16 dicembre 2010

Il mediatore fasullo.

Il conflitto israelo-palestinese è ancora in cerca di un suo “honest broker” che ne faciliti lo sbocco verso un accordo di pace equo e duraturo.

Non sono da considerarsi un mediatore “onesto” gli Stati Uniti, che ora hanno persino rinunciato a chiedere (rectius, a implorare) uno stop dei lavori di ampliamento delle colonie illegali nella West Bank.

Ma non è nemmeno tale un paese arabo come l’Egitto, più sensibile ai desiderata di Israele e degli Usa piuttosto che ai bisogni e ai diritti del popolo palestinese. Non è un caso che l’Egitto, dopo Israele è ovvio, sia il maggior beneficiario nell’area di trasferimenti monetari da parte degli Stati Uniti.

Tutto questo non è certo una novità, ma le recenti rivelazioni di Wikileaks e i dispacci diplomatici Usa che attestano la cooperazione di intelligence tra l’Egitto e Israele e l’odio di Mubarak verso Hamas appalesano al mondo questa ignobile realtà, e compromettono fortemente quel ruolo di mediatore che l’Egitto cercava di ritagliarsi in Medio Oriente.

Sull’argomento, nella traduzione fornita da Medarabnews, propongo l’articolo scritto da Abigail Hauslohner e apparso il 9 dicembre scorso sul sito web di Time Magazine.

Una parentesi: l’unico stato assolutamente non toccato dalle rivelazioni di Wikileaks è Israele. Ciò ha determinato l’irrefrenabile contentezza di Netanyahu (“se Wikileaks non ci fosse bisognerebbe inventarlo”), ma anche l’insorgere in taluni di dubbi e dietrologie su tale circostanza.

Ma è naturale che i dispacci diplomatici Usa non contengano nulla di negativo su Israele, vista la totale compenetrazione e coincidenza della politica estera israeliana e di quella statunitense nella regione, quali rivelazioni scomode sarebbero dovute scaturire dai dispacci diplomatici americani?

Il diluvio di cablogrammi diplomatici riservati degli Stati Uniti rilasciati a partire da domenica 28 novembre da WikiLeaks rischia di compromettere ulteriormente il già discutibile ruolo dell’Egitto quale mediatore neutrale tra le due fazioni palestinesi, di mettere in imbarazzo gli Stati Uniti con uno dei suoi principali alleati mediorientali, e di esporre l’autocratico regime di Hosni Mubarak ad ulteriori critiche dopo elezioni parlamentari segnate da molteplici denunce di brogli e abusi elettorali.

Per il Cairo, l’interesse del paese rivolto alle elezioni avvenute proprio nel giorno delle prime pubblicazioni di WikiLeaks potrebbe servire a distrarre l’opinione pubblica per il momento. I quotidiani egiziani di lunedì hanno dedicato un po’ di spazio ai cablogrammi, tuttavia si sono concentrati sulle rivelazioni riguardanti i loro vicini ed altri paesi – ma non l’Egitto. Nel frattempo un portavoce del Ministero degli Esteri si è rifiutato di rilasciare commenti riguardo all’impatto dei documenti – sostenendo che non era informato degli eventi e che si trovava in Libia. Ma gli analisti dicono che sia inevitabile che i dettagli sull’intransigenza della posizione egiziana nei confronti di Hamas, e sulla stretta collaborazione del Cairo con Israele, forniscano nuovi argomenti al più grande gruppo di opposizione in Egitto, i Fratelli Musulmani, i quali hanno subito una dura sconfitta nelle elezioni dello scorso fine settimana.

Uno degli argomenti più forti dei Fratelli Musulmani contro l’impopolare regime di Mubarak è la presunta vicinanza di quest’ultimo a Israele – un vicino ancora largamente malvisto dalla maggioranza degli Egiziani. A seguito della rivelazione dei dispacci diplomatici, l’Egitto dovrà ora rendere conto di nuovi dettagli che riguardano la sua cooperazione con lo Stato ebraico e il suo ruolo di mediatore per la pace. “Credo che la cosa più importante sia il nesso che esiste tra questi documenti che spiegano tutto, e l’imbavagliamento della democrazia e dei Fratelli Musulmani”, dice Essam al-Erian, un membro dell’ufficio direttivo della Fratellanza. “Se in Egitto ci fosse una democrazia e i Fratelli Musulmani diventassero più forti, questo minaccerebbe il buon rapporto che c’è tra l’Egitto gli Israeliani”.

La Fratellanza ora ha una miniera di informazioni a cui attingere. Per esempio, una comunicazione del febbraio 2009 a firma di Margaret Scobey, l’ambasciatrice statunitense al Cairo, e diretta al Segretario di Stato Hillary Clinton, descrive una condivisione di informazioni di intelligence fra l’Egitto e Israele che rischia di aggiungere ulteriore credito alle accuse secondo cui la cooperazione fra i due Stati avrebbe portato all’attacco a Gaza avvenuto il mese prima — un’accusa veementemente negata dall’Egitto. Potenzialmente ancora più incriminante è un comunicato dell’ambasciata americana di Tel Aviv risalente al gennaio 2009, che rivela che l’Egitto era stato consultato riguardo agli attacchi aerei e terrestri di Israele a Gaza prima dell’aggressione.

Quello che dovrebbe preoccupare di più il governo egiziano, però, è il colpo subito come mediatore regionale per la pace. Per anni il governo Mubarak si è presentato come l’unico attore diplomatico capace di ricucire la spaccatura del 2007 fra le due fazioni palestinesi Fatah e Hamas, la quale aveva lasciato a Hamas il controllo di Gaza e a Fatah quello della West Bank. I Palestinesi ritengono che la riconciliazione fra le due fazioni sia un requisito necessario per il successo di qualsiasi accordo di pace con Israele, ma molti accusano l’Egitto di essere un mediatore di parte e quindi inadatto al ruolo. I documenti rivelati lasciano ora pochi dubbi sulla posizione egiziana.

“Mubarak odia Hamas e lo considera alla stregua dei Fratelli Musulmani in Egitto, che lui considera come la sua più grande minaccia politica”, scrisse Scobey nel cablogramma del Febbraio 2009. Un altro comunicato che descrive l’incontro fra il capo dei servizi segreti egiziani Omar Suleiman e il Generale David Petraeus del CENTCOM statunitense, sempre nel 2009, rivela che Suleiman era pessimista sulle possibilità di raggiungere un accordo. “Mi considero un uomo paziente, ma sto perdendo la pazienza”, disse Suleiman a Petraeus. Lo stesso cablogramma sottolinea anche che l’Egitto era determinato a indebolire Hamas e a rafforzare l’appoggio popolare al Presidente palestinese Mahmoud Abbas in Occidente.

“Hamas userà quel comunicato per lanciare una campagna contro la diplomazia egiziana e accusare l’Egitto di avere un ruolo destabilizzante nel processo di riconciliazione”, prevede Emad Gad, un analista di relazioni internazionali presso l’al-Ahram Center for Political and Strategic Studies al Cairo. “Possono danneggiare il ruolo di mediatore dell’Egitto”.

Allo stesso tempo questa fuga di notizie rivela una relazione a volte alquanto tesa tra gli Stati Uniti e uno dei suoi più fedeli alleati regionali. “Gli Egiziani da tempo sentono che nel migliore dei casi diamo per scontata la loro amicizia, e nel peggiore che ignoriamo deliberatamente i loro consigli mentre cerchiamo di obbligarli ad accettare le nostre posizioni”, Scobey informò la Clinton nel comunicato del Febbraio 2009. L’ambasciatrice descrive il secondo maggiore beneficiario di aiuti militari statunitensi come “un alleato spesso ostinato e recalcitrante. Inoltre, la percezione che l’Egitto ha di sé come dell’ ‘indispensabile Stato Arabo’ è condizionata dalla sua reale efficacia nelle questioni regionali, tra cui il Sudan, il Libano e l’Iraq”. Poi Scobey suggerisce che la Clinton esalti pubblicamente l’importanza dell’Egitto negli affari regionali.

Altri dettagli, come una descrizione negativa del Ministro degli Esteri egiziano, potrebbero solo essere imbarazzanti. Quest’ultimo ha dichiarato lunedì al TIME che stava ancora vagliando i documenti e non era pronto a dare una risposta. Ma in un discorso pronunciato a Washington, la Clinton ha detto che, anche se in alcuni casi i comunicati sono dannosi e mettono a rischio la vita di vari operatori, la politica estera statunitense non è dettata dai cablogrammi e non sarebbe stata seriamente influenzata dalla mega-fuga di notizie. In risposta alla domanda di un giornalista, ha detto: “Sono sicura che il partenariato e le relazioni che abbiamo costruito all’interno di questo governo supereranno questa sfida.”

Abigail Hauslohner è corrispondente dal Cairo per il Time Magazine; ha trascorso lunghi periodi in Medio Oriente a partire dal 2006, seguendo l’Iraq, l’Afghanistan, il Sudan, lo Yemen, Gaza e l’Egitto

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3 Commenti:

Alle 19 dicembre 2010 alle ore 18:44 , Anonymous Anonimo ha detto...

Ma se il processo di pace non fa nessun progresso ed è fasullo, perchè l'Autorità palestinese non dichiara unilateralmete la nascita dello Stato di Palestina?. Sarebbe una mossa coraggiosa, perchè allora le Nazioni unite dovranno per forza affrontare il problema seriamente e gli Stati UNiti saranno messi alle strette e non potranno più fare il doppio gioco tra entrambe le parti.

 
Alle 20 dicembre 2010 alle ore 00:33 , Anonymous Andrea ha detto...

Vedo che ti da molto fastidio che Israele esca dalla vicenda di Wikileaks con un certificato di moderazione, e soprattutto con un timbro di credibilità, e che da Wikileaks emerga che i tuoi amati Iran&Hamas sono in realtà detestati anche da paesi come Giordania, Egitto, Arabia Saudita, Yemen, Bahrain e ANP. Ah, dimenticavo, tu per distinguerti devi "giocare" a fare l'estremista (al sicuro dall'Italia), più estremista della generalità degli stessi palestinesi che la pensano ben diversamente da te, che usi la loro causa per altre finalità che tutti abbiamo ben compreso

 
Alle 21 dicembre 2010 alle ore 09:26 , Blogger vichi ha detto...

Mi piace la cautela di usare l'eufemismo "altre finalità" piuttosto di dire l'esatta parola che pensi... Siamo alle solite, ridicole accuse infamanti e destituite di ogni fondamento, e vabbé che ormai ci siamo abituati.

Per il resto, quale certificato di "moderazione" per israele esce dai file di wikileaks? Nessuno, a me pare.

Piuttosto, ed è vero, fa tristezza che il mondo arabo sia diviso e consideri l'iran un nemico peggiore di israele, o che egitto e anp fossero stati preavvertiti di "cast lead" e non abbiano ritenuto di far nulla per impedire il massacro di civili innocenti.

Ciò che si evidenzia, semmai, ancora una volta, è che la causa palestinese può e deve contare solo su sé stessa e sull'impegno della società civile nelle campagne di mobilitazione e di boicottaggio.

A tal fine, ancora prima di una dichiarazione unilaterale di nascita dello stato palestinese, servirebbe ritrovare l'unità del popolo palestinese e spazzare via una leadership (dell'anp) per l'ennesima volta dimostratasi pavida, corrotta e inadatta a difendere i diritti e le istanze del popolo palestinese.

 

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