11 dicembre 2007

Annapolis, un successo per Olmert, un disastro per i Palestinesi.



Per chiudere il discorso sulla conferenza di Annapolis, si può rilevare come i media occidentali abbiano per la maggior parte propagandato questo evento come un decisivo rilancio del processo di pace tra Israeliani e Palestinesi, mentre molto più cauti se non pessimistici sono stati i commenti della stampa araba.
Del resto, al di là dei sorrisi e delle strette di mano, ciò che emerge è il fatto che nessuno dei temi fondamentali della questione palestinese è stato affrontato, né si intravede per alcuno di essi la possibilità di una risoluzione concordata.
Gli unici ad aver tratto vantaggio da Annapolis, soprattutto in termini di immagine, sono stati Bush ed Olmert, senza che quest'ultimo, peraltro, offrisse nulla di concreto alla sua controparte palestinese.
In questo senso, esemplare è l'articolo che voglio proporre, scritto il 1° dicembre da Hani al-Masri per la testata AMIN (Arabic Media Internet Network), nella traduzione offerta dal sito di Arabnews.
Dal 1° dicembre ad oggi, peraltro, la situazione - se possibile - è vieppiù peggiorata.
I sia pur minimi impegni assunti da Olmert, infatti, sono già svaniti appena il giorno dopo, e così il 31 dicembre del 2008 come termine per concludere il processo di pace è diventata una data meramente formale e indicativa, mentre la più volte strombazzata promessa di "congelare" lo sviluppo delle colonie è stata smentita dalla progettata costruzione di 307 nuove unità abitative nel sobborgo di Gerusalemme di Har Homa.
E, nel frattempo, il numero dei Palestinesi deceduti a Gaza per non aver ricevuto il permesso di curarsi all'estero è salito a 33: gli ultimi, un bambino di 13 mesi e un 55enne malato di cuore.
Mentre continua indisturbata la mattanza di Palestinesi ad opera della premiata ditta di assassini Tsahal: 20 morti e 22 feriti nella sola settimana compresa tra il 29 novembre e il 5 dicembre.


Essendosi ormai conclusa la conferenza di Annapolis, è possibile fare un bilancio a mente fredda dei profitti e delle perdite che questo appuntamento ha comportato.
Da una lettura oggettiva di ciò che è accaduto ad Annapolis segue che i palestinesi ed il presidente Abu Mazen hanno ottenuto quanto segue:
- La questione palestinese è tornata all’ordine del giorno a livello internazionale dopo aver sofferto un lungo periodo di emarginazione.
- L’ANP ha rotto il proprio isolamento politico a livello internazionale.
- E’ stata smentita la tesi israeliana che parlava dell’assenza di un partner palestinese.
- Le trattative hanno preso nuovamente il posto della contrapposizione, che aveva assunto le forme di uno scontro militare che ad Israele risultava conveniente.
- E’ stato indebolito Hamas, che nel giorno della conferenza di Annapolis sembrava effettivamente trovarsi in una posizione poco invidiabile.
- Il “successo” di Annapolis apre le porte all’afflusso dei finanziamenti nelle casse dell’ANP, che può risanare il deficit di bilancio e dare inizio alla ricostruzione delle istituzioni, ed in particolare dei servizi di sicurezza.
- La grande partecipazione araba ha fornito alla leadership palestinese una copertura politica a livello arabo che l’aiuterà a sostenere le conseguenze di Annapolis.
Tuttavia, i successi palestinesi ad Annapolis non appaiono in tutta la loro realtà – ed in tutta la loro limitatezza – se non guardiamo anche a ciò che ha ottenuto Israele, ed in particolare il primo ministro Ehud Olmert:
- Israele ed il suo primo ministro Olmert sono apparsi come dei costruttori di pace, invece di emergere per quello che realmente sono, ovvero dei produttori di guerra e distruzione, i fautori dell’assedio, degli insediamenti, del muro di separazione, dell’espansione e delle annessioni, come dimostra ciò che è avvenuto e che sta avvenendo quotidianamente nei territori occupati, sia prima che durante e dopo Annapolis. Anche Bush è apparso come un costruttore di pace sebbene le sue mani siano sporche del sangue degli iracheni e degli afghani.
- La partecipazione di Israele ad una conferenza condotta dagli Stati Uniti, il primo sostenitore ed alleato di Israele, sbarra la strada all’eventualità che emerga un vuoto che potrebbe essere riempito da altre iniziative a livello arabo ed internazionale, ed allontana da Tel Aviv il pericolo della legalità internazionale e delle risoluzioni dell’ONU, ma anche il pericolo rappresentato dall’iniziativa di pace araba e dalla possibilità di convocare una vera conferenza internazionale che dia luogo a delle trattative reali, ed i cui partecipanti abbiano la possibilità di intervenire realmente, e non siano soltanto dei testimoni privi di alcun ruolo.
- Ora Olmert è in grado di sfruttare la riapertura del processo di pace – e di trattative che in realtà sono prive di una cornice chiara e di obblighi precisi e vincolanti – per continuare a portare avanti la politica israeliana di imposizione del fatto compiuto. Il documento congiunto non contiene, infatti, alcuna richiesta di stop immediato delle aggressioni, e della costruzione del muro e degli insediamenti. Non vi è altra autorità di riferimento all’infuori della Road Map, e senza alcuna prescrizione di una applicazione simultanea degli obblighi e degli impegni presi.
- Il “successo” di Annapolis sancisce la divisione esistente fra i palestinesi, e potrebbe aggravarla ulteriormente, dopo che Olmert ha posto una nuova condizione ad Abu Mazen: i negoziati non possono andare avanti se non viene estirpato il terrorismo e se non vengono disarmati i gruppi paramilitari illegali. Questa condizione prevede, fra l’altro, che l’ANP riprenda il controllo di Gaza, una possibilità che non è certamente a portata di mano. Ciò dà ad Israele un’ulteriore carta di ricatto ed un’ulteriore possibilità di temporeggiare, a meno che le forze di occupazione non decidano di compiere questa missione per conto dell’ANP. Ma se ciò dovesse avvenire, l’Autorità Palestinese pagherà un prezzo altissimo.
- L’ampia partecipazione araba alla conferenza di Annapolis potrebbe aprire la strada ad un’alleanza israelo-arabo-americana contro l’Iran. Inoltre, tale partecipazione accresce le possibilità di successo degli appelli del ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni per una normalizzazione dei rapporti diplomatici fra gli arabi ed Israele parallelamente all’avanzamento delle trattative israelo-palestinesi, invece che dopo il ritiro israeliano dai territori occupati ed il raggiungimento della pace.
- La riapertura dei negoziati scongiura l’eventualità di un dissolvimento dell’ANP. Israele vuole infatti mantenere in vita l’ANP, a condizione che rimanga debole, e che resti vincolata alle trattative come unico mezzo di soluzione del conflitto. Infatti, l’esistenza dell’Autorità Palestinese libera Israele dalle sue responsabilità di stato occupante, e permette allo stato ebraico di continuare a trattare con essa sul lungo periodo, nel tentativo di “addomesticarla” al punto da farle accettare la soluzione che Israele vuole imporre. Tale soluzione è quella di uno stato palestinese dai confini provvisori, che sarebbe uno stato soltanto di nome. Per questa ragione, nel suo discorso di Annapolis Olmert ha messo l’accento su tutte le fasi della Road Map. La seconda fase della Road Map prevede infatti la creazione di uno stato palestinese dai confini provvisori.
- Il rilancio del processo di pace e dei negoziati senza che Olmert garantisse nulla in cambio – né per quanto riguarda le questioni del “final status”, né per quanto riguarda le questioni transitorie – potrebbe allungare la vita del suo governo, come indicano gli ultimi sondaggi. Olmert, infatti, non ha offerto nulla in cambio. Ed anche la scadenza temporale rappresentata dalla fine del mandato di Bush in realtà non è vincolante.
Sulla base di quanto abbiamo fin qui osservato, possiamo dire che Israele e gli Stati Uniti – che hanno organizzato la conferenza, e sono anche deputati a controllarne l’applicazione (un altro elemento a vantaggio di Israele, visto che l’amministrazione Bush non è affatto giusta ed imparziale) – sono quelli che traggono maggior vantaggio da Annapolis, poiché i palestinesi hanno ottenuto soltanto risultati limitati e di natura puramente formale.
Non è forse vero che Bush ed Olmert hanno parlato di Israele come dello “stato degli ebrei”? Non è emerso da ogni discorso e da ogni parola pronunciata ad Annapolis che la sicurezza di Israele ha la priorità su ogni altra cosa?
Qualsiasi trattativa che non abbia come proprio fondamento la delegittimazione dell’occupazione, e che non punti alle questioni dello stato finale non può essere una trattativa nell’interesse della vittima, ma solo nell’interesse dello stato occupante.
Negoziati di questo genere possono soltanto portare ad uno dei risultati seguenti: il fallimento ed il ritorno allo scontro, oppure il raggiungimento di un accordo molto peggiore degli accordi di Oslo, o l’esplosione della situazione interna palestinese, o una terza Intifada palestinese.
Hani al-Masri è un analista politico palestinese
Titolo originale:
مؤتمر أنابوليس في ميزان الربح والخسارة

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