L'infame trattamento dei prigionieri palestinesi.
Il sito Palestine Think Tank ci informa del caso incredibile di un prigioniero palestinese, Mahmoud Saeed Azzam, attualmente detenuto nella prigione di Shatta.
Azzam venne prelevato dagli Israeliani nel 1997 dalla sua casa nella città di Seelet Al Harthiya (Jenin) e portato nella prigione di Jalamah; durante la sua permanenza in questo centro di detenzione egli venne dapprima legato per le mani e le gambe ad una sedia molto piccola, con la testa coperta da un sacchetto puzzolente, ripetutamente minacciato che non avrebbe mai più rivisto la sua casa.
Successivamente, Azzam venne trasferito in una cella d’isolamento per 50 giorni, privo del diritto di rivolgersi ad un legale per ben tre settimane. Dopo due mesi, un ufficiale dell’intelligence gli comunicò l’intenzione israeliana di deportarlo in Giordania; all’inizio Azzam rifiutò ma, messo sotto pressione, il 28 dicembre del 1997 accettò di essere deportato, sebbene contro la sua volontà
Tuttavia, le autorità giordane rifiutarono di riceverlo, e così Azzam dovette tornare nelle prigioni israeliane, là dove langue da ben dieci anni senza aver subito alcun processo, con una gravissima violazione dei suoi diritti umani.
Naturalmente, quello di Mahmoud Azzam è un caso limite, ma la realtà delle carceri israeliane e il trattamento dei prigionieri palestinesi mostra una quotidianità fatta di maltrattamenti, abusi, degradazione, pessimo o nullo trattamento sanitario, violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo.
Secondo l’ultimo rapporto del Ministro della Sanità palestinese – presentato alla 61a Assemblea Generale della World Health Organization (WHO) – il numero dei detenuti arabi attualmente rinchiusi nelle carceri israeliane è pari a circa 11.500, distribuiti in 28 prigioni, campi, centri di detenzione e quant’altro; solamente in questi primi mesi del 2008 i Palestinesi arrestati ammontano a ben 2.700, tra cui 255 minori e 14 donne.
Di questi prigionieri, ben 920 si trovano nelle stesse condizioni di Mahmoud Azzam, e cioè sono incarcerati in regime di detenzione amministrativa, una autentica infamia israeliana che consente di trattenere le persone in carcere per diversi mesi – e come abbiamo visto anche per anni – sulla base di una procedura di sicurezza che prevede la detenzione senza comunicazione dei capi d’accusa e senza la possibilità di avere contatti con l’esterno, semplicemente sulla base di una segnalazione proveniente da qualche sottoscala dello Shin Bet.
Non v’è chi non veda, naturalmente, che detenere in carcere una persona sulla base di files segreti e senza che l’imputato compaia davanti ad un tribunale costituisce un’autentica negazione del diritto e una flagrante violazione dei diritti umani degli interessati.
I centri di detenzione peraltro, ad eccezione di uno, sono tutti situati all’interno del territorio israeliano, e tale circostanza costituisce anch’essa una violazione del diritto internazionale. Gli artt.49 e 76 della IV Convenzione di Ginevra, infatti, stabiliscono che i detenuti provenienti da territori occupati debbano essere ristretti in carcere all’interno dello stesso territorio occupato, e non possono essere trasferiti in centri di detenzione situati all’interno del territorio della potenza occupante.
Questa (ennesima) violazione del diritto internazionale da parte di Israele ha pesanti conseguenze per quanto riguarda il diritto dei detenuti di ricevere visite, e quello correlativo dei familiari ad andarli a trovare.
Spesso, infatti, alle migliaia di familiari, coniugi, parenti di Palestinesi incarcerati in Israele viene negato il permesso di entrare in Israele e recarsi nei luoghi di detenzione, naturalmente per le solite, ovvie ragioni di “sicurezza”: naturalmente, se Israele rispettasse le norme, un simile problema neppure si porrebbe.
Si arriva così ai casi limite quale è quello riportato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC), il caso di una moglie il cui marito è in prigione da ben 23 anni, costringendola tra l’altro a crescere da sola ben sei figli. Thanai, è questo il nome della donna, fino a qualche tempo fa poteva visitare il marito due volte al mese, grazie ai programmi di visita gestiti dall’ICRC ma, a partire dal giugno del 2007, le autorità israeliane non le hanno più concesso di effettuare nemmeno una visita.
Per motivi di sicurezza…
Sono più di 900 i soli detenuti originari di Gaza che non ricevono visite dei loro parenti e familiari da circa un anno, come ha recentemente denunciato Christoph Harnisch, il capo della delegazione dell’ICRC in Israele e nei Territori palestinesi.
A ciò aggiungasi la totale mancanza e/o la pessima qualità del trattamento sanitario fornito agli oltre 1.300 Palestinesi detenuti, uomini e donne, che necessiterebbero di cure mediche e di assistenza.
I dottori che lavorano nelle prigioni israeliane sono gli unici al mondo che curano ogni malattia con una pastiglia di paracetamolo e un bicchiere d’acqua: il risultato, facilmente prevedibile, è che tra il 1967 e il 2007 ben 192 Palestinesi sono morti nelle carceri israeliane a causa di negligenza o di ritardate cure mediche, sei solo nel 2007.
Ma l’aspetto forse più scioccante e vergognoso della condizione dei Palestinesi detenuti nelle carceri israeliane è quello relativo ai minori.
Attualmente i Palestinesi minori di 18 anni detenuti nelle strutture dell’Idf o dell’Israel Prison Service sono ben 340 e, tra questi, 28 sono incarcerati in regime di detenzione amministrativa e 45 hanno un’età inferiore a 16 anni; in media, ogni anno, Israele arresta circa 700 Palestinesi di età inferiore a 18 anni, seimila sono stati arrestati dal 2000 ad oggi.
Il trattamento che gli Israeliani riservano a questi adolescenti, a volte poco più che bambini, viola sistematicamente ogni norma di diritto internazionale, incluse la IV Convenzione di Ginevra e la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia del 1989.
Secondo Defence for Children International, spesso i bambini arrestati subiscono lo stesso trattamento degli adulti, e ciò significa violenze durante la cattura e nel corso degli interrogatori, intimidazioni, isolamento.
Gli ordini militari fissano a 16 anni l’età adulta per i bambini palestinesi, mentre la legge israeliana fissa la responsabilità penale a 18 anni; è prassi, inoltre, determinare l’età del minore accusato al momento della sentenza invece che a quello dell’arresto, uno stratagemma che serve a processare come adulti dei ragazzini che, magari, avevano semplicemente tirato un sasso quando non avevano ancora 16 anni.
Questa è la qualità del regime carcerario e il rispetto dei diritti umani che Israele riserva ai Palestinesi catturati nel corso delle gite quotidiane di Tsahal nei Territori occupati.
Se consideriamo che almeno 650.000 Palestinesi, dal 1967 ad oggi, ha trascorso parte della sua vita nelle carceri israeliane (si tratta del 20% della popolazione palestinese), non riesce davvero difficile capire da dove nasca l’odio e il risentimento nei confronti di Israele.
E non solo da parte dei Palestinesi.
Azzam venne prelevato dagli Israeliani nel 1997 dalla sua casa nella città di Seelet Al Harthiya (Jenin) e portato nella prigione di Jalamah; durante la sua permanenza in questo centro di detenzione egli venne dapprima legato per le mani e le gambe ad una sedia molto piccola, con la testa coperta da un sacchetto puzzolente, ripetutamente minacciato che non avrebbe mai più rivisto la sua casa.
Successivamente, Azzam venne trasferito in una cella d’isolamento per 50 giorni, privo del diritto di rivolgersi ad un legale per ben tre settimane. Dopo due mesi, un ufficiale dell’intelligence gli comunicò l’intenzione israeliana di deportarlo in Giordania; all’inizio Azzam rifiutò ma, messo sotto pressione, il 28 dicembre del 1997 accettò di essere deportato, sebbene contro la sua volontà
Tuttavia, le autorità giordane rifiutarono di riceverlo, e così Azzam dovette tornare nelle prigioni israeliane, là dove langue da ben dieci anni senza aver subito alcun processo, con una gravissima violazione dei suoi diritti umani.
Naturalmente, quello di Mahmoud Azzam è un caso limite, ma la realtà delle carceri israeliane e il trattamento dei prigionieri palestinesi mostra una quotidianità fatta di maltrattamenti, abusi, degradazione, pessimo o nullo trattamento sanitario, violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo.
Secondo l’ultimo rapporto del Ministro della Sanità palestinese – presentato alla 61a Assemblea Generale della World Health Organization (WHO) – il numero dei detenuti arabi attualmente rinchiusi nelle carceri israeliane è pari a circa 11.500, distribuiti in 28 prigioni, campi, centri di detenzione e quant’altro; solamente in questi primi mesi del 2008 i Palestinesi arrestati ammontano a ben 2.700, tra cui 255 minori e 14 donne.
Di questi prigionieri, ben 920 si trovano nelle stesse condizioni di Mahmoud Azzam, e cioè sono incarcerati in regime di detenzione amministrativa, una autentica infamia israeliana che consente di trattenere le persone in carcere per diversi mesi – e come abbiamo visto anche per anni – sulla base di una procedura di sicurezza che prevede la detenzione senza comunicazione dei capi d’accusa e senza la possibilità di avere contatti con l’esterno, semplicemente sulla base di una segnalazione proveniente da qualche sottoscala dello Shin Bet.
Non v’è chi non veda, naturalmente, che detenere in carcere una persona sulla base di files segreti e senza che l’imputato compaia davanti ad un tribunale costituisce un’autentica negazione del diritto e una flagrante violazione dei diritti umani degli interessati.
I centri di detenzione peraltro, ad eccezione di uno, sono tutti situati all’interno del territorio israeliano, e tale circostanza costituisce anch’essa una violazione del diritto internazionale. Gli artt.49 e 76 della IV Convenzione di Ginevra, infatti, stabiliscono che i detenuti provenienti da territori occupati debbano essere ristretti in carcere all’interno dello stesso territorio occupato, e non possono essere trasferiti in centri di detenzione situati all’interno del territorio della potenza occupante.
Questa (ennesima) violazione del diritto internazionale da parte di Israele ha pesanti conseguenze per quanto riguarda il diritto dei detenuti di ricevere visite, e quello correlativo dei familiari ad andarli a trovare.
Spesso, infatti, alle migliaia di familiari, coniugi, parenti di Palestinesi incarcerati in Israele viene negato il permesso di entrare in Israele e recarsi nei luoghi di detenzione, naturalmente per le solite, ovvie ragioni di “sicurezza”: naturalmente, se Israele rispettasse le norme, un simile problema neppure si porrebbe.
Si arriva così ai casi limite quale è quello riportato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC), il caso di una moglie il cui marito è in prigione da ben 23 anni, costringendola tra l’altro a crescere da sola ben sei figli. Thanai, è questo il nome della donna, fino a qualche tempo fa poteva visitare il marito due volte al mese, grazie ai programmi di visita gestiti dall’ICRC ma, a partire dal giugno del 2007, le autorità israeliane non le hanno più concesso di effettuare nemmeno una visita.
Per motivi di sicurezza…
Sono più di 900 i soli detenuti originari di Gaza che non ricevono visite dei loro parenti e familiari da circa un anno, come ha recentemente denunciato Christoph Harnisch, il capo della delegazione dell’ICRC in Israele e nei Territori palestinesi.
A ciò aggiungasi la totale mancanza e/o la pessima qualità del trattamento sanitario fornito agli oltre 1.300 Palestinesi detenuti, uomini e donne, che necessiterebbero di cure mediche e di assistenza.
I dottori che lavorano nelle prigioni israeliane sono gli unici al mondo che curano ogni malattia con una pastiglia di paracetamolo e un bicchiere d’acqua: il risultato, facilmente prevedibile, è che tra il 1967 e il 2007 ben 192 Palestinesi sono morti nelle carceri israeliane a causa di negligenza o di ritardate cure mediche, sei solo nel 2007.
Ma l’aspetto forse più scioccante e vergognoso della condizione dei Palestinesi detenuti nelle carceri israeliane è quello relativo ai minori.
Attualmente i Palestinesi minori di 18 anni detenuti nelle strutture dell’Idf o dell’Israel Prison Service sono ben 340 e, tra questi, 28 sono incarcerati in regime di detenzione amministrativa e 45 hanno un’età inferiore a 16 anni; in media, ogni anno, Israele arresta circa 700 Palestinesi di età inferiore a 18 anni, seimila sono stati arrestati dal 2000 ad oggi.
Il trattamento che gli Israeliani riservano a questi adolescenti, a volte poco più che bambini, viola sistematicamente ogni norma di diritto internazionale, incluse la IV Convenzione di Ginevra e la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia del 1989.
Secondo Defence for Children International, spesso i bambini arrestati subiscono lo stesso trattamento degli adulti, e ciò significa violenze durante la cattura e nel corso degli interrogatori, intimidazioni, isolamento.
Gli ordini militari fissano a 16 anni l’età adulta per i bambini palestinesi, mentre la legge israeliana fissa la responsabilità penale a 18 anni; è prassi, inoltre, determinare l’età del minore accusato al momento della sentenza invece che a quello dell’arresto, uno stratagemma che serve a processare come adulti dei ragazzini che, magari, avevano semplicemente tirato un sasso quando non avevano ancora 16 anni.
Questa è la qualità del regime carcerario e il rispetto dei diritti umani che Israele riserva ai Palestinesi catturati nel corso delle gite quotidiane di Tsahal nei Territori occupati.
Se consideriamo che almeno 650.000 Palestinesi, dal 1967 ad oggi, ha trascorso parte della sua vita nelle carceri israeliane (si tratta del 20% della popolazione palestinese), non riesce davvero difficile capire da dove nasca l’odio e il risentimento nei confronti di Israele.
E non solo da parte dei Palestinesi.
Etichette: azzam, detenzione amministrativa, Israele, palestina, prigionieri
4 Commenti:
Per caso son entrata nel tuo blog e ho avuto modo di leggere, non solo questo, ma altri post, che ho trovato estremamente interessanti. Segnalo il tuo blog ad altri, per creare uno spazio di informazione sempre più capillare. A presto!
Biancarosa!
Palestina Libera!!!
Libera da Hamas, da Fatah, dal terrorismo, dalla droga (importata dall'Egitto), dalle armi (importate dall'Iran), dal terrorismo (anche quello di Al Qaeda) e dall'indottrinamento ideologico e diffamatorio (alla Mein Kampf e Protocolli di Sion)
E magari libera anche dai Palestinesi, vero?
Del resto, era proprio questo il progetto originario dei terroristi e dei criminali che sono stati i padri fondatori di questo Paese straordinario.
Nel senso deteriore del termine, naturalmente!
Sulla vergognosa condizione dei prigionieri palestinesi, per quanto riguarda in particolare la possibilità di accedere a cure mediche degne di questo nome, si veda anche:
http://www.infopal.it/testidet.php?id=8549
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