La ricompensa umanitaria per il silenzio
Sovente i cantori della più becera propaganda
filo-israeliana di casa nostra mettono in evidenza come i palestinesi siano
percettori di generosi aiuti finanziari, accusandoli senza mezzi termini di
essere degli “scrocconi” e di vivere alle spalle dei contribuenti europei.
Ma la verità sta esattamente all’opposto: gli aiuti
internazionali al popolo palestinese servono solo a rimediare ai guasti e ai
crimini dell’occupazione israeliana. Di più, la “generosità” degli stati dell’occidente
è solo un modo per farsi perdonare l’accettazione dello status quo
dell’occupazione israeliana, del blocco di Gaza, dell’espansione delle colonie,
del regime di apartheid che vige nella West Bank.
E questo il senso del bell’articolo che segue, scritto da
Amira Hass per Ha’aretz. Va soprattutto evidenziato come la giornalista metta
giustamente in chiaro come ogni sorta di collaborazione con lo stato-canaglia
israeliano, nel campo militare così come nelle relazioni commerciali, ma anche
nel campo culturale ed accademico, altro non rappresenta se non un implicito
incoraggiamento allo stato ebraico a perseguire nelle sue politiche illegali e
immorali.
I generosi aiuti
forniti ai Palestinesi attraverso vari canali sono la ricompensa offerta dagli
stati occidentali per la tolleranza da loro mostrata nei confronti
dell’apartheid israeliano.
di Amira Hass - 6.2.2013
C’è qualcosa di
imbarazzante, persino di umiliante, nei due o nei tre o negli stormi di
fuoristrada che accorrono verso il luogo di un disastro. I passeggeri di lingua
straniera ne emergono per registrare accuratamente i danni, valutare gli aiuti
necessari e quindi discutere del modo con cui fornirli. In seguito pubblicano i
loro accertamenti e le loro conclusioni in relazioni ad uso interno e in
brochure patinate contenenti immagini spettacolari, perché la sofferenza è
fotogenica.
Anche quando queste squadre di soccorso sono estremamente altruiste, compassionevoli e scrupolose, l’aura del loro mondo ordinario, confortevole e salubre le circonda, isolandole da coloro per i quali la catastrofe è una routine. I primi si guadagnano da vivere con le calamità, i secondi le vivono. Non c’è bisogno di esser cinici, è lo scenario che è cinico per definizione.
Anche quando queste squadre di soccorso sono estremamente altruiste, compassionevoli e scrupolose, l’aura del loro mondo ordinario, confortevole e salubre le circonda, isolandole da coloro per i quali la catastrofe è una routine. I primi si guadagnano da vivere con le calamità, i secondi le vivono. Non c’è bisogno di esser cinici, è lo scenario che è cinico per definizione.
Anche nei disastri
naturali una gran parte della responsabilità ricade su inadempienze
amministrative, atti umani, criminale negligenza il cui unico effetto è quello
di perpetuare le differenze di classe. Ma almeno quando la causa immediata è
una tempesta o un terremoto c’è una dimensione di ineluttabilità. Si determina
la portata del disastro ma non il suo verificarsi.
I team internazionali
che raggiungono con le jeep ogni angolo della Cisgiordania, di Gerusalemme est
e della Striscia di Gaza vivono di calamità che sono al 100% opera dell’uomo,
un fatto che moltiplica il cinismo dello scenario. I camion cisterna di acqua
potabile che regolarmente finanziano, i pacchi alimentari che distribuiscono a
intervalli di poche settimane o mesi e le tende piantate ogni settimana sulle
rovine di una casa demolita significano l’ennesimo successo israeliano: comprimere
e ridurre la questione palestinese da una battaglia per la libertà, l’indipendenza
e i diritti ad una questione di elemosina e di soccorso, di donazioni
internazionali e del loro tempismo.
I palestinesi
“bisognosi” che ricevono donazioni di acqua, cibo e tende ad Hammamat al-Maleh,
a Beit Lahia e a Shoafat sono bisognosi perché i tipici israeliani – la crema
dei sistemi scolastici statali e statali-religiosi, gli alti ufficiali di
carriera dell’esercito – che possono guardare ad un futuro splendido da civili
nell’alta tecnologia o nei servizi pubblici si specializzano nell’abusare di
loro. Che cos’è, se non un abuso, una tubazione da un capo all’altro del vostro
terreno ad Al Farisya, nel nord della valle del Giordano, che porta l’acqua
alle case ebraiche costruite sulla terra del vostro villaggio, ma dalla quale
vi è proibito di prendere anche solo una goccia? Che cos’è, se non
maltrattamento, lo sparare di routine alle persone che si sostentano con la
pesca o la raccolta di rifiuti? E cos’è, se non sadismo, lo sfrattare le
persone dalle loro case nei quartieri di Sheikh Jarrah e di Silwan, a
Gerusalemme est, o il rifiutarsi di registrare i bambini sulle carte d’identità
delle loro madri che vivono a Gerusalemme?
Il pubblico per tutti
questi rapporti che descrivono questi abusi e che sono stati scritti da questi
team scrupolosi è costituito dagli alti diplomatici di stanza a Bruxelles,
nelle capitali europee e nel Nord America. Si suppone che le informazioni siano
trasmesse ai ministri degli esteri e ai governi. Gran parte di esse
presumibilmente lo sono. Ma questi governi hanno preso la decisione politica
consapevole di rimanere radicati nell’ipocrisia e di astenersi da un intervento
politico. Piuttosto, si limitano a pagare per spegnere qualche incendio.
Anche questo è un enorme
successo israeliano: la costante, quotidiana preoccupazione internazionale per
le conseguenze della dominazione sui palestinesi e dell’acquisizione delle loro
terre da parte di Israele è di natura umanitaria piuttosto che politica. Contro
la loro volontà, quanti si impegnano in questo sforzo umanitario costituiscono
una foglia di fico per gli stati occidentali che sulla carta sostengono i
diritti e l’indipendenza dei palestinesi mentre nella pratica accettano
l’apartheid israeliano.
L’apartheid genera i
casi umanitari palestinesi nell’interesse dei quali si tengono importanti
conferenze e dai quali molti burocrati palestinesi e stranieri si guadagnano
(bene) da vivere. I generosi aiuti forniti ai palestinesi attraverso vari
canali sono la ricompensa offerta dagli stati occidentali in cambio della
tolleranza da essi mostrata nei confronti dell’apartheid israeliano e
dell’incoraggiamento che gli forniscono, sotto forma di stretti legami nel
settore della difesa, del miglioramento delle relazioni commerciali e degli
scambi culturali e scientifici.
Etichette: aiuti umanitari, crimini israeliani, occupazione, palestina
2 Commenti:
e poi qualcuno si meraviglia che esista ancora l'antisemitismo!
L'antisemitismo sè lò costruiscono loro con lè proprie mani ogni giorno.Fanno proprio schifo,assieme a quelli che li proteggono
antisimitismo c e da sempre
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