La Giordania: una "patria alternativa" per i Palestinesi?
Nonostante la promessa di Bush di assicurare la creazione di uno Stato palestinese entro la fine del suo mandato, e nonostante le rassicuranti conclusioni a cui era giunto il vertice di Annapolis, la fine del 2008 si avvicina a grandi passi e un accordo di pace tra Palestinesi e Israeliani appare più lontano che mai.
La continua, ed anzi accelerata, espansione degli insediamenti colonici nella West Bank, il processo di “giudaizzazione” di Gerusalemme est, le continue frizioni e gli scontri tra Ebrei e Palestinesi nei Territori occupati e, ora, anche all’interno di Israele (vedi le violenze in corso a S. Giovanni d’Acri) costituiscono preoccupanti segnali di un aumento della tensione e delle spinte che, all’opposto, allontanano sempre più il traguardo di una pacifica convivenza di due popoli in due Stati confinanti dai confini certi e internazionalmente riconosciuti.
Da un punto di vista politico, le difficoltà della Livni a formare un nuovo governo e la necessità di imbarcare nella compagine governativa anche lo Shas implicano il congelamento di ogni discussione riguardo al futuro di Gerusalemme e, dunque, di fatto escludono ogni possibilità di accordo con i Palestinesi.
Prendono così quota le soluzioni “alternative” alla questione israelo-palestinese, quella che vorrebbe un unico Stato binazionale in cui Arabi ed Ebrei convivano insieme con eguali diritti e quella, tanto più cara ad Israele (ma non solo, come abbiamo visto), che ritiene che già esista uno Stato palestinese, identificandolo con la Giordania, con tanti saluti per il diritto al ritorno e per la prevedibile gioia di re Abdullah II.
E, tuttavia, entrambe queste soluzioni alternative presentano delle difficoltà di attuazione pressoché insormontabili, di cui intendiamo qui occuparci esaminando dapprima l’opzione giordana nell’analisi svolta da Mohammed Hussein al-Momani in un articolo apparso il 10 ottobre sulla testata al-Ghad e qui proposto nella traduzione del sito Arabnews.
Vogliamo qui solo segnalare che, a nostro giudizio correttamente, l’autore si schiera senza tentennamenti a favore della soluzione a due Stati, l’unica pragmaticamente percorribile, individuando nella Ue il soggetto politico con le credenziali giuste per “costringere” alla pace i due popoli, aiutandoli e, se del caso, forzandoli a superare quel gap tra le rispettive posizioni che oggi appare assolutamente incolmabile.
Partendo, è il caso di ribadire, dalle previsioni della risoluzione Onu n.242 del 1967 e dall’applicazione del generale principio della inammissibilità dell’acquisizione di territori a mezzo della guerra, che non è in alcun modo negoziabile.
IL RULLO DI TAMBURI DELLA “PATRIA ALTERNATIVA”
10/10/2008
E’ un’aspirazione segreta di Israele e della comunità internazionale quella di affidare alla Giordania la soluzione della questione palestinese, attraverso l’assunzione, da parte di Amman, di un ruolo politico e di sicurezza in Cisgiordania [1]. Ciò rappresenterebbe per lo stato ebraico e per gli altri paesi del mondo la soluzione ideale della storica crisi mediorientale, che continua a far parte dell’agenda politica dei leader interessati alla sicurezza ed alla stabilità del Medio Oriente.
Un ruolo giordano in Cisgiordania tradurrebbe in realtà il desiderio del mondo di “esportare” il problema del popolo palestinese al di fuori del contesto politico israeliano, lontano dalle pressioni emotive che sono sempre presenti quando si ha a che fare con Israele. Ma – cosa ancora più importante – un ruolo giordano nella questione palestinese sarebbe visto con fiducia dalla comunità internazionale, a causa della credibilità e della tradizione politica e di sicurezza che può vantare lo stato giordano.
Questo sogno è sostenuto da una logica secondo cui, in sostanza, il divario fra il livello minimo di diritti che i palestinesi potrebbero accettare ed il livello massimo di concessioni che gli israeliani potrebbero fare è ormai molto grande, e continua a crescere giorno dopo giorno. Ciò spiega i timori dei sostenitori della pace di entrambi i fronti per il fatto che il tempo continua a passare, senza che si giunga ad un compromesso pacifico e condiviso. A causa di questa situazione di stallo e di questa contrapposizione radicata che continua ad aggravarsi, alcuni sostengono che una soluzione potrà essere trovata soltanto attraverso una terza parte che giochi un ruolo tale da permettere di colmare il baratro esistente fra le posizioni politiche delle due controparti.
Una teoria di questo genere è intrinsecamente insostenibile. Essa porta in sé i germi di una boria e di una presunzione politica inaccettabile, e non è sostenuta neanche da quel livello minimo di pragmatismo politico che ha conosciuto in passato il conflitto arabo-israeliano; così come non tiene conto del supremo interesse che Israele dovrebbe nutrire per l’esistenza di uno stato palestinese che rappresenti i diritti politici ed umani del popolo palestinese, poiché questa è l’unica garanzia al fatto che Israele continui ad essere una democrazia a maggioranza ebraica.
I fautori della teoria di un ruolo giordano in Cisgiordania non si rendono conto del fatto che un ruolo di questo genere non realizzerebbe le aspirazioni nazionali palestinesi, e che fra i palestinesi vi è chi ha cominciato a chiedere uno stato democratico binazionale unitario [2] rendendosi conto che Israele sta inconsapevolmente andando verso quest’unica soluzione possibile.
La teoria della “patria alternativa” incontra una opposizione salda e ferma da parte dell’interessato principale (cioè la Giordania (N.d.T.) ), sia a livello ufficiale che a livello popolare. Chiunque dia un’occhiata al panorama politico giordano si renderà conto che la posizione di rifiuto della Giordania nei confronti della questione della “patria alternativa” è la più netta da molti anni a questa parte, e che uscire da questa elementare verità nazionale equivarrebbe al suicidio politico per chiunque volesse tradurre in pratica questa idea [3].
E’ diritto della Giordania puntare il dito dell’accusa contro chiunque intenda proporre il progetto della “patria alternativa”, poiché tale progetto non tiene conto degli interessi politici fondamentali dello stato giordano, compreso il diritto all’esistenza. Il progetto della “patria alternativa” è infatti destinato a porre fine all’entità giordana così come la conosciamo oggi, per trasformarla in qualcosa di differente che potrebbe non rientrare nelle aspettative della comunità internazionale [4].
Ciò di cui Israele e la comunità internazionale si devono rendere conto è che la Giordania moderata ed equilibrata nei suoi rapporti internazionali, dedita alla sua credibilità e sostenibilità, è come una pietra focaia, piacevole al tatto ed alla vista, ma in grado di fare scintille se sfregata contro qualcosa di duro. Dall’applicazione della teoria della “patria alternativa” potrebbe emergere un aspetto della Giordania che il mondo non conosceva, qualcosa in grado di provocare pericolose scintille. La teoria della “patria alternativa” è per i giordani come l’invito a tornare al periodo della schiavitù per la società americana, o come esaltare la figura di Hitler davanti agli europei, o come negare l’Olocausto di fronte agli israeliani o agli ebrei del mondo.
Il ruolo giordano ed egiziano nell’ambito del conflitto arabo-israeliano è costruttivo e sufficiente, e si esplica nel compito giordano di addestrare le forze di sicurezza in Cisgiordania e nel ruolo di mediazione politica dell’Egitto. Ciò che serve non è sviluppare ulteriormente questo ruolo, poiché una cosa del genere si tradurrebbe in un ulteriore fardello per la soluzione del conflitto. Ciò che è necessario è invece un ruolo europeo che spinga verso la realizzazione della soluzione dei due stati, che rappresenta ormai un interesse prioritario per i palestinesi, per la Giordania, e per Israele.
Mohammed Hussein al-Momani è professore di Scienze Politiche presso la Yarmouk University, che ha sede a Irbid, in Giordania
[1] Questa ipotesi, generalmente definita come ‘opzione giordana’ o teoria della ‘patria alternativa’, in riferimento ai Palestinesi residenti in Cisgiordania, è quella che prevede l’annessione alla Giordania di quel che resta della Cisgiordania palestinese; nella sua versione più estrema, quella a lungo sostenuta da Ariel Sharon, l’opzione giordana equivale all’affermazione che lo Stato deiPalestinesi è la Giordania stessa, cioè il territorio a est del Giordano (N.d.T.)
[2] uno stato, cioè, che riunisca ebrei e palestinesi in un’unica nazione democratica (N.d.T.)
[3] il dibattito intorno alla teoria della ‘patria alternativa’ è tornato al centro dell’attenzione in Giordania nel giugno di quest’anno, a seguito delle dichiarazioni fatte da Robert Kagan, consigliere di politica estera del candidato repubblicano John McCain; in queste dichiarazioni, poi smentite, Kagan avrebbe affermato che la Giordania è la patria naturale dei palestinesi ed è la migliore soluzione per la questione dei profughi palestinesi; nonostante la successiva smentita, questi dichiarazioni hanno suscitato in Giordania condanne e polemiche protrattesi per lungo tempo; a proposito di tale vicenda si può consultare l’articolo apparso su ‘The National’, quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, con il titolo: [2] “Jordanian option worries politicians” (N.d.T.)
[4] dopo che la Cisgiordania era stata sottoposta all’amministrazione giordana fino alla guerra del 1967, quando fu occupata da Israele, nel 1988 la Giordania decise di annunciare ufficialmente e definitivamente la rottura di ogni legame giuridico ed amministrativo con la Cisgiordania; per un resoconto sulla storia dei rapporti giordano-palestinesi si può consultare l’articolo [3] “Le relazioni giordano-palestinesi fra presente e futuro” (N.d.T.)
Etichette: cisgiordania, gerusalemme, Giordania, Israele, palestina
2 Commenti:
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