Un trascurabile danno collaterale.
Ci siamo spesso interrogati, senza riuscire peraltro a trovare risposta, sul perché i media italiani siano prodighi di notizie di ogni sorta sulle vicende palestinesi - compresa financo la “fuga d’amore” di una delle figlie del premier palestinese Haniyeh – con un’unica e ben precisa eccezione, quella relativa agli assassinii ed ai crimini di guerra commessi da Israele nei Territori occupati.
Così, ad esempio, è passata quasi sotto silenzio, al massimo con un trafiletto nella sezione esteri di qualche quotidiano, la notizia dell’ennesima esecuzione extra-giudiziaria avvenuta il 20 maggio a Gaza City, in cui è morto Mohammed Dahdouh, il militante che costituiva l’obiettivo prescelto dell’operazione, ma in cui un’intera famiglia palestinese è stata sterminata dalla bestiale e spietata dimostrazione di forza dell’aviazione israeliana.
Ci siamo già occupati di questo nuovo e atroce crimine di guerra imputabile agli assassini israeliani (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/05/operazioni-di-peace-keeping.html), ma vogliamo ritornarci un momento per riflettere, a distanza di qualche giorno, nel momento in cui un giornalista onesto e coraggioso come Gideon Levy di Ha’aretz ci racconta qualcosa in più di questa vicenda, rendendola – se possibile – ancor più tragica ed amara.
Si tratta della storia di Hamdi Aman, un palestinese di 28 anni di Gaza, che a prezzo di grandi sacrifici un giorno riesce ad acquistare, per sé e per la propria famiglia, una Mitsubishi usata.
Possiamo solo intuire la gioia per l’acquisto effettuato, e cercare di immaginare l’allegria dell’intera famiglia quando Hamdi decide di fare una sorta di “inaugurazione” dell’auto andando in giro per il quartiere Gargash di Gaza City, e non è difficile immaginare moglie e marito che si guardano negli occhi compiaciuti, i bambini allegri e frenetici che, per una volta tanto, non devono stare in casa ma possono andare in giro, comodamente seduti, e guardare con occhi curiosi l’affaccendata vita quotidiana di un popoloso quartiere della loro città.
C’erano cinque adulti e tre bambini piccoli in quell’auto, felici ed inconsapevoli, quando, ad un tratto, un pick-up che li stava superando a sinistra, guidato da Mohammed Dahdouh, salta in aria colpito da alcuni missili lanciati da un aereo israeliano.
E’ la fine di Dahdouh, ma anche quella della famiglia di Hamdi Aman.
La moglie Naima, di 27 anni, muore sul colpo, al pari del figlioletto Muhind, di 7 anni, e della madre Hanan, 46 anni; un altro dei suoi figli, la piccola Mariyah, di soli cinque anni – che fino ad un attimo prima stava ballando sulle ginocchia della mamma – rimane gravemente ferita e giace ora in un letto del Centro medico Sheba di Tel Ashomer, completamente paralizzata.
Uno zio di Hamdi, Nahed, 33 anni e padre di due bambini, resta anch’egli paralizzato ed è ricoverato presso il Centro medico Sourasky di Tel Aviv, mentre il figlio più piccolo di Hamdi, Muaman, di due anni, e Hamdi stesso restano feriti da numerose schegge in tutto il corpo.
L’ufficio del portavoce dell’esercito israeliano ha affermato che si sta “continuando ad investigare” sulle circostanze che hanno portato allo sterminio della povera famiglia palestinese: si, certo, le conosciamo queste indagini in cui gli assassini “investigano” sull’operato dei propri colleghi!
Stiamo ancora aspettando, come sempre avviene e sempre avverrà, l’esito delle indagini sull’altra, valorosa operazione compiuta dall’aviazione israeliana il 6 marzo, sempre a Gaza City, in cui i missili della Iaf hanno ucciso – oltre a due militanti della Jihad islamica – anche una bambina di 8 anni e due ragazzini di 14 e 17 anni, ferendo altresì una dozzina di civili palestinesi che si trovavano nei pressi (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/03/questi-assassini-vanno-fermati.html).
Il vero è che nel Paese degli assassini forse tutto questo è legittimo e morale, ma secondo i principi del diritto umanitario internazionale si tratta di un crimine di guerra; agli occhi del concesso delle nazioni civili, poi, il massacro della famiglia di Hamdi Aman non è altro che un abominio ed un crimine spietato e bestiale.
Uno dei principi cardine del diritto umanitario è rappresentato dal principio di proporzionalità, in base al quale è proibito compiere attacchi, anche verso dei legittimi obiettivi militari, se vi è la consapevolezza che l’attacco stesso possa provocare danni alla popolazione civile, gravi e sproporzionati rispetto al vantaggio che l’attaccante si propone di acquisire.
Va detto, anzitutto, che anche l’assassinio extra-giudiziario di militanti palestinesi è vietato dal diritto internazionale, in quanto equivale ad una “execution without a trial”, una vera e propria condanna a morte eseguita senza alcuna incriminazione e senza alcun processo.
Ciò è ancor più vero nel caso di Mohammed Dahdouh, il quale non era accusato nemmeno di essere mandante o organizzatore di attentati suicidi, ma era al più ritenuto responsabile del lancio di alcuni razzi Qassam che, vogliamo ricordarlo per inciso, quest’anno non hanno provocato che alcuni ricoveri … per shock.
A fronte di questa circostanza, era ben chiaro ai pianificatori ed agli esecutori del raid aereo su Gaza che lanciare dei missili contro un’autovettura, nel primo pomeriggio e nel bel mezzo di un quartiere popoloso, non avrebbe che potuto comportare lo spargimento di sangue innocente di civili ignari e indifesi, cosa che è puntualmente e nuovamente accaduta.
Si tratta quindi di un crimine di guerra, atroce e ingiustificato, che va imputato ai piloti che lo hanno eseguito, agli “strateghi” che lo hanno ideato, all’intero establishment israeliano della Difesa, guidato da quell’assassino entusiasta che si sta dimostrando essere Amir Peretz.
E complice morale di questo ennesimo assassinio è l’intero popolo israeliano, che è informato e ben conosce, ed in grande maggioranza condivide, l’operato dei propri governanti e del proprio valoroso esercito, il furto della terra e delle entrate fiscali, il disastro dell’economia palestinese, il blocco dei valichi di frontiera, le vessazioni e le umiliazioni ai check-points, i quotidiani raid e gli assassini di militanti e civili senza distinzioni, le “dead-zones” nei pressi del confine tra Gaza ed Israele, i bombardamenti indiscriminati della Striscia, e tutto il resto dell’armamentario con cui questo civile Paese che prende il nome di Israele ogni giorno mette sotto il proprio tallone un intero popolo.
E ci piacerebbe che una volta, una volta almeno, i portavoce delle comunità ebraiche italiane, i vari Morpurgo, Reibman e compagnia, prendessero la parola per condannare i crimini di guerra e le atrocità commesse dal loro beneamato Israele, anziché lamentarsi per qualche bandiera bruciata e blaterare di un fantomatico, risorgente “antisemitismo” italiano ed europeo, scusa valida da tirare fuori in ogni occasione e per tacitare ogni discussione ed ogni protesta.
Tacciano almeno, per un minimo di dignità.
Così, ad esempio, è passata quasi sotto silenzio, al massimo con un trafiletto nella sezione esteri di qualche quotidiano, la notizia dell’ennesima esecuzione extra-giudiziaria avvenuta il 20 maggio a Gaza City, in cui è morto Mohammed Dahdouh, il militante che costituiva l’obiettivo prescelto dell’operazione, ma in cui un’intera famiglia palestinese è stata sterminata dalla bestiale e spietata dimostrazione di forza dell’aviazione israeliana.
Ci siamo già occupati di questo nuovo e atroce crimine di guerra imputabile agli assassini israeliani (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/05/operazioni-di-peace-keeping.html), ma vogliamo ritornarci un momento per riflettere, a distanza di qualche giorno, nel momento in cui un giornalista onesto e coraggioso come Gideon Levy di Ha’aretz ci racconta qualcosa in più di questa vicenda, rendendola – se possibile – ancor più tragica ed amara.
Si tratta della storia di Hamdi Aman, un palestinese di 28 anni di Gaza, che a prezzo di grandi sacrifici un giorno riesce ad acquistare, per sé e per la propria famiglia, una Mitsubishi usata.
Possiamo solo intuire la gioia per l’acquisto effettuato, e cercare di immaginare l’allegria dell’intera famiglia quando Hamdi decide di fare una sorta di “inaugurazione” dell’auto andando in giro per il quartiere Gargash di Gaza City, e non è difficile immaginare moglie e marito che si guardano negli occhi compiaciuti, i bambini allegri e frenetici che, per una volta tanto, non devono stare in casa ma possono andare in giro, comodamente seduti, e guardare con occhi curiosi l’affaccendata vita quotidiana di un popoloso quartiere della loro città.
C’erano cinque adulti e tre bambini piccoli in quell’auto, felici ed inconsapevoli, quando, ad un tratto, un pick-up che li stava superando a sinistra, guidato da Mohammed Dahdouh, salta in aria colpito da alcuni missili lanciati da un aereo israeliano.
E’ la fine di Dahdouh, ma anche quella della famiglia di Hamdi Aman.
La moglie Naima, di 27 anni, muore sul colpo, al pari del figlioletto Muhind, di 7 anni, e della madre Hanan, 46 anni; un altro dei suoi figli, la piccola Mariyah, di soli cinque anni – che fino ad un attimo prima stava ballando sulle ginocchia della mamma – rimane gravemente ferita e giace ora in un letto del Centro medico Sheba di Tel Ashomer, completamente paralizzata.
Uno zio di Hamdi, Nahed, 33 anni e padre di due bambini, resta anch’egli paralizzato ed è ricoverato presso il Centro medico Sourasky di Tel Aviv, mentre il figlio più piccolo di Hamdi, Muaman, di due anni, e Hamdi stesso restano feriti da numerose schegge in tutto il corpo.
L’ufficio del portavoce dell’esercito israeliano ha affermato che si sta “continuando ad investigare” sulle circostanze che hanno portato allo sterminio della povera famiglia palestinese: si, certo, le conosciamo queste indagini in cui gli assassini “investigano” sull’operato dei propri colleghi!
Stiamo ancora aspettando, come sempre avviene e sempre avverrà, l’esito delle indagini sull’altra, valorosa operazione compiuta dall’aviazione israeliana il 6 marzo, sempre a Gaza City, in cui i missili della Iaf hanno ucciso – oltre a due militanti della Jihad islamica – anche una bambina di 8 anni e due ragazzini di 14 e 17 anni, ferendo altresì una dozzina di civili palestinesi che si trovavano nei pressi (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/03/questi-assassini-vanno-fermati.html).
Il vero è che nel Paese degli assassini forse tutto questo è legittimo e morale, ma secondo i principi del diritto umanitario internazionale si tratta di un crimine di guerra; agli occhi del concesso delle nazioni civili, poi, il massacro della famiglia di Hamdi Aman non è altro che un abominio ed un crimine spietato e bestiale.
Uno dei principi cardine del diritto umanitario è rappresentato dal principio di proporzionalità, in base al quale è proibito compiere attacchi, anche verso dei legittimi obiettivi militari, se vi è la consapevolezza che l’attacco stesso possa provocare danni alla popolazione civile, gravi e sproporzionati rispetto al vantaggio che l’attaccante si propone di acquisire.
Va detto, anzitutto, che anche l’assassinio extra-giudiziario di militanti palestinesi è vietato dal diritto internazionale, in quanto equivale ad una “execution without a trial”, una vera e propria condanna a morte eseguita senza alcuna incriminazione e senza alcun processo.
Ciò è ancor più vero nel caso di Mohammed Dahdouh, il quale non era accusato nemmeno di essere mandante o organizzatore di attentati suicidi, ma era al più ritenuto responsabile del lancio di alcuni razzi Qassam che, vogliamo ricordarlo per inciso, quest’anno non hanno provocato che alcuni ricoveri … per shock.
A fronte di questa circostanza, era ben chiaro ai pianificatori ed agli esecutori del raid aereo su Gaza che lanciare dei missili contro un’autovettura, nel primo pomeriggio e nel bel mezzo di un quartiere popoloso, non avrebbe che potuto comportare lo spargimento di sangue innocente di civili ignari e indifesi, cosa che è puntualmente e nuovamente accaduta.
Si tratta quindi di un crimine di guerra, atroce e ingiustificato, che va imputato ai piloti che lo hanno eseguito, agli “strateghi” che lo hanno ideato, all’intero establishment israeliano della Difesa, guidato da quell’assassino entusiasta che si sta dimostrando essere Amir Peretz.
E complice morale di questo ennesimo assassinio è l’intero popolo israeliano, che è informato e ben conosce, ed in grande maggioranza condivide, l’operato dei propri governanti e del proprio valoroso esercito, il furto della terra e delle entrate fiscali, il disastro dell’economia palestinese, il blocco dei valichi di frontiera, le vessazioni e le umiliazioni ai check-points, i quotidiani raid e gli assassini di militanti e civili senza distinzioni, le “dead-zones” nei pressi del confine tra Gaza ed Israele, i bombardamenti indiscriminati della Striscia, e tutto il resto dell’armamentario con cui questo civile Paese che prende il nome di Israele ogni giorno mette sotto il proprio tallone un intero popolo.
E ci piacerebbe che una volta, una volta almeno, i portavoce delle comunità ebraiche italiane, i vari Morpurgo, Reibman e compagnia, prendessero la parola per condannare i crimini di guerra e le atrocità commesse dal loro beneamato Israele, anziché lamentarsi per qualche bandiera bruciata e blaterare di un fantomatico, risorgente “antisemitismo” italiano ed europeo, scusa valida da tirare fuori in ogni occasione e per tacitare ogni discussione ed ogni protesta.
Tacciano almeno, per un minimo di dignità.
2 Commenti:
Prima io fermerei i terroristi, a dire la verità.
Il "fantomatico" antisemitismo è reale. Lo sai che chi va con la kippà ebraica viene sempre più insultato con la formula "sionista" o "ebreo fascista"
Verrà il giorno che gli assasini sionisti pagheranno caro tutta la loro arroganza
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