19 maggio 2008

Libano: la pericolosa strategia Usa.

Uno dei mantra della politica di casa nostra è quello secondo cui Israele sarebbe l’unica democrazia in medio oriente, dimenticandosi regolarmente del Libano che è un regime parimenti democratico (e meno razzista…).

Una democrazia che, tuttavia, è estremamente fragile e zoppicante, in quanto il modello di convivenza libanese, basato sull’equilibrio dei vari gruppi confessionali, rischia periodicamente di crollare sotto i colpi delle pesanti ingerenze esterne dei vari attori che operano nella regione.

Ne costituiscono l’ennesima testimonianza gli scontri armati che hanno portato le milizie di Hezbollah a occupare temporaneamente Beirut, fino alla revoca delle decisioni governative che avevano costituito la scintilla delle violenze.

Spicca, in particolare, come sottolinea l’articolo del Guardian riportato qui di seguito nella traduzione offerta da Arabnews, l’incredibile incompetenza e il dilettantismo della politica estera Usa, che tanti guasti ha già determinato in medio oriente.

09/05/2008
Ancora una volta, l’amministrazione Bush si è prestata ad un gioco pericoloso nel Levante, senza rendersi conto né dei potenziali costi – umani e strategici – della sua mossa azzardata sul lungo periodo, né che esisteva la possibilità di trovare un’alternativa più saggia.

Il rischio più recente che essa si è assunto in Libano è stato, naturalmente, quello di incoraggiare – alcuni dicono ‘di richiedere’ – Israele a proseguire la sua distruttiva guerra di 33 giorni contro Hezbollah (e contro il Libano) nel luglio del 2006. Tale mossa ha fallito in modo clamoroso su vari fronti – ancor più clamorosamente giacché, come osservava il primo rapporto Winograd, esisteva un’alternativa molto più ragionevole alla guerra aperta, un’alternativa incentrata sul coordinamento di una forte pressione diplomatica nei confronti di Hezbollah stesso, che facesse leva su blitz militari mirati e distribuiti nel tempo, nonché sullo sfruttamento delle dinamiche interne libanesi, per far crollare gradualmente, sul lungo periodo, la motivazione di Hezbollah a possedere armi indipendentemente dallo Stato.

Alcuni mesi più tardi, l’amministrazione Bush ha messo in moto un’altra strategia pericolosa, per la quale i suoi alleati locali non erano pronti: il rovesciamento violento di Hamas a Gaza ad opera di una milizia legata all’ex “uomo forte” di Gaza, Mohammed Dahlan.

Ora il Libano si trova di nuovo in prima linea, e al centro dello scacchiere, con la decisione concertata, da parte della coalizione di partiti filo-americani (il fronte “del 14 Marzo”), di utilizzare ciò che rimaneva del “potere dello Stato” per affrontare direttamente Hezbollah sulla questione chiave della sua forza militare indipendente. Questa sfida, intervenuta dopo una serie di incontri tra i leader del fronte “del 14 Marzo” e alcuni responsabili statunitensi, si è posta essenzialmente come una messa sotto accusa della rete telefonica privata di Hezbollah, che era riconosciuta da tempo e tacitamente accettata. Ma, così come il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha sottolineato ieri, e come i leader del fronte “del 14 Marzo” sanno fin troppo bene – il sistema di telecomunicazioni del partito si trova al centro della sua strategia militare. Infatti è stato il motivo principale per cui Hezbollah è riuscito a mantenere un livello di coordinamento senza precedenti durante la guerra del 2006, malgrado gli sforzi estremamente sofisticati degli israeliani volti a rendere inefficace questo coordinamento.

Il fronte “del 14 Marzo” sembra aver annunciato chiaramente e drammaticamente la sua volontà di effettuare un “cambiamento strategico nel suo modo di trattare con Hezbollah”, come si è espresso un autore del quotidiano filo-governativo “al-Mustaqbal” in un commento pubblicato ieri – o come ha affermato il commentatore libanese Michael Young, in maniera ancora più pregnante, parlando di “un divorzio libanese”.

Ma questo cambiamento è davvero in atto nella misura che si crede? E – cosa forse ancora più importante – le forze “del 14 Marzo” ed i suoi alleati americani hanno correttamente calcolato che un livello limitato di violenza, di natura fortemente settaria, sia (a) sostenibile, evitando allo stesso tempo il caos totale, e (b) abbastanza forte da suscitare un disaccordo politico fatale in grado di separare gli sciiti libanesi dai loro sostenitori cristiani?

L’idea di utilizzare la questione della rete telefonica, nonché le affermazioni circa presunte telecamere che sorveglierebbero l’aeroporto di Beirut, come strumenti per isolare Hezbollah, per sollevare contrasti con la coalizione “del 14 Marzo”, e per spaventare i cittadini libanesi con la prospettiva che essi potrebbero essere “forse” nel mirino (come si è espresso Walid Jumblatt del fronte “del 14 Marzo”) era apparentemente una strategia intelligente; soprattutto tenuto conto delle elezioni parlamentari dell’anno prossimo, della continua pressione per eleggere finalmente un presidente, e delle recenti defezioni di importanti leader cristiani in precedenza allineati con l’opposizione.
Ma il problema di questo approccio, come osservava il giornalista libanese Rafik Khouri sul quotidiano “al-Anwar”, è che il fronte “del 14 Marzo” “non può ritrattare, o sarebbe praticamente finito, e non può andare sino in fondo con le sue direttive, a causa dei rapporti di forza sul campo”. L’esercito, come ha chiarito il suo comandante ieri, non intende e non può intervenire per conto del fronte “del 14 Marzo” al fine di eseguire decisioni “di stato” – soprattutto riguardo a questioni che Hezbollah ha dichiarato essere parte integrante del suo potenziale militare, e protette da un precedente riconoscimento “di stato”, che confermava il suo diritto a portare le armi.

Perciò, anche se gli Stati Uniti hanno speso di recente decine di milioni di dollari per armare e addestrare elementi dell’esercito libanese, e soprattutto le forze di sicurezza interne del fronte “del 14 Marzo”, il rapporto di forze (come anche nel caso di Gaza) continua ad essere a favore dell’opposizione in generale, e di Hezbollah in particolare. Da ciò si ricava l’impressione che il fronte “del 14 Marzo”, indubbiamente incoraggiato dagli USA, abbia calcolato che Hezbollah e l’opposizione non si sarebbero spinti a fare un aperto colpo di stato per le questioni attualmente in ballo, come era avvenuto a Gaza (in quanto ciò avrebbe gravemente danneggiato la legittimità della ‘resistenza’), e che sarebbe andato a buon fine – come era già avvenuto in altri momenti critici – il tentativo di contenere la violenza settaria fra sunniti e sciiti.

In altre parole, si pensava che non ci sarebbe stato un ‘divorzio’; che non ci sarebbe stato bisogno di riversare troppa forza nelle strade, e che il fronte “del 14 Marzo” sarebbe riuscito a ‘incastrare’ ancora l’opposizione. Scommettere su un ragionamento del genere, tuttavia, avrebbe avuto senso, solo se il fronte “del 14 Marzo” avesse lasciato spazio sufficiente per un compromesso in grado di preservare alcuni dei suoi successi apparenti, permettendo allo stesso tempo a Hezbollah di ritirare le proprie forze onorevolmente dal campo di battaglia – dopo che il fronte “del 14 Marzo” aveva evidenziato ai libanesi il problema della ‘sovranità statale’ ed il ‘pericolo’ rappresentato da Hezbollah. Ma le sue direttive radicali, e l’improvviso siluramento del capo della sicurezza aeroportuale, da parte di un governo la cui legittimità costituzionale rimane estremamente controversa, non ha lasciato alcuno spazio del genere.

Ciò che ha ottenuto, invece, è stato di ridurre i termini del conflitto ad una mera questione di forza – posizione che né il fronte “del 14 Marzo” né gli stessi Stati Uniti erano pronti a sostenere in questo momento. Infatti è altamente improbabile che le forze ONU nel Libano e gli alleati statunitensi del fronte “del 14 Marzo”, che già si trovano in condizioni difficili a causa della situazione in Iraq e in Afghanistan, possano intervenire per migliorare i rapporti di forza a beneficio del fronte “del 14 Marzo”.

L’interrogativo a cui ci troviamo di fronte ora – come è stato del resto negli ultimi trent’anni – è se saranno gli israeliani ad intervenire, qualora il fronte “del 14 Marzo” dovesse perdere progressivamente la capacità di mobilitare le risorse che gli restano, o se, piuttosto, Israele sarà soddisfatto di poter fare un passo indietro e godersi lo spettacolo del suo implacabile nemico che combatte contro i suoi stessi concittadini. Nasrallah pensa decisamente che il primo scenario sia il più probabile, viste le sue dichiarazioni di ieri secondo cui Hezbollah sarebbe perfettamente in grado di combattere su due fronti. In ogni caso, giunti al momento in cui lo spettro di un’altra invasione israeliana e / o di un’altra guerra civile viene percepito come imminente, non si può fare a meno di pensare alle vie alternative che sono state trascurate o evitate nel corso del tempo, soprattutto dopo che era stata stipulata l’alleanza politica tra le forze “del 14 Marzo” e Hezbollah a seguito del ritiro siriano dal Libano nel 2005.

Tuttavia, proprio come era avvenuto sulla scena israelo-palestinese, l’attore principale, Washington, è stato costantemente e vergognosamente assente, o tremendamente disinformato ai più alti livelli. Nei momenti più critici, la politica è stata condotta da una fazione ristretta di neoconservatori radicali della Casa Bianca – tra cui in primo luogo Elliott Abrams – i quali, a quanto sembra, cercano ancora di indirizzare il Libano lungo il sentiero che avevano tracciato per esso, sotto forma della “Rivoluzione dei Cedri”.

Sfortunatamente, come sembrano indicare gli eventi delle ultime 48 ore, la politica della negligenza e dell’intervento diretto occasionale, soprattutto da parte degli Stati Uniti, non ha portato né la pace né la vittoria ai libanesi, alla regione, o agli stessi Stati Uniti. Invece, a quanto pare, i partigiani dell’amministrazione Bush uscente sentono di dover disperatamente proclamare l’ultimo “missione compiuta”, anche se questa missione sta sfuggendo sempre più al loro controllo.
Nicholas Noe è direttore di Mideastwire.com, un servizio che offre traduzioni della stampa mediorientale, con sede a Beirut

Titolo originale:
A dangerous strategy

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