La discriminazione razziale in Israele.
Non è una notizia recentissima, comunque...
Esiste in Israele la Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele (Disposizione Temporanea) 5763 – 2003, originariamente approvata nel luglio dell’anno scorso, che vieta che venga accordata la residenza o lo status di cittadino ai Palestinesi dei Territori occupati che siano sposati a cittadini israeliani o permanentemente residenti in Israele.
Questa è una legge di discriminazione razziale, perché individua come “bersaglio” una categoria di persone individuata solo sulla base della nazionalità, ed impedisce loro di vivere insieme al proprio coniuge ed ai propri figli in Israele o a Gerusalemme Est.
Per converso, agli Israeliani sposati con cittadini residenti nei Territori occupati viene negato un diritto che è invece riconosciuto a tutti gli altri Israeliani, quello di vivere con i propri cari e di stabilire la residenza insieme ad essi in un posto di propria scelta, nonché quello di essere protetti da arbitrarie e illegali interferenze all’interno della propria sfera familiare.
Poiché non è permesso ai Palestinesi dei Territori occupati di ricongiungersi ai propri familiari cittadini o residenti di Israele o di Gerusalemme est, questa legge ingiusta li costringe ad una scelta dolorosa.
Infatti queste persone o scelgono di vivere separate, oppure il cittadino israeliano è costretto a trasferirsi nei Territori occupati.
Ma, a parte ogni altra considerazione, questa scelta non è certo indolore, perché in tal modo il cittadino israeliano viene a perdere ogni diritto legato alla residenza e/o alla cittadinanza, inclusi i benefici relativi al sistema di sicurezza sociale.
Approvando questa legge, Israele ha violato i suoi obblighi di diritto internazionale di rispettare il diritto di ciascun cittadino a vivere nel proprio Paese, ed ha costretto, e costringe tutt’ora, molti bambini a vivere con uno solo dei propri genitori.
Due organismi dell’Onu – il Comitato per i Diritti Umani (HRC) ed il Comitato per l’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione Razziale (CERD) hanno ripetutamente protestato contro questa legge, chiedendone la revoca: ogni misura presa da Israele per assicurare la propria sicurezza, infatti, deve comunque conformarsi agli standard previsti a livello internazionale per i diritti umani.
La Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele è una legge di discriminazione razziale, che viola i principi fondamentali della non discriminazione posti dagli articoli 2 e 26 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR), dall’art.1 della Convenzione Internazionale sulla Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione Razziale, dall’art.2 della Convenzione sui Diritti del Bambino (CRC) e dall’art.2 della Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR) : Israele ha ratificato di sua spontanea volontà tutte queste Convenzioni, ed è dunque tenuto a rispettarne le previsioni.
In particolare secondo quanto previsto dall’ICCPR – ratificata da Israele nel 1991 – “anche in caso di pubblica emergenza che minacci la vita della nazione” ad Israele è proibito adottare misure che prevedano forme di discriminazione “sulla base di razza, colore, sesso, lingua, religione o origini sociali”.
La Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele aveva, inizialmente, una durata limitata ad un anno, ma era previsto che il Governo israeliano, con il consenso della Knesset, avrebbe potuto prolungarne la validità di volta in volta, per periodi non superiori ad un anno per ciascuna occasione: il che val quanto dire all’infinito, volendo!
Mercoledì 21 luglio, la validità della Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso in Israele è stata estesa per un periodo di ulteriori sei mesi, nel più totale silenzio delle istituzioni israeliane e, naturalmente, dei media.
Probabilmente, anche in Israele c’è qualcuno che si vergogna per l’approvazione di simili leggi!
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