così a 3.871 ed i feriti a 29.786 (fonte: sito web della Mezzaluna rossa).
Cifre impressionanti e che dovrebbero far riflettere, ma qui in Italia sappiamo indignarci soltanto quando si brucia una bandiera; e sia pure anche se quella bandiera, per molti, è solo un simbolo di oppressione e di morte.
Ed il mese di maggio non si apre certo con delle prospettive più rosee.
Lunedì 1° maggio, infatti, di buon mattino, nel corso di un’operazione di arresto nella città di Tul Karm, nel West Bank, l’esercito israeliano ha ucciso ‘Itaf Zalat, una povera donna palestinese di 44 anni.
E’ successo che, entrati in città, soldati israeliani dell’unità di élite Duvdevan hanno circondato la casa in cui si sospettava si nascondesse un importante esponente della Jihad islamica, Iyad Abdullah, ed hanno intimato agli occupanti di uscire fuori.
Senonché questi “specialisti” (in assassinii), senza dar tempo ai Palestinesi di ottemperare ai loro ordini e, soprattutto, senza che dall’interno fosse stato sparato alcun colpo, hanno notato all’interno della casa dei movimenti “sospetti” ed hanno aperto il fuoco senza esitazione.
Il risultato è che una povera donna assolutamente incolpevole è stata uccisa da un colpo di fucile alla testa, e che due delle sue figlie sono rimaste lievemente ferite; ‘Itaf Zalat ed il militante palestinese, peraltro, non erano nemmeno parenti, ma quest’ultimo viveva in affitto in un appartamento dell’edificio.
L’ennesimo raid illegale dell’esercito israeliano nei Territori occupati, l’ennesimo crimine di guerra addebitabile ad Israele ed alla sua politica brutale e spietata, non il primo e quasi certamente, purtroppo, nemmeno l’ultimo.
In proposito basterà riportare il commento dell’ong israeliana B’tselem sull’accaduto:
“Le circostanze in cui ‘Itaf Zalat … è stata uccisa … fanno sorgere il grave sospetto che le forze di sicurezza israeliane abbiano agito come se stessero conducendo un assassinio piuttosto che un’operazione di arresto. Tale comportamento costituisce una palese violazione dei principi del diritto umanitario internazionale”.
B’tselem, peraltro, non è nuova a denunce di tal genere.
In un report del maggio 2005 dal titolo molto significativo, a cui rimando per la sua completezza (Take No Prisoners Eng.pdf), l'ong israeliana aveva già testimoniato numerosi casi in cui operazioni di arresto si erano concluse con l’uccisione di civili innocenti o con l’assassinio dei ricercati, pur se disarmati o se non avevano opposto alcuna resistenza; in taluni altri casi, inoltre, era stata addirittura provata l’esecuzione sommaria dei militanti, in grave e palese violazione delle norme del diritto umanitario.
Aggiornando le statistiche, possiamo notare che – nel periodo compreso tra il gennaio del 2004 ed il 1° maggio di quest’anno – ben 157 Palestinesi sono stati uccisi durante questi raid assassini eufemisticamente definiti come “operazioni di arresto”; tra questi, secondo quanto ammesso dallo stesso esercito israeliano, ben 35 erano civili che solo per caso si erano trovati sul luogo delle operazioni, mentre 54 erano quelli che, definiti come “ricercati” dall’Idf, sono stati uccisi a sangue freddo, pur essendo disarmati e/o non avendo opposto alcuna resistenza.
Possiamo tranquillamente affermare, dunque, che la “classica” operazione di arresto israeliana prevede, nella maggioranza dei casi almeno, l’uccisione del ricercato, e pazienza se talvolta ci vanno di mezzo anche civili completamente estranei ed incolpevoli: detta in parole povere, se non ci scappa il morto i soldati israeliani non tornano in caserma contenti!
Ed ancora più penosi sono i casi in cui a cadere vittima della furia di Tsahal sono povere donne come ‘Itaf , oppure dei poveri bambini ignari ed indifesi.
Il 18 marzo, durante un’altra operazione di arresto nel villaggio di Al-Yaamoun, vicino a Jenin, alcuni poliziotti di frontiera israeliani hanno ucciso una bambina palestinese di soli 10 anni, Akbar Zaid, che stava andando in ospedale, accompagnata da alcuni familiari, per togliere dei punti di sutura (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/03/ennesimo-tributo-di-sangue-innocente.html).
In totale, secondo i calcoli di B’tselem, dall’inizio della seconda Intifada al 15 febbraio del 2006, su 3.318 Palestinesi uccisi nei Territori occupati, almeno 1.806 erano disarmati e/o non stavano partecipando in alcun modo a scontri a fuoco o ad azioni violente, il che val quanto dire che più di un Palestinese su due è stato brutalmente assassinato a sangue freddo e senza alcuna giustificazione.
Ciò è in primo luogo addebitabile alle norme che regolano, o dovrebbero farlo, l’uso delle armi da fuoco da parte dell’esercito israeliano, che sono ben al di sotto dagli standard richiesti a livello internazionale.
Così, oggi, i soldati israeliani sono autorizzati a sparare anche in situazioni in cui non vi è immediato pericolo per la loro vita (ad es. nel caso di lancio di pietre), a sparare senza preavviso, ad aprire il fuoco contro chiunque entri in una determinata area (in primo luogo, la striscia di confine tra Gaza e Israele), ad assassinare i Palestinesi sospettati di aver commesso attacchi contro civili israeliani.
Ma, in secondo luogo, l’uccisione di civili innocenti da parte dei soldati israeliani è favorita, se non palesemente incoraggiata, dalla mancanza di serie investigazioni su tali “incidenti” da parte delle autorità israeliane, che crea un clima di sostanziale impunità e fa passare il chiaro messaggio secondo cui i membri delle forze di sicurezza non verranno mai chiamati a rispondere del loro operato.
Su quest’ultimo punto Human Rights Watch ha pubblicato nel giugno del 2005 un circostanziato report (“Promoting Impunity: The Israeli Military’s Failure to Investigate Wrongdoing”, disponibile su http://hrw.org/reports/2005/iopt0605), da cui si può rilevare che, a fronte degli oltre 1.722 civili palestinesi innocenti uccisi da Tsahal a quella data (e delle altre diverse migliaia feriti più o meno gravemente), si sono avute soltanto 198 investigazioni, e che da queste sono scaturite 19 incriminazioni e “ben” 6 (sei!) condanne: di queste la più grave è stata una condanna alla detenzione per 20 mesi, ma in tutti gli altri casi – come ha notato Hrw – le pene sono state meno severe di quelle, per fare un esempio, comminate agli obiettori di coscienza.
Ora, dopo l’assassinio della povera ‘Itaf Zalat, l’esercito israeliano ha espresso il proprio “rammarico” (rammarico eh, nemmeno le scuse!), ed ha promesso che lancerà un’indagine sull’accaduto: visti i numeri di cui sopra, più che una promessa pare proprio una barzelletta!
‘Itaf Zalat è il morto numero 100 dall’inizio del 2006, mentre il numero dei feriti ammonta a ben 419; dall’inizio della seconda Intifada i morti Palestinesi salgono così a 3.871 ed i feriti a 29.786 (fonte: sito web della Mezzaluna rossa).
Cifre impressionanti e che dovrebbero far riflettere, ma qui in Italia sappiamo indignarci soltanto quando si brucia una bandiera; e sia pure anche se quella bandiera, per molti, è solo un simbolo di oppressione e di morte.
2 Commenti:
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Io prima di dire o fare certe cose, mi informo bene. Valuto, e nel momento in cui sono certo di quel che dirò, solo in quel momento dico e faccio. Questo metodo mi ha permesso di non commetter mai errori, soprattutto grossolani, come nel tuocaso. Ti consiglio di adottare anche tu questa metodologia, sicuramente non pubblicheresti notizie false e tendenziose, come hai fatto.
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