Non lasceremo sola la popolazione di Gaza!
A distanza di oltre un anno dalla fine di “Piombo Fuso”, l’operazione militare israeliana che ha provocato la morte di oltre 1.400 Palestinesi (l’83% dei quali civili inermi) ed ha causato immani devastazioni, Israele continua indisturbato a tenere sotto assedio la Striscia di Gaza e un milione e mezzo di Palestinesi che vi risiedono, impedendo – caso unico al mondo – che affluiscano liberamente gli aiuti e che si possa mettere mano alla ricostruzione.
Persino i beni umanitari di prima necessità vengono centellinati, in base a criteri oscuri ed arbitrari, e i Palestinesi riescono ad ottenere il minimo indispensabile ad una vita sostenibile e dignitosa solo grazie al fiorente contrabbando di merci attraverso i tunnel sotterranei che collegano Gaza all’Egitto, pagando, tuttavia, un pesantissimo tributo in termini di vite umane: 74 i Palestinesi morti e 134 i feriti dalla fine di “Piombo Fuso” (cfr. OCHA Protection of Civilians, 17-23 febbraio 2010). E questo fino a quando l’Egitto non completerà il progetto – sponsorizzato dagli Usa e da Israele – di chiudere i tunnel che passano sotto il suo confine, togliendo agli abitanti di Gaza anche questa loro ultima risorsa.
Ai Palestinesi morti nei tunnel devono poi aggiungersi quelli uccisi dalle truppe israeliane nei loro continui raid in territorio palestinese: dall’inizio del 2010 Israele ha infatti ucciso nove Palestinesi, di cui quattro civili, e ne ha feriti almeno 18 (la metà civili). I soldati di Tsahal, peraltro, continuano a imporre arbitrariamente il divieto di accesso in una zona-cuscinetto profonda un chilometro, impedendo agli agricoltori di accedere ai propri terreni, e vietano ai pescatori di oltrepassare una distanza di tre miglia nautiche dalla costa di Gaza.
Il risultato di questo assedio è testimoniato da poche ma impressionanti cifre: il 70% dei residenti di Gaza sopravvive con un dollaro al giorno, il 40% della forza lavoro è disoccupata, l’11% dei bambini di Gaza sono malnutriti, fino al punto dell’arresto della crescita, 20.000 case distrutte o gravemente danneggiate aspettano ancora di essere ricostruite, i blackout della corrente elettrica variano dalle 6 alle 8 ore, per 4 o 5 giorni la settimana.
Il tutto nella totale indifferenza, e talvolta con la malcelata complicità, dei governi occidentali, in primis degli Usa di Obama, che tanto aveva straparlato di mani tese verso l’Islam e di impegno per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese, ma che adesso sembra avere totalmente rimosso la questione dalla sua agenda.
In questo quadro desolante, l’unica speranza risiede nell’impegno della società civile, dei tanti uomini e donne di buona volontà che non intendono lasciar vincere ancora una volta la violenza e l’ingiustizia, e che non hanno alcuna intenzione di lasciare i Palestinesi di Gaza in balia dei loro carnefici.
Va letta in questa ottica l’intervista di Silvia Cattori a George Galloway, il deputato britannico animatore del Viva Palestina Convoy, qui di seguito riportata.
Incontro con George Galloway
Tutti “uniti coi musulmani per interrompere l’assedio di Gaza”.
3 febbraio 2010
George Galloway, deputato britannico alla Camera dei Comuni, è un uomo pacato, vivo, caloroso. Il suo sguardo blu è attento e amichevole. Non ha tempo da perdere. È preoccupato per la gravità della situazione a Gaza. Ha mille impegni, tuttavia ha accettato di tenere, il 26 gennaio, una conferenza a Lione. Ed è lì che lo abbiamo incontrato.
Con una voce forte, chiara e limpida, egli lascia il suo messaggio: di fronte alla guerra che l’Occidente conduce contro il mondo musulmano, c’è una mortale debolezza della sinistra che non si unisce coi musulmani. È indispensabile che tutte forze progressiste e anti-guerra si uniscano con loro. Poiché attualmente le posizioni dei musulmani sono oggettivamente le stesse di tutti i progressisti del mondo: farla finita con le guerre e le ingiustizie.
Silvia Cattori: Dopo l’ultimo convoglio di “Viva Palestina” a Gaza, che cosa conta di fare?
George Galloway: Penso che il tempo delle discussioni sia finito. I fatti parlano più forte delle parole. Dobbiamo fermare l’assedio di Gaza con tutti i mezzi. L’abbiamo interrotto tre volte nel corso degli ultimi undici mesi; dobbiamo continuare a farlo sempre di più per ottenere la fine definitiva di quest’oppressione.
Non lasceremo sola la popolazione di Gaza. Il prossimo convoglio si farà via mare. Non abbiamo altra scelta. Salperemo nel maggio 2010. Ci saranno navi dell’Africa del Sud, del Venezuela, della Malesia, della Turchia, etc… abbiamo bisogno di più navi possibili, del massimo appoggio del governo, della maggior protezione possibile per portare a Gaza tutto l’aiuto possibile; di cemento, legno, chiodi, per ricostruire Gaza.
Certamente ora che l’Egitto ha vietato l’ingresso dei convogli nel suo territorio, è molto più difficile. Avrei preferito passare sulla terraferma che via mare, non sono un marinaio, ma è l’unica via per andare a Gaza. Vogliamo che questo convoglio internazionale possa navigare sotto bandiera turca, che vi siano a bordo delle personalità eminenti e che possa trasportare una grande quantità di materiale; ad esempio il necessario per ricostruire le case distrutte da Israele. Abbiamo buone probabilità di arrivare in porto. Se riusciamo ad arrivarci, potremo ritornare con le nostre navi piene di prodotti di Gaza ed avviare così una linea commerciale marittima tra Gaza ed il mondo.
Stiamo costruendo una coalizione internazionale; il movimento “Viva Palestina” esiste ora in numerosi paesi: Africa del Sud, Stati Uniti, Malesia, Gran Bretagna, Irlanda; spero che il movimento di solidarietà francese si unisca a noi.
Silvia Cattori: Se ho ben inteso, lei conta di raccogliere ed unificare internazionalmente i gruppi e la gente, attualmente sparsi ed indeboliti, per ottenere la maggior efficacia possibile e diventare eventualmente il leader di tale movimento?
George Galloway: No, non penso di esserne il leader. Credo che la Turchia sia il leader. Il primo ministro Erdogan dovrebbe essere il nostro leader. Penso sia l’unico uomo di Stato che possa realmente avere una grande eco – in particolare nel mondo musulmano, il mondo arabo – e che possa risvegliare il gigante addormentato dell’opinione pubblica araba.
La Turchia è un elemento importantissimo per la nostra riuscita. Rappresenta un nuovo fattore nell’equazione palestinese. Dopo decenni di alleanza strategica con Israele, la Turchia è diretta oggi da un governo che i cittadini del mondo non possono che ammirare. L’ONG umanitaria turca IHHA è stata decisiva per il successo del nostro ultimo convoglio. Ci ha fornito i veicoli ed ha apportato più del 40% delle persone che hanno partecipato. Erdogan è intervenuto personalmente per ottenere il lasciapassare da parte di Mubarak. Ci ha fornito tutto il sostegno politico e diplomatico che ci occorreva affinché potessimo raggiungere il nostro obiettivo di entrare a Gaza per offrire alla popolazione il nostro materiale ed il nostro aiuto.
Silvia Cattori: Vedo che lei si affretta a ripartire ed a lanciarsi in una nuova sfida per attirare l’attenzione del mondo su Gaza e sulla sua popolazione deliberatamente affamata, e sempre messa in trappola da una chiusura più che mai crudele e pericolosa. Ma non è un sogno irrealizzabile? Navigando sotto bandiera turca, non teme di essere accusato di voler istigare uno Stato contro uno Stato? Ciò non sarà considerato da Israele come un atto di guerra?
George Galloway: No, non sarà un atto di guerra perché le acque internazionali sono le acque internazionali, e dopo c’è il mare di Gaza. Bisogna solo avere il coraggio di passare dalle acque internazionali alle acque di Gaza. Non c’è alcune minaccia contro Israele. Il convoglio può essere ispezionato dai funzionari delle Nazioni Unite per verificare che non vi sono armi. Sono già passate diverse imbarcazioni.
Silvia Cattori: I tre ultimi tentativi di raggiungere Gaza via mare, nel 2008, sono falliti! E i primi due tentativi, se sono andati a buon fine, non può essere perché Israele in quel momento aveva un interesse nel lasciarli passare?
George Galloway: Si trattava di una o due imbarcazioni, e non avevano la protezione di Stati importanti. Occorre assicurarsi l’appoggio di Stati che hanno un certo peso. È a ciò che stiamo lavorando ora.
Credo che siamo in grado di creare le condizioni che ci permetteranno di arrivare in porto. Dobbiamo provare, costi quel che costi; in questo contesto di blocco, non c’è altra via per raggiungere Gaza che passando via mare. All’inizio degli anni ’60, quando Berlino Ovest era isolata, tutti i paesi europei hanno organizzato un ponte aereo per apportarle aiuto. È di un ponte così che abbiamo bisogno. Non possiamo farlo via aria, ma possiamo farlo via mare. Più grande sarà, meglio sarà. Dobbiamo andarci numerosi; dobbiamo avere a bordo delle personalità di fama mondiale ed il sostegno di Stati importanti, o almeno di uno Stato importante. E la Turchia sarà, credo, la chiave.
Silvia Cattori: Il gruppo di “Free Gaza” non aveva annunciato la sua intenzione di andare a Gaza nello stesso periodo? Non lavorate insieme?
George Galloway: Non so quello che fa “Free Gaza”; noi rispettiamo quello che fanno. Sappiamo che hanno già ritardato tre volte il loro viaggio; mi auguro che si uniscano al nostro convoglio, ma se decidono di andarci da soli, hanno il mio pieno sostegno.
Silvia Cattori: La gente che si fida di voi, che vi ha accompagnato durante i tre convogli, soprattutto l’ultimo, che impressione ha? Dev’essere stata un’esperienza affascinante e senza dubbio arricchente, ma anche traumatizzante. Com’è ritornata dal terzo ed ultimo convoglio di dicembre-gennaio? E lei? Stanco o più forte?
George Galloway: Più forte. Ma il prossimo convoglio via mare non necessiterà della presenza di altrettante persone. In questo caso, le sole persone che possono essere un aiuto, che possono essere veramente efficaci, sono delle personalità conosciute, dei grandi donatori, e gente che ha esperienza in marina. Non abbiamo bisogno di molti passeggeri su queste navi. È una tattica differente, questa. In un convoglio via terra, tutti sono i benvenuti. Nell’ultimo avevamo con noi 520 persone di 17 paesi. Qui, non avremo bisogno che da 15 a 20 persone per nave.
Silvia Cattori: La gente che ha seguito la vostra lunga e difficoltosa odissea è rimasta impressionata. Deve farle piacere sapere che si sente dire: “Se vedete qualcuno della tempra di Galloway, seguitelo!”. Ma i vostri successi non pesano sulle vostre spalle? È una grande responsabilità!
George Galloway: Si. Ma sono in questa lotta da 35 anni. Avevo 21 anni quando l’ho cominciata. Non l’abbandonerò. Non lasceremo sola la popolazione di Gaza.
Silvia Cattori
Etichette: gaza, george galloway, movimenti di solidarietà, viva palestina convoy
9 Commenti:
Riecco spuntare Galloway, il ceffo dei ceffi, l'amico caro di Saddam Hussein, di Ahmadinejad e dei più grandi terroristi, Arafat era in prima fila tra i suoi amori!
Vichi, spiegamelo tu allora: quali dovrebbero essere le modalità corrette di difesa per uno Stato minacciato di distruzione e bersagliato quotidianamente dai kamikaze e razzi qassam di Hamas? Fare le pernacchie? I gestacci? O lasciarsi distruggere in silenzio? Forse questa sarebbe la difesa migliore?
Siamo sempre a pestare sugli stessi argomenti, mai uno straccio di novità, un po' di inventiva, e che diamine!
Chi è che minaccia Israele di distruzione, e chi è che ne ha la capacità e la minima intenzione?
E dov'è che Israele è "bersagliato quotidianamente dai kamikaze", mi è sfuggito qualcosa ultimamente?
Chi vuole la pace non assedia un milione e mezzo di civili lasciandoli letteralmente nella miseria e nella disperazione.
Chi vuole la pace non occupa territori altrui costringendo la popolazione nativa a vivere sotto un regime di apartheid, in aperta violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario.
Né pernacchie, né gestacci, soltanto il ristabilimento del diritto e della giustizia potranno assicurare la pace tra i popoli, ed è proprio questa la "difesa migliore".
Ma voialtri fanatici da questo orecchio non ci sentite.
Vicky, visto che hai messo un nuovo post rispondo qui ad Andrea, tanto è la prosecuzione dell’argomento principe.
Andrea, vedi che piano piano ci arrivi. Giusto, si tratta proprio di insediamenti e restrizioni. Ciò che è sbagliato è l’ordine in cui li hai messi: perché la Palestina dovrebbe firmare una pace basata su condizioni vantaggiose solo per Israele? “Prima firmate, oh popolo palestinese, poi noi forse chissà un domani se ci va togliamo uno o due insediamenti, vi concediamo di far arrivare qualche chilo in più di farina…la carne no, però, ché poi vi viene la gotta, noi ci teniamo alla vostra salute…poi, sinceramente, l’abbattimento del muro e il rientro dei profughi non lo prendiamo proprio in considerazione, ché stanno bene dove stanno, loro”, e intanto vi obnubila con la storia che le violazioni di cinquant’anni di accordi sono la inevitabile reazione al terrorismo palestinese.
La farsa di Camp David la conosciamo tutti…o devo mettere i link anche di quella (così Ale ride un altro po’), che poi la si voglia analizzare a proprio piacimento è un altro conto.
E poi, che delusione, ha ragione Vicky, tira fuori altri argomenti, ché sei un po’ a corto.
La storia dei missili Qassam non regge più, e a ben vedere non ha mai retto il confronto con gli armamenti di Israele, che dispone di caccia F-16, missili Hellfire, elicotteri e navi da combattimento, carri armati, bombe al fosforo bianco, per gentile concessione e in violazione dell’”Arms Export Control Act” degli USA, e mentre loro si beano di questo reciproco funambolico appoggio c’è un popolo che muore.
Grande Galloway.
Scusa, continuo a chiamarti Vicky e non Vichi...è che ho in famiglia una persona con il diminutivo simile al tuo e mi viene automatico.
Il punto è un'altro: i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza di tutti gli israeliani desiderano che i palestinesi abbiano un loro stato, con il quale vivere in pace. Il problema però è se gli israeliani, una volta ritirati dai territori, riceveranno in cambio una ragionevole misura di pace. Gli israeliani sanno bene che i loro vicini non li considerano un elemento legittimo in Medio Oriente, quanto piuttosto degli invasori colonialisti, da sterminare ad ogni costo. Ad esempio, se ben due scuole dell’Autorità Palestinese sono intitolate alla super-terrorista Mughrabi, quale messaggio si andrà a impiantare nella coscienza dei bambini che le frequentano? Che uccidere ebrei è una buona cosa, una cosa che ti procura onore e gloria. Se la televisione palestinese descrive la Palestina come il paese che si estende “da Gaza ad Ashkelon, nel sud, fino a Haifa e, ancora più a nord, fino ad Acri”; se ai bambini viene detto che Tiberiade è una importante città palestinese e che il Kinneret (il lago di Tiberiade) è un bacino d’acqua palestinese; se Giaffa viene definita “la porta della Palestina sul mondo”, che cosa ne dedurranno i bambini? Nelle trasmissioni a quiz della tv palestinese, nelle parole crociate sui giornali palestinesi i bambini conoscono la risposta giusta a domande come “qual è il porto più importante della Palestina: Acri, Giaffa o Haifa”? Altre domande sono: “nomina tre stati che confinano con la Palestina” (la risposta data per giusta è: Egitto, Libano e Giordania); oppure: “qual è la superficie dello stato di Palestina?”, dove la risposta data per giusta è 27.000 chilometri quadrati, ossia un territorio che comprende tutta l’area tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano, compreso l’intero stato di Israele. Domande dalle quali appare chiaro, naturalmente, che lo stato di Palestina già esiste (e che Israele non ha da esistere). E così via. Il messaggio che i palestinesi danno ai loro figli quindi è che non c’è nessun Israele: semplicemente non esiste, e non dovrà mai esistere. Ma, come ovvio, la pace bisogna essere in due per farla.
Ritieni che i sondaggi siano uno strumento attendibile per valutare una situazione del genere? Io no. Anche perché da altri sondaggi viene fuori che il 50% degli israeliani vogliono l’espulsione dei palestinesi dai territori e il 30% vogliono gli arabi israeliani fuori da Israele. Qual è la percentuale giusta, forse quella che fa più comodo alla nostra tesi?
Negli ultimi sessant’anni in Palestina, i bambini sono nati e cresciuti (e morti), in uno stato di colonizzazione, miseria, fame, soprusi, e gli israeliani “invasori colonialisti” fanno bene a pensare di essere considerati tali dai palestinesi, visto che, tanto per dirne una, si sono appropriati totalmente delle risorse del Mar Morto, costruendo siti industriali e turistici dichiarati illegali dalla Corte Internazionale di Giustizia, violando quindi il diritto internazionale, e riuscendo anche a trovare l’escamotage per usufruire della franchigia di importazione per l’Europa dei prodotti del colosso Ahava, visto che gli uffici si trovano a Tel Aviv e non nei territori occupati.
Smettiamola di dipingere gli israeliani come povere vittime, quando sono i primi ad indottrinare i propri figli all’odio contro i cattivi palestinesi, terroristi alla nascita. Già dieci anni fa, Amnesty International denunciò la pratica, da parte delle IDF, della condanna a morte extragiudiziale dei palestinesi senza prove e senza diritto di difesa. Dov’è la tanto decantata democrazia di questo Paese?
Ci sono due interessanti articoli:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6823
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6814
Uno spiega lo smisurato potere politico, militare e internazionale di Israele e l’altro diffonde (o almeno prova a diffondere) il grido disperato di israeliani che vogliono soltanto la pace e che definiscono i propri leader mistificatori avidi e assassini, che praticano lo stesso martellamento ideologico che tu attribuisci ai palestinesi.
Ma non è detto che tutti cerchiamo la verità.
Qual'è l'indottrinamento degli israeliani verso i loro figli?Io vedo solo fior di manifestazioni di Hamas (realizzate con soldi che potrebbero essere utili alla popolazione)dove i bambini esaltano i loro terroristi. Ho già ripetuto altre volte che l'interesse anche alla causa palestinese è molto nobile,ma non è inventandosi cazzate che si trovano soluzioni. Ulteriore prova a mio favore è il fatto che si informa da comedonchisciotte. continuo a ridere, "purtroppo"!
L'indottrinamento all'odio degli israeliani verso i palestinesi è assolutamente reale,solo che ( ed è scandaloso) non se ne sa nulla in occidente. Ma in realtà nei libri di testo israeliani i Territori occupati non sono citati e tutto il territorio dal Mditerraneo al Giordano è definito appunto Israele. Quindi il ragionamento di Andrea va rovesciato: per la dirigenza sionista (non per gli ebrei, sia chiaro)la Palestina non ha diritto ad esistere e bisogna impedirne la nascita. Il mezzo per fare questo è appunto dividere con gli insediamenti una famiglia dall'altra, costruire strade per soli ebrei, appropiarsi delle risorse idriche togliendole ai nativi, fino ai massacri e alle distruzioni di case e campi profughi. Ma, al di là di questo, io mi guarderei bene dal sostenere qualsiasi forma di sionismo, anche se dovesse mitigarsi e accettare la creazione di uno stato palestinese:infatti, è sbagliato il principio secondo cui una nazione deve essere "Ebraica", cioè basata sul principio del diritto del sangue.E' questo che non va giù ai palestinesi, ma è perchè percepiscono il razzismo che c'è dietro la formula di "Israele come Stato degli ebrei", mentre chi non è ebreo non ha gli stessi diritti e non può nemmeno acquistare territori posseduti da ebrei.Due popoli uno Stato, questa sarebbe la vera pace.
Ale, anche la causa israeliana sarebbe nobile, se non fosse costruita su pretese di egemonia su tutti i fronti, nascondendo le sue reali intenzioni dietro la scusa di doversi difendere dal terrorismo di Hamas. Ma se uno vuole solo difendersi che motivo avrebbe di non concedere ai civili di vivere in modo dignitoso nel loro fazzoletto di terra, rendendogli anzi la vita impossibile?
Ho portato degli esempi di violazioni accertate e documentate (vedi Mar Morto), le invenzioni sono un’altra cosa, ma vedo che preferisci ignorare ciò che è scomodo alla causa che sostieni e puntare sullo svilimento dei siti e blog che frequento. Anche questa è una strategia.
Gary, approvo totalmente, anche se questa soluzione per ora mi sembra utopica.
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