On line il sito di Bil'in in italiano.
Ricevo e pubblico volentieri il comunicato della redazione del sito in lingua italiana dedicato al villaggio di Bil’in.
E' on line (http://www.bilin-village.org/) la versione italiana del sito di Bil'in, villaggio palestinese simbolo della resistenza nonviolenta e creativa, diventato nel tempo modello di riferimento anche per gli altri villaggi che lottano contro l'occupazione israeliana. Il sito si propone di essere solo uno degli strumenti utili per diffondere a tutti i livelli il maggior numero di informazioni sulle lotte e le iniziative di Bil'in, sul movimento di solidarietà internazionale e sui principi che guidano tutte le espressioni della resistenza. Come primo passo è importante supplire al gap informativo che persiste soprattutto in Italia affinchè questa realtà e il suo messaggio vengano opportunamente tematizzati dai nostri mezzi di comunicazione.
E' on line (http://www.bilin-village.org/) la versione italiana del sito di Bil'in, villaggio palestinese simbolo della resistenza nonviolenta e creativa, diventato nel tempo modello di riferimento anche per gli altri villaggi che lottano contro l'occupazione israeliana. Il sito si propone di essere solo uno degli strumenti utili per diffondere a tutti i livelli il maggior numero di informazioni sulle lotte e le iniziative di Bil'in, sul movimento di solidarietà internazionale e sui principi che guidano tutte le espressioni della resistenza. Come primo passo è importante supplire al gap informativo che persiste soprattutto in Italia affinchè questa realtà e il suo messaggio vengano opportunamente tematizzati dai nostri mezzi di comunicazione.
Per ulteriori informazioni è possibile scrivere all'indirizzo e-mail: francesca.italia@bilin-village.org
Aggiungo solo, per chi non lo sapesse, che il villaggio di Bil’in, situato in Cisgiordania nei pressi della città di Ramallah, è da tempo luogo di manifestazioni non violente e di cortei, con cadenza settimanale, per protestare contro il muro di “sicurezza” illegale, l’esproprio delle terre palestinesi, l’espansione delle colonie, i raid dell’esercito israeliano.
A supporto di questa sacrosanta protesta, che viene imitata da un numero sempre maggiore di villaggi palestinesi, sono spesso schierati attivisti per la pace provenienti da tutto il mondo, e anche da Israele.
In quanto forma di lotta non violenta – che reclama semplicemente l’applicazione del parere della Icj dell’Aja e il ripristino della legalità internazionale – essa attira spesso le reazioni scomposte dell’amministrazione e dell’esercito israeliani.
Ancora venerdì scorso – nel corso di una marcia di protesta verso il muro di “sicurezza” che separa il villaggio dai suoi campi coltivati – i soldati israeliani hanno affrontato i manifestanti con gas lacrimogeni e proiettili rivestiti di gomma, ferendo due pacifisti, un americano e un irlandese, oltre a vari altri manifestanti colpiti dai sintomi derivanti dall’inalazione dei gas.
Intorno ai primi di giugno, nel corso di una analoga manifestazione, anche la Vice Presidente del Parlamento europeo Luisa Morgantini e il Premio Nobel per la Pace Maired Corrigan sono rimaste intossicate dai gas lacrimogeni, mentre Giulio Toscano, membro della delegazione dei Giuristi democratici, è stato lievemente ferito.
I soldati dell’Idf sono soliti affrontare i partecipanti a questi cortei – ribadiamo assolutamente pacifici – con armi che, pur se classificate come non-lethal weapons, vengono tuttavia utilizzate impropriamente e in dispregio alle regole che ne disciplinano l’uso.
I proiettili rivestiti di gomma, in particolare, possono essere letali se sparati ad una distanza inferiore a quaranta metri, come dispongono le regole di utilizzo.
Il 14 marzo ad esempio, sempre a Bil’in, un ufficiale israeliano ha sparato a distanza ravvicinata contro un manifestante disarmato, che non tirava pietre e che non poneva assolutamente in pericolo la sicurezza delle truppe di Tsahal, come evidenziato dal video messo in rete da B’tselem; il giovane, successivamente, è stato ricoverato in ospedale e operato per l’estrazione del proiettile dalla coscia.
In altri casi analoghi, sono stati feriti due cameraman e un attivista giapponese ha perso un occhio.
Queste violenze assolutamente ingiustificate dimostrano la “pericolosità” per la potenza occupante di questa straordinaria esperienza di lotta non violenta che da tre anni a questa parte ha luogo nel villaggio di Bil’in, lotta che merita di essere sostenuta e diffusa in ogni modo.
Etichette: bil'in, non violenza, palestina, west bank
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