Il "carattere ebraico" di Israele.
Nei numerosi commenti sul dopo Annapolis, pochi analisti si sono soffermati sulle gravi problematiche connesse all'affermazione e alla richiesta di riconoscimento, anche da parte del mondo arabo, del "carattere ebraico" di Israele.
Qui di seguito riporto, sull'argomento, un pregevole articolo apparso il 2 dicembre sul quotidiano egiziano al-Ahram, tradotto a cura del sito di arabnews.
Mentre – stando alla promessa di Annapolis – dovremo attendere un anno intero per giungere ad un accordo di pace fra palestinesi ed israeliani, rileggendo i documenti di tale conferenza scopriamo nuove insidie che mettono in pericolo il processo di pace, e che possono far sì che esso non arrivi a destinazione.
Nel suo discorso di Annapolis, il presidente Bush ha aggiunto allo storico impegno americano per la sicurezza di Israele un’ulteriore promessa: il riconoscimento di Israele come stato ebraico per il popolo ebraico, che ambisce ad essere riconosciuto ed accolto a livello regionale.
Dal canto suo, Olmert ha indicato con chiarezza nel suo discorso che lo stato di Israele è la patria nazionale del popolo ebraico. La somiglianza fra i due discorsi ha spinto qualcuno a domandarsi sarcasticamente dove questi discorsi siano stati scritti, ma l’interrogativo serio è se simili discorsi possano contribuire a costruire una pace vera fra le parti.
I riflettori di Annapolis hanno messo in ombra le minacce dei partiti della destra religiosa ed estremista all’interno di Israele, che sono partner del partito “Kadima” al governo. Essi avevano avvertito Olmert che, tornando da Annapolis, correva il rischio di ritrovarsi senza governo.
Ugualmente, il clamore dei media intorno a questo appuntamento ha impedito ad alcuni di rendersi conto che l’Iran si era contrapposto alla conferenza – considerata ostile alla Repubblica Islamica iraniana – e che i leader iraniani avevano detto che nella regione non c’è posto per lo stato di Israele. Essi avevano invitato la Jihad Islamica, Hamas, ed altre organizzazioni palestinesi ad una conferenza parallela a Teheran, ed a questo invito Hamas e la Jihad islamica hanno risposto positivamente. La Striscia di Gaza ha assistito a manifestazioni imponenti, che hanno riportato il conflitto arabo-israeliano ai tempi in cui si parlava di uno stato palestinese “dal mare al fiume”, della distruzione di Israele, e del carattere islamico di Gerusalemme.
Con affermazioni come quella del “carattere ebraico” dello stato, e del “carattere islamico” del conflitto, la destra cristiana a Washington, la destra ebraica estrema a Tel Aviv, e gli Ayatollah di Teheran, insieme alle loro controparti nelle piazze – i rabbini del partito Shas e di Israel Beytenu, Hamas, la Jihad Islamica, e la Guardia Rivoluzionaria – hanno disseminato nuove insidie sul cammino verso la pace. Parlare di uno stato esclusivamente ebraico non soltanto rallenterà il processo di pace, lo farà saltare in aria. Riconoscere il carattere ebraico dello stato significa infatti accettare una società settaria che accoglie i suoi cittadini sulla base della religione, e che priva dei diritti della cittadinanza coloro che non abbracciano la religione di stato.
Secondo le statistiche israeliane, il numero di abitanti di Israele raggiunge i 7 milioni circa, il 25 % dei quali è composto da non ebrei. Sono i cosiddetti arabi di Israele, coloro che non lasciarono la Palestina quando venne fondato lo stato israeliano. Il loro numero viene stimato intorno al milione e 600.000 persone, in maggioranza musulmani sunniti (1 milione circa), mentre la quota restante è composta da cristiani di diverse confessioni, arabi beduini, drusi, e circassi. Israele vive nella paura della crescita demografica araba. Sebbene gli arabi partecipino alla vita politica, essi vivono in condizioni di emarginazione, e vengono trattati come cittadini di seconda classe. Israele ha volutamente arruolato beduini, circassi, e drusi nell’esercito, escludendo invece musulmani e cristiani dal servizio militare.
E’ evidente che l’ambizione di Israele a veder riconosciuto il proprio “carattere ebraico” nasconde motivazioni politiche, di cui la più importante è certamente il rifiuto di riconoscere il diritto al ritorno dei milioni di palestinesi che vennero cacciati dal proprio paese a seguito delle guerre arabo-israeliane. Israele ritiene che il loro ritorno renderebbe gli arabi maggioritari all’interno del paese.
Sebbene lo stato ebraico abbia sempre dichiarato la propria laicità, ed abbia sempre affermato di essere uno stato democratico, esso ambisce con forza ad affermare la propria identità religiosa, e semmai a riconoscere l’esistenza di alcune minoranze all’interno della società israeliana. Inoltre, Israele sostiene alcune minoranze religiose e nazionalistiche all’interno della regione mediorientale, e vede di buon occhio la creazione di staterelli su base religiosa e settaria in Medio Oriente, poiché ciò permetterebbe allo stato israeliano di sostenere di non essere un’eccezione nella regione, ma di essere in compagnia di stati che a loro volta affermano di essere musulmani o cristiani.
Chi conosce la storia del conflitto nella regione sa che Israele ha sempre ambito a dipingere questo conflitto come un conflitto religioso. Lo stato israeliano non nasconde la propria soddisfazione quando i leader dei movimenti islamici ripetono questo concetto, poiché questo discorso va a vantaggio dell’idea di stato religioso. Forse ci ricorderemo come Israele fu colto dal panico quando alcune fazioni palestinesi proposero lo slogan di un unico stato palestinese laico che avrebbe incluso tutte le religioni. Israele cercò di colpire queste fazioni e di cancellare questo slogan che avrebbe significato la fine della sua esistenza basata sui fondamenti della Torà.
Dobbiamo renderci conto che la cancellazione dal documento di Annapolis della frase sul “carattere ebraico” dello stato non significa che Israele vi abbia rinunciato. Come ha detto il ministro degli esteri egiziano Ahmad Abul Gheit, dobbiamo stare molto attenti nel difendere i diritti giuridici, umanitari, e politici di quegli arabi che non lasciarono le loro case nel 1948.
Israele gioca col fuoco dello stato religioso, ma l’annuncio del “carattere ebraico” dello stato non gli garantirà la sicurezza e non assicurerà la pace né al suo popolo né agli altri popoli della regione. Al contrario, getterà benzina sul fuoco della contrapposizione religiosa in tutta la regione. L’emirato di Gaza guidato da Hamas e sostenuto dalla Jihad islamica è ormai una realtà che ha soltanto bisogno di un annuncio ufficiale per essere definitivamente sancita. La Repubblica Islamica dell’Iran non lesinerà i suoi missili ad alta tecnologia ad Hezbollah. La piazza araba è in subbuglio, e non crede più alla pace dopo aver visto i generali di Israele indossare il mantello dei rabbini.
Olmert ha attaccato l’intransigenza religiosa e l’estremismo nazionalista. Credo che questo possa essere l’inizio di un periodo di instabilità interna, di violenza, e di rancori che potrebbero scuotere i fondamenti stessi della vita comune. Si rende conto il primo ministro israeliano che l’annuncio del “carattere ebraico” dello stato rappresenta la fase più alta dell’intransigenza religiosa? Si rende conto che ciò susciterà amarezza e rancore in 1 milione e mezzo di arabi all’interno di Israele, e che la loro reazione all’intransigenza religiosa ebraica si tradurrà in intransigenza religiosa islamica ed in estremismo nazionalista arabo? Si rende conto che ciò potrebbe determinare l’esplodere di una violenza che potrebbe spazzar via le basi stesse della vita comune che tutti i popoli si augurano? Infine, si rende conto il primo ministro israeliano che annunciare il “carattere ebraico” dello stato di Israele aprirà la strada alla nascita di stati islamici, che dichiareranno la jihad per la vittoria dell’Islam e per rimpadronirsi della moschea di al-Aqsa e della Cupola della Roccia?
La regione non ha bisogno di stati religiosi: né di uno stato per soli ebrei, né di stati islamici.
Magdi Daqqaq è un analista politico egiziano; è caporedattore della rivista “al-Hilal”
Titolo originale:
يهودية إسرائيل وإسلامية إيران
Nel suo discorso di Annapolis, il presidente Bush ha aggiunto allo storico impegno americano per la sicurezza di Israele un’ulteriore promessa: il riconoscimento di Israele come stato ebraico per il popolo ebraico, che ambisce ad essere riconosciuto ed accolto a livello regionale.
Dal canto suo, Olmert ha indicato con chiarezza nel suo discorso che lo stato di Israele è la patria nazionale del popolo ebraico. La somiglianza fra i due discorsi ha spinto qualcuno a domandarsi sarcasticamente dove questi discorsi siano stati scritti, ma l’interrogativo serio è se simili discorsi possano contribuire a costruire una pace vera fra le parti.
I riflettori di Annapolis hanno messo in ombra le minacce dei partiti della destra religiosa ed estremista all’interno di Israele, che sono partner del partito “Kadima” al governo. Essi avevano avvertito Olmert che, tornando da Annapolis, correva il rischio di ritrovarsi senza governo.
Ugualmente, il clamore dei media intorno a questo appuntamento ha impedito ad alcuni di rendersi conto che l’Iran si era contrapposto alla conferenza – considerata ostile alla Repubblica Islamica iraniana – e che i leader iraniani avevano detto che nella regione non c’è posto per lo stato di Israele. Essi avevano invitato la Jihad Islamica, Hamas, ed altre organizzazioni palestinesi ad una conferenza parallela a Teheran, ed a questo invito Hamas e la Jihad islamica hanno risposto positivamente. La Striscia di Gaza ha assistito a manifestazioni imponenti, che hanno riportato il conflitto arabo-israeliano ai tempi in cui si parlava di uno stato palestinese “dal mare al fiume”, della distruzione di Israele, e del carattere islamico di Gerusalemme.
Con affermazioni come quella del “carattere ebraico” dello stato, e del “carattere islamico” del conflitto, la destra cristiana a Washington, la destra ebraica estrema a Tel Aviv, e gli Ayatollah di Teheran, insieme alle loro controparti nelle piazze – i rabbini del partito Shas e di Israel Beytenu, Hamas, la Jihad Islamica, e la Guardia Rivoluzionaria – hanno disseminato nuove insidie sul cammino verso la pace. Parlare di uno stato esclusivamente ebraico non soltanto rallenterà il processo di pace, lo farà saltare in aria. Riconoscere il carattere ebraico dello stato significa infatti accettare una società settaria che accoglie i suoi cittadini sulla base della religione, e che priva dei diritti della cittadinanza coloro che non abbracciano la religione di stato.
Secondo le statistiche israeliane, il numero di abitanti di Israele raggiunge i 7 milioni circa, il 25 % dei quali è composto da non ebrei. Sono i cosiddetti arabi di Israele, coloro che non lasciarono la Palestina quando venne fondato lo stato israeliano. Il loro numero viene stimato intorno al milione e 600.000 persone, in maggioranza musulmani sunniti (1 milione circa), mentre la quota restante è composta da cristiani di diverse confessioni, arabi beduini, drusi, e circassi. Israele vive nella paura della crescita demografica araba. Sebbene gli arabi partecipino alla vita politica, essi vivono in condizioni di emarginazione, e vengono trattati come cittadini di seconda classe. Israele ha volutamente arruolato beduini, circassi, e drusi nell’esercito, escludendo invece musulmani e cristiani dal servizio militare.
E’ evidente che l’ambizione di Israele a veder riconosciuto il proprio “carattere ebraico” nasconde motivazioni politiche, di cui la più importante è certamente il rifiuto di riconoscere il diritto al ritorno dei milioni di palestinesi che vennero cacciati dal proprio paese a seguito delle guerre arabo-israeliane. Israele ritiene che il loro ritorno renderebbe gli arabi maggioritari all’interno del paese.
Sebbene lo stato ebraico abbia sempre dichiarato la propria laicità, ed abbia sempre affermato di essere uno stato democratico, esso ambisce con forza ad affermare la propria identità religiosa, e semmai a riconoscere l’esistenza di alcune minoranze all’interno della società israeliana. Inoltre, Israele sostiene alcune minoranze religiose e nazionalistiche all’interno della regione mediorientale, e vede di buon occhio la creazione di staterelli su base religiosa e settaria in Medio Oriente, poiché ciò permetterebbe allo stato israeliano di sostenere di non essere un’eccezione nella regione, ma di essere in compagnia di stati che a loro volta affermano di essere musulmani o cristiani.
Chi conosce la storia del conflitto nella regione sa che Israele ha sempre ambito a dipingere questo conflitto come un conflitto religioso. Lo stato israeliano non nasconde la propria soddisfazione quando i leader dei movimenti islamici ripetono questo concetto, poiché questo discorso va a vantaggio dell’idea di stato religioso. Forse ci ricorderemo come Israele fu colto dal panico quando alcune fazioni palestinesi proposero lo slogan di un unico stato palestinese laico che avrebbe incluso tutte le religioni. Israele cercò di colpire queste fazioni e di cancellare questo slogan che avrebbe significato la fine della sua esistenza basata sui fondamenti della Torà.
Dobbiamo renderci conto che la cancellazione dal documento di Annapolis della frase sul “carattere ebraico” dello stato non significa che Israele vi abbia rinunciato. Come ha detto il ministro degli esteri egiziano Ahmad Abul Gheit, dobbiamo stare molto attenti nel difendere i diritti giuridici, umanitari, e politici di quegli arabi che non lasciarono le loro case nel 1948.
Israele gioca col fuoco dello stato religioso, ma l’annuncio del “carattere ebraico” dello stato non gli garantirà la sicurezza e non assicurerà la pace né al suo popolo né agli altri popoli della regione. Al contrario, getterà benzina sul fuoco della contrapposizione religiosa in tutta la regione. L’emirato di Gaza guidato da Hamas e sostenuto dalla Jihad islamica è ormai una realtà che ha soltanto bisogno di un annuncio ufficiale per essere definitivamente sancita. La Repubblica Islamica dell’Iran non lesinerà i suoi missili ad alta tecnologia ad Hezbollah. La piazza araba è in subbuglio, e non crede più alla pace dopo aver visto i generali di Israele indossare il mantello dei rabbini.
Olmert ha attaccato l’intransigenza religiosa e l’estremismo nazionalista. Credo che questo possa essere l’inizio di un periodo di instabilità interna, di violenza, e di rancori che potrebbero scuotere i fondamenti stessi della vita comune. Si rende conto il primo ministro israeliano che l’annuncio del “carattere ebraico” dello stato rappresenta la fase più alta dell’intransigenza religiosa? Si rende conto che ciò susciterà amarezza e rancore in 1 milione e mezzo di arabi all’interno di Israele, e che la loro reazione all’intransigenza religiosa ebraica si tradurrà in intransigenza religiosa islamica ed in estremismo nazionalista arabo? Si rende conto che ciò potrebbe determinare l’esplodere di una violenza che potrebbe spazzar via le basi stesse della vita comune che tutti i popoli si augurano? Infine, si rende conto il primo ministro israeliano che annunciare il “carattere ebraico” dello stato di Israele aprirà la strada alla nascita di stati islamici, che dichiareranno la jihad per la vittoria dell’Islam e per rimpadronirsi della moschea di al-Aqsa e della Cupola della Roccia?
La regione non ha bisogno di stati religiosi: né di uno stato per soli ebrei, né di stati islamici.
Magdi Daqqaq è un analista politico egiziano; è caporedattore della rivista “al-Hilal”
Titolo originale:
يهودية إسرائيل وإسلامية إيران
Etichette: carattere ebraico, Israele, palestina, processo di pace
2 Commenti:
Israele E' NATO PER ESSERE LO STATO DEGLI EBREI!!! Accettate questa semplice cosa e andiamo avanti!
Il resto sono solo sciocchezze!
VIVA ISRAELE
VIVA LA VERITA'
FREE GILAD SHALIT
FREE RON ARAD
E già, Israele come "Stato degli ebrei".
Non solo impedendo il diritto al ritorno dei profughi palestinesi nelle loro case, ma magari deportando i Palestinesi che attualmente vivono in Israele in qualche altro Paese, magari la Giordania, come molti nel civile e "morale" paesello ebraico vorrebbero.
E' curioso come Israele sia disposto a ospitare chiunque nel mondo possa usufruire della "clausola del nonno", anche se mai in vita sua aveva visto quei luoghi, nemmeno sull'atlante.
Mentre invece il diritto al ritorno, tutelato dall'art.13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e riconosciuto a tutti i profughi di tutte le guerre che purtroppo infestano il globo, viene negato soltanto ai poveri Palestinesi.
Potenza della lobby ebraica e della propaganda sionista!
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