14 ottobre 2008

Chiuso per festività.

Le forze armate israeliane, a partire da ieri e fino alla mezzanotte del 21 ottobre prossimo, hanno completamente sigillato la Cisgiordania, impedendo pressoché qualsiasi spostamento alla popolazione palestinese in vista delle celebrazioni ebraiche del Sukkot, la “festa delle capanne” che dura per l’appunto 8 giorni e rappresenta una delle più importanti festività ebraiche.

Questo periodo dell’anno, in realtà, vede lo svolgersi di numerose ricorrenze care all’ebraismo, ivi inclusi il capodanno ebraico (Rosh Hashana) e il giorno dell’espiazione (Yom Kippur), durante le quali, allo stesso modo, la West Bank ha dovuto subire una chiusura totale.

Che gli Ebrei onorino le proprie ricorrenze, del resto, è più che giusto, come è giusto che questi siano periodi di riflessione, di celebrazione e di festa.

Il problema, tuttavia, è che i Palestinesi della Cisgiordania in questo stesso periodo sono costretti a subire ulteriori restrizioni alla loro libertà di movimento, con ulteriori barriere e blocchi di cemento piazzati lungo le maggiori arterie e con i principali checkpoint totalmente chiusi o aperti soltanto in maniera sporadica.

Non è che, del resto, negli altri periodi dell’anno i Palestinesi se la passino meglio.

Secondo l’ultimo rapporto dello United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA Closure Update, 30 aprile – 11 settembre 2008), in Cisgiordania esistono complessivamente ben 630 ostacoli che impediscono la libera circolazione all’interno dei territori palestinesi occupati, con un incremento del 3% (19 ostacoli) rispetto alla fine di aprile del 2008, e addirittura dell’11,3% (64 ostacoli) rispetto al mese di settembre 2007.

Questo dato non include i 69 ostacoli dislocati nella sezione di Hebron controllata da Israele (H-2), posti a difesa dei bravi coloni della zona, come quelli di Kiryat Arba e Givat Havot che recentemente hanno attaccato alcuni proprietari terrieri palestinesi e volontari israeliani (tra cui quelli di Rabbis for Human Rights), o come quelli di Tel Rumeida che hanno picchiato un ragazzino 14enne la cui unica colpa era stata quella di cercare di impedirgli di rubare le olive dal terreno del padre.

Questo insieme di posti di blocco, fissi o “volanti”, blocchi di cemento, cumuli di terra e ostacoli vari interessa quasi i tre quarti delle principali strade che interconnettono i 18 maggiori centri abitati palestinesi della West Bank, che secondo il rapporto dell’OCHA risultano controllate dall’Idf e/o completamente interrotte; circa la metà delle strade secondarie, costruite negli anni proprio per supplire a questo disastrosa situazione, risulta peraltro anch’essa bloccata o controllata da checkpoint.

Neanche la Striscia di Gaza è rimasta immune dall’incombere delle festività ebraiche, considerato che – nel periodo compreso tra l’1 e il 7 ottobre – ai valichi di frontiera sono potuti passare soltanto 268 carichi di beni umanitari rispetto ad una media delle settimane precedenti pari a 843.

E qual è il motivo di questi ulteriori disagi e soprusi inflitti alla popolazione civile palestinese?

C’è lo dice Tsahal con il suo bravo comunicato ufficiale: i soldatini israeliani in questo periodo saranno in stato di massimo allarme “al fine di assicurare l’incolumità dei cittadini di Israele”, cercando di assicurare nel contempo, “al meglio delle proprie capacità”, la routine quotidiana della popolazione palestinese.

Tradotto in soldoni, quello che per gli Ebrei significa possibilità di festeggiare lietamente e serenamente, per i Palestinesi si traduce in chiusura totale e impossibilità di recarsi a scuola, al lavoro, dagli amici, essendo permessi soltanto gli spostamenti eccezionali, motivati da urgenze di carattere medico.

E davvero non si riesce a comprendere come questa gente possa attendere tranquillamente ai propri festeggiamenti sapendo che, contemporaneamente e a causa di questo, ci sono persone costrette a restare a casa e a subire disagi e sofferenze inconcepibili e immotivati.

Immotivati, certo, perché qui non si tratta della chiusura dei valichi di frontiera con Israele per evitare possibili infiltrazioni di “terroristi”, ma della chiusura totale e dell’impossibilità a spostarsi all’interno dei territori palestinesi, cosa che con la sicurezza di Israele non ha nulla a che vedere.

A meno che non ci si voglia riferire alla sicurezza delle centinaia di migliaia di banditi, noti come coloni, che illegalmente risiedono all’interno dei territori occupati, e allora si tratta di un altro discorso; banditi che, peraltro, in questi giorni stanno per l’ennesima volta dimostrando di sapersi “difendere” egregiamente da soli, attaccando gli agricoltori palestinesi, impedendo la raccolta delle olive, razziando e distruggendo auto e beni negli indifesi villaggi palestinesi, eventualmente dando addosso persino ai soldati israeliani quelle rare volte in cui cercano di imporre il rispetto della legge e dei diritti umani.

Ma una ragione per tutto questo esiste, e l’ha messa bene in evidenza il giornalista di Ha’aretz Aluf Benn in un recente articolo peraltro dedicato a diverso argomento (trattandosi di un pezzo interessante, potrete utilmente leggerne una sintesi qui): l’argomento Palestinesi viene del tutto rimosso dalla società israeliana quando non vi sono attentati suicidi, e pochi si preoccupano di quello che accade nella West Bank, dell’espansione delle colonie, del sistema delle chiusure, dei coprifuoco, delle vessazioni e dei soprusi cui quotidianamente sono sottoposti i residenti.

E quella che dovrebbe essere una misura militare temporanea atta a impedire scontri e attacchi contro i civili israeliani diviene, invece, un sistema permanente che – sia festa oppure un giorno come tanti – frammenta la West Bank in una miriade di cantoni e rende penosa la vita quotidiana ad un’intera popolazione, nell’indifferenza della quasi totalità della società israeliana e nella colpevole acquiescenza dei governi occidentali.

Ed è dunque “normale” che gli Ebrei festeggino in tutta tranquillità il loro Sukkot, dimentichi dei loro vicini che, chiusi in casa, soffrono in silenzio e rimuginano sentimenti di amicizia nei confronti dei loro oppressori.

Fin quando non trarranno da tutto ciò le debite conseguenze.

P.S. Sullo stesso argomento potete leggere anche questa lettera di Bassam Aramin, scritta con animo molto più sereno del mio in occasione della Pasqua ebraica.

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2 Commenti:

Alle 14 ottobre 2008 alle ore 18:31 , Blogger LEVIMOLCAatYAHOOGROUPSdotCOM ha detto...

Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

 
Alle 15 ottobre 2008 alle ore 02:56 , Blogger vichi ha detto...

Io nutro estremo rispetto per Franco Levi e per le sue idee, anche se ho qualche riserva sul suo stile di scrittura...
Non ho potuto esimermi, tuttavia, dal cancellare il suo post, ma soltanto perchè troppo (ma davvero trooooppo!) lungo e, peraltro, del tutto estraneo all'argomento dell'articolo (salvo che mi sia sfuggito un rigo...).
Sono sicuro che mi vorrà perdonare.

 

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