24 giugno 2010

Il conflitto tra ebrei ultraortodossi e le istituzioni laiche dilania Israele.

Lo scorso giovedì decine di migliaia di ebrei ultraortodossi sono scesi in piazza per manifestare contro le decisioni della Corte Suprema israeliana che vorrebbe imporre la “promiscuità” delle figlie degli ebrei religiosi ashkenaziti (di origine europea) con le figlie degli ebrei sefarditi (di origine araba). Che orrore, come può uno Stato laico imporre un abominio di tal genere?

Nell’articolo che segue, tradotto a cura di
Medarabnews, Matthew Kalman analizza la questione per conto del Time, sotto il profilo dello scontro tra gruppi religiosi e tra questi e le istituzioni laiche israeliane e, in specie, la Corte Suprema, facendoci capire quanto Israele sia in realtà lontano dagli standard degli stati europei (eppure c’è sempre qualcuno che blatera di un possibile ingresso di Israele nella Ue).

Rimane sullo sfondo l’aspetto più spiccatamente razzista della questione che, seppur negato dagli interessati, vede gli ebrei di origine europea che non sembrano gradire molto la convivenza con quelli di origine araba.

E, d’altronde, il caso dei Falasha (gli ebrei di origine etiope) ci ricorda come non sia la prima volta che gruppi consistenti di ebrei vengano dapprima “importati” in Israele e, successivamente, emarginati o discriminati, una volta che la coesistenza con loro si dimostri in qualche maniera “
scomoda”.

IL CONFLITTO RELIGIOSO EBRAICO DILANIA ISRAELE
di Matthew Kalman/Gerusalemme - Giovedì, 17.6.2010

In Israele la guerra culturale interna tra le comunità religiose e i tribunali laici è sfociata nelle piazze giovedì scorso, quando decine di migliaia di ebrei ashkenaziti (europei) ultra-ortodossi hanno paralizzato le strade di Gerusalemme e il sobborgo di Bnei Brak a Tel Aviv con una marcia di protesta. Oggetto della loro indignazione era l’ordine di arresto nei confronti di 43 coppie per aver rifiutato di permettere alle figlie di frequentare una scuola religiosa dove si sarebbero mescolate con le figlie di ebrei religiosi mizrahiti (un termine che a volte si sovrappone a quello di ‘sefarditi’, e che si riferisce agli ebrei che provengono principalmente dal mondo arabo). Vestiti con i loro abiti del sabato, con alti cappelli e lunghi cappotti di seta nera finemente ricamati, gli uomini destinati al carcere sono stati portati a spalla da una folla danzante, che intonava canti per le strade di Gerusalemme, fino al quartier generale della polizia nel distretto della missione russa. Alcuni indossavano una cintura rossa decorata con la scritta “Santità per amore del cielo».

“Andiamo con la gioia nei nostri cuori”, ha detto il rabbino Eliyahu Biton mentre camminava verso il carcere, anche se 22 delle donne condannate e 4 degli uomini non si sono presentati.

I genitori al centro del dramma di giovedì, seguaci del rabbino Shmuel Berzovsky che guida la piccola setta chassidica degli Slonimer, hanno preferito due settimane di carcere piuttosto che mandare le loro figlie alla scuola Beis Yaakov vicino alle loro case, nell’insediamento religioso di Emanuel, in Cisgiordania. Le loro ragioni? Alla scuola, le loro bambine ashkenazite si sarebbero mescolate con le bambine mizrahite, alcune delle quali provengono da famiglie allargate più laiche e quindi, dicono gli Slonimer, ciò potrebbe esporre le loro figlie a influenze indesiderate provenienti dal resto del mondo. E la loro detenzione è stata il culmine di una battaglia durata due anni tra la setta ultra-ortodossa, che controlla di fatto la scuola, e la laica Corte Suprema di Israele. Prima della polemica della scuola Beis Yaakov, poche persone avevano sentito parlare della setta degli Slonimer, dal nome di una città in Bielorussia, dove visse il loro primo rabbino 200 anni fa, e della lotta di potere interna alla setta tra i leader rivali di Gerusalemme e Bnei Brak. Ma la lotta per le scolarette ha riunito il piccolo gruppo trasformandolo nell’ultimo portabandiera di una sempre più aspra contesa tra gli ultra-ortodossi e le istituzioni laiche.

La manifestazione di giovedì è stata la più grande a Gerusalemme da quando manifestanti ultra-ortodossi si riunirono nel 1999 in una dimostrazione di forza contro i presunti pregiudizi antireligiosi della Corte Suprema di Israele. Dieci anni dopo, la distanza che divide gli ultra-ortodossi e la Corte è più grande che mai, mentre sono in corso dibattiti su questioni come il potere dei tribunali religiosi, le sovvenzioni pubbliche per gli studenti religiosi, l’esenzione religiosa dal servizio militare e l’accesso alle strade pubbliche di sabato.

Nell’agosto 2009 la Corte Suprema aveva stabilito che un corso separato creato nella scuola Beis Yaakov due anni fa per gli Slonimer equivaleva a una “palese discriminazione” contro il resto degli alunni, che sono mizrahiti per il 95%. Il giudice ha ordinato che la scuola, che è finanziata dallo Stato, rimuovesse le barriere fisiche e integrasse le classi. Per sei mesi, i genitori hanno sfidato il tribunale. Quando finalmente le barriere sono state rimosse, 43 famiglie hanno allontanato le loro figlie dalla scuola e poi le hanno inviate in un’altra scuola statale a Bnei Brak, a un’ora di distanza. Ma i genitori non possono spostare i loro figli da una scuola all’altra nel bel mezzo dell’anno scolastico senza l’autorizzazione delle autorità scolastiche; inoltre, la loro partenza ha lasciato la scuola Beis Yaakov con un numero troppo esiguo di bambini per poter funzionare.

Martedì scorso, la Corte Suprema aveva stabilito che entro giovedì i genitori dovevano riportare le loro figlie alla scuola in cui era stato rimosso il regime di segregazione, o presentarsi al carcere.

Il chiaro atteggiamento di sfida da parte dei genitori ha portato la leader dell’opposizione Tzipi Livni ad interrogarsi apertamente sul futuro dello stato di diritto in Israele e sul silenzio assordante dei ministri del governo, che hanno paura di offendere i partiti ultra-ortodossi che hanno in mano le sorti dell’esecutivo. “Ho sentito che c’è un gruppo di persone che ha detto in anticipo che si rifiuta di accettare una decisione della Corte Suprema”, ha detto la Livni ai suoi sostenitori questa settimana. “Non c’è spazio per queste dichiarazioni in uno stato democratico. Io non sono una fan del coinvolgimento della Corte Suprema in tutte le questioni, ma quando la leadership politica e statale non accetta le decisioni basate sui valori dello Stato di Israele, la Corte Suprema non ha scelta”.

Aviad Hacohen, l’avvocato che ha presentato la petizione alla Suprema Corte per conto di Yoav Lalum, presidente dell’associazione Noar Kahalacha, che combatte la discriminazione etnica nelle scuole religiose, ha detto al Time Magazine che il rifiuto degli Slonimer di permettere che le loro figlie frequentino la scuola con le bambine mizrahite ha portato all’esclusione dalla scuola di decine di queste ultime a partire dallo scorso autunno. E – ha ammonito – il problema dell’insediamento di Emanuel è solo la punta dell’iceberg ultra-ortodosso che minaccia di far sprofondare lo stato di diritto in Israele.

“Ciò può portare a una vera anarchia”, dice Hacohen. “Spero che lo stato di diritto prevalga, altrimenti la questione non finirà qui, con gli ultra-ortodossi ed altri che faranno lo stesso. Vorrei poter dire che la legge vincerà, ma non ne sono sicuro.”

Matthew Kalman è un giornalista e regista residente a Gerusalemme dal 1998; oltre a essere corrispondente del Time Magazine, ha scritto su Newsweek, Boston Globe, USA Today, ecc.; ha prodotto reportage per televisioni come l’americana PBS e la britannica Channel 4

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3 Commenti:

Alle 25 giugno 2010 alle ore 08:23 , Anonymous Ale ha detto...

Dove è scritto della rimozione dell'embargo a gaza? da nessuna partè!!!vi aspettavate qualcos'altro da Vichi l'ipocrita?

 
Alle 25 giugno 2010 alle ore 10:26 , Blogger vichi ha detto...

Vorrei dirti che almeno la libertà di scrivere su quel che mi pare me la potresti lasciare!

Rimozione dell'embargo, dici? E quando è successo, finora possono entrare in più il ketchup e il coriandolo! La decisione - fin'ora solo annunciata - riguarda solo gli aiuti umanitari, non anche materiali, pezzi di ricambio e quant'altro servirebbe a far ripartire le industrie di Gaza.

Non riguarda la libera esportazione e, soprattutto, non riguarda la libertà di movimento delle persone, come ha già dimostrato israele vietando l'ingresso persino a una delegazione tedesca di alto livello.

La solita cosmesi propagandistica di cui mi riservo comunque, stai tranquillo, di parlare.

Resta da dire che per tre anni israele ha illegalmente (e inutilmente) costretto alla fame 1,7 milioni di Palestinesi della Striscia di Gaza. E solo la reazione indignata del mondo al massacro avvenuto sulla Mavi Marmara ha costretto israele ad "accorgersi" della criminale punizione collettiva imposta ad una popolazione innocente.

 
Alle 25 giugno 2010 alle ore 13:16 , Blogger vichi ha detto...

Sull'argomento, si veda anche questo interessante articolo:
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=33185

 

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