21 febbraio 2013

La ricompensa umanitaria per il silenzio


Sovente i cantori della più becera propaganda filo-israeliana di casa nostra mettono in evidenza come i palestinesi siano percettori di generosi aiuti finanziari, accusandoli senza mezzi termini di essere degli “scrocconi” e di vivere alle spalle dei contribuenti europei.

Ma la verità sta esattamente all’opposto: gli aiuti internazionali al popolo palestinese servono solo a rimediare ai guasti e ai crimini dell’occupazione israeliana. Di più, la “generosità” degli stati dell’occidente è solo un modo per farsi perdonare l’accettazione dello status quo dell’occupazione israeliana, del blocco di Gaza, dell’espansione delle colonie, del regime di apartheid che vige nella West Bank.

E questo il senso del bell’articolo che segue, scritto da Amira Hass per Ha’aretz. Va soprattutto evidenziato come la giornalista metta giustamente in chiaro come ogni sorta di collaborazione con lo stato-canaglia israeliano, nel campo militare così come nelle relazioni commerciali, ma anche nel campo culturale ed accademico, altro non rappresenta se non un implicito incoraggiamento allo stato ebraico a perseguire nelle sue politiche illegali e immorali.

I generosi aiuti forniti ai Palestinesi attraverso vari canali sono la ricompensa offerta dagli stati occidentali per la tolleranza da loro mostrata nei confronti dell’apartheid israeliano.

di Amira Hass - 6.2.2013

C’è qualcosa di imbarazzante, persino di umiliante, nei due o nei tre o negli stormi di fuoristrada che accorrono verso il luogo di un disastro. I passeggeri di lingua straniera ne emergono per registrare accuratamente i danni, valutare gli aiuti necessari e quindi discutere del modo con cui fornirli. In seguito pubblicano i loro accertamenti e le loro conclusioni in relazioni ad uso interno e in brochure patinate contenenti immagini spettacolari, perché la sofferenza è fotogenica.

Anche quando queste squadre di soccorso sono estremamente altruiste, compassionevoli e scrupolose, l’aura del loro mondo ordinario, confortevole e salubre le circonda, isolandole da coloro per i quali la catastrofe è una routine. I primi si guadagnano da vivere con le calamità, i secondi le vivono. Non c’è bisogno di esser cinici, è lo scenario che è cinico per definizione.

Anche nei disastri naturali una gran parte della responsabilità ricade su inadempienze amministrative, atti umani, criminale negligenza il cui unico effetto è quello di perpetuare le differenze di classe. Ma almeno quando la causa immediata è una tempesta o un terremoto c’è una dimensione di ineluttabilità. Si determina la portata del disastro ma non il suo verificarsi.    

I team internazionali che raggiungono con le jeep ogni angolo della Cisgiordania, di Gerusalemme est e della Striscia di Gaza vivono di calamità che sono al 100% opera dell’uomo, un fatto che moltiplica il cinismo dello scenario. I camion cisterna di acqua potabile che regolarmente finanziano, i pacchi alimentari che distribuiscono a intervalli di poche settimane o mesi e le tende piantate ogni settimana sulle rovine di una casa demolita significano l’ennesimo successo israeliano: comprimere e ridurre la questione palestinese da una battaglia per la libertà, l’indipendenza e i diritti ad una questione di elemosina e di soccorso, di donazioni internazionali e del loro tempismo.  

I palestinesi “bisognosi” che ricevono donazioni di acqua, cibo e tende ad Hammamat al-Maleh, a Beit Lahia e a Shoafat sono bisognosi perché i tipici israeliani – la crema dei sistemi scolastici statali e statali-religiosi, gli alti ufficiali di carriera dell’esercito – che possono guardare ad un futuro splendido da civili nell’alta tecnologia o nei servizi pubblici si specializzano nell’abusare di loro. Che cos’è, se non un abuso, una tubazione da un capo all’altro del vostro terreno ad Al Farisya, nel nord della valle del Giordano, che porta l’acqua alle case ebraiche costruite sulla terra del vostro villaggio, ma dalla quale vi è proibito di prendere anche solo una goccia? Che cos’è, se non maltrattamento, lo sparare di routine alle persone che si sostentano con la pesca o la raccolta di rifiuti? E cos’è, se non sadismo, lo sfrattare le persone dalle loro case nei quartieri di Sheikh Jarrah e di Silwan, a Gerusalemme est, o il rifiutarsi di registrare i bambini sulle carte d’identità delle loro madri che vivono a Gerusalemme?    

Il pubblico per tutti questi rapporti che descrivono questi abusi e che sono stati scritti da questi team scrupolosi è costituito dagli alti diplomatici di stanza a Bruxelles, nelle capitali europee e nel Nord America. Si suppone che le informazioni siano trasmesse ai ministri degli esteri e ai governi. Gran parte di esse presumibilmente lo sono. Ma questi governi hanno preso la decisione politica consapevole di rimanere radicati nell’ipocrisia e di astenersi da un intervento politico. Piuttosto, si limitano a pagare per spegnere qualche incendio.

Anche questo è un enorme successo israeliano: la costante, quotidiana preoccupazione internazionale per le conseguenze della dominazione sui palestinesi e dell’acquisizione delle loro terre da parte di Israele è di natura umanitaria piuttosto che politica. Contro la loro volontà, quanti si impegnano in questo sforzo umanitario costituiscono una foglia di fico per gli stati occidentali che sulla carta sostengono i diritti e l’indipendenza dei palestinesi mentre nella pratica accettano l’apartheid israeliano.

L’apartheid genera i casi umanitari palestinesi nell’interesse dei quali si tengono importanti conferenze e dai quali molti burocrati palestinesi e stranieri si guadagnano (bene) da vivere. I generosi aiuti forniti ai palestinesi attraverso vari canali sono la ricompensa offerta dagli stati occidentali in cambio della tolleranza da essi mostrata nei confronti dell’apartheid israeliano e dell’incoraggiamento che gli forniscono, sotto forma di stretti legami nel settore della difesa, del miglioramento delle relazioni commerciali e degli scambi culturali e scientifici.     

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22 maggio 2012

Dov'è la moralità di questi soldati?



Domenica scorsa un ragazzo palestinese di 18 anni, Salah Sghayyar, è stato ferito dai soldati israeliani nei pressi dell’insediamento colonico di Etzion, situato tra Betlemme ed Hebron. Secondo l’Idf, il giovane avrebbe tentato di accoltellare un soldato israeliano e sarebbe rimasto ferito nella colluttazione ovvero, secondo altre fonti, sarebbe stato colpito al petto da colpi d’arma da fuoco, ma non è questo l’aspetto più tragico della vicenda.

No, l’aspetto più terribile e rivoltante dell’accaduto è che, mentre il ragazzo giaceva a terra sanguinante, incapace di muoversi, forse morente, i bravi soldati israeliani gli calpestavano le mani e si mettevano in posa per scattare qualche foto con il loro prezioso “trofeo” ormai abbattuto.

Davvero non ci sono parole per commentare questa foto, non si riesce a capire dove sia andato a finire quel briciolo di umanità che dovrebbe pur albergare in ogni uomo, anche in un soldato di un esercito di occupazione. Dov’è la moralità di questi soldati, dov’è la moralità di questo esercito in cui prestano servizio simili bestie spietate?

Definirle vili canaglie sembra persino riduttivo, e non rende bene la rabbia e l’indignazione che montano davanti a questo orrendo spettacolo.

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17 maggio 2011

La distruzione delle risorse naturali palestinesi: l'arma più subdola di Israele

Tra le tante armi che Israele ha usato e usa contro la popolazione civile della Striscia di Gaza, quella più subdola e devastante è probabilmente rappresentata dalla distruzione delle risorse ambientali palestinesi, attuata sotto varie forme, dall’inquinamento della falda acquifera allo sradicamento di centinaia di migliaia di alberi alla contaminazione intenzionale dei terreni agricoli con sostanze tossiche e radioattive.

Di questo tratta l’articolo che segue, scritto da Mahmoud Bakr per l’edizione di Al-Ahram Weekly di due settimane addietro, qui proposto nella traduzione di
Medarabnews.


Negli ultimi decenni i territori palestinesi hanno dovuto affrontare una serie di problemi ambientali che hanno inquinato e distrutto l’ambiente in modo rapido e grave, soprattutto a causa delle politiche dell’occupazione israeliana. Anche un incremento della popolazione ha aumentato l’inquinamento, la produzione di rifiuti e il logoramento delle varie risorse naturali. Per proteggere l’ambiente palestinese e le risorse ancora disponibili, l’Autorità Palestinese (ANP) nel 1996 creò l’Environment Quality Authority (EQA). Questo è l’ente governativo responsabile della pianificazione strategica, della legislazione, del monitoraggio e della regolamentazione di tutte le questioni ambientali. E’ inoltre responsabile del coordinamento tra tutti gli enti locali, regionali e internazionali per tutelare e sviluppare l’ambiente palestinese.

Abbiamo incontrato il principale funzionario palestinese responsabile per l’ambiente, con una delegazione di giovani presso il terzo Arab Universities Youth Forum, patrocinato dalla Youth and Environment Union a Sharm El-Sheikh.

Il direttore dell’EQA Youssef Kamel Ibrahim ha affermato che l’occupazione sionista ha fino ad ora fatto dell’ambiente un elemento del conflitto. Ci sono molti indicatori che dimostrano come le risorse e l’ambiente palestinese siano il bersaglio di una guerra di logoramento, come ad esempio i bombardamenti contro le risorse idriche e il pozzo principale che fornisce acqua alla città di Gaza, oltre ai danni intenzionali di vaste aree, tra cui lo sradicamento intenzionale di più di 500.000 alberi. Egli ha inoltre osservato che la carenza d’acqua nella regione occidentale e le scarse risorse alimentari nella parte orientale costituiscono la realtà odierna del popolo palestinese. Si tratta di un tentativo dell’occupazione finalizzato al controllo delle risorse idriche e alimentari in Palestina, ha affermato Kamel. Circa il 25% della regione di Al-Aghwar è diventata una zona militare occupata, e il popolo palestinese ne controlla meno del 40%. Egli ha aggiunto che le forze di occupazione hanno scavato 27 pozzi per raccogliere l’acqua piovana prima che essa defluisca verso i palestinesi.

Kamel ha osservato che studi geografici e geologici e alcune mappe dimostrano l’esistenza di un legame geologico tra Rafah e Sheikh Zowayd in Egitto, e la Rafah palestinese e la Striscia di Gaza fino alla città di Ashdod, occupata nel 1948. Questa connessione geologica indica che la falda acquifera sotterranea nella Striscia di Gaza si estende fino al confinante Sinai settentrionale a Rafah, Sheikh Zowayd e Areesh, il che significa che qualsiasi inquinamento del bacino idrico sotterraneo a Gaza si estenderebbe ad altre parti ad esso collegate, sia in Egitto che nei territori occupati.

Uno studio delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale ha dimostrato che il bacino sotterraneo di Gaza è profondamente contaminato da sostanze inquinanti di nitrato e cloruro che raggiungono livelli record al di sopra di standard accettabili. Alcuni studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dimostrano che il nitrato permesso per il consumo umano non deve superare i 250 mg per litro, ma l’acqua in alcune zone vicino al confine di Gaza con l’Egitto, come Khan Younis e Rafah, ne contiene più di 2500mg. Ciò dimostra che l’inquinamento ha raggiunto il bacino egiziano di Rafah e da lì potrebbe inquinare Sheikh Zowayd e Areesh.

Secondo Kamel, l’elevata concentrazione di inquinanti di nitrato nelle acque di Gaza presenta un alto rischio di avvelenamento tra i neonati, soprattutto nelle zone rurali. Il programma ambientale dell’ONU stima che sono necessari 1,5 miliardi di dollari per i prossimi due decenni per ripristinare la falda acquifera sotterranea alla sua condizione precedente, cosa che comprende la costruzione di impianti di desalinizzazione per ridurre la necessità di risorse idriche sotterranee.

Il direttore dell’EQA ha evidenziato i pericoli rappresentati dalle sostanze tossiche e radioattive che Israele scarica nella Striscia di Gaza, che si sciolgono e si decompongono nel suolo e raggiungono il bacino idrico sotterraneo. Questi rifiuti tossici, radioattivi e pericolosi possono raggiungere l’Egitto attraverso gli strati geologici e la falda acquifera sotterranea. Kamel ha spiegato che questo inquinamento potrebbe non essere nemmeno avvertito dagli egiziani in quanto essi utilizzano acqua proveniente dal Nilo, e non da serbatoi sotterranei. Ma, egli ha avvertito, se in qualsiasi momento vi fosse una crisi idrica in Egitto, il paese potrebbe essere costretto a utilizzare l’acqua sotterranea presente nel nord del Sinai. Gli egiziani potrebbero rimanere sorpresi dal fatto che l’acqua sotterranea è inadatta al consumo umano o all’agricoltura, ha detto Kamel.

Egli ha aggiunto che alcuni studi dimostrano che circa il 95% dell’acqua del bacino sotterraneo è inquinata e non idonea all’uso diretto. L’ONU ha recentemente messo in guardia contro l’utilizzo di acqua proveniente dal bacino idrico per i prossimi 20 anni, fino a quando la falda acquifera non sarà riportata al suo stato naturale, e ha incoraggiato a restaurare il bacino idrico nella Striscia di Gaza e a ricercare fonti alternative. Kamel ha affermato che aerei F-16 israeliani hanno bombardato zone disabitate, “e non ne conoscevamo il motivo finché non abbiamo scoperto che i missili utilizzati contenevano prodotti chimici tossici che danneggiano direttamente il suolo e il bacino sotterraneo. Alcuni campioni di terra e le biopsie di 90 vittime cadute durante l’ultima guerra a Gaza hanno rivelato la presenza di circa 30 minerali tossici, tra cui uranio in quantità più di 30 volte superiore rispetto ai livelli permessi”.

Il direttore dell’EQA ha affermato che i terreni agricoli e il suolo sono stati direttamente e criticamente danneggiati dalle azioni israeliane. I ripetuti attacchi con missili e munizioni di vario genere hanno causato profondi crateri nel terreno agricolo, il quale è stato anche inquinato da tossine provenienti dai missili e dalle munizioni utilizzate. Le forze di occupazione hanno anche reso i terreni aridi e sterili, in particolare quelli situati nei pressi del confine, precedentemente irrigati e coltivati con ulivi e palme.

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26 aprile 2011

Le "rappresaglie" israeliane contro i civili a Gaza

Il lavoro della temibile macchina della propaganda israeliana per nascondere e dissimulare i quotidiani crimini che l’esercito israeliano commette ai danni della popolazione civile di Gaza è molto semplice. Si tratta di modificare la realtà degli accadimenti e della loro cronologia, in tal modo ottenendo una narrazione dei “fatti” ben diversa dalla realtà.

E ciò si attua tirando una linea temporale ogni qual volta i “terroristi” che pullulano nella Striscia di Gaza pongono in essere un’azione militare di qualche tipo, ad esempio sparando i loro micidiali razzetti artigianali Qassam, linea temporale dalla quale ripartire per raccontare i fatti, in modo tale che i raid criminali di Tsahal che seguono possano essere definiti, di volta in volta, come una semplice “risposta” o “rappresaglia” o “autodifesa”.

Ma ciò è puramente e semplicemente arbitrario in un “conflitto” (molto impari, a dire il vero…) come quello israelo-palestinese, che non presenta soluzioni di continuità e per il quale è molto difficile indicare un “prima” e un “dopo”, ma il cui unico dato certo è che vi è un aggressore e una potenza occupante (Israele) e un aggredito e un popolo sotto occupazione (i Palestinesi).

La “risposta” israeliana, peraltro, assume sempre un carattere di rappresaglia dal sapore vagamente nazista, da un punto di vista sia quantitativo sia della “qualità” dei raid e delle azioni militari e degli strumenti bellici adoperati.

Così, ad esempio, nel solo arco temporale compreso tra il 30 marzo e il 12 aprile di quest’anno – il periodo più sanguinoso dall’operazione “Piombo Fuso” – i Palestinesi uccisi a Gaza sono stati ben 23 (tra cui 10 civili) e i feriti sono stati 65 (46 civili), a fronte di un ragazzino israeliano ucciso e di un altro civile lievemente ferito. Anche due degli uccisi e 15 dei Palestinesi feriti erano bambini e adolescenti (cfr. UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, Protection of Civilians Weekly Report).

Nei primi tre mesi del 2011 – senza contare dunque i morti e i feriti di aprile – Israele aveva ucciso a Gaza e in Cisgiordania 30 Palestinesi (la metà dei quali civili) e ne aveva feriti 481 (460 civili), mentre le azioni palestinesi avevano causato il ferimento di 21 Israeliani (6 civili) (cfr. UN OCHA, The Monthly Humanitarian Monitor, march 2011).

Purtroppo le dichiarazioni ufficiali di politici e capi di stato (soprattutto Usa) e i media di regime hanno spazio soltanto per la riprovazione e la condanna per i morti israeliani, mentre i morti e i feriti palestinesi non hanno volto e non fanno notizia.

Gli analisti politici e quanti si cimentano nel trovare possibili soluzioni al conflitto israelo-palestinese si concentrano sempre e soltanto sul problema dei confini, delle colonie, di Gerusalemme est e quant’altro. E, tuttavia, non si può ignorare quanto peso e quale impatto abbia ogni assassinio di civili innocenti nell’opinione pubblica palestinese e del mondo arabo in generale. La cui rabbia si accresce ancor più nel vedere che ogni crimine commesso dall’esercito israeliano – anche il più efferato – è destinato a restare senza alcun colpevole ed alcuna punizione.

Di questo ed altro tratta l’articolo che segue, scritto l’11 aprile da Samah Sabawi per il sito web The Palestine Chronicle e qui proposto nella traduzione offerta da Medarabnews.

La verità su Gaza
di Samah Sabawi – 11.4.2011

La copertura mediatica dei bombardamenti israeliani che hanno recentemente colpito Gaza, i quali hanno provocato numerosi morti e un numero ancora più alto di feriti, riecheggia la pretesa di Israele secondo cui tali bombardamenti sarebbero parte di un’escalation cominciata giovedì 7 aprile, quando militanti di Hamas hanno sparato un missile anti-carro contro uno scuolabus israeliano, ferendo in modo grave un adolescente (poi deceduto, n.d.r.) e in modo lieve l’autista. Simili affermazioni tuttavia ignorano la realtà che la violenza sistematica contro i palestinesi non è mai cessata.

In effetti, nelle settimane precedenti l’episodio dello scuolabus, tra il 16 e il 29 marzo, secondo l’Ufficio dell’ONU per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) Israele ha ucciso un totale di 14 palestinesi, tra cui 6 civili, e ne ha ferito 52, tra cui almeno 40 civili (19 bambini). In quello stesso periodo, sono stati feriti 3 civili israeliani. Il rapporto dell’OCHA chiarisce che tutte le vittime civili, e 19 tra i feriti palestinesi, sono stati il risultato di bombardamenti dei carri armati e di colpi di mortaio israeliani. Dunque, sebbene sia Hamas che Israele abbiano preso di mira i civili, Israele ha usato una forza di gran lunga più letale contro la popolazione civile. E per quanto tragico sia il ferimento di un ragazzo israeliano su un autobus, non è stato questo incidente a scatenare il bombardamento israeliano contro i palestinesi di Gaza, che è proseguito in maniera intermittente per gran parte di quest’ultimo decennio, e di certo non è ciò che ha iniziato la recente escalation.

Purtroppo, i morti e i feriti palestinesi, e le incursioni israeliane, non fanno notizia. Ma la morte di ogni bambino, di ogni uomo, e di ogni donna è sentita profondamente nella comunità di Gaza e nel resto della Palestina. Non riuscire a capire questo significa non riuscire a comprendere l’impatto delle tragedie umane su questo conflitto. Sul piano politico, questa incapacità di comprendere le tragedie umane, e come esse infiammano l’opinione pubblica araba e musulmana, ha (e continua ad avere) conseguenze disastrose per la pace e la sicurezza mondiale. All’opinione pubblica occidentale vengono risparmiate le immagini di lutto delle madri e dei padri palestinesi, ma nel mondo arabo e musulmano, queste immagini sono un costante richiamo della brutalità dell’occupazione israeliana e dell’ipocrisia delle potenze mondiali che la sostengono.

Questo squilibrio nell’informazione lascia in molti la falsa impressione che, dopo l’Operazione Piombo Fuso condotta da Israele, vi sia stata “calma” tra Israele e i palestinesi. Ma la realtà racconta una storia diversa. Infatti, dopo “Piombo Fuso” e fino al febbraio di quest’anno, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha registrato un totale di 151 palestinesi uccisi nei Territori occupati, 19 dei quali erano minorenni. Durante questo stesso periodo 9 civili israeliani sono stati uccisi dai palestinesi, tra cui un minorenne. Queste statistiche, orride come sono, non descrivono nemmeno in parte la violenza quotidiana dell’occupazione israeliana nei confronti dei palestinesi, che comprende fra l’altro le restrizioni di viaggio, l’impossibilità di accedere alle cure mediche, l’assenza di acqua potabile e di elettricità.

In effetti, la violenza dell’occupazione israeliana si presenta in molte forme. Forse la più straziante di queste forme è la punizione collettiva dei palestinesi di Gaza da parte di Israele. Mantenere l’economia “sull’orlo del collasso” – una strategia confermata dai dispacci diplomatici USA rivelati da Wikileaks come una politica israeliana sistematica – è l’obiettivo dell’assedio disumano che ha reso il 55% della popolazione di Gaza vittima dell’insicurezza alimentare e il 10% dei bambini di Gaza preda di disturbi della crescita e della malnutrizione. Gli attacchi, le incursioni e le invasioni periodicamente condotte da Israele, che comportano l’uccisione di un gran numero di civili e la distruzione sistematica dei terreni agricoli, la demolizione delle case e la distruzione delle infrastrutture civili, non sono cessate un solo giorno dopo che l’assedio fu intensificato nel 2007. Limitare la circolazione delle persone, impedire ai malati e agli studenti di lasciare Gaza, negare a parenti e persone amate il diritto di visitare la più grande prigione a cielo aperto del mondo, è una forma di violenza e di estrema punizione collettiva che colpisce l’intera popolazione.

Non dimentichiamo che il 75% della popolazione di Gaza è composta da rifugiati a cui è stato negato per 63 anni il diritto di tornare alle proprie case, all’interno di quella che oggi è Israele. La negazione da parte di Israele dei diritti dei rifugiati e la sua occupazione e colonizzazione di Gaza e della Cisgiordania, protrattasi per 43 anni, è alla radice di tutta la violenza di questo conflitto. Coloro che puntano il dito sull’ultima serie di incidenti, indicandoli come la causa della violenza, stanno semplicemente perdendo di vista il quadro generale.

Samah Sabawi è una scrittrice e attivista palestinese di nazionalità australiana; è rappresentante di Australians for Palestine

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27 dicembre 2010

Per non abbandonare Gaza, per non dimenticare i crimini israeliani!

Torino, 27 dicembre 2010

ore 16.00 – 18.30


in piazza Castello angolo via Garibaldi


presidio


PER NON DIMENTICARE I CRIMINI ISRAELIANI!



Il 27 dicembre 2010, nel momento in cui gli studenti palestinesi uscivano dalle loro scuole, l'esercito israeliano scatenava l'operazione Cast Lead (Piombo Fuso). Fino al 18 gennaio uno degli eserciti più potenti del mondo ha ucciso e ferito civili, ha distrutto numerose infrastrutture civili, comprese sedi delle Nazioni Unite. La verità è contenuta in un rapporto di circa 600 pagine, predisposto da una missione istituita dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, missione presieduta da Richard Goldstone, ex-giudice della Corte Costituzionale del Sud Africa. Il porto denuncia i crimini israeliani e inchioda il governo e l'esercito israeliano alle loro responsabilità. Ma i politici e i media, italiani e internazionali, ignorano queste notizie.



Il 31 maggio 2010 l'esercito israeliano ha attaccato in acque internazionali la Mavi Marmara, una nave diretta verso Gaza perrompere l'assedio di 1.500.000 palestinesi, iniziato nel 2006 dopo le elezioni democraticamente vinte dal partito Change and Reform (Hamas).



Sono seguiti anche in questo caso rapporti, denunce, prese di posizione e condanne dell'attacco israeliano, da parte di governi e di istituzioni internazionali. Ma l'immunità e l'impunità delle quali gode Israele, dal momento della sua costituzione, per la complicità criminale dei governi occidentali, non è stata scalfita.



BOICOTTA ISRAELE!


NON DIMENTICARE



la pulizia etnica della Palestina,

il genocidio in corso nella Striscia di Gaza,

il politicidio del popolo palestinese.


La guerra israeliana contro il Libano del 1982,

il massacro di Sabra e Chatila.

Le guerre israeliane contro i popoli arabi.

La demolizione delle case e lo sradicamento degli ulivi, l'assassinio di attivisti internazionali.


La guerra israeliana contro il Libano del 2006.

L'operazione Piombo Fuso contro la popolazione civile della Striscia di Gaza, dic 2008 – gen 2009 - 1414 palestinesi uccisi.


L'arsenale nucleare israeliano.


L'attacco contro la Mavi Marmara,

31 maggio 2010 - 9 attivisti turchi uccisi.

Gli assassini e i ferimenti quotidiani di civili,

il Muro dell'Apartheid.



La complicità e il sostegno dei governi occidentali,del governo italiano e dei governi arabi “moderati”ai criminali di guerra israeliani.


BOICOTTA ISRAELE!


Assemblea Free Palestine - Torino 27 dicembre 2010.




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Lunedì 27 dicembre


nel secondo anniversario del bombardamento sulla popolazione di Gaza


scendiamo in piazza per la Palestina!



Ore 18:00 Roma, Piazza del Campidoglio


fiaccole e candele per ricordare le 1.417 vittime dell'operazione piombo fuso

per la libertà di manifestare per la Palestina a Roma e nel mondo


Ore 20:00 Piazza Navona


foto, video, info
Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese

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