16 settembre 2010

Arresti arbitrari, maltrattamenti e torture: il trattamento riservato da Israele ai ragazzi palestinesi.

Il 10 giugno di quest’anno, due ragazzi palestinesi di 16 anni sono stati arrestati dai soldati dell’esercito israeliano perché sospettati di aver appiccato un incendio nei pressi di un insediamento colonico.

Il 1° luglio, dopo 22 giorni trascorsi in centri di interrogatorio e detenzione israeliani, i due sono stati rilasciati senza alcuna accusa. I giovani sono stati tenuti in isolamento per sei giorni in territorio israeliano, dove sono stati interrogati dagli aguzzini tristemente noti dello Shin Bet.

Quella che segue è la storia di uno di loro, M. M.

Ero in salotto con i miei figli giovedì sera, 1° luglio, quando mio marito Ibrahim è entrato e ha detto che M. M. era stato rilasciato dal carcere”, ricorda la madre di M. M., Khadra. In un primo momento, Khadra non sapeva e credere al marito e gli disse di non scherzare su M. M., “ma lui sorrise e mi disse che non stava scherzando. Mi raccontò che aveva ricevuto una telefonata da M. M., che era stato accompagnato e rilasciato dai soldati al checkpoint Azzun. Io non riuscivo a crederci e cominciai a piangere dalla gioia. Era un fatto del tutto inaspettato”.

Tre settimane prima, M. M. era stato svegliato alle 2:00 del mattino da qualcuno che gridava “esercito, esercito” in ebraico. ”A quel punto ho capito che i soldati israeliani erano venuti a casa nostra, che è la casa del villaggio più vicina all’insediamento di Yizhar, che è costruito sulla terra sottratta al nostro villaggio”, ricorda M. M.

M. M. e la sua famiglia uscirono di casa e, dopo una breve discussione, le mani di M. M. vennero legate con delle fascette di plastica ed egli venne bendato. M. M. era terrorizzato e iniziò a piangere. “Non avere paura, sii uomo e smetti di piangere”, gridò suo padre, e M. M. smise di piangere.

M. M. e il suo amico, F. A., dapprima furono portati nei centri di interrogatorio e detenzione di Huwwara e di Salem, nel nord della West Bank, dove furono detenuti per circa otto giorni e portati brevemente dinanzi a un tribunale militare. Durante questo periodo, M. M. venne interrogato da un uomo che si faceva chiamare 'Jihad', che lo accusò di aver appiccato un incendio che dal villaggio si era propagato fin sulla collina e aveva minacciato l’insediamento di Yizhar. Mi accusò di aver appiccato l’incendio e minacciò di torturarmi con le scosse elettriche se non avessi confessato quello che voleva che io confessassi” ricorda M. M. Anche il suo amico F. A. venne minacciato allo stesso modo, ma gli fu anche detto “se non confessi, ti accuseremo di avere un fucile da caccia e ti arresteremo per il suo possesso e per lancio di sassi”. M. M. ricorda anche di aver firmato alcune carte, ma senza conoscerne il contenuto.

Il 17 giugno i ragazzi furono condotti dinanzi al tribunale militare di Salem e la loro detenzione venne prorogata di altri otto giorni. I loro genitori erano presenti in tribunale, ma i soldati impedirono loro di parlare. Il 21 giugno, vennero alcuni soldati, ammanettarono i ragazzi e gli incatenarono i piedi prima di trasferirli a Petah Tikva, un carcere e centro di interrogatorio all'interno di Israele, situato nei pressi di Tel Aviv. Il trasferimento dei ragazzi al di fuori dei Territori Palestinesi Occupati e all’interno di Israele è in contrasto con l'articolo 76 della Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta tali trasferimenti. Al suo arrivo a Petah Tikva, M. M. venne nuovamente interrogato da un uomo che si faceva chiamare 'Nirva' o 'Durva'. “Chi ha appiccato il fuoco sulla montagna?” ricorda che gli venne chiesto. “Non io” rispose M. M., “ero a scuola a sostenere un esame e dopo sono andato con i miei amici a comprare qualcosa da mangiare e non sapevo nulla dell’incendio”. Il fatto che M. M. era a scuola a sostenere un esame quando scoppiò l’incendio è confermato da sua madre.

Entrambi i ragazzi furono condotti davanti a un tribunale militare a Petah Tikva in altre due occasioni (23 e 30 giugno), affinché il loro fermo venisse prorogato da un giudice del tribunale militare. In queste due occasioni i ragazzi vennero assistiti da un avvocato, ma i loro genitori non furono presenti in quanto non potevano viaggiare all'interno di Israele senza un permesso speciale, difficile da ottenere. Le famiglie erano in costante contatto con l’avvocato dei ragazzi, che li teneva aggiornati sulla loro situazione. “Durante tutte le tre settimane l'avvocato ci portò cattive notizie”, ricorda Khadra, “ci disse che la Corte aveva prove segrete contro M. M. e che le cose non sembravano mettersi bene. Ci disse che non c'è nulla che un avvocato possa fare quando la Corte si basa su elementi di prova segreti. Non riuscii a dormire per due giorni quando lo sentii. Sembrava come se una nube nera fosse scesa sopra di me”.

E' stato mentre erano a Petah Tikva che entrambi i ragazzi sono stati posti in isolamento per sei giorni.Mi ha raccontato che il sesto giorno d’isolamento cominciò a battere sulla porta e ad urlare e gridare, chiedendo alle guardie di riportarlo nella cella con gli altri detenuti”, ricorda Khadra, che descrive M. M. come un ragazzo molto socievole, sempre circondato da bambini della sua età e più piccoli. “Le guardie gli gridarono contro, lo maledissero e non mostrarono alcuna compassione. E’ stato da solo per sei giorni, senza vedere nessuno e senza parlare con nessuno. Si trovava in una piccola stanza con un materasso sul pavimento e due coperte. Non aveva un cuscino. La cella non aveva nemmeno una finestra e lui non riusciva a distinguere se fosse giorno o notte. Le guardie tenevano le luci accese per tutto il tempo e lui aveva difficoltà ad addormentarsi. Mi ha raccontato di aver appeso le mutande sulla lampadina per rendere la luce più fioca e potersi addormentare. Gli diedero degli abiti da carcerato che erano troppo grandi per lui, e i pantaloni gli cadevano. Non aveva idea da quanto tempo stesse lì e solo quello gli faceva perdere la testa”.

Il calvario della detenzione di M. M. era difficile da sopportare per sua madre. “Piangevo soprattutto quando vedevo i suoi amici che facevano volare gli aquiloni nel pezzo di terra vuoto dietro la casa senza di lui. Sapevo che M. M. era innocente, ma sapevo anche che non sarebbe stato meno di un calvario per lui. Rimproverai me stessa per non aver parlato con lui della prigione, per essere sicura che non confessasse nulla che non avesse fatto”, dice Khadra. Secondo M. M. i ragazzi pensarono di confessare perché non ne potevano più, ma poiché non erano coinvolti nell’incendio, non sapevano che storia raccontare.

Il 1 ° luglio 2010, senza alcun preavviso, i soldati israeliani hanno rilasciato i due ragazzi ad un checkpoint lontano da casa alle 8:30 della sera dicendo loro “andate a casa”. 'Non riuscivo a credere che fosse stato rilasciato” ricorda Khadra “ma non è più lo stesso ragazzo di prima, è molto cambiato. Trascorre ore da solo, con lo sguardo fisso e senza far nulla. Non mangia con noi e passa molto tempo a dormire. Ascolta le canzoni del carcere per adulti Mi spezza il cuore e non so cosa fare. Vorrei comprargli una capra, credo che gli piacerebbe. Cercherò di trovare i soldi per acquistare una o due capre. Farò qualsiasi cosa per rendere M. M. di nuovo felice”.

Ogni anno, circa 700 minori palestinesi vengono arrestati, interrogati, processati e detenuti dal sistema giudiziario militare israeliano. I ragazzi vengono interrogati in assenza di un avvocato e dei membri della famiglia, e gli interrogatori non vengono registrati audio-visivamente come forma di controllo contro gli abusi. Resoconti di maltrattamenti e, in alcuni casi, di torture sono comuni, e la stragrande maggioranza dei ragazzi confessa durante gli interrogatori.

Nell’indifferenza della pubblica opinione e dei media israeliani (con la lodevole eccezione di Ha’aretz) e, ancor più (figuriamoci!), di quelli di casa nostra.

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2 Commenti:

Alle 17 settembre 2010 alle ore 00:20 , Anonymous Andrea ha detto...

Ammesso che sia vero, sono stati arrestati per terrorismo non perché coglievano i fiori. Se a Gaza c'è un sequestratore di ostaggi, un profittatore senza scrupoli e freddo davanti alla sofferenza della gente e, in particolare, dei bambini, questi non è Israele ma Hamas.
Domani ricorrerà Yom Kippur, auguro a tutti gli amici di essere iscritti nel Libro della Vita.
Vita, capito la parola? Vita. Questo è quello che ama il popolo ebraico, la Vita non la morte, che invece è il culto nazionale di Gaza che culmina nell'elogio del martirio!
Gmar Khatimà tovà e Zom Kal (Buona firma che il digiuno sia facile).

 
Alle 17 settembre 2010 alle ore 10:43 , Blogger vichi ha detto...

Ammesso che è vero, visto che la notizia l'ha data ha'aretz, è sbalorditivo come si tenti di giustificare l'arresto di un minore con accuse inesistenti.

Come si possa giustificare il suo arresto, l'isolamento per sei giorni, la minaccia di torture, il suo rilascio senza nemmeno una scusa né tanto meno un indennizzo.

Poi magari ci si chiede il perchè, nel mondo, vi sia tanto livore contro israele...

Per il resto, è vero, gli ebrei d'israele amano la vita, molti però solo quella degli ebrei, mentre gli altri possono essere massacrati, assediati, deportati, torturati a piacimento.

Persino i civili legati o i bambini, come vorrebbero certi pii rabbini...

 

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