5 settembre 2012

Gentile messaggio dei coloni ebrei: Gesù è una scimmia!



Quanto ci rispettano e ci amano i nostri "fratelli maggiori" ebrei? Possiamo fidarci di loro quando sostengono di essere gli unici a poter garantire parità e sicurezza di accesso ai Luoghi Santi? E' ancora tollerabile che i  cristiani in Terra Santa siano lasciati soli a sopportare il peso di una occupazione brutale e illegittima, e a subire angherie e attacchi da parte della teppaglia ebraica estremista? 

La risposta, credo, arriva chiara e forte da questo ennesimo, sconcertante episodio. 


Un insulto in lingua ebraica è comparso sull'abbazia di Latrun, a due passi da Gerusalemme
di Giorgio Bernardelli - 4.9.2012

«Gesù è una scimmia». La scritta in ebraico è comparsa questa notte sul muro accanto all’ingresso dell’abbazia benedettina di Latrun, a due passi dalla grande autostrada che unisce Gerusalemme a Tel Aviv. Pochi dubbi su chi siano gli autori del gesto oltraggioso accompagnato dall’incendio della porta di legno: si tratta di gruppi dell’estrema destra religiosa ebraica, legata al movimento dei coloni. Sono stati loro a mettere la firma scrivendo sotto l’insulto la parola Migron, che corrisponde al nome di un insediamento in Cisgiordania illegale per la stessa legge israeliana che - dopo un tira e molla durato anni - è stato sgomberato domenica.

La polizia israeliana aveva già annunciato di aspettarsi nuovi incidenti di «price tag», la campagna dell’ala violenta dei coloni che fanno «pagare il prezzo» agli arabi per ogni stop ricevuto dal loro governo. È ormai lungo purtroppo l’elenco delle moschee che hanno subito attacchi incendiari nei villaggi palestinesi. Ma la novità di questi ultimi mesi è il fatto che i coloni prendono di mira specificamente anche obiettivi cristiani. Già in febbraio una scritta «Morte ai cristiani» era apparsa fuori dal monastero della Croce a Gerusalemme, mentre qualche settimana dopo era toccato a una chiesa battista. Il 20 agosto, poi, era stata la volta di un attacco violento che aveva visto un gruppo di giovani coloni devastare un complesso residenziale cristiano a Betfage.

Appena appresa la notizia del nuovo episodio a Latrun l’Assemblea degli ordinari cattolici della Terra Santa ha diffuso un duro comunicato di denuncia. Dopo aver ricordato che il monastero di Latrun è un posto visitato anche da molti ebrei e che i monaci benedettini sono impegnati nel dialogo ebraico-cristiano secondo l’insegnamento della Chiesa, i vescovi  cattolici lanciano alcune domande inquietanti su che cosa stia succedendo nella società israeliana. «Perché i cristiani sono presi di mira? - scrivono -. Perché la collera di queste persone contro lo smantellamento di insediamenti illegali in Cisgiordania si scatena contro i cristiani e i loro luoghi di culto? Che genere d’insegnamento del disprezzo verso i cristiani è comunicato nelle loro scuole e nelle loro case? E perché i colpevoli non vengono mai trovati e portati davanti alla giustizia? È giunto il tempo - concludono - che le autorità israeliane agiscano per porre fine a questa violenza insensata e assicurino un insegnamento del rispetto nelle scuole a tutti coloro che rivendicano questa terra».

Si veda anche:
Vandals desecrate Latrun Monastery (ynet evita per quanto può di usare la parola "coloni"...)

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11 settembre 2011

Coloni israeliani incendiano un'abitazione nel villaggio palestinese di Susiya

Durante la notte tra l'8 e il 9 settembre nel villaggio palestinese di Susiya i coloni del vicino insediamento di Suseya hanno dato fuoco a un'abitazione mentre due palestinesi dormivano al suo interno.

Intorno all'una di notte i coloni hanno divelto un copertone inserito in un muretto nelle vicinanze e dopo avergli dato fuoco lo hanno lanciato contro il muro esterno della casa; la tenda di plastica che funge da tetto ha preso immediatamente fuoco. All'interno della casa si trovava una bombola del gas che è stata tempestivamente trasportata fuori dal proprietario svegliato dal fumo; una volta uscito l'uomo ha notato alcune luci che si dirigevano verso l'insediamento.

All'arrivo della polizia e dell'esercito israeliani, chiamati dagli abitanti del villaggio, le luci erano ancora visibili ma ne' i poliziotti ne' i militari hanno inseguito o fermato le persone che le portavano.

L'incendio è stato spento con l'acqua di una cisterna di proprietà degli abitanti del villaggio che fortunatamente si trovava vicino alla casa. Il propretario della casa è stato trasportato in ospedale per problemi respiratori causati dal fumo.

Gli abitanti del villaggio hanno raccontato che i militari israeliani hanno impedito ai mezzi di spegnimento palestinesi, provenienti dalla vicina città di Yatta, di avvicinarsi al luogo dell'incendio, minacciando di aprire il fuoco su di loro. “Loro (gli israeliani, ndr) non danno aiuto ai palestinesi” dice l'uomo che si trovava nella casa “In ogni caso qui c'erano degli esseri umani, qualcuno doveva fermare il fuoco, qualcuno doveva aiutarci. Ma questa è l'occupazione.”

Situato nelle colline a sud di Hebron, il villaggio di Susiya si trova esattamente tra il sito archeologico dell'antica Suseya e l'avamposto dell'insediamento israeliano di Suseya. Questo è l'ennesimo atto di violenza perpetrato dai coloni israeliani dell'area ai danni del villaggio. Il 28 dicembre 2010 è avvenuto un incidente simile: un'altra tenda usata come abitazione è stata incendiata durante la notte. L'obiettivo dei coloni è quello scacciare i palestinesi dalle loro terre per permettere l'espansione dell' insediamento.

Questo ennesimo “incidente” mostra l’escalation della violenza e la pericolosità dei coloni israeliani, che recentemente hanno dato fuoco ad una moschea nel villaggio di Qusra: al 6 settembre, gli incidenti ad opera dei coloni che hanno determinato il ferimento di palestinesi o il danneggiamento delle loro proprietà sono stati 253, a fronte dei 207 dello stesso periodo del 2010; i palestinesi feriti dai coloni israeliani sono stati ben 123 (71 nel 2010).

Come dimostra anche l’attentato di Susiya, il fenomeno della violenza dei coloni è favorito dalla totale assenza di misure di prevenzione da parte delle autorità israeliane, e dal totale disinteresse dell’esercito israeliano nel proteggere i palestinesi e nell’arrestare i colpevoli di questi atti vili e criminali.

Al contrario, spesso i soldati israeliani prendono le difese dei coloni quando costoro compiono le loro razzie e si scontrano con i residenti della West Bank, come è accaduto ancora a Qusra il 26 agosto, quando un 23enne palestinese è stato ferito dal fuoco delle truppe di Tsahal mentre cercava di impedire che alcuni coloni danneggiassero gli alberi del villaggio.

E’ appena il caso di ricordare che secondo la IV Convenzione di Ginevra, la II Convenzione dell'Aja, la Corte Internazionale di Giustizia e numerose risoluzioni ONU, tutti gli insediamenti israeliani nei Territori Palestinesi Occupati sono illegali. Gli avamposti sono considerati illegali anche secondo la legge israeliana.

(fonte: sito web Operazione Colomba e OCHA)







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30 luglio 2011

Continua inarrestabile la violenza dei coloni israeliani



Dal sito di Operazione Colomba apprendiamo che la mattina del 27 luglio quattro coloni israeliani dell'insediamento di Havat Ma'on (colline a sud di Hebron, Cisgiordania), a viso coperto e armati di sassi e di una spranga di ferro, hanno attaccato tre pastori palestinesi e due osservatori internazionali. I coloni hanno tirato pietre contro gli internazionali ed hanno colpito uno di loro alla testa con la spranga (vedi foto).

I Palestinesi stavano pascolando i greggi sulla propria terra vicino la collina di Mesheha, quando quattro coloni a viso coperto li hanno attaccati. I pastori sono riusciti a lasciare l'area ma i coloni hanno attaccato gli internazionali (un membro dei Christian Peacemaker Team ed un ospite in visita).


I coloni hanno danneggiato la videocamera del volontario dei CPT ed hanno costretto gli internazionali a ritornare verso il villaggio di At-Tuwani.


Il volontario dei CPT è stato portato all'ospedale e medicato con otto punti di sutura alla testa.Christian Peacemaker Team e Operazione Colomba (Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII) hanno già documentato sei episodi dal 22 giugno 2011, in cui i coloni dell'avamposto di Havat Ma'on hanno attaccato Palestinesi ed internazionali vicino la collina di Mesheha.


Si tratta solo dell’ultimo episodio di violenza e di intimidazione contro la popolazione palestinese ad opera della teppaglia colonica che infesta la West Bank.


Secondo l’UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), nel periodo 20-26 luglio 2011, si sono registrati quattro attacchi di coloni israeliani che hanno determinato il ferimento di Palestinesi o il danneggiamento di loro proprietà.


In uno di questi incidenti, avvenuto il 25 luglio, coloni israeliani hanno lanciato pietre contro un autovettura con targa palestinese nei pressi dell’insediamento di Hallamish, ferendo tre donne e un bambino di 7 anni.


In altre due occasioni, i coloni hanno dato fuoco ad alcuni terreni coltivati nel villaggio di Burin, danneggiando una decina di alberi di ulivo, ed hanno ucciso una pecora appartenente ad un pastore del villaggio di Qusra.


Infine 15 famiglie di Beduini, per un totale di circa 110 persone, residenti nella comunità di Al Baqa’a (nei pressi della colonia di Ma’ale Mikhmas), sono state costrette a smontare le loro tende e a spostarsi in un'altra area a causa delle intimidazioni e delle violenze dei coloni israeliani, dopo che, nel corso dell’ultimo attacco, erano rimasti feriti tre bambini.


Salgono così a 257 gli attacchi compiuti dai coloni israeliani ai danni della popolazione palestinese dall’inizio del 2011, e il numero dei Palestinesi rimasti feriti nel corso degli attacchi è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.


Crescono dunque le violenze e le intimidazioni dei coloni israeliani, resi spavaldi dal fatto che i soldati dell’Idf – che in teoria dovrebbero proteggere i Palestinesi e impedire gli attacchi – in realtà difendono e spalleggiano questa teppaglia che continua a infestare la Cisgiordania in palese violazione del diritto internazionale.

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15 luglio 2011

Coloni israeliani attaccano il villaggio di 'Asira al-Qibliya


Naturalmente, come abbiamo visto nel video che precede, si può anche ridere dei coloni israeliani. E, tuttavia, costoro solitamente non sono pittoreschi e tutto sommato inoffensivi come il "colono-zombie" che abbiamo visto all'opera, anzi.

Nel video qui sopra, girato da un volontario di B'tselem, si può assistere ad alcune fasi dell'attacco scatenato il 3 luglio scorso contro il villaggio palestinese di 'Asira al-Qibliya da alcuni coloni provenienti dall'insediamento di Yitzhar.

Gli aggressori erano armati di bastoni e pezzi di tubo, alcuni di loro avevano il volto coperto e due avevano con sé armi da fuoco; nel corso del raid, hanno picchiato un Palestinese inerme e hanno distrutto una ventina di alberi di ulivo, che costituiscono la sola fonte di reddito per molti agricoltori palestinesi.

I soldati israeliani, giunti sul posto con alcune jeep, non hanno mosso un dito per impedire la violenza e i danneggiamenti, ma non appena gli abitanti del villaggio hanno cominciato a reagire lanciando pietre contro i coloni, allora sono prontamente intervenuti lanciando gas lacrimogeni per disperdere i Palestinesi.

Perchè, va precisato, questi invasati che si credono investiti di una missione biblica operano costantemente con la connivenza e sotto la protezione dell'esercito israeliano, da quei vili criminali che in realtà essi sono.

Non si tratta, naturalmente, di un incidente isolato. Un altro video di B'tselem mostra le immagini di alcuni coloni che, lo scorso 30 giugno, hanno dato fuoco ad alcuni campi coltivati nei dintorni dei villaggi di Burin e di Huwara, distruggendo almeno 400 alberi di ulivo.

Secondo l'ultimo rapporto dello United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), nel solo periodo compreso tra il 29 giugno e il 5 luglio i coloni israeliani hanno ferito dieci Palestinesi e hanno danneggiato o distrutto almeno 1.500 alberi di ulivo.

Fino al 5 luglio, l'OCHA ha registrato ben 226 incidenti provocati dai coloni che hanno determinato il ferimento o l'uccisione di Palestinesi o il danneggiamento delle loro proprietà, con un incremento del 57% rispetto allo stesso periodo del 2010; 178 sono stati i Palestinesi fino ad oggi colpiti da pietre, investiti o presi a fucilate (176 in tutto il 2010), tre i morti.

E si continua a far finta di non capire che la presenza dei coloni in Cisgiordania e la pace tra Israeliani e Palestinesi sono tra loro del tutto incompatibili.

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Su YouTube, le eccezionali immagini di un colono-zombie!




Su YouTube da qualche giorno circola il raro filmato di uno dei cosiddetti "coloni-zombie", creature note per il loro vagare per le strade della Cisgiordania alla ricerca di Palestinesi o di attivisti per la pace da attaccare.

Fino ad oggi, i "coloni-zombie" erano considerati una sorta di leggenda urbana, figure create dalla fantasia popolare, al pari del mostro di Loch Ness o del Big Foot. Secondo molti testimoni, essi sarebbero dotati di un potente urlo stridulo ed avrebbero la tendenza a stancarsi facilmente, probabilmente a causa di una dieta sbagliata e della mancanza di esercizio fisico.

E in realtà la creatura del video qui sopra, filmata mentre attacca un attivista allo svincolo di Susiya, in Cisgiordania, sembra corrispondere perfettamente alla descrizione.

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23 luglio 2010

La pulizia etnica a Gerusalemme est, un cancro che mina ogni speranza di pace.


Il report dell’UNOCHA relativo alla settimana compresa tra il 7 e il 13 luglio ci informa che sono riprese le demolizioni di abitazioni palestinesi a Gerusalemme est. Le ultime, in ordine di tempo, si sono registrate nei quartieri di Beit Hanina, Jabal Al Mukabber e Al ‘Isawiya, e hanno riguardato tre abitazioni, due case in costruzione, un deposito e le fondamenta di un edificio.

Il risultato è che 25 Palestinesi, inclusi 12 bambini (il più piccolo dei quali di soli due mesi), sono stati sfollati forzatamente.

Le autorità municipali naturalmente sostengono che le demolizioni riguardano soltanto le costruzioni prive dei regolari permessi rilasciati dalle autorità israeliane, ma è noto non solo che ai Palestinesi è consentito costruire solo sul 13% dell’estensione di Gerusalemme est, ma anche che ottenere tali permessi equivale a vincere una lotteria milionaria.


Così nel 2010, per tali motivi, sono state già demolite 24 strutture di proprietà di Palestinesi, lasciando senza un tetto 32 persone, tra le quali 17 bambini.

Di contro le colonie ebraiche a Gerusalemme est coprono già un terzo dell’intera superficie municipale e sono in continua espansione, in quanto ai coloni viene naturalmente consentito di costruire in ogni dove e senza alcun vincolo.

L’articolo che segue – scritto il 15 luglio da Seth Freedman per il Guardian e qui proposto nella traduzione offerta da Medarabnews – ci ricorda che il cancro della giudaizzazione di Gerusalemme est e la strisciante pulizia etnica in atto ai danni della popolazione palestinese residente impone un fermo intervento della comunità internazionale, per impedire la fine di ogni possibilità di accordi di pace e una inevitabile ripresa della violenza e degli scontri.

Impedire le demolizioni di abitazioni palestinesi da parte di Israele.

In teoria, un comune che demolisce delle strutture abusive sul proprio territorio non dovrebbe sorprendere nessuno. In pratica, tuttavia, tale misura deve essere considerata nel contesto della più ampia politica del luogo – e quando si tratta della polveriera israelo-palestinese, le azioni delle autorità israeliane dovrebbero essere considerate per quello che sono: un comportamento provocatorio e pieno di astio.

Mettendo fine al congelamento delle demolizioni di case palestinesi a Gerusalemme Est, durato nove mesi, questa settimana gli operai comunali hanno raso al suolo tre case della zona, provocando una tempesta di polemiche sia in patria che all’estero. Il congelamento fu introdotto in seguito al caso diplomatico sorto durante le ultime demolizioni a Gerusalemme Est, in occasione della visita di Hillary Clinton nel marzo 2009 – demolizioni descritte dalla Clinton come “inutili” e come una violazione degli impegni assunti da Israele nel contesto della Road Map.

Da allora, Israele ha continuato ad ignorare gli accordi che sancivano una moratoria sulle costruzioni illegali nelle colonie israeliane, pur continuando a perseguire una linea dura nei confronti dei residenti palestinesi di Gerusalemme Est. L’espulsione di famiglie palestinesi a Sheikh Jarrah continua a ritmo sostenuto, per far posto a nuovi coloni; a Silwan è in programma la demolizione di 22 case per la costruzione di un giardino pubblico, e in tutta la zona orientale della città viene esercitata una pressione incessante come parte di quella che gli attivisti chiamano la politica del “trasferimento silenzioso”.

Secondo Angela Godfrey-Goldstein dell’ Israeli Committee Against House Demolitions, il “trasferimento silenzioso” denota la pratica di esasperare gradualmente i palestinesi, finché essi si arrendono per la disperazione, abbandonano l’area e si spostano verso est. La politica dei permessi edilizi fa parte del trasferimento silenzioso – sostiene.

La maggior parte di Gerusalemme Est è stata dichiarata “area verde”, il che impedisce la costruzione di case, cosa che a sua volta porta ad una grave carenza di alloggi nella città. La presenza di un numero insufficiente di unità abitative rispetto ai bisogni dei residenti significa che il costo delle proprietà sale alle stelle e che le persone del posto vengono escluse dal mercato, e costrette a cercare un alloggio meno costoso dall’altro lato del muro di separazione. Una volta che hanno abbandonato la città, viene loro sottratto il diritto al possesso di documenti di identità di Gerusalemme, distruggendo in questo modo ogni loro speranza di trovare impiego in Israele; e così esse vengono efficacemente intrappolate per sempre nella povertà della Cisgiordania.

Nel frattempo, viene dato il via libera ai coloni perché costruiscano in ogni direzione – un evidente caso di discriminazione, fa notare Godfrey-Goldstein. Nei rari casi in cui i tribunali israeliani dichiarano come abusivi degli edifici di coloni – come nel caso di Bet Yehonatan a Silwan – gli ordini di sfratto sono ignorati dai coloni e non vengono fatti rispettare dalle autorità, dimostrando l’uso di due pesi e due misure da parte del comune di Gerusalemme per quanto riguarda le violazioni abitative.

Al di là delle terribili implicazioni per quelle famiglie che i bulldozer hanno lasciato senza casa questa settimana, le demolizioni rappresentano un altro duro colpo per le relazioni israelo-palestinesi. La distruzione delle case a Beit Hanina e Issawiya è un chiaro segnale di quanto poco importino ai leader israeliani le concessioni e i compromessi, e di quanto essi preferiscano accumulare capitale politico sul fronte interno inchinandosi agli ultra-nazionalisti.

I politici israeliani stanno seguendo questo atteggiamento da mesi, e la loro risolutezza è rafforzata dalla debole reazione internazionale, dopo che essi si sono fatti beffe del diritto internazionale e dei codici morali più elementari.

Nir Barkat, storico sindaco di Gerusalemme, è noto per aver respinto le critiche di Hillary Clinton riguardo alle demolizioni di case, l’anno scorso, definendole “aria fritta”, riassumendo così l’atteggiamento beffardo e sicuro di sé tipico della gran parte di coloro che sono al timone della politica israeliana.

Purtroppo, non è difficile capire da dove derivi la loro arroganza: da anni nessun leader americano o europeo ha osato accompagnare le proprie parole di rabbia con azioni concrete, quali per esempio l’applicazione di sanzioni contro Israele.

Malgrado il grande clamore che ha accompagnato l’ascesa di Barack Obama al vertice della politica americana, nulla è cambiato nel rapporto tra gli Stati Uniti e il loro alleato in Medio Oriente. Gli sforzi di trattare in maniera ragionevole e seria la questione della divisione di Gerusalemme si sono arenati, insieme ad altre questioni controverse – come la questione degli insediamenti illegali, dei diritti idrici in Cisgiordania, e dei profughi palestinesi.

In un tale scenario, la ripresa delle demolizioni a Gerusalemme Est deve essere vista per quello che è: una sfacciata dichiarazione d’intenti, sia a livello locale che internazionale.

La “giudaizzazione” di Gerusalemme Est è una politica dichiarata, da parte di numerosi gruppi di coloni e di loro sostenitori a livello economico e politico, e ogni casa demolita ed ogni famiglia espulsa dalla propria abitazione accelera il processo di pulizia etnica già intrapreso.

Se non si fa nulla per fermare questo cancro, l’inevitabile risultato sarà una rottura totale dei colloqui tra le due parti, che a sua volta probabilmente scatenerà un’ondata di violenti scontri.
L’unico modo per evitare una simile svolta disastrosa è che gli Stati Uniti, l’Unione Europea ed altri esercitino pressioni su Israele – perché è Israele che ha in mano tutte le carte da giocare, quando si parla di negoziati. Qualsiasi misura più blanda non funzionerebbe: ormai non c’è quasi più tempo per portare le due parti al tavolo negoziale, e i soli vincitori dello status quo attuale sono gli estremisti. Né gli israeliani né i palestinesi meritano, né possono permettersi, le conseguenze di un’altra intifada, e quindi è necessario un intervento risoluto.

La demolizione delle abitazioni è solo la punta dell’iceberg, ma è uno dei tanti fattori incendiari in termini delle implicazioni politiche che comportano. Se i leader israeliani hanno dimostrato che a loro importa ben poco del danno che stanno arrecando sia in termini fisici che emotivi, è giunto il momento che qualcuno li costringa a tenere in maggior conto tali danni, per il bene di tutte le parti interessate.

Seth Freedman è un giornalista e scrittore britannico che risiede a Gerusalemme

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14 maggio 2010

Sedicenne palestinese ucciso dai coloni nei pressi di Ramallah.

L’ennesimo crimine commesso dagli Israeliani si è consumato ieri, tra le 4:30 e le 6:00 del pomeriggio, quando il sedicenne Aysar Yasser al-Zaben è stato colpito alla schiena dalla fucilata di un colono mentre coltivava il proprio terreno, situato in un villaggio a est di Ramallah.

Ennesimo crimine frutto della presenza illegale in Cisgiordania di 500.000 coloni che vivono vessando due milioni e mezzo di Palestinesi, e del regime di apartheid che vede tra l’altro le principali strade della West Bank riservate all’uso esclusivo di questi fanatici criminali.

Sull’argomento, di seguito riporto l’articolo pubblicato dal sito Terra Santa Libera, anche e soprattutto in segno di solidarietà contro l’inaudito attacco portato a questo e ad altri siti di controinformazione dalla Commissione d’indagine parlamentare sull’antisemitismo.

RAGAZZO PALESTINESE DI 16 ANNI UCCISO DA COLONI EBRAICI ALLA PERIFERIA DI RAMALLAH
Press Release 14 maggio 2010 - ore 03.20
Popular Struggle Coordination Committee - traduzione TerraSantaLibera.org

Testimoni riferiscono che coloni giudeo-sionisti di uno degli insediamenti illegali che circondano Ramallah (in teoria capitale dell'Autorità Palestinese) avevano bloccato, come spesso accade, l'accesso alla Route 60, principale arteria stradale che mette in comunicazione, teoricamente, Ramallah con gli altri villaggi palestinesi del West Bank (ma anche gli insediamenti coloniali ebraici, che insieme all'esercito d'occupazione di Tel Aviv controllano tutta la rete stradale).

Sempre testimoni riferiscono che, dopo aver bloccato le auto con targa palestinese che transitavano nell'area, tra i "settlers" e alcuni giovani arabi locali sono sorti tafferugli, con lancio di pietre all'indirizzo dell'illegale posto di blocco armato imposto dai coloni sionisti.

Per risposta questi ultimi hanno obbligato tutti gli occupanti delle auto, ferme al posto di blocco abusivo, di uscire e tornare verso il villaggio da cui provenivano, iniziando a sparare all'impazzata e creando un fuggi-fuggi generale.

La maggior parte di essi, come il giovane ucciso, Aysar al Zaben, 16 anni, contadino di Mazra'a al Sharqia, erano pendolari che dovevano raggiungere il loro posto di lavoro. I genitori e i familiari, non vedendolo rientrare, pensavano che egli fosse stato fermato dalla Polizia israeliana (che invece di bloccare i coloni armati di fucili automatici, pistole e mitra, fermano solo e sempre i palestinesi con varie scuse: chi non ha visto non può credere...).

In serata, dopo un giro di perlustrazione, dopo che i coloni avevano rimosso il loro abusivo posto di blocco, il corpo di Aysar al Zaben è stato ritrovato riverso a faccia in giù con un proiettile conficcato nella parte posteriore della testa.

Incursioni da parte di coloni sionisti nelle terre coltivate palestinesi, con l'intento di incendiarne i raccolti e le piante, posti di blocco estemporanei ed illegali, aggressioni ad auto e lavoratori pendolari, devastazioni di luoghi di culto e di case arabe, sempre con copertura armata e da parte delle forze d'occupazione sioniste di Tel Aviv, sono all'ordine del giorno nella Palestina occupata.

Un pensiero alla famiglia del giovane Aysar ed una preghiera per la sua giovane anima, ma anche una considerazione: la stampa accreditata non menziona quest'ennesimo crimine commesso ai danni della popolazione assediata di Palestina, mentre osiamo solo immaginare il putiferio che avrebbero scatenato i vari giornalisti asserviti se ad essere ucciso fosse stato un giovane "israeliano".

E ci chiediamo anche: come sarebbe possibile (a fronte dei recenti, e ancora in corso, attacchi alla nostra libertà di cronaca e informazione) avere tali informazioni in lingua italiana, se venissero meno, perchè oscurati, siti web come il nostro, come InfoPal.it, come Effedieffe.com, come Andreacarancini.blogspot, Zatar, e pochi altri?

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6 marzo 2010

I trucchi di Netanyahu si stanno esaurendo.

Israele in questi anni ha approfittato del largo (e ingiustificato) credito concesso dalla comunità internazionale per mantenere salda la presa sui Territori occupati e garantirsi un sicuro status quo, fingendo di voler condurre trattative di pace con i Palestinesi che, nella realtà, si sono sempre tradotte in defatiganti tattiche dilatorie e in continui mercanteggiamenti.

E, tuttavia, il tempo sembra che stia per scadere e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non potrà ancora a lungo continuare a rimandare i problemi reali.

Da una parte, infatti, il primo ministro palestinese Salam Fayyad si è messo alla testa di quella che è stata definita una “Intifada bianca”, che prevederebbe la costruzione di un’infrastruttura istituzionale per il futuro stato palestinese, accompagnata da una dichiarazione della fondazione dello stato palestinese e dalla richiesta del ritiro israeliano dalla Cisgiordania.

L’incapacità di soddisfare le richieste potrebbe essere tale da portare ad una campagna di sanzioni economiche contro Israele, in particolare da parte dell’Europa, e ad altre iniziative nella direzione del boicottaggio e dell’ostracismo. Israele si troverà quindi dinnanzi a due difficili alternative: cedere alle pressioni – il che significherebbe abbandonare la possibilità di avere il coltello dalla parte del manico nel processo di pace – o opporvisi, il che potrebbe esporla ad un maggiore isolamento internazionale.

Gli Usa e i Paesi europei, peraltro, cominciamo a manifestare segni di nervosismo a cagione del fatto che il processo di pace tra Israeliani e Palestinesi non muove un solo passo in avanti, e non sembrano più disposti a lasciare inascoltate le proteste e le rivendicazioni del popolo palestinese.

Ma, dall’altro lato, il movimento dei coloni – in passato apertamente incoraggiati e foraggiati economicamente – continua a rafforzarsi ogni giorno di più, approfittando dell’irresolutezza dei governi israeliani, e non pare disposto nemmeno a discutere di ipotetici ritiri dalla West Bank, che gli accordi di pace con i Palestinesi chiaramente richiederebbero.

Come si comporterà Netanyahu preso in mezzo tra due fuochi, l’Intifada di Fayyad e quella dei coloni israeliani? Se lo chiede il giornalista di Ha’retz Aluf Benn nell’articolo che segue, tradotto da Medarabnews.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu è occupato giorno e notte per preparare Israele ad un confronto fatidico con l’Iran. Ma il suo vero problema potrebbe trovarsi altrove. Le tensioni nei Territori palestinesi stanno crescendo, e i palestinesi stanno intensificando le loro proteste contro gli insediamenti e la barriera di separazione israeliana. I coloni, nel frattempo, possono fiutare la debolezza di Netanyahu e stanno minando l’autorità dello Stato.

Due eventi dei giorni scorsi indicano il rischio di un’esplosione: la protesta a Bil’in, alla quale ha partecipato il primo ministro palestinese Salam Fayyad, dove alcuni dei 1.000 dimostranti hanno distrutto un piccolo pezzo della barriera di separazione; e l’invasione dell’antica sinagoga di Na’aran da parte di decine di attivisti di destra al grido di: “torneremo a Gerico e Nablus”. In entrambi gli incidenti, la violenza è stata contenuta e nessuno è rimasto ferito. Eppure la lotta per la Cisgiordania è entrata in una nuova fase.

Fayyad, l’ex beniamino dell’establishment israeliano, sta dimostrando di essere il rivale più problematico di Netanyahu. Quello che un tempo era un economista e un tecnocrate è diventato gradualmente un politico – godendo di buona visibilità, baciando bambini, mettendosi a capo della “Intifada Bianca”, come l’hanno soprannominata i ricercatori Shaul Mishal e Doron Matza nel loro articolo su ‘Haaretz’ di questa settimana. Lunedì scorso, il governo palestinese ha adottato un piano d’azione per una “opposizione non-violenta” contro gli insediamenti e la barriera di separazione.

L’“Intifada Bianca” di Fayyad è diversa dalle precedenti. Essa ha un chiaro scopo politico: dichiarare uno Stato palestinese all’interno dei confini del 1967 entro l’estate del 2011. Per quella data, Fayyad avrà completato la costituzione delle istituzioni nazionali palestinesi, e starà lavorando per ottenere il riconoscimento internazionale attraverso una manovra diplomatica a tenaglia nei confronti di Netanyahu. Egli sta ottenendo un consenso entusiastico dall’amministrazione degli Stati Uniti in qualità di manager di successo. Circa 2.600 poliziotti palestinesi si sono già formati al corso di addestramento gestito dal generale americano Keith Dayton in Giordania e sono quindi tornati nei Territori aspettandosi di lavorare per uno Stato indipendente, e non come agenti subordinati ad un’occupazione israeliana. I ministri degli esteri di Francia e Spagna, in un articolo firmato da entrambi e pubblicato martedì su “Le Monde”, hanno chiesto di accelerare la fondazione di uno Stato palestinese e di completare il suo riconoscimento entro l’ottobre 2011.

Le proteste contro la barriera di separazione e gli insediamenti, viste attraverso la lente dei media internazionali, hanno un forte impatto e pongono Israele in un difficile dilemma. La risposta israeliana iniziale era stata di “colpire il nemico a casa sua”: un’ondata di arresti nei confronti di coloro che avevano organizzato le proteste a Bil’in e a Na’alin, e incursioni delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) a Ramallah per arrestare i membri dell’International Solidarity Movement. I funzionari della sicurezza israeliana hanno spiegato ai loro omologhi stranieri come questi attori “rappresentino una minaccia all’esistenza di Israele”. Tuttavia queste azioni sono fallite. I palestinesi non sono stati dissuasi e hanno continuato con le loro manifestazioni, sapendo che Israele non avrebbe osato fare del male a Fayyad e alla sua gente.

Il prossimo passo di Netanyahu sarà una massiccia campagna di pubbliche relazioni contro “l’istigazione (anti-israeliana (N.d.T.) ) all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese”. Ma Fayyad è pronto anche a questo: è in possesso di un rapporto in cui l’amministrazione americana attribuisce un’ottima valutazione agli sforzi di Fayyad per sbarazzarsi dei libri di scuola palestinesi con contenuti propagandistici anti-israeliani.

La posizione del primo ministro israeliano si sta aggravando anche per quanto riguarda i coloni, mentre si avvicina la fine del congelamento temporaneo degli insediamenti, prevista per settembre. Netanyahu ricomincerà a costruire a tutta velocità, come promesso, col rischio di creare una frattura col presidente americano Barack Obama? O prolungherà il congelamento degli insediamenti col rischio di una rivolta da parte dei coloni? Washington è preoccupata che Israele possa perdere il controllo sugli estremisti presenti negli insediamenti, così come teme una possibile spaccatura all’interno delle IDF, in cui soldati e ufficiali di orientamento religioso potrebbero rifiutarsi di obbedire agli ordini di evacuare o radere al suolo gli insediamenti.

I governi del “mondo” stanno perdendo la loro già scarsa pazienza con Netanyahu e il suo gabinetto, mentre in Europa si sono manifestate critiche per “l’assassinio” dell’importante esponente di Hamas, Mahmoud al-Mabhouh – anche da parte di amici compiacenti nei confronti di Israele come Nicolas Sarkozy. Il negoziato di pace resta bloccato, e la “pace economica” ha ormai esaurito le sue possibilità. La settimana scorsa la Croce Rossa ha comunicato che la vita dei palestinesi non è migliorata, e che “è pressoché impossibile avere una vita normale in Cisgiordania”.

Netanyahu è in seria difficoltà. Il suo repertorio di trucchi si sta esaurendo. I palestinesi e i coloni stanno sfruttando la sua debolezza. Il mondo non crede in lui e mette in dubbio il suo controllo sul territorio. A meno che non sorprenda tutti quanti con un’ardita iniziativa che ridia slancio al suo programma, il primo ministro dovrà affrontare una doppia intifada: quella di Fayyad e quella dei giovani coloni degli avamposti illegali.

Aluf Benn è corrispondente diplomatico del quotidiano israeliano ‘Haaretz’; segue la politica estera israeliana ed il processo di pace israelo-palestinese dal 1993

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9 febbraio 2009

La pace irraggiungibile e gli scudi umani.




Segnalato dal blog di Mirumir, questo interessante reportage della Cbs evidenzia come meglio non si potrebbe le devastanti conseguenze della colonizzazione in Cisgiordania, che ogni giorno di più allontana ogni realistica prospettiva di pace tra Israeliani e Palestinesi basata sulla cd. soluzione a due stati.

Ed anzi, ogni realistica prospettiva di pace tout court.

Il reportage della Cbs è ben realizzato ed argomentato, e nulla vi è da aggiungere al riguardo; qui voglio sottolineare, tuttavia, l'aspetto riguardante la vicenda, narrata nel video, del sequestro dell'abitazione di Nablus e dei Palestinesi ivi residenti, per scopi militari, da parte dell'esercito israeliano.

Secondo Donatella Rovera, una investigatrice di Amnesty International, "è una prassi standard per i soldati israeliani entrare in una abitazione, rinchiudere la famiglia in una stanza a piano terra e usare il resto della casa come una installazione militare, o come una postazione per cecchini. Questo è un caso assolutamente da manuale di (utilizzo di) scudi umani".

La propaganda israeliana - al fine di giustificare gli orribili massacri di civili commessi dal proprio esercito a Gaza - ha sempre usato come scusante, e continua a farlo, il fatto che Hamas abbia utilizzato i civili palestinesi come scudi umani nel corso dell'operazione "Piombo Fuso", "costringendo" i soldati israeliani all'uccisione di Palestinesi inermi ed innocenti, derubricata in tal modo a "errore scusabile"; propaganda cinica e spregiudicata questa, peraltro rilanciata con entusiasmo dai media di regime e dai politici filosionisti di casa nostra (vero, ministro Frattini?).

Ma, anche laddove Hamas avesse effettivamente commesso crimini di guerra - perchè è tale l'utilizzo forzoso di civili per scopi militari - questo non assolve affatto Israele per l'uccisione in massa di civili inermi e gli svariati crimini di guerra commessi durante la recente aggressione alla Striscia di Gaza; l'uso di "scudi umani" da parte di Hamas, peraltro, non risulta affatto provato in alcun modo, ed anzi in varie occasioni osservatori indipendenti come i funzionari Onu o i ricercatori delle ong per la tutela dei diritti umani, come ad esempio B'tselem, hanno potuto smentire le asserzioni propagandistiche dell'esercito israeliano.

Quello che risulta provato senza ombra di dubbio, da numerose testimonianze e da filmati, è al contrario l'utilizzo di scudi umani da parte del valoroso esercito israeliano, prima, durante e - ora lo sappiamo - anche dopo l'attacco a Gaza.

Ma, naturalmente, tutto è consentito in nome della "sicurezza" di Israele, e così facciamo finta di non vedere all'opera questi spietati e biechi criminali.

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14 ottobre 2008

Chiuso per festività.

Le forze armate israeliane, a partire da ieri e fino alla mezzanotte del 21 ottobre prossimo, hanno completamente sigillato la Cisgiordania, impedendo pressoché qualsiasi spostamento alla popolazione palestinese in vista delle celebrazioni ebraiche del Sukkot, la “festa delle capanne” che dura per l’appunto 8 giorni e rappresenta una delle più importanti festività ebraiche.

Questo periodo dell’anno, in realtà, vede lo svolgersi di numerose ricorrenze care all’ebraismo, ivi inclusi il capodanno ebraico (Rosh Hashana) e il giorno dell’espiazione (Yom Kippur), durante le quali, allo stesso modo, la West Bank ha dovuto subire una chiusura totale.

Che gli Ebrei onorino le proprie ricorrenze, del resto, è più che giusto, come è giusto che questi siano periodi di riflessione, di celebrazione e di festa.

Il problema, tuttavia, è che i Palestinesi della Cisgiordania in questo stesso periodo sono costretti a subire ulteriori restrizioni alla loro libertà di movimento, con ulteriori barriere e blocchi di cemento piazzati lungo le maggiori arterie e con i principali checkpoint totalmente chiusi o aperti soltanto in maniera sporadica.

Non è che, del resto, negli altri periodi dell’anno i Palestinesi se la passino meglio.

Secondo l’ultimo rapporto dello United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA Closure Update, 30 aprile – 11 settembre 2008), in Cisgiordania esistono complessivamente ben 630 ostacoli che impediscono la libera circolazione all’interno dei territori palestinesi occupati, con un incremento del 3% (19 ostacoli) rispetto alla fine di aprile del 2008, e addirittura dell’11,3% (64 ostacoli) rispetto al mese di settembre 2007.

Questo dato non include i 69 ostacoli dislocati nella sezione di Hebron controllata da Israele (H-2), posti a difesa dei bravi coloni della zona, come quelli di Kiryat Arba e Givat Havot che recentemente hanno attaccato alcuni proprietari terrieri palestinesi e volontari israeliani (tra cui quelli di Rabbis for Human Rights), o come quelli di Tel Rumeida che hanno picchiato un ragazzino 14enne la cui unica colpa era stata quella di cercare di impedirgli di rubare le olive dal terreno del padre.

Questo insieme di posti di blocco, fissi o “volanti”, blocchi di cemento, cumuli di terra e ostacoli vari interessa quasi i tre quarti delle principali strade che interconnettono i 18 maggiori centri abitati palestinesi della West Bank, che secondo il rapporto dell’OCHA risultano controllate dall’Idf e/o completamente interrotte; circa la metà delle strade secondarie, costruite negli anni proprio per supplire a questo disastrosa situazione, risulta peraltro anch’essa bloccata o controllata da checkpoint.

Neanche la Striscia di Gaza è rimasta immune dall’incombere delle festività ebraiche, considerato che – nel periodo compreso tra l’1 e il 7 ottobre – ai valichi di frontiera sono potuti passare soltanto 268 carichi di beni umanitari rispetto ad una media delle settimane precedenti pari a 843.

E qual è il motivo di questi ulteriori disagi e soprusi inflitti alla popolazione civile palestinese?

C’è lo dice Tsahal con il suo bravo comunicato ufficiale: i soldatini israeliani in questo periodo saranno in stato di massimo allarme “al fine di assicurare l’incolumità dei cittadini di Israele”, cercando di assicurare nel contempo, “al meglio delle proprie capacità”, la routine quotidiana della popolazione palestinese.

Tradotto in soldoni, quello che per gli Ebrei significa possibilità di festeggiare lietamente e serenamente, per i Palestinesi si traduce in chiusura totale e impossibilità di recarsi a scuola, al lavoro, dagli amici, essendo permessi soltanto gli spostamenti eccezionali, motivati da urgenze di carattere medico.

E davvero non si riesce a comprendere come questa gente possa attendere tranquillamente ai propri festeggiamenti sapendo che, contemporaneamente e a causa di questo, ci sono persone costrette a restare a casa e a subire disagi e sofferenze inconcepibili e immotivati.

Immotivati, certo, perché qui non si tratta della chiusura dei valichi di frontiera con Israele per evitare possibili infiltrazioni di “terroristi”, ma della chiusura totale e dell’impossibilità a spostarsi all’interno dei territori palestinesi, cosa che con la sicurezza di Israele non ha nulla a che vedere.

A meno che non ci si voglia riferire alla sicurezza delle centinaia di migliaia di banditi, noti come coloni, che illegalmente risiedono all’interno dei territori occupati, e allora si tratta di un altro discorso; banditi che, peraltro, in questi giorni stanno per l’ennesima volta dimostrando di sapersi “difendere” egregiamente da soli, attaccando gli agricoltori palestinesi, impedendo la raccolta delle olive, razziando e distruggendo auto e beni negli indifesi villaggi palestinesi, eventualmente dando addosso persino ai soldati israeliani quelle rare volte in cui cercano di imporre il rispetto della legge e dei diritti umani.

Ma una ragione per tutto questo esiste, e l’ha messa bene in evidenza il giornalista di Ha’aretz Aluf Benn in un recente articolo peraltro dedicato a diverso argomento (trattandosi di un pezzo interessante, potrete utilmente leggerne una sintesi qui): l’argomento Palestinesi viene del tutto rimosso dalla società israeliana quando non vi sono attentati suicidi, e pochi si preoccupano di quello che accade nella West Bank, dell’espansione delle colonie, del sistema delle chiusure, dei coprifuoco, delle vessazioni e dei soprusi cui quotidianamente sono sottoposti i residenti.

E quella che dovrebbe essere una misura militare temporanea atta a impedire scontri e attacchi contro i civili israeliani diviene, invece, un sistema permanente che – sia festa oppure un giorno come tanti – frammenta la West Bank in una miriade di cantoni e rende penosa la vita quotidiana ad un’intera popolazione, nell’indifferenza della quasi totalità della società israeliana e nella colpevole acquiescenza dei governi occidentali.

Ed è dunque “normale” che gli Ebrei festeggino in tutta tranquillità il loro Sukkot, dimentichi dei loro vicini che, chiusi in casa, soffrono in silenzio e rimuginano sentimenti di amicizia nei confronti dei loro oppressori.

Fin quando non trarranno da tutto ciò le debite conseguenze.

P.S. Sullo stesso argomento potete leggere anche questa lettera di Bassam Aramin, scritta con animo molto più sereno del mio in occasione della Pasqua ebraica.

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29 luglio 2008

Quando i coloni coabitano con i militari.


Un bel giorno i soldati di una compagnia della Brigata Golani hanno “scoperto” che all’interno della loro base si erano materializzate ben sei roulotte piene di coloni della comunità ebraica di Hebron, ben sistemati e contenti di poter usufruire di tutti i servizi forniti dalla struttura militare.

Sembra incredibile, ma è quello che è accaduto nella base militare israeliana di Mitkanim, situata nei pressi del quartiere Avraham Avinu nella città di Hebron, nella West Bank. Come si può osservare nel video di Channel 10, una ripresa dall’alto mostra la struttura militare e il centro di comando e, in basso, lo spazio occupato dalle roulotte per le famiglie dei coloni, ivi compresi dei prati per far giocare i bambini.

Il movimento Peace Now in questi giorni ha presentato una petizione all’Alta Corte israeliana, chiedendo che l’esercito provveda a evacuare immediatamente i coloni che attualmente risiedono all’interno della base militare.

In risposta, l’esercito israeliano ha dichiarato che l’assegnazione del terreno è stata approvata dalle “autorità competenti”, ma esiste un precedente – relativo al caso della petizione “Alon Moreh” – in relazione al quale la Suprema Corte ha già statuito che è illegale annettere terreni per scopi militari e successivamente cederli in uso ai civili.

Perché due aspetti entrano in gioco in questa gravissima vicenda.

Il primo riguarda la circostanza che vede dei civili risiedere all’interno di una base militare, in violazione delle norme del diritto umanitario che definiscono il principio di separazione tra popolazione civile e militari.

Sempre che possano definirsi come civili quelle vere e proprie bande paramilitari costituite dai coloni, gentaglia barbara e razzista, pesantemente armata e dedita all’aggressione della popolazione civile palestinese, e che non disdegna peraltro di attaccare persino i soldati dell’Idf nei rari casi in cui questi cercano di imporre il rispetto della legge.

Ma, soprattutto, la vicenda di Mitkanim mostra come, ancora una volta, l’esercito israeliano sottragga estensioni di terreno sempre più ampie ai legittimi proprietari palestinesi, accampando falsamente esigenze di carattere militare, ma in realtà aiutando subdolamente i coloni israeliani a stabilire nuovi avamposti del tutto illegali. Ciò è ancor più grave laddove si consideri che questo accade in un’area “sensibile” come quella di Hebron, più e più volte teatro di violenze dei coloni e di brutali crimini dell’esercito israeliano ai danni della popolazione residente.

Mentre continuano i proclami di chi vede un accordo di pace tra Israeliani e Palestinesi a portata di mano, la realtà sul terreno mostra quali siano le reali intenzioni di Israele, le sue spudorate menzogne e le false rassicurazioni che, a giorni alterni, riguardano la rimozione dei check point, l’evacuazione degli avamposti, il miglioramento delle condizioni di vita dei Palestinesi, la fine dell’assedio a Gaza.

La realtà è che non uno degli avamposti illegali di cui la road map ha chiesto l’evacuazione è stato rimosso, ed anzi lo stato israeliano e il suo esercito si attivano con encomiabile efficienza a facilitarne l’insediamento di nuovi.

La realtà è che Israele è un partner subdolo, menzognero e assolutamente inaffidabile per la pace, e sarebbe ora che la comunità internazionale cominciasse a tenerne conto.

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13 giugno 2008

Quei bravi coloni.


In questi ultimi mesi, il numero di attacchi contro la popolazione civile palestinese, che vedono il coinvolgimento di coloni israeliani della West Bank, è in costante aumento; secondo gli ultimi dati resi noti dall’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (The Humanitarian Monitor, aprile 2008), nel solo mese di aprile sono stati riportati 25 incidenti di questo genere, rispetto ai 17 del mese di marzo, la maggior parte dei quali riguardanti gruppi di coloni armati che hanno attaccato Palestinesi al lavoro sulla loro terra o che portavano al pascolo le loro pecore.

L’ultimo di questi attacchi bestiali, assolutamente gratuiti e ingiustificati, è avvenuto domenica pomeriggio e ha riguardato un pastore palestinese 70enne, Khalil Salama al-Nawaj’a, sua moglie, la 68enne Thamam al-Nawaj’a, e il loro nipote Yousef, di 32 anni, picchiati selvaggiamente con mazze da baseball e spranghe da un gruppo di settlers mascherati provenienti dal vicino insediamento colonico di Susia.

Nel video che testimonia l’aggressione, visionabile sul sito internet della Bbc, si vede chiaramente la donna che pascola le proprie pecore a breve distanza dall’insediamento, i coloni che arrivano dalla sommità della collina, il brutale pestaggio della famiglia di pastori.

La Bbc ha chiesto un commento al portavoce della colonia, che ha declinato l’invito, mentre la polizia ha affermato che sta indagando sull’accaduto, benché la realtà dei fatti dimostri come molto raramente, nel passato, un colono israeliano sia stato arrestato per violenza contro i Palestinesi o le loro proprietà.

Giovedì, 12 giugno, un gruppo di israeliani armati provenienti dalla colonia di Yitzhar ha attaccato la casa della famiglia Khalaf, nella città di Howwara, ferendo a coltellate il 33enne Ahmad Khalaf e picchiando selvaggiamente il 25enne Samir Ali, entrambi successivamente ricoverati presso l’ospedale di Nablus; nessun arresto o fermo è stato effettuato dalla polizia israeliana.

Giovedì, 5 giugno, alcuni coloni provenienti da Kiryat Arba, insediamento situato a est di Hebron, hanno attaccato i civili palestinese a colpi di pietre e bottiglie, picchiando violentemente il 18enne Mahdi Maher Abu Hatta; nessuna arresto o fermo è stato effettuato dalla polizia israeliana.

Sabato pomeriggio, 3 maggio, coloni appartenenti all’insediamento di Yitzhar hanno dato fuoco ad alcuni campi coltivati nei pressi del villaggio di ‘Asira al-Qibliya, impedendo successivamente ai Palestinesi di raggiungere alcune aree interessate dall’incendio per spegnere il fuoco, scontrandosi con essi.

Giunti sul luogo, i soldati israeliani – anziché consentire ai pompieri di spegnere l’incendio ed arrestare i coloni autori del gesto – hanno apertamente spalleggiato i settlers, arrestando alcuni dei residenti del villaggio: forse erano stati troppo solerti nel cercare di spegnere le fiamme!

Ma, naturalmente, gli attacchi delle bestie coloniche non si limitano a queste violenze, né allo sradicamento di centinaia di piante di ulivo (oltre 1.200 nel solo mese di aprile), ma a volte hanno un esito ben più tragico.

Venerdì sera, 9 maggio, il 21enne Khaled Fat’hi al-Anati è stato ucciso a colpi di fucile dalle guardie della colonia di Ofra, mentre era a caccia nei terreni circostanti; nel mese di aprile, il 15enne Sherif Shtayyeh è stato investito e ucciso da un bus guidato da un colono israeliano mentre stava facendo attraversare al suo gregge la by-pass road situata vicino al villaggio di Salim, mentre il corpo senza vita di un altro palestinese 15enne è stato trovato nei pressi della colonia di Hamra.

Anche in questi casi, nessun arresto o fermo è stato effettuato dalle autorità israeliane…

Complessivamente, nel periodo compreso tra il settembre del 2000 e il mese di maggio di quest’anno, oltre 40 Palestinesi sono stati uccisi da coloni israeliani.

Degno di nota è il fatto che quando sono i Palestinesi ad attaccare un Israeliano, le autorità usano ogni mezzo a disposizione per arrestarli e sottoporli a processo, che avviene peraltro davanti ad una corte militare.

Viceversa, quando sono i coloni a commettere violenze o aggressioni, la polizia e l’esercito israeliani sono estremamente riluttanti a svolgere le dovute indagini, e nel corso degli “incidenti” non intervengono mai – come sarebbe loro dovere – a difesa dei Palestinesi e delle loro proprietà.

Nei rari casi in cui un colono è sottoposto a giudizio per crimini perpetrati nei Territori occupati, peraltro, esso viene giudicato in base al diritto penale israeliano e gode delle relative guarentigie, contrariamente a quanto accade per i Palestinesi che, come abbiamo detto, sono sottoposti alla giurisdizione delle corti militari.

Accade dunque che, per uno stesso reato e su uno stesso territorio, vengano applicate norme diverse in base alla nazionalità dell’autore del crimine, con una palese violazione (l’ennesima) del principio di eguaglianza di fronte alla legge.

Spesso si discute sullo status dei coloni israeliani, che secondo alcuni, pur risiedendo illegalmente negli insediamenti costruiti nei Territori occupati, godrebbero ugualmente delle garanzie previste dal diritto umanitario a tutela dell’incolumità della popolazione civile.

Ma definire “popolazione civile” queste sorte di bande paramilitari, spesso armate tal quale un esercito regolare e formate da bestie brutali e spietate, a volte appare davvero una forzatura.

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22 gennaio 2008

Notizie in breve.

Dugard censurato.
Il 18 gennaio, nel corso della criminale escalation di raid israeliani nella Striscia di Gaza, John Dugard, Relatore Speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati, ha rilasciato questa dichiarazione ufficiale.

L’uccisione di circa quaranta Palestinesi a Gaza nella scorsa settimana, il bombardamento di un ufficio governativo nei pressi di un luogo in cui si stava svolgendo una festa di matrimonio che avrebbe dovuto far prevedere la perdita di vite umane e il ferimento di molti civili, e la chiusura di tutti i valichi verso Gaza, sollevano interrogativi molto seri sul rispetto di Israele per il diritto internazionale e il suo impegno nel processo di pace.
Le recenti azioni violano il rigido divieto di punizioni collettive contenuto nella Quarta Convenzione di Ginevra. Esse violano inoltre uno dei principi fondamentali del diritto umanitario internazionale secondo cui l’azione militare deve distinguere tra obiettivi militari e civili.
Israele avrebbe dovuto essere a conoscenza della festa di matrimonio vicino al Ministero degli Interni nel momento in cui lanciava missili contro l’edificio ministeriale.
I responsabili di azioni talmente vili sono colpevoli di seri crimini di guerra e dovrebbero essere incriminati e puniti per i loro crimini.
Gli Stati Uniti e gli altri Stati che hanno presenziato alla conferenza di Annapolis hanno l’obbligo legale e morale di esigere da Israele la cessazione delle sue azioni contro Gaza e di ristabilire la fiducia nel processo di pace, di assicurare il rispetto del diritto internazionale e di proteggere la vita dei civili.

Le affermazioni di Dugard rappresentano una chiara e semplice verità, assolutamente inconfutabile.
Ed è forse proprio per questo che tali dichiarazioni sono state incredibilmente censurate dai media di regime, soltanto l’Ansa – e in maniera molto succinta – le ha riportate.
Ma è giusto che sia così, e che Dugard rimanga una vox clamans in questa notte del diritto e della giustizia: sotto le mentite spoglie di un mite professore sudafricano, invero, si nasconde evidentemente un bieco antisemita nemico giurato di Israele.

Le “provocazioni” di B’tselem.
Il 19 gennaio scorso i soldati israeliani hanno arrestato Issa ‘Amro, un collaboratore della ong israeliana B’tselem, “colpevole” di avere filmato alcuni disordini provocati dai coloni israeliani nel sobborgo Wadi Hsein a est di Hebron.
Era accaduto, infatti, che un gruppo di coloni aveva iniziato a tirare pietre contro una casa abitata da Palestinesi, tentando di fare irruzione all’interno; sebbene sul luogo fossero presenti numerosi soldati di Tsahal e forze di polizia, nessuno di costoro ha tentato minimamente di allontanare i coloni né, tanto meno, di proteggere l’incolumità dei Palestinesi.
Il comandante delle eroiche truppe impegnate, appartenenti al battaglione Shimshon, ad un certo momento si è avvicinato all’attivista di B’tselem, chiedendogli di smettere di filmare gli incidenti e, subito dopo, alcune donne hanno circondato ‘Amro, tentando di strappargli la videocamera.
A quel punto sono intervenuti i soldati che hanno picchiato ‘Amro e lo hanno arrestato, portandolo via a bordo di una jeep dopo averlo picchiato un altro pochino, così, tanto per gradire; successivamente l’esercito avrebbe comunicato che l’attivista era stato arrestato per aver attaccato i soldati!
Naturalmente non è così, e B’tselem è in possesso di diversi video che provano l’esatto contrario, e cioè che ad essere stato attaccato è stato proprio il malcapitato collaboratore della ong.
Ma il punto più simpatico è che B’telem segnala come, negli ultimi tempi, ci sia stata una escalation negli attacchi contro gli attivisti per i diritti umani che tentano di testimoniare in video le violenze dei coloni a Habron: pare, infatti che, secondo Tsahal, l’atto di filmare i vandalismi dei bravi coloni israeliani costituisca una “provocazione”!
Ma questo è niente in confronto a quello che capita a quei giornalisti coraggiosi che rischiano la vita per testimoniare la verità dei crimini di guerra israeliani nei Territori occupati…

Quei coloni così prolifici.
A proposito di coloni, le ultime statistiche rilasciate dal Ministero degli Interni israeliano mostrano come, a gennaio del 2008, i settlers siano arrivati al rispettabile numero di 282.362, in aumento rispetto ai 268.163 del gennaio 2007 e ai 253.371 del gennaio 2006 (a cui vanno aggiunti i circa 200.000 coloni di Gerusalemme est).
Si tratta di un incremento percentuale pari al 5,1% su base annua, pari a tre volte l’aumento percentuale annuale della popolazione israeliana nel suo complesso.
La crescita del numero dei coloni viene attribuita in parte all’espansione degli insediamenti, che in base alla road map avrebbe dovuto essere bloccata, in parte ad una maggior propensione a far figli propria delle comunità religiose.
L’arma “demografica”, dunque, non appartiene soltanto agli Arabi…

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11 dicembre 2007

C'è avamposto e avamposto!


L’area denominata E-1 (East-1), compresa tra Gerusalemme e la colonia di Ma’ale Adumim, è una delle più sensibili e controverse dell’intera West Bank.
Su questa terra (di proprietà palestinese, ma è quasi inutile ribadirlo), Israele progetta di costruire circa 3.500 unità abitative ed un insediamento industriale, mentre da poco è stata ultimato un edificio destinato ad essere sede della polizia locale.
Una volta realizzato il progetto, si creerà un continuus tra Gerusalemme e Ma’ale Adumim, mentre, contemporaneamente, la West Bank verrà tagliata in due grossi tronconi e Gerusalemme Est separata dal resto dei territori palestinesi.
In quest’ottica, alla fine di settembre, Israele ha confiscato ai Palestinesi circa 110 ettari di terra, da destinare alla costruzione di una strada ad uso esclusivo dei Palestinesi (che gentili…), in modo da mantenere almeno un collegamento (sotto supervisione israeliana, naturalmente!) tra i due bantustan che si verrebbero in tal modo a determinare.
La “continuità territoriale” resterà così agli Israeliani, mentre i Palestinesi dovranno adattarsi alla bisogna attraverso ponti, tunnel, sottopassi e quant’altro, alla faccia delle promesse di assicurare loro uno Stato – come si usa ora dire – “viable”.
L’8 dicembre scorso, proprio nell’area E-1, alcuni attivisti dell’International Solidarity Movement (3 Palestinesi, 5 Israeliani e 3 Svedesi) hanno organizzato una fantasiosa manifestazione di protesta, erigendo una piccola costruzione abusiva e piantandovi sul tetto alcune bandiere palestinesi.
Naturalmente, in men che non si dica, è intervenuta in forze la polizia israeliana, con il supporto dell’esercito, demolendo la casa e arrestando gli attivisti.
Il comunicato dell’ISM relativo alla vicenda si chiedeva, retoricamente, se la stessa solerzia le forze di sicurezza l’avrebbero mostrata l’indomani, nell’affrontare le previste incursioni dei setter israeliani nella stessa zona e in altre parti della West Bank.
Neanche a dirlo, la polizia non è intervenuta affatto, nonostante l’evidenza delle opere messe su dai coloni e nonostante le aree in questione fossero state dichiarate “zone militari chiuse”.
C’è avamposto e avamposto, e che diamine!

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