Quegli ebrei "scomodi".
Nello sforzo inesausto di accreditarsi come il focolare domestico di tutti gli ebrei, Israele ha raccattato gente un po’ dappertutto nel mondo, compresi coloro che da generazioni con la Palestina non avevano nulla a che spartire, cacciando dalle loro terre gli originari residenti arabi, a cui tutt’ora viene negato quel diritto fondamentale – sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – che è il diritto al ritorno.
Così è stato anche per i Falasha, gli ebrei di origine etiope trasportati in Israele con una serie di imponenti ponti aerei a partire dal 1984-5 e fino al maggio del 1991 (con la cd. “Operazione Salomone”), i quali attualmente in Israele costituiscono una minoranza composta da quasi centomila persone.
E tuttavia questi ebrei “importati” non hanno mai avuto vita facile in Israele, ed anzi hanno subito delle forti crisi di rigetto.
Sporchi, neri ed ignoranti, usi a tradizioni barbare, non sono riusciti ad integrarsi in quel magnifico e civile Paese che è Israele e, a causa dell’alta percentuale di disoccupati, di anziani e di bambini da assistere, hanno cominciato a pesare sempre più sulle finanze dello Stato ebraico.
Così in Israele, per limitare i costi del Welfare, la Mutua generale – braccio operativo del Ministero della Sanità – ha pensato bene di varare una decisa politica di contraccezione di massa nei confronti di questa minoranza etiope, un tempo tra i gruppi etnici più prolifici del Paese.
Come si può notare, il problema demografico continua a costituire una vera e propria ossessione per i governanti e i burocrati israeliani…
Così, ad un certo punto, a molte donne falasha è stato proposto di assumere il “depo-provera”, un anticoncezionale sotto forma di iniezione i cui effetti durano circa tre mesi: il risultato è stato sorprendente, laddove si consideri che, in una comunità in cui i bambini erano in media 5-6 per famiglia, vanno sparendo i nuclei familiari.
Secondo il quotidiano “La Repubblica” del 7 gennaio, da cui in larga parte è tratto questo articolo, nel quartiere di Pardes Katz, a Beni Berak (cittadina nei pressi di Tel Aviv), tra le cento famiglie di etiopi, negli ultimi tre anni, è nata solo una bambina.
Il problema è che nessuno spiega a questa povera gente quali sono i pesanti effetti collaterali del “depo-provera”, che vanno dal semplice mal di testa alla depressione all’osteoporosi, nessuno dice agli uomini che le loro donne fanno queste iniezioni e quali sono gli effetti, nessuno informa le donne che esistono in realtà altri metodi anticoncezionali più semplici e con minori ricadute sulla loro salute, come la pillola.
La notizia di questa campagna anticoncezionale “mirata” – svelata al pubblico dal quotidiano “Yedioth Ahronoth – ha suscitato un certo numero di polemiche in Israele, ed alcuni intellettuali ne hanno apertamente parlato come di una pratica razzista.
Il portavoce della Mutua israeliana, naturalmente, ha respinto ogni accusa, affermando che il medicinale in questione viene distribuito indistintamente a tutta la popolazione, con la dovuta informazione.
Eppure non pare che sia esattamente così, visto che una delle donne intervistate ha affermato: “quando siamo arrivati, ci hanno detto che mantenere i bambini qui è molto difficile; poi, ci hanno proposto una medicina di cui non so nulla”.
Secondo Yossi Yonah, professore di filosofia all’Università Ben Gurion, “in Israele si incoraggia la natalità in maniera selettiva, non si proporrebbe mai l’iniezione anticoncezionale agli ebrei ortodossi”.
E poi, proseguendo, mette il dito sulla piaga: “La comunità etiope si sente rifiutata … Cosa dire del sangue donato dai Falasha e poi gettato? E della discriminazione nelle scuole? Tutto questo puzza di razzismo”.
Ed è proprio questo il punto – già ne avevamo parlato – Israele è uno Stato profondamente intriso di razzismo, usualmente rivolto nei confronti della minoranza araba.
Secondo l’Israeli Democracy Index 2007, solo il 50% degli Israeliani ritiene che arabi ed ebrei debbano avere uguali diritti, mentre il 55% degli ebrei israeliani sostengono l’idea che il governo debba incoraggiare gli arabi ad “emigrare”.
Uno studio del Center Against Racism (Index of racism for 2006), pubblicato nell’aprile del 2007, riporta dati ancora più agghiaccianti: il 49,9% degli ebrei, quando sente parlare per strada in arabo, prova un senso di paura, il 31,3% disgusto, il 43,6% disagio, mentre il 30,7% prova odio.
Addirittura il 75,3% degli intervistati dichiara che non accetterebbe mai di vivere in uno stesso edificio insieme ad arabi, il 61,4% rifiuterebbe di far visitare loro la propria casa, mentre il 55,6% si dichiara d’accordo a che arabi ed ebrei dispongano di strutture ricreative differenziate.
Questi sentimenti fraterni, naturalmente, si riflettono nella legislazione e nella pratica amministrativa, tanto da aver spinto un ex ministro israeliano, il laburista Ophir Pines-Paz, a dichiarare che la politica di Israele verso i cittadini arabi è caratterizzata da una “discriminazione istituzionale”.
Così la minoranza araba (circa il 20% della popolazione) è discriminata con riguardo all’unificazione familiare, all’assegnazione delle terre, all’erogazione di fondi per il welfare e di quelli per lo sviluppo: su quest’ultimo punto Mohammad Barakeh, leader del partito Hadash, ha recentemente denunciato alla Knesset che solo il 4% dei fondi per lo sviluppo viene destinato in favore delle popolazioni arabe.
La minoranza beduina, in particolare, è poi costantemente sotto attacco da parte del governo israeliano, che tende a confiscarne le terre per destinarle a sempre nuovi insediamenti urbani e a comunità agricole “solo per ebrei” nel deserto del Negev.
Adesso assistiamo a questa nuova pratica razzista, stavolta ai danni degli ebrei “neri” ormai divenuti scomodi e indesiderati, una subdola e sconcertante campagna di controllo delle nascite condotta con metodi indegni di un Paese civile.
Chissà che cosa ne penserebbe Papa Ratzinger…
Così è stato anche per i Falasha, gli ebrei di origine etiope trasportati in Israele con una serie di imponenti ponti aerei a partire dal 1984-5 e fino al maggio del 1991 (con la cd. “Operazione Salomone”), i quali attualmente in Israele costituiscono una minoranza composta da quasi centomila persone.
E tuttavia questi ebrei “importati” non hanno mai avuto vita facile in Israele, ed anzi hanno subito delle forti crisi di rigetto.
Sporchi, neri ed ignoranti, usi a tradizioni barbare, non sono riusciti ad integrarsi in quel magnifico e civile Paese che è Israele e, a causa dell’alta percentuale di disoccupati, di anziani e di bambini da assistere, hanno cominciato a pesare sempre più sulle finanze dello Stato ebraico.
Così in Israele, per limitare i costi del Welfare, la Mutua generale – braccio operativo del Ministero della Sanità – ha pensato bene di varare una decisa politica di contraccezione di massa nei confronti di questa minoranza etiope, un tempo tra i gruppi etnici più prolifici del Paese.
Come si può notare, il problema demografico continua a costituire una vera e propria ossessione per i governanti e i burocrati israeliani…
Così, ad un certo punto, a molte donne falasha è stato proposto di assumere il “depo-provera”, un anticoncezionale sotto forma di iniezione i cui effetti durano circa tre mesi: il risultato è stato sorprendente, laddove si consideri che, in una comunità in cui i bambini erano in media 5-6 per famiglia, vanno sparendo i nuclei familiari.
Secondo il quotidiano “La Repubblica” del 7 gennaio, da cui in larga parte è tratto questo articolo, nel quartiere di Pardes Katz, a Beni Berak (cittadina nei pressi di Tel Aviv), tra le cento famiglie di etiopi, negli ultimi tre anni, è nata solo una bambina.
Il problema è che nessuno spiega a questa povera gente quali sono i pesanti effetti collaterali del “depo-provera”, che vanno dal semplice mal di testa alla depressione all’osteoporosi, nessuno dice agli uomini che le loro donne fanno queste iniezioni e quali sono gli effetti, nessuno informa le donne che esistono in realtà altri metodi anticoncezionali più semplici e con minori ricadute sulla loro salute, come la pillola.
La notizia di questa campagna anticoncezionale “mirata” – svelata al pubblico dal quotidiano “Yedioth Ahronoth – ha suscitato un certo numero di polemiche in Israele, ed alcuni intellettuali ne hanno apertamente parlato come di una pratica razzista.
Il portavoce della Mutua israeliana, naturalmente, ha respinto ogni accusa, affermando che il medicinale in questione viene distribuito indistintamente a tutta la popolazione, con la dovuta informazione.
Eppure non pare che sia esattamente così, visto che una delle donne intervistate ha affermato: “quando siamo arrivati, ci hanno detto che mantenere i bambini qui è molto difficile; poi, ci hanno proposto una medicina di cui non so nulla”.
Secondo Yossi Yonah, professore di filosofia all’Università Ben Gurion, “in Israele si incoraggia la natalità in maniera selettiva, non si proporrebbe mai l’iniezione anticoncezionale agli ebrei ortodossi”.
E poi, proseguendo, mette il dito sulla piaga: “La comunità etiope si sente rifiutata … Cosa dire del sangue donato dai Falasha e poi gettato? E della discriminazione nelle scuole? Tutto questo puzza di razzismo”.
Ed è proprio questo il punto – già ne avevamo parlato – Israele è uno Stato profondamente intriso di razzismo, usualmente rivolto nei confronti della minoranza araba.
Secondo l’Israeli Democracy Index 2007, solo il 50% degli Israeliani ritiene che arabi ed ebrei debbano avere uguali diritti, mentre il 55% degli ebrei israeliani sostengono l’idea che il governo debba incoraggiare gli arabi ad “emigrare”.
Uno studio del Center Against Racism (Index of racism for 2006), pubblicato nell’aprile del 2007, riporta dati ancora più agghiaccianti: il 49,9% degli ebrei, quando sente parlare per strada in arabo, prova un senso di paura, il 31,3% disgusto, il 43,6% disagio, mentre il 30,7% prova odio.
Addirittura il 75,3% degli intervistati dichiara che non accetterebbe mai di vivere in uno stesso edificio insieme ad arabi, il 61,4% rifiuterebbe di far visitare loro la propria casa, mentre il 55,6% si dichiara d’accordo a che arabi ed ebrei dispongano di strutture ricreative differenziate.
Questi sentimenti fraterni, naturalmente, si riflettono nella legislazione e nella pratica amministrativa, tanto da aver spinto un ex ministro israeliano, il laburista Ophir Pines-Paz, a dichiarare che la politica di Israele verso i cittadini arabi è caratterizzata da una “discriminazione istituzionale”.
Così la minoranza araba (circa il 20% della popolazione) è discriminata con riguardo all’unificazione familiare, all’assegnazione delle terre, all’erogazione di fondi per il welfare e di quelli per lo sviluppo: su quest’ultimo punto Mohammad Barakeh, leader del partito Hadash, ha recentemente denunciato alla Knesset che solo il 4% dei fondi per lo sviluppo viene destinato in favore delle popolazioni arabe.
La minoranza beduina, in particolare, è poi costantemente sotto attacco da parte del governo israeliano, che tende a confiscarne le terre per destinarle a sempre nuovi insediamenti urbani e a comunità agricole “solo per ebrei” nel deserto del Negev.
Adesso assistiamo a questa nuova pratica razzista, stavolta ai danni degli ebrei “neri” ormai divenuti scomodi e indesiderati, una subdola e sconcertante campagna di controllo delle nascite condotta con metodi indegni di un Paese civile.
Chissà che cosa ne penserebbe Papa Ratzinger…
Etichette: anticoncezionali, falasha, Israele, razzismo
1 Commenti:
Complimenti del suo bel blog,si vede che lei e una brava persona.
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