Mattatoio Gaza.
In Israele il cielo deve essere ogni giorno più blu visto che l’aviazione israeliana, nel quadro dell’operazione denominata per l’appunto “blue skies”, ha compiuto lunedì l’ennesima esecuzione extra-giudiziaria nella Striscia di Gaza, uccidendo tre Palestinesi e ferendone altri tre.
L’ennesimo crimine di guerra, aggiungiamo, dato che, ancora una volta, Israele non si preoccupa minimamente dell’incolumità dei civili che possono essere coinvolti nelle sue gesta valorose.
Lunedì 2 gennaio, infatti, intorno alle 21:15, un aereo israeliano ha lanciato un missile contro un taxi che trasportava due militanti della Jihad islamica nei pressi della cittadina di Jabalya.
Il conducente, il 45enne Akram Quddas, e uno dei militanti, il 38enne Said Abu al-Jedian, sono morti sul colpo, mentre il terzo militante trasportato sull’auto è deceduto successivamente in ospedale per le ferite riportate; in aggiunta, tre passanti sono rimasti seriamente feriti dalle schegge.
Questo “incidente” segue da presso quello avvenuto nella notte del 31 dicembre quando, nei pressi di Beit Lahia, l’aviazione israeliana aveva ucciso due civili innocenti che erano stati scambiati per dei militanti in procinto di lanciare un missile Qassam
(vedi http://palestinanews.blogspot.com/2005/12/capodanno.html).
Secondo le statistiche fornite dal Palestinian Centre for Human Rights, nel periodo compreso tra il 15 ed il 28 dicembre del 2005, in totale l’aviazione israeliana ha compiuto almeno 40 incursioni nella Striscia di Gaza, ferendo 17 civili, tra cui 4 ragazzini e un neonato, e danneggiando numerose infrastrutture, edifici, strade.
Il vero è che la Striscia si è trasformata in un vero e proprio mattatoio o, se preferite, in un enorme campo di concentramento, molto simile a quello in cui, nel noto film "Schindler’s List”, il comandante del campo ogni tanto imbracciava il suo fucile di precisione e uccideva qualche prigioniero a caso.
Un’esagerazione? Non proprio.
La Striscia di Gaza ha una sola uscita verso il resto del mondo, il Rafah Crossing Point, alla frontiera con l’Egitto, attualmente aperto 5 ore al giorno, posto sotto la supervisione di un team di militari europei e monitorato dagli Israeliani, che tuttavia, come in queste ultime ore, minacciano periodicamente di chiuderlo.
Una volta all’interno della Striscia, poi, sorge il problema di spostarsi verso Israele ed il West Bank, ed è lì che sorgono i problemi, perché i valichi di ingresso quali Beit Hanoun o al-Mentar, siano essi destinati alle persone o alle merci, sono controllati dalle truppe israeliane e soggetti a chiusure improvvise e ingiustificate da parte di Israele, quale mezzo di pressione nei confronti della popolazione palestinese o addirittura per permettere agli Israeliani di celebrare le loro festività in santa pace (da ultimo, in occasione della festa dell’Hanukah).
Nessuno, poi, si prende la briga di ricordare che Israele sta violando in modo flagrante il recente accordo raggiunto tra Israeliani e Palestinesi riguardante il movimento e gli accessi da e per Gaza, siglato nel novembre del 2005 e di cui si era fatto garante lo stesso Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice.
Detto accordo prevedeva, tra le altre cose, che vi fossero dei collegamenti tra Gaza ed il West Bank per lo spostamento delle persone, a mezzo di convogli di bus, a partire dal 15 dicembre ma, ad oggi, Israele continua a dilazionare immotivatamente tale scadenza.
Come si vede, dunque, Israele è perfettamente in grado, sol che lo voglia, di sigillare ermeticamente la Striscia di Gaza per via terra, mentre lo spazio aereo è naturalmente sotto il suo pieno controllo.
Così accade pure per lo spazio marittimo, e va detto che, della pesca e del suo indotto, a Gaza vivono circa 35.000 persone.
Israele ha concesso, bontà sua, ai pescatori palestinesi di scendere in mare, ma entro il limite delle 9 miglia nautiche; si tratta di un limite unilaterale e illegittimo, dato che gli accordi di Oslo prevedevano un tale limite fissato sulle 20 miglia.
E quando accade che i pescatori palestinesi superano questi limiti, o si avvicinano alle acque territoriali israeliane, non accade come per i pescherecci italiani – che vengono sequestrati dalle navi tunisine – perché le vedette e gli elicotteri israeliani hanno l’ordine di sparare a vista, e lo hanno fatto in più di una occasione, uccidendo a sangue freddo dei padri di famiglia la cui unica colpa era quella di essere scesi in mare per fare il loro mestiere.
Ma vi è di più.
Israele adotta già da qualche mese un metodo che sembra una vera e propria forma di tortura psicologica a danno della popolazione civile di Gaza, quello delle cosiddette “sonic bombs”.
Si tratta semplicemente di ripetuti passaggi a bassa quota dei jet israeliani, che infrangendo la barriera del suono producono l’effetto di danneggiare vetri, porte e suppellettili delle case e, soprattutto, quello di terrorizzare la popolazione civile.
Alla data del 18 dicembre, secondo la dichiarazione del Dr. Moawiya Hassanen, dirigente del Ministero della Sanità palestinese, ben quattro Palestinesi ammalati di varie patologie a carico del cuore sono morti in conseguenza di simili incursioni, mentre 5 donne incinte hanno abortito e numerosi sono stati i casi di ricovero – soprattutto di bambini e donne anziane – per nausea, stati confusionali e ansietà.
Si tratta, come è ben chiaro, di una punizione collettiva a danno dell’intera popolazione della Striscia di Gaza, come tale vietata dal diritto internazionale, anche se le autorità israeliane – con la solita faccia tosta che non ha eguali al mondo – hanno avuto occasione di sostenere, davanti alla Corte di Giustizia, che le “sonic bombs” servono solo a confondere i terroristi e a impedirgli di nuocere a Israele!
Come abbiamo più volte ribadito, il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza – definitivamente attuato il 15 agosto di quest’anno – è stato un puro e semplice bluff propagandistico, ben supportato dai media di regime.
Con una mossa ben studiata Sharon, spostando poche migliaia di coloni, ha raggiunto l’obiettivo di apparire come un fautore della pace e, lasciando l’Anp alle prese con le difficoltà connesse al governo della Striscia e alla crescente anarchia in essa imperante, cerca di dimostrare che tra i Palestinesi non vi è un leader affidabile per raggiungere un definitivo accordo di pace.
E ciò sta drammaticamente verificandosi in questi giorni, aprendo la strada a ulteriori unilaterali mosse di Israele e a nuove annessioni di territorio palestinese: si concretizza così la facile profezia di Dov Weisglass, fidato consigliere di Sharon, secondo cui con il ritiro dalla Striscia di Gaza ogni ulteriore accordo con l’Anp – su temi quale la restituzione dei Territori, il diritto al ritorno, Gerusalemme est - sarebbe stato “congelato”, o meglio, posticipato fino a quando “i Palestinesi non diverranno dei Finlandesi”!
Nessuno ricorda che, mentre Israele ritirava poco più di 8.000 coloni da Gaza, contemporaneamente la popolazione dei “settlers” nel West Bank cresceva di 15.800 unità (quasi il doppio!).
Nessuno tiene a precisare che è quasi impossibile governare un territorio come la Striscia di Gaza in cui il 70% della popolazione è disoccupato, in cui non vi è libertà di movimento in entrata e in uscita per le persone e per le merci, in cui strade e infrastrutture vengono quotidianamente danneggiate dai raid israeliani.
Ma il ritiro da Gaza aveva un’altra e più nascosta motivazione, tranquillamente ammessa dal vice premier israeliano Ehud Olmert in una intervista ad Ha’aretz del 29 dicembre (“No limitations in Sharon’s war on Qassams): “Quando eravamo dentro Gaza … non potevamo condurre operazioni come “blue skies”, perché la popolazione ebraica stava nel cuore delle zone abitate dalla popolazione araba”.
E dunque ecco il motivo nascosto del “disengagement plan” di Sharon, poter dare la caccia ai militanti palestinesi senza nemmeno doversi sporcare le mani, e pazienza se usando jet o droni l’arresto dei ricercati è impossibile, e l’unica strada è quella dell’assassinio legalizzato.
Naturalmente, secondo Israele, le esecuzioni extra-giudiziarie sono legali, in quanto, completato il ritiro israeliano da Gaza, esse rappresenterebbero operazioni militari in territorio nemico, e dunque ricadrebbero sotto le leggi di guerra.
Altrettanto naturalmente, si tratta di una colossale menzogna in quanto, dal quadro che abbiamo delineato, emerge che Israele mantiene strettamente il controllo delle frontiere terrestri e dello spazio aereo e marittimo di Gaza, e, da ultimo, ha addirittura unilateralmente decretato una “no-go area” vasta circa 16 km2 in cui nessun Palestinese può entrare senza mettere a rischio la propria incolumità.
Israele, quindi, è ancora giuridicamente la potenza occupante, e come tale è tenuta a rispettare il diritto umanitario internazionale, e segnatamente la Convenzione di Ginevra.
Basterebbe ricordare le parole del Direttore del Comitato Pubblico contro la tortura in Israele, Hana Feldman, secondo cui “l’uso della politica dell’assassinio … è immorale, illegale e in violazione delle convenzioni internazionali; lo Stato non è un gruppo terroristico e potrebbe arrestare la gente anziché assassinarla dal cielo”.
Va aggiunto, inoltre, che le azioni militari dirette contro i civili, nonché gli attacchi portati con la consapevolezza che possono causare danni sproporzionati all’incolumità della popolazione civile, costituiscono dei veri e propri crimini di guerra, quelli che Israele continua a commettere quotidianamente senza che nessuno Stato intervenga per impedirlo o nessuna voce si levi per condannare tale pratica feroce e brutale.
E’ necessario che, primariamente, quanti operano onestamente per la pace in Palestina facciano di tutto per fermare l’assassinio legalizzato costituito dall’operazione “blue skies”.
Non ci aspettiamo niente dagli Usa, che in altre parti del mondo adottano simili o peggiori comportamenti di quelli fin qui delineati; non a caso, peraltro, Israele, per giustificare il proprio comportamento, cita proprio l’esempio degli Stati Uniti e delle sue esecuzioni extra-giudiziarie contro appartenenti ad al-Qaeda.
L’Europa, tuttavia, più volte ha preso ufficialmente posizione contro l’uccisione extra.giudiziaria dei militanti palestinesi, definendola una pratica contraria al diritto internazionale, e ci si aspetterebbe che alle parole seguano dei comportamenti conseguenti, sotto forma di sanzioni nei confronti di Israele.
Fino ad oggi, le nazioni europee hanno tenuto una posizione troppo ambigua nei confronti della questione palestinese, cercando contemporaneamente di sostenere i punti di vista di entrambe le parti in conflitto, ma oggi non è più possibile temporeggiare, e gli stessi aiuti economici che l’Ue annualmente fornisce ai Palestinesi – pur drammaticamente necessari alla sopravvivenza stessa di questo popolo – rischiano di costituire un ulteriore supporto all’occupazione israeliana, se ad essi non si aggiunge una decisiva pressione nei confronti di Israele per modificare la situazione sul territorio e giungere ad un definitivo ed equo accordo di pace.
Altrimenti gli aiuti dell’Ue, come quelli degli altri Paesi donatori, avranno più o meno lo stesso valore della razione quotidiana di cibo che si fornisce agli animali rinchiusi nelle gabbie di uno zoo.
L’ennesimo crimine di guerra, aggiungiamo, dato che, ancora una volta, Israele non si preoccupa minimamente dell’incolumità dei civili che possono essere coinvolti nelle sue gesta valorose.
Lunedì 2 gennaio, infatti, intorno alle 21:15, un aereo israeliano ha lanciato un missile contro un taxi che trasportava due militanti della Jihad islamica nei pressi della cittadina di Jabalya.
Il conducente, il 45enne Akram Quddas, e uno dei militanti, il 38enne Said Abu al-Jedian, sono morti sul colpo, mentre il terzo militante trasportato sull’auto è deceduto successivamente in ospedale per le ferite riportate; in aggiunta, tre passanti sono rimasti seriamente feriti dalle schegge.
Questo “incidente” segue da presso quello avvenuto nella notte del 31 dicembre quando, nei pressi di Beit Lahia, l’aviazione israeliana aveva ucciso due civili innocenti che erano stati scambiati per dei militanti in procinto di lanciare un missile Qassam
(vedi http://palestinanews.blogspot.com/2005/12/capodanno.html).
Secondo le statistiche fornite dal Palestinian Centre for Human Rights, nel periodo compreso tra il 15 ed il 28 dicembre del 2005, in totale l’aviazione israeliana ha compiuto almeno 40 incursioni nella Striscia di Gaza, ferendo 17 civili, tra cui 4 ragazzini e un neonato, e danneggiando numerose infrastrutture, edifici, strade.
Il vero è che la Striscia si è trasformata in un vero e proprio mattatoio o, se preferite, in un enorme campo di concentramento, molto simile a quello in cui, nel noto film "Schindler’s List”, il comandante del campo ogni tanto imbracciava il suo fucile di precisione e uccideva qualche prigioniero a caso.
Un’esagerazione? Non proprio.
La Striscia di Gaza ha una sola uscita verso il resto del mondo, il Rafah Crossing Point, alla frontiera con l’Egitto, attualmente aperto 5 ore al giorno, posto sotto la supervisione di un team di militari europei e monitorato dagli Israeliani, che tuttavia, come in queste ultime ore, minacciano periodicamente di chiuderlo.
Una volta all’interno della Striscia, poi, sorge il problema di spostarsi verso Israele ed il West Bank, ed è lì che sorgono i problemi, perché i valichi di ingresso quali Beit Hanoun o al-Mentar, siano essi destinati alle persone o alle merci, sono controllati dalle truppe israeliane e soggetti a chiusure improvvise e ingiustificate da parte di Israele, quale mezzo di pressione nei confronti della popolazione palestinese o addirittura per permettere agli Israeliani di celebrare le loro festività in santa pace (da ultimo, in occasione della festa dell’Hanukah).
Nessuno, poi, si prende la briga di ricordare che Israele sta violando in modo flagrante il recente accordo raggiunto tra Israeliani e Palestinesi riguardante il movimento e gli accessi da e per Gaza, siglato nel novembre del 2005 e di cui si era fatto garante lo stesso Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice.
Detto accordo prevedeva, tra le altre cose, che vi fossero dei collegamenti tra Gaza ed il West Bank per lo spostamento delle persone, a mezzo di convogli di bus, a partire dal 15 dicembre ma, ad oggi, Israele continua a dilazionare immotivatamente tale scadenza.
Come si vede, dunque, Israele è perfettamente in grado, sol che lo voglia, di sigillare ermeticamente la Striscia di Gaza per via terra, mentre lo spazio aereo è naturalmente sotto il suo pieno controllo.
Così accade pure per lo spazio marittimo, e va detto che, della pesca e del suo indotto, a Gaza vivono circa 35.000 persone.
Israele ha concesso, bontà sua, ai pescatori palestinesi di scendere in mare, ma entro il limite delle 9 miglia nautiche; si tratta di un limite unilaterale e illegittimo, dato che gli accordi di Oslo prevedevano un tale limite fissato sulle 20 miglia.
E quando accade che i pescatori palestinesi superano questi limiti, o si avvicinano alle acque territoriali israeliane, non accade come per i pescherecci italiani – che vengono sequestrati dalle navi tunisine – perché le vedette e gli elicotteri israeliani hanno l’ordine di sparare a vista, e lo hanno fatto in più di una occasione, uccidendo a sangue freddo dei padri di famiglia la cui unica colpa era quella di essere scesi in mare per fare il loro mestiere.
Ma vi è di più.
Israele adotta già da qualche mese un metodo che sembra una vera e propria forma di tortura psicologica a danno della popolazione civile di Gaza, quello delle cosiddette “sonic bombs”.
Si tratta semplicemente di ripetuti passaggi a bassa quota dei jet israeliani, che infrangendo la barriera del suono producono l’effetto di danneggiare vetri, porte e suppellettili delle case e, soprattutto, quello di terrorizzare la popolazione civile.
Alla data del 18 dicembre, secondo la dichiarazione del Dr. Moawiya Hassanen, dirigente del Ministero della Sanità palestinese, ben quattro Palestinesi ammalati di varie patologie a carico del cuore sono morti in conseguenza di simili incursioni, mentre 5 donne incinte hanno abortito e numerosi sono stati i casi di ricovero – soprattutto di bambini e donne anziane – per nausea, stati confusionali e ansietà.
Si tratta, come è ben chiaro, di una punizione collettiva a danno dell’intera popolazione della Striscia di Gaza, come tale vietata dal diritto internazionale, anche se le autorità israeliane – con la solita faccia tosta che non ha eguali al mondo – hanno avuto occasione di sostenere, davanti alla Corte di Giustizia, che le “sonic bombs” servono solo a confondere i terroristi e a impedirgli di nuocere a Israele!
Come abbiamo più volte ribadito, il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza – definitivamente attuato il 15 agosto di quest’anno – è stato un puro e semplice bluff propagandistico, ben supportato dai media di regime.
Con una mossa ben studiata Sharon, spostando poche migliaia di coloni, ha raggiunto l’obiettivo di apparire come un fautore della pace e, lasciando l’Anp alle prese con le difficoltà connesse al governo della Striscia e alla crescente anarchia in essa imperante, cerca di dimostrare che tra i Palestinesi non vi è un leader affidabile per raggiungere un definitivo accordo di pace.
E ciò sta drammaticamente verificandosi in questi giorni, aprendo la strada a ulteriori unilaterali mosse di Israele e a nuove annessioni di territorio palestinese: si concretizza così la facile profezia di Dov Weisglass, fidato consigliere di Sharon, secondo cui con il ritiro dalla Striscia di Gaza ogni ulteriore accordo con l’Anp – su temi quale la restituzione dei Territori, il diritto al ritorno, Gerusalemme est - sarebbe stato “congelato”, o meglio, posticipato fino a quando “i Palestinesi non diverranno dei Finlandesi”!
Nessuno ricorda che, mentre Israele ritirava poco più di 8.000 coloni da Gaza, contemporaneamente la popolazione dei “settlers” nel West Bank cresceva di 15.800 unità (quasi il doppio!).
Nessuno tiene a precisare che è quasi impossibile governare un territorio come la Striscia di Gaza in cui il 70% della popolazione è disoccupato, in cui non vi è libertà di movimento in entrata e in uscita per le persone e per le merci, in cui strade e infrastrutture vengono quotidianamente danneggiate dai raid israeliani.
Ma il ritiro da Gaza aveva un’altra e più nascosta motivazione, tranquillamente ammessa dal vice premier israeliano Ehud Olmert in una intervista ad Ha’aretz del 29 dicembre (“No limitations in Sharon’s war on Qassams): “Quando eravamo dentro Gaza … non potevamo condurre operazioni come “blue skies”, perché la popolazione ebraica stava nel cuore delle zone abitate dalla popolazione araba”.
E dunque ecco il motivo nascosto del “disengagement plan” di Sharon, poter dare la caccia ai militanti palestinesi senza nemmeno doversi sporcare le mani, e pazienza se usando jet o droni l’arresto dei ricercati è impossibile, e l’unica strada è quella dell’assassinio legalizzato.
Naturalmente, secondo Israele, le esecuzioni extra-giudiziarie sono legali, in quanto, completato il ritiro israeliano da Gaza, esse rappresenterebbero operazioni militari in territorio nemico, e dunque ricadrebbero sotto le leggi di guerra.
Altrettanto naturalmente, si tratta di una colossale menzogna in quanto, dal quadro che abbiamo delineato, emerge che Israele mantiene strettamente il controllo delle frontiere terrestri e dello spazio aereo e marittimo di Gaza, e, da ultimo, ha addirittura unilateralmente decretato una “no-go area” vasta circa 16 km2 in cui nessun Palestinese può entrare senza mettere a rischio la propria incolumità.
Israele, quindi, è ancora giuridicamente la potenza occupante, e come tale è tenuta a rispettare il diritto umanitario internazionale, e segnatamente la Convenzione di Ginevra.
Basterebbe ricordare le parole del Direttore del Comitato Pubblico contro la tortura in Israele, Hana Feldman, secondo cui “l’uso della politica dell’assassinio … è immorale, illegale e in violazione delle convenzioni internazionali; lo Stato non è un gruppo terroristico e potrebbe arrestare la gente anziché assassinarla dal cielo”.
Va aggiunto, inoltre, che le azioni militari dirette contro i civili, nonché gli attacchi portati con la consapevolezza che possono causare danni sproporzionati all’incolumità della popolazione civile, costituiscono dei veri e propri crimini di guerra, quelli che Israele continua a commettere quotidianamente senza che nessuno Stato intervenga per impedirlo o nessuna voce si levi per condannare tale pratica feroce e brutale.
E’ necessario che, primariamente, quanti operano onestamente per la pace in Palestina facciano di tutto per fermare l’assassinio legalizzato costituito dall’operazione “blue skies”.
Non ci aspettiamo niente dagli Usa, che in altre parti del mondo adottano simili o peggiori comportamenti di quelli fin qui delineati; non a caso, peraltro, Israele, per giustificare il proprio comportamento, cita proprio l’esempio degli Stati Uniti e delle sue esecuzioni extra-giudiziarie contro appartenenti ad al-Qaeda.
L’Europa, tuttavia, più volte ha preso ufficialmente posizione contro l’uccisione extra.giudiziaria dei militanti palestinesi, definendola una pratica contraria al diritto internazionale, e ci si aspetterebbe che alle parole seguano dei comportamenti conseguenti, sotto forma di sanzioni nei confronti di Israele.
Fino ad oggi, le nazioni europee hanno tenuto una posizione troppo ambigua nei confronti della questione palestinese, cercando contemporaneamente di sostenere i punti di vista di entrambe le parti in conflitto, ma oggi non è più possibile temporeggiare, e gli stessi aiuti economici che l’Ue annualmente fornisce ai Palestinesi – pur drammaticamente necessari alla sopravvivenza stessa di questo popolo – rischiano di costituire un ulteriore supporto all’occupazione israeliana, se ad essi non si aggiunge una decisiva pressione nei confronti di Israele per modificare la situazione sul territorio e giungere ad un definitivo ed equo accordo di pace.
Altrimenti gli aiuti dell’Ue, come quelli degli altri Paesi donatori, avranno più o meno lo stesso valore della razione quotidiana di cibo che si fornisce agli animali rinchiusi nelle gabbie di uno zoo.
2 Commenti:
Ciao! Per fortuna ci sono i blogger o alcuni siti web che si occupano della Palestina, altrimenti, dai media "ufficiali", non si saprebbe assolutamente nulla!
Simona
Grazie ragazzi per i vostri commenti, che ho letto un po' in ritardo in quanto assente per ... meritate vacanze!
Al Mau ho risposto via e-mail, a Simona vorrei dire che ha perfettamente ragione.
Lo stato dell'informazione in Italia su quanto accade in Palestina (ma non solo...) è paragonabile soltanto a quello degli Usa; sono pochissime le voci indipendenti e non allineate che continuano a condurre una battaglia di verità e di sostegno al popolo palestinese.
Per cui è gioco forza ricorrere a fonti in lingua inglese, tra cui - mi preme ricordarlo - occupa un posto di primaria importanza il coraggioso gruppo di giornalisti di Ha'aretz.
Un caro saluto a tutti.
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