12 aprile 2011

La spudorata propaganda israeliana: il falso "boom" delle costruzioni a Gaza

All’inizio della scorsa settimana, il portavoce dell’esercito israeliano ha annunciato una “estesa attività edilizia” nella Striscia di Gaza, dopo l’approvazione, da parte del Coordinatore delle Attività governative nei Territori, di 121 progetti finanziati da organizzazioni internazionali. Secondo il rapporto si ritiene che l’economia di Gaza, a seguito dell’approvazione, venga “rafforzata”.

Questo è sicuramente un passo positivo, ma sfortunatamente non vi è nulla di nuovo. I progetti di cui si parla erano già stati approvati durante l’ultimo anno e, di fatto, l’ultima volta che è stato approvato un progetto davvero “nuovo” è stata ai primi di febbraio. Inoltre, il valore totale dei progetti approvati rappresenta soltanto il 20% del budget complessivo per i progetti pianificato solamente dall’UNDP (United Nations Development Programme) e dall’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency).

Mettendo da parte la propaganda costituita dalle dichiarazioni ricorrenti di approvazione dei medesimi progetti, in ogni caso l’attività edilizia procede a passo di lumaca in quanto Israele mantiene operativo solo un unico valico per la Striscia di Gaza – quello di Kerem Shalom – attraverso cui vengono trasferite tutte le merci, lasciando poco spazio per i materiali da costruzione. La quantità media mensile di materiali da costruzione “proibiti” (acciaio, cemento e ghiaia) di cui Israele ha consentito l’ingresso nella Striscia di Gaza tra l’ottobre 2010 e il febbraio di quest’anno è stata pari a 20.000 tonnellate, che rappresenta appena il 7,6% della quantità media mensile (264.000 tonnellate) che entrava a Gaza prima del blocco, da gennaio a maggio del 2007.

I vertici della sicurezza israeliana hanno ammesso che la carenza di materiali da costruzione impedisce la ricostruzione di Gaza, ma sostengono di limitare l’importazione di questi materiali in quanto Hamas potrebbe usarli per scopi militari, come la costruzione di bunker e di tunnel. Per questa ragione, Israele ha messo in piedi un farraginoso sistema burocratico che, tra le altre cose, richiede alle organizzazioni internazionali che intendono importare materiali per i loro progetti una scrupolosa documentazione e dei requisiti di monitoraggio come se stessimo parlando di uranio arricchito e non di cemento per gettare le fondamenta di una scuola.

Ma anche questo farraginoso sistema comunque non garantisce ad Israele il controllo sul trasferimento e l’uso dei materiali da costruzione nella Striscia di Gaza. Secondo un recente rapporto dell’Onu, dall’ottobre del 2010 al febbraio del 2011, ben 98.000 tonnellate di acciaio, cemento e ghiaia sono entrate a Gaza attraverso i tunnel senza alcuna supervisione israeliana – cinque volte il totale trasferito attraverso i valichi di frontiera nello stesso periodo.

A parte l’inefficacia delle restrizioni israeliane nell’impedire ad Hamas di ricevere materiali da costruzione, questi numeri dimostrano quanto sia elevata la domanda di materiali da costruzione nella Striscia di Gaza rispetto alla limitata offerta consentita da Israele attraverso i valichi. Il quasi-monopolio nell’importazione dei materiali da costruzione da parte dell’industria dei tunnel, creata come risultato della politica israeliana su tali beni, consente peraltro al governo locale di apparire più efficace nella costruzione di edifici di importanza vitale rispetto alle organizzazioni internazionali. Il governo locale usa materiali provenienti dai tunnel, mentre i regolamenti della maggior parte delle organizzazioni internazionali impediscono loro di fare altrettanto.

L’economia di Gaza è cresciuta nell’ultimo anno del 9% dalla situazione in cui era sprofondata nel periodo successivo alla guerra e durante tre anni di blocco quasi ermetico, ma il prodotto interno lordo è ancora del 20% sotto il livello del 2005, e la disoccupazione si attesta sul 38%, uno dei livelli più alti al mondo. Secondo un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, una delle misure necessarie ai fini di una significativa ripresa dell’economia a Gaza è costituita proprio dalla eliminazione delle restrizioni imposte al settore privato, ivi incluso il divieto di importare materiali da costruzione.

Si può certo presumere che parte dei materiali da costruzione importati attraverso i tunnel sia stata oggetto di uso militare, così come si può però presumere che un medesimo uso si faccia di alcune infrastrutture civili e di altri prodotti di base. Tuttavia, Israele non definisce elettricità, computer o telefoni come prodotti a “duplice uso” (sia civile sia militare) e permette che vengano introdotti nella Striscia di Gaza. Viene dunque spontaneo chiedersi quanto, e soprattutto, perché sia utile ad Israele vietare l’importazione di materiali da costruzione per il settore privato e impedire la costruzione di edifici di importanza vitale, specialmente considerando che, comunque, i materiali da costruzione passano attraverso i tunnel, diretti a chiunque sia disposto a pagarne il prezzo.

A causa delle restrizioni imposte da Israele, solo una piccolissima parte delle 40.000 unità abitative necessarie a far fronte alla crescita naturale della popolazione e alle distruzioni causate da “Piombo Fuso” può essere costruita.

La carenza di alloggi richiede un “prezzo” oneroso che ricade sulle famiglie di Gaza, costrette a confrontarsi con delle misere e sovraffollate condizioni abitative, con un impatto sproporzionato soprattutto su donne e bambini. Molte famiglie, inoltre, che pure sono riuscite in qualche modo a riparare o ampliare le proprie abitazioni, rimangono tuttavia soggette al pericolo di crolli, a causa della scarsa qualità dei materiali importati, particolarmente in caso di disastri naturali o in quello, in verità assai frequente, di nuovi raid israeliani.

A causa del’elevatissimo tasso di disoccupazione, infine, migliaia di persone non hanno altra alternativa che rischiare la propria vita lavorando nei tunnel o raccogliendo ghiaia e materiali riciclabili nella zona-cuscinetto alla frontiera con Israele. Nel corso del 2010, almeno 58 Palestinesi, inclusi 9 bambini, sono morti in simili circostanze, mentre altri 257, tra cui 46 bambini, sono rimasti feriti.

In quanto potenza occupante, e comunque in ogni caso in cui esercita il proprio controllo sul territorio di Gaza e sulla sua popolazione, Israele è tenuto al rispetto delle norme del diritto umanitario internazionale e della legislazione in materia di diritti umani, che proibiscono ad Israele di imporre sanzioni che ledono i diritti umani e i bisogni della popolazione civile e che non sono strettamente necessitate da legittime esigenze di sicurezza. Tali sanzioni, infatti, costituiscono una punizione collettiva e sono assolutamente proibite, in ogni circostanza.

Ma pare che la comunità internazionale – in primis gli Usa del Nobel Obama – sia assolutamente sorda ai bisogni e alle istanze della popolazione di Gaza, e che nessuno voglia intestarsi la responsabilità di proteggere i Palestinesi dai crimini quotidiani posti in essere da Israele.

E sia che si tratti di embarghi di merci e di punizioni collettive, sia che si tratti dei ricorrenti massacri impuniti di civili inermi.

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4 Commenti:

Alle 12 aprile 2011 alle ore 17:35 , Anonymous Anonimo ha detto...

SEMPRE DATE LA COLPA A ISRAELE GUARDATE GLI ALTRI

 
Alle 13 aprile 2011 alle ore 13:25 , Anonymous Gary ha detto...

Ma guardare gli altri in che senso? Chi ragiona in questo modo non fa altro che applicare, su scala mondiale, il solito ritornello immorale e infantile:"Tanto tutti agiscono male, tanto vale che lo faccia anch'io...." e quindi è sempre colpa degli altri!
E' un dato di fatto che Israele agisce in modo scorretto e criminale e non lo dico affatto con piacere, anzi, mi dispiace ammetterlo anche perchè gli ebrei sono stati un popolo per tanto tempo vessato e umiliato e avrebbero quindi avuto anche diritto ad avere una patria che li tuteli;ma essi purtroppo hanno abusato di questo diritto, molti di loro hanno voluto scaricare sui palestinesi colpe che essi non avevano. Gli ebrei e gli arabi sono vissuti in pace per secoli in Palestina, non ci sono testimonianze di scontri o guerre fino all'inizio dell'immigrazione sionista (inizio Novecento) e ti sei mai chiesto perchè? Anzi, in altre parti del mondo arabo qualche persecuzioni antiebraica c'è stata anche (Marocco ad esempio), ma in Palestina gli arabi non hanno mai fatto nulla di nulla che potesse ledere i diritti delle comunità ebraiche. Ma per chiarire cos'è stato il sionismo ti cito le parole di un filosofo ebreo (Martin Buber) favorevole ad uno stato binazionale riguardo al massacro di Hebron:"E' vero, oggi gli arabi ci hanno duramente colpiti, ma noi ebrei dobbiamo farci un serio esame di coscineza:quando abbiamo preso il paese non dovevamo comportarci come se esso non fosse abitato, ma dovevano instaurare buoni rapporti con gli indigeni...", ecco, Martin Buber mette in chiaro una cosa fondamentale:I SIONISTI HANNO IGNORATO LA STESSA ESISTENZA DI UN POPOLO PER CACCIARLO E COLONIZZARLO!

 
Alle 14 aprile 2011 alle ore 14:15 , Anonymous EUGENIO PIPERNO ha detto...

israele DEVE DIFENDERE LA SUA LIBERTA TUTTI VOGLIONO LA PACE

 
Alle 14 aprile 2011 alle ore 15:23 , Blogger vichi ha detto...

Egregio sig. Piperno, forse a parole tutti la vogliono la pace, ma non bastano le parole, bisogna porre in essere i comportamenti conseguenti.

Non si può volere la pace e occupare manu militari territori che la comunità internazionale ha riconosciuto essere di altri. Così come non si può volere la pace e assediare e affamare una popolazione di un milione e mezzo di persone senza alcun motivo e in spregio del diritto umanitario.

E, mi scusi, ma cosa c'entra la libertà di Israele con l'occupazione della West Bank o, se preferisce, di Giudea e Samaria?

 

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