2 ottobre 2004

I "Giorni della Penitenza".

In risposta al lancio di un razzo Qassam da parte di Hamas, che mercoledì sera, 29 settembre, aveva causato la morte di due bambini israeliani a Sderot, l’esercito israeliano ha intrapreso un’azione militare di portata senza precedenti nel nord della Striscia di Gaza, che nel giro di 48 ore ha provocato la morte di ben 42 Palestinesi, in gran parte civili inclusi molti bambini, ed il ferimento di almeno altre 130 persone: è quello che si dice una rappresaglia ben proporzionata!
Ma è necessario fare un passo indietro.
Secondo un rapporto dello Shin Bet, durante la presente Intifada, i Palestinesi hanno lanciato circa 460 razzi Qassam, di cui 380 oltre la green line; trattandosi di razzi di fattura artigianale, tuttavia, essi sono molto imprecisi e così il loro effetto è soprattutto psicologico, essendosi dimostrati letali soltanto in questo ed in un altro caso, a giugno di quest’anno, provocando in totale la morte di quattro Israeliani.
L’esercito israeliano, comunque, a seguito delle dure proteste dei coloni di Sderot per i ripetuti lanci dei razzi palestinesi contro la loro cittadina, aveva deciso di entrare in forze nel nord della Striscia di Gaza ben prima della morte dei due bambini e, approssimativamente alle 22:00 di martedì 28 settembre, scatenava un’offensiva senza precedenti, diretta principalmente contro i campi profughi di Jabalya e Beit Lahia.
Solo nel corso della giornata di mercoledì, l’esercito israeliano aveva già ucciso ben sei Palestinesi e ne aveva feriti 52, e questo soltanto a Gaza nella prima fase delle operazioni: tra i morti, Ahmed Abdul Fateh Madi, di anni 17, e Saed Abu al Eish, di anni 14, assassinati da Tsahal mentre tiravano pietre ai soldati.
In un separato incidente, a Netzarim, analoga morte per Mohammed Jaber, di anni 13; a Jenin, probabilmente in un errato tentativo di esecuzione “mirata”, venivano assassinati un tassista, Mohammed al Bitar, ed il suo passeggero, un maestro di scuola di nome Rateb Talib, mentre la moglie di quest’ultimo rimaneva lievemente ferita.
Come si vede, era stata ben più letale l’attività dell’esercito israeliano in un solo giorno che il lancio di centinaia di razzi Qassam nel giro di vari mesi…
Ma il clou delle operazioni doveva venire il giorno successivo, giovedì 30 settembre.
La mattina presto truppe e veicoli corazzati israeliani entravano in Jabalya - un misero e squallido campo profughi abitato da circa 106.000 Palestinesi in condizioni di sovraffollamento ed assoluta povertà – e prendevano posizione nel Blocco 2, demolendo varie case e danneggiando alcune scuole dell’Unrwa, per dirigersi poi anche al Blocco 4.
Per tutto il giorno Tsahal ha messo a ferro e a fuoco il campo, ed alla fine è stato un bagno di sangue: 32 morti e oltre 120 feriti, e tra questi ultimi almeno 20 erano bambini.
Nell’incidente più grave, avvenuto nei pressi di una scuola, un carro armato israeliano ha sparato una cannonata, uccidendo sul colpo 7 adolescenti e ferendo altre 24 persone, quasi tutti civili: la scena era orribile, i cadaveri erano completamente maciullati e i feriti erano in condizioni terribili, molti avevano perso degli arti.
Più tardi, il generale Dan Harel, comandante delle truppe a Gaza, dichiarerà “siamo molto spiacenti che dei civili siano stati colpiti”: magari ci si poteva pensare prima e usare maggior cautela nell’assicurare l’incolumità della popolazione civile, ma questo dovere sancito dal diritto umanitario internazionale è completamente estraneo al modus operandi dell’esercito israeliano.
Ancora, intorno alle 11:50, Tsahal prendeva posizione sulla collina di Qulaibu e apriva il fuoco contro Beit Lahia: vari civili uccisi, il 65enne Mohammed Yousef al Habel, assassinato da una fucilata davanti al suo negozio, Jamal Rajab al Ashqar, di anni 27, ucciso da una pallottola in testa, un bambino colpito al cuore da una pallottola, non ancora identificato.
A fronte dei 32 morti Palestinesi (senza contare i feriti…), tre Israeliani uccisi, tra cui due soldati: anche la cruda realtà dei numeri parla di una rappresaglia sproporzionata, di un uso indiscriminato della forza da parte dell’esercito israeliano, di un assoluto disprezzo per la vita dei civili palestinesi inermi e innocenti.
In aggiunta, almeno 22 case demolite dai bulldozer israeliani, in alcuni casi senza dare alcun preavviso alle famiglie che stavano all’interno.
Venerdì 1 ottobre il bilancio è di “soli” otto morti tra i Palestinesi, due feriti leggeri tra le truppe israeliane.
A Jabalya, due militanti di Hamas sono stati uccisi da un missile lanciato da un elicottero, mentre erano in motocicletta; qualche ora più tardi, sempre nello stesso campo profughi, un altro missile uccideva per errore tre civili palestinesi che non stavano facendo assolutamente nulla; un altro civile è stato ucciso dalle truppe israeliane mentre cercava di scappare: l’uomo era disarmato; altri due morti, e circa 8 feriti, in località Tel al Zaatar, a seguito del lancio di due missili da parte di un “drone” dell’Idf.
Ancora nelle primissime ore di stamattina, altri due morti e quattro feriti tra i Palestinesi, ed ancora nel campo di Jabalya.
Le operazioni nel nord della Striscia di Gaza, da giovedì notte, fanno parte di un piano denominato “Giorni di Penitenza”, davvero una fervida fantasia hanno i militari israeliani nel dare i nomi ai loro raid assassini!
Ma, dopo 32 morti proprio nella giornata di giovedì, la “penitenza” i Palestinesi non l’avevano già fatta?
E perché a pagare per un attentato di Hamas deve essere chiamata l’intera popolazione civile palestinese?
Il ministro palestinese Saeb Erekat ha denunciato il raid delle forze armate israeliane come “un crimine di guerra e terrorismo di stato”: gli si può forse dare torto?
Lo stesso Erekat teme adesso che l’intera Striscia di Gaza sarà presto rioccupata, e in effetti il Presidente della Commissione Difesa della Knesset, Yuval Steinitz, ha proposto di avviare una operazione “muraglia di difesa 2” proprio a questo scopo.
Gideon Meir, un portavoce del Governo israeliano, ha dichiarato che Israele ha l’obbligo di proteggere i suoi cittadini: vero, ma questo obbligo non comporta certo il massacro della popolazione civile palestinese!
Il mondo odierno è afflitto dalla terribile piaga del terrorismo, soprattutto di matrice islamica, con uomini fanatici pronti a uccidere, sgozzare, farsi saltare in aria insieme a persone inconsapevoli e indifese.
Ma come si comporta il campo occidentale, come agisce Israele che in questo campo qualcuno ha iscritto?
Davvero pare che siamo di fronte ai nuovi barbari del XXI secolo, perché certi tratti della repressione israeliana nei confronti del popolo palestinese sembrano davvero appartenere ad un’altra epoca.
Come si possono definire, o come si possono giustificare, una repressione feroce e spietata, la carneficina continua della popolazione civile, con un rapporto tra morti palestinesi e morti israeliani che ci rimanda indietro a tristi epoche, l’uso indiscriminato e sproporzionato della forza militare, le punizioni collettive, le demolizioni delle case, le devastazioni dei campi, il furto delle terre e delle risorse naturali, l’uso della tortura negli interrogatori, le vessazioni e i pestaggi ai check point, le umiliazioni e le violenze nelle carceri, gli attacchi al personale ed alle strutture dell’Onu, il divieto di accesso alle cure mediche, gli attacchi ai mezzi e al personale sanitario, in una parola le violazioni della legalità e i crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano nei Territori palestinesi?
Israele può e deve difendere i suoi cittadini dal terrorismo kamikaze, ma non a costo di violare la legalità internazionale, non a costo di violare quotidianamente il diritto internazionale umanitario, non a costo di massacrare un intero popolo.
Ma la comunità internazionale non vuole o non può intervenire, nel dibattito elettorale Usa la questione palestinese è del tutto assente, l’Onu – per bocca di Kofi Annan – si limita all’ennesimo, generico richiamo al rispetto delle prescrizioni della road map, quella stessa road map che Sharon ha esplicitamente dichiarato essere morta e sepolta.
Nessuna speranza per i Palestinesi, dunque, ciò che li aspetta sono solo i giorni della penitenza…

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