2 settembre 2008

L'ennesima "generosa" offerta di Israele.

Ormai alla vigilia delle sue annunciate dimissioni, il primo ministro israeliano Ehud Olmert sta compiendo ogni sforzo possibile per convincere il presidente palestinese Abbas a concludere quell’accordo, ormai noto come “shelf agreement”, che dovrebbe prefigurare i principi generali della pace tra Israeliani e Palestinesi e dei rapporti tra Israele e il futuro stato palestinese.

Olmert, che deve anche far fronte al “fuoco amico” della Livni e di Ehud Barak, per vari motivi contrari a questo accordo dell’ultimo minuto, non ha più il tempo, naturalmente, per ulteriori negoziati che portino ad un accordo più dettagliato; il problema, tuttavia, è che non solo alcuni punti che resterebbero al di fuori dell’accordo sono tutt’altro che “dettagli” marginali, ma che persino le proposte rese esplicite risultano difficilmente accettabili per la controparte palestinese.

Ma cosa prevedono, in particolare per quanto riguarda i confini, le proposte israeliane?

Israele terrebbe per se circa il 7% della West Bank, dando in cambio ai Palestinesi una estensione di territori vicini alla Striscia di Gaza equivalenti a circa il 5,5% della Cisgiordania medesima; verrebbe altresì assicurato il passaggio, senza alcuna restrizione, da Gaza alla Cisgiordania e viceversa, e gli Israeliani intendono tale libertà di movimento come compensazione ai Palestinesi per l’1,5% di differenza (e ciò sia pure mantenendo il controllo del territorio su cui si concretizzerebbe detto “passaggio”).

Dunque la terra che Israele vorrebbe annettersi ricomprende i maggiori blocchi di insediamenti colonici (Ma’aleh Adumim, Gush Etzion, le colonie intorno a Gerusalemme) e il confine correrebbe lungo il perimetro del muro di “sicurezza”: con il che si dimostra – ancora una volta e come se ce ne fosse bisogno – che l’intento del muro non era affatto la “sicurezza” ma la sottrazione dei territori ai legittimi proprietari palestinesi.

Il che è anche comprensibile dal punto di vista ebraico (dopo tutti quei bei soldini spesi per costruire il muro…), ma il problema è che queste terre rappresentano circa l’80% delle risorse idriche cisgiordane, in cambio delle quali i Palestinesi riceverebbero una porzione desolata di deserto del Negev adiacente alla Striscia di Gaza: di tutta evidenza, non si tratta certo di uno scambio vantaggioso per i Palestinesi!

Questo senza considerare che, nel contesto dell’accordo, Israele manterrebbe il controllo di ampie estensioni del territorio palestinese tra cui, in particolare, la Valle del Giordano, considerata una necessaria zona “cuscinetto” per prevenire eventuali attacchi arabi (torna ancora la scusa della sicurezza…); già da tempo, peraltro, gli Israeliani hanno totale libertà di accesso e di movimento nella regione, mentre i Palestinesi sono soggetti a infinite restrizioni, ivi inclusa quella di potersi fare un bagno nelle acque del Mar Morto, così, giusto per non infastidire gli ebrei in vacanza.

Ma l’aspetto francamente più incredibile e sconcertante della “generosa” proposta di Israele consiste nelle fasi di implementazione del piano di pace: Israele riceverebbe subito i blocchi di insediamenti – all’interno dei quali sarebbe pienamente libero di costruire nuove unità abitative – mentre la rimozione dei coloni a est del muro, il trasferimento delle terre ai Palestinesi e la creazione di un passaggio libero tra la Striscia di Gaza e la West Bank avverrebbero soltanto in un secondo momento, e precisamente solo dopo che l’Anp abbia compiuto una serie di riforme interne, abbia dimostrato di saper mantenere l’ordine e la sicurezza, abbia ripreso il controllo della Striscia di Gaza.

Davvero una trovata geniale, quella di Olmert: Israele otterrebbe subito la legittimazione delle colonie e della sua (peraltro mai interrotta) attività di costruzione di nuove abitazioni destinate ai settlers, ricevendo nel contempo l’entusiastico plauso della comunità internazionale, mentre i Palestinesi vedrebbero rinviata la costituzione del proprio Stato e la compensazione per le aree cedute a data da destinarsi. E questo, per chi negli anni ha visto quanti accordi menzogneri ha sottoscritto Israele, a cominciare dall’accordo AMA sull’accesso e movimento da e per Gaza, è francamente inaccettabile.

Last but nont least, si può marginalmente aggiungere che il riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi viene sostanzialmente negato e, soprattutto, che non si parla per nulla della questione più sensibile – ovvero quella di Gerusalemme – e tutto questo rende la proposta israeliana assolutamente irricevibile, anche per l’accomodante duo Abbas-Fayyad.

E, difatti, essa è stata rispedita al mittente con le ovvie parole del negoziatore palestinese Saeb Erekat: o si raggiunge un accordo su tutte le questioni oppure non vi sarà alcun accordo.

Per dirla con le parole di un noto politico palestinese,
Mustafa Barghouti, “il piano che Olmert ha posto sui tavoli di negoziazione … è un tentativo di eludere, eliminandole, quattro questioni dello status definitivo: Gerusalemme ed i profughi, colonie ed annessione di vaste zone della Cisgiordania, posponendo tutto il resto fino a quando le realtà sul terreno non rendano parimenti superflua ogni richiesta palestinese. In breve, è un tentativo di trasformare ogni idea di uno Stato indipendente in cantoni isolati, amministrati da una autorità non sovrana, prigioniera in un regime di apartheid.

Una pace equa e duratura, chiaramente, è tutta un’altra cosa.

Su quanto fin qui detto, voglio riportare un articolo di Ran HaCohen, apparso il 27 agosto su antiwar.com e qui proposto nella traduzione di Paola Canarutto per il sito web degli
Ebrei Contro L’Occupazione.

Aggiungo solo che è ora che la comunità internazionale si desti dal suo torpore e da una colpevole inerzia per far sentire il suo peso, con l’equità di un honest broker che sia davvero tale, tenendo presente che la base per un piano di pace che contemperi le esigenze di entrambi le parti in conflitto non può che risiedere nello spirito e nella lettera della risoluzione Onu n.242 del 1967, giustamente richiamata in ogni documento successivo che abbia riguardato la materia.

Un eventuale accordo tra le parti che modifichi le condizioni poste da detta risoluzione, condotto al di fuori di un quadro di mediazione internazionale che contemperi e tuteli sia gli interessi palestinesi sia quelli israeliani, avrebbe peraltro una dubbia legittimazione giuridica, in quanto raggiunto tra due parti, una delle quali in condizioni di estrema soggezione e di palese inferiorità economica e militare.


Cambiar nome all’occupazione
Scritto da Ran HaCohen

Antiwar.com, 27 agosto 2008

Meron Benvenisti, in un eccellente articolo (1) menziona il “successo della campagna propagandistica nota come 'negoziati con i Palestinesi', che convince molti dell'idea che lo status quo sia temporaneo. È vero che non vi è miglior modo per descrivere le discussioni in atto fra i due politici che hanno i giorni contati – Ehud Olmert e Mahmoud Abbas - che come un passatempo orchestrato dall'amministrazione Bush. In passato, si supponeva che le conferenze di pace portassero ad un accordo di pace, che, a sua volta, avrebbe condotto alla pace; ora non si presume nemmeno tanto poco. Cosa ci si aspetta di ottenere dai negoziati è, nella migliore delle ipotesi, un accordo simbolico, da implementare, o no, in qualche momento vago del futuro. Nessuno crede che lo si possa raggiungere, come approvato, per la fine dell'anno – non che alcuno se ne curi, in realtà.

Ma lo spettacolo deve andare avanti. La scorsa settimana i giornali hanno annunciato un grande balzo in avanti: l'Israele di Olmert ha presentato una proposta dettagliata per lo status definitivo. In negoziati veri, si sarebbe potuto dire: “Ora sappiamo quel che vuole Israele”. Ma non è questo il caso, perché, come tutti sanno, il Primo Ministro Olmert non conta più. Allora, qual è il valore della proposta? Non sappiamo veramente quel che vuole Israele, ma almeno possiamo riconoscere quel che è disposta a dire.

Questo è un punto importante, nel discorso politico israeliano. Negli ultimi quindici anni, è stato un argomento centrale della controversa tra la sinistra sionista e quella radicale. Chiunque sia onesto deve ammettere che nulla è cambiato sul terreno, o per lo meno non per il meglio: l'occupazione, che si presupponeva avrebbe dovuto terminare sin dal 1993, è peggiorata per tutto il tempo, e le colonie illegali israeliane crescono come un tumore fatale. La sinistra radicale considera ciò come prova del fatto che Israele non nutre alcun proposito di far finire l'occupazione. La sinistra sionista, tuttavia, argomenta in modo diverso: “Ascolta come parlano”. É vero che la realtà di Cisgiordania e di Gaza è grave come non mai, ma, sostiene la sinistra sionista, ora in Israele persino la corrente maggioritaria parla apertamente di uno Stato palestinese, ed è inevitabile che le parole divengano fatti – se solo sosteniamo i buoni (Rabin, Peres, Barak etc., - persino Sharon, abbastanza saggio da unirsi al club), che continuano a consolidare l'occupazione, mentre sostengono di volerla terminare.

La nuova e generosa offerta
Vediamo allora quel che oggi l'Israele ufficiale è in grado di dire – non di fare. La proposta per lo status definitivo, secondo Ha'aretz (2), comprende i seguenti punti:
* Israele si ritira da circa il 93% della Cisgiordania, tenendo Ma'aleh Adumim, Gush Etzion, le colonie intorno a Gerusalemme, e alcuni terreni nel nord della Cisgiordania, adiacenti ad Israele: in tutto, il 7% del territorio cisgiordano.
* In cambio, i palestinesi riceverebbero terreni alternativi nel Negev, adiacenti alla Striscia di Gaza, equivalenti al 5,5% della Cisgiordania.
* Passaggio libero fra Gaza e la Cisgiordania, senza controlli di sicurezza.
* La proposta rifiuta un “diritto al ritorno” per i profughi palestinesi, ma include una “formula complessa e dettagliata” per risolvere il problema. (Non sono forniti dettagli).
* Olmert ha concordato con Abbas di posporre i negoziati su Gerusalemme.

Ora, questo non suona affatto molto attraente, neppure come “accordo simbolico”. Gerusalemme è un punto chiave di cui non ci si è occupati affatto. Inoltre, come spiega Ha'aretz, “la proposta di Olmert per uno scambio di territori introduce un nuovo stadio nel patto: Israele riceverebbe immediatamente i blocchi di colonie, ma i terreni da trasferire ai palestinesi, ed il passaggio libero fra Gaza e la Cisgiordania sarebbero consegnati dopo che l'AP abbia ripreso il controllo della Striscia di Gaza” (marcatura mia). Le possibilità che l'AP riprenda il controllo della Striscia di Gaza sono forse ancora più basse di quelle che Hamas prenda il controllo della Cisgiordania, ma, per Israele, questo rende la proposta ancora più invitante: prendiamo le merci ora, ma pagheremo solo dopo l'arrivo del Messia.

Ha'aretz sceglie di includere un inevitabile punto propagandistico, in un rapporto peraltro ricco di informazioni: “Negli ultimi pochi mesi, Olmert ha approvato la costruzione di migliaia di appartamenti in questi blocchi di colonie, per la maggior parte intorno a Gerusalemme; alcuni dovrebbero servire agli sfollati volontari”. Come sempre, Israele infrange la legge internazionale e costruisce ancora più case nelle colonie illegali (3). Ma lo fa con un solo obiettivo in mente: la pace. È certo che il miglior modo di por termine all'occupazione è quello di costruire migliaia di nuove case israeliane in territorio occupato. Il costruirle è una (ulteriore) prova del profondo impegno di Israele per la pace.

Perché questo eterno pessimismo?
Ma comunque, si potrebbe argomentare, ma comunque. È chiaro che la proposta di Olmert non sarà mai implementata. Certo che è incompleta, dubbia, e chiaramente non generosa. Ma comunque: Israele è pronto a dichiarare apertamente il proprio impegno per l'idea di uno Stato palestinese sul 93 per cento della Cisgiordania, più un 5,5% di territori da scambiare. Non significa ammettere, finalmente, che l'occupazione ha i giorni contati? Quindi, persino un parlamentare del Likud, partito di destra, ha accusato il Kadima di portare avanti l’ottica della sinistra sionista: “Qualunque appartenente alla fazione del Meretz [di sinistra] avrebbe potuto firmare la proposta di Olmert”. Quale miglior prova della bontà di una proposta, se non gli attacchi della destra?

"Assetti securitari”
Non è proprio così. Come menzionato molto brevemente nel rapporto di Ha'aretz, “Israele ha anche presentato ai palestinesi un modello dettagliato di nuovi assetti securitari, in base alla proposta di accordo”. In un primo momento non è stato fornito alcun dettaglio. Perché sciupare la festa per la pace con piccole questioni tecniche? Il rapporto iniziale menzionava solo una richiesta che lo stato palestinese fosse smilitarizzato e senza un esercito – richiesta che i Palestinesi più o meno accettano. Ma, ovviamente, il giorno dopo si è riferito che i Palestinesi avevano rifiutato la proposta di Olmert in quanto “non seria” - in pieno accordo con il fraintendimento israeliano circa il cosiddetto “rifiuto palestinese”, dal 1947 a tutt’oggi.

Si è dovuto attendere un paio di settimane per scoprire il significato reale di quegli “assetti securitari”. Martedì, Ha'aretz ha riportato: “I Palestinesi si oppongono ad ogni presenza militare israeliana nel territorio di un loro futuro Stato”. Ancora una volta, quindi, quelle irragionevoli richieste palestinesi: perché devono insistere per uno stato indipendente, senza una presenza militare israeliana?! Sanno per certo che i soldati di Israele sono bei ragazzi diciottenni, che non compiono mai alcun male. Ma non finisce qui. Il rapporto afferma inoltre: “Per parte sua, ad Israele piacerebbe sovrintendere ai passaggi di frontiera, mantenere uno spiegamento limitato nella Valle del Giordano, continuare i sorvoli sul territorio palestinese, mantenere postazioni di allarme sulle creste montuose, e tenere unità per risposte di emergenza in aree palestinesi” (4)..

Ah, è questo quel che significa Israele, per “soluzione di due Stati”: uno “Stato” “palestinese” “indipendente” con supervisione israeliana ai passaggi di frontiera, pieno di soldati israeliani, jet israeliani, postazioni militari israeliane – e, naturalmente, il diritto di Israele di inviarvi ancora più soldati in “tempi di emergenza”. Per smascherarla, dovremmo proporre la reciprocità? Che pensare di un controllo palestinese sui passaggi di frontiera israeliani, una presenza militare palestinese lungo la costa mediterranea di Israele, una libertà per i jet palestinesi di volare sopra Tel Aviv e Dimona, postazioni militari palestinesi a Haifa e Ramat Yishai, unità palestinesi per una risposta di emergenza in aree israeliane? È ovvio: questi “patti di sicurezza” sono del tutto incompatibili con uno Stato sovrano ed indipendente.

La proposta israeliana, come evidenziano i suoi “assetti securitari”, dimostra ancora una volta che Israele non è un partner per la pace. Sul terreno, tutto quello a cui aspira è il tempo per espandere le colonie e strangolare la società palestinese, sperando che il “problema palestinese”, finisca per scomparire. Sul piano del discorso, tuttavia, va altrettanto male. Malgrado la falsa impressione contraria, coltivata dalla propria macchina propagandistica, Israele rifiuta chiaramente il concetto di uno Stato palestinese indipendente, che non sia un Bantustan sotto il proprio totale controllo. A chi si domanda perché il conflitto israeliano-palestinese resta irrisolto, ecco la semplice risposta: la soluzione dei due Stati, proposta dall'ONU 60 anni fa ed avallata dai palestinesi anni fa, è ancora inaccettabile alla leadership militare e politica israeliana.

1) http://www.haaretz.com/hasen/spages/1013974.html
2) http://www.haaretz.com/hasen/spages/1010663.html
3) http://www.haaretz.com/hasen/spages/1015162.html
4) http://www.haaretz.com/hasen/spages/1014944.html

Testo inglese: http://antiwar.com/hacohen/
traduzione di Paola Canarutto

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6 Commenti:

Alle 3 settembre 2008 alle ore 20:57 , Blogger arial ha detto...

Vichi, non sapevo dove postare quest'articolo, per me molto grave perchè conferma quanto accennavo nel post: hli odiatori di Israele...

http://www.rete-eco.it/approfondimenti/opposizione-israeliana/2564-lestrema-destra-israeliana-attacca-rubinstein.html

 
Alle 4 settembre 2008 alle ore 10:06 , Blogger vichi ha detto...

Cara arial,ho anch'io presente il problema, che peraltro si manifesta anche qui in Italia, ad esempio con gli attacchi di una inaudita violenza contro il gruppo degli Ebrei contro l'occupazione.
Ti segnalo anche questo link:
http://www.gisha.org/index.php?intLanguage=2&intItemId=1372&intSiteSN=113
sul rifiuto di trasmettere per radio una campagna a favore del diritto allo studio degli studenti di Gaza.
Tacitare e criminalizzare il dissenso contro le attuali politiche di Israele sta diventando un sport in preoccupante diffusione.
Un caro saluto,
Vichi

 
Alle 4 settembre 2008 alle ore 20:23 , Blogger arial ha detto...

Lo so, ma ora si attaccano anche i moderati e le formazioni anarchiche e paramilitari dei coloni stanno preoccupando perfino i moderati. Si sta delinenado una divisione interna alla società israeliana che in forme diverse sta rispecchiando la situazione di gaza e Palestina...solo che si auspica una guerra per "sistemare2 la questione palestinese. non a caso la Giordania è preoccupata: teme l'espulsione di migliaia di palestinesi (teoria cara alla destra) . Specifico che le fonti sono ufficiali
Un sito che merita il nostro appoggio è questo, vorrei che venisse diffuso e tradotto ogni tanto
http://www.kibush.co.il/about.asp?lang=1

 
Alle 11 settembre 2008 alle ore 18:38 , Anonymous Anonimo ha detto...

Ciao, come abbiamo promesso Crystal Street riaprirà lunedi 15 con un sacco di nuovi articoli giorno dopo giorno. Ti aspettiamo. 

Un saluto ;)


davideb - www.crystalstreet.altervista.org

 
Alle 15 settembre 2008 alle ore 21:46 , Blogger arial ha detto...

http://guerrillaradio.iobloggo.com/archive.php?eid=1736

puoi postarlo è urgente

 
Alle 18 settembre 2008 alle ore 08:25 , Blogger Antonio Candeliere ha detto...

è inaccettabile ed umiliante.

 

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