Ma davvero Israele vuole la pace?
La tregua faticosamente raggiunta tra Israeliani e Palestinesi, in vigore da giovedì scorso, già comincia a vacillare.
Nella notte di lunedì, infatti, alcuni colpi di mortaio sono stati sparati dalla Striscia di Gaza verso Israele, e un proietto è caduto nei pressi della località di Nahal Oz senza provocare, tuttavia, né feriti né danni materiali. Secondo una portavoce dell’esercito israeliano, “Israele non ha risposto al fuoco e non ha violato la tregua”.
Se è vero che, formalmente, la tregua si limita infatti alla Striscia di Gaza e territori israeliani limitrofi, è da rilevare tuttavia che la portavoce dell’Idf ha “dimenticato” di ricordare che, qualche ora prima, i “travestiti” israeliani della Duvdevan – una unità d’elite composta da esperti sicari – avevano trucidato a sangue freddo un militante della Jihad islamica, il 25enne Tareq Abu Ghali, e un suo collega di università, il 24enne Eyad Khanfar, nel corso del consueto raid di assassinio mascherato da operazione di arresto, avvenuto nel quartiere di al-Makhfiyeh a Nablus.
Entrambi i Palestinesi erano disarmati.
Siamo sempre di fronte alla stessa questione, ancora una volta: il principale ostacolo a una tregua effettiva tra Israeliani e Palestinesi continua ad essere rappresentato dall’ostinazione con cui Israele rifiuta di estendere il cessate al fuoco alla West Bank, limitandone l’applicazione alla Striscia di Gaza; ostacolo che già molti avevano denunciato in passato, a cominciare dall’inviato Onu Alvaro De Soto nel suo “End of mission report” del maggio 2007.
Su questo aspetto verte l’articolo di Gideon Levy pubblicato domenica 22 giugno su Ha’aretz, di cui appresso riporto la traduzione.
Come sottolinea Levy, il comportamento israeliano lascia sottintendere che Israele comprende soltanto il linguaggio della forza, la pace a Gaza si fa perché Sderot è sotto tiro, la Cisgiordania invece è tranquilla, nelle mani del governo-fantoccio del Quisling di turno, e dunque lì possono tranquillamente continuare i raid militari, le aggressioni dei coloni, l’espansione degli insediamenti, le eliminazioni “mirate”.
Sorge legittimo il sospetto, dunque, che Israele non voglia realmente la pace, e che questa tregua serva soltanto a dare un po’ di respiro a un Olmert in evidente difficoltà e ad assicurare la liberazione di Gilad Shalit.
Raggiunti entrambi questi obiettivi, non sarà difficile porre in essere l’ennesima provocazione contro i militanti palestinesi, per poi accusarli di aver rotto loro la “tregua”; sarà ancora più facile, per l’ennesima volta, piangere come vitelli orfani e gridare che tra i Palestinesi non vi è un partner con cui raggiungere un accordo di pace.
Ma chi non vuole davvero la pace è ben chiaro a Gideon Levy e a quanti non hanno paura di raccontare come stanno per davvero le cose.
QUIET IS MUCK
di Gideon Levy
Una grande catastrofe si è improvvisamente abbattuta su Israele: il cessate il fuoco è entrato in vigore. Cessate il fuoco, cessate i Qassam, cessate gli assassinii, almeno per ora. Queste buone e promettenti notizie sono state accolte in Israele cupamente, con pessimismo, persino con ostilità. Al solito, i politici, gli alti comandi dell’esercito e gli esperti sono andati di pari passo nel vendere il cessate il fuoco come uno sviluppo negativo, minaccioso e disastroso.
Persino dalle persone che hanno forgiato l’accordo – il primo ministro e il ministro della difesa – non si è udita una parola di speranza; giusto per pararsi il sedere in caso di fallimento. Nessuno ha parlato di opportunità, tutti hanno parlato del rischio, che sostanzialmente è infondato. Hamas si armerà? Perché di tutti i periodi durante il cessate il fuoco? Soltanto Hamas si armerà? Noi no? Forse si armerà, e forse si accorgerà che non dovrebbe usare la forza delle armi a motivo dei benefici della pace.
E’ difficile da credere: lo scoppio di una guerra viene accolto qui con molta più simpatia e comprensione, per non dire entusiasmo, di un cessate il fuoco. Quando i guerrafondai danno il via, i nostri tam-tam unificati lanciano solo messaggi incoraggianti; quando suona il cessato allarme, quando la gente a Sderot può dormire sonni tranquilli, anche solo per un breve periodo, siamo tutti preoccupati. Questo dice qualcosa sul volto malato della collettività: la pace è robaccia, la guerra è la cosa più importante.
Ancor prima che il cessate il fuoco fosse raggiunto, tutti andavano delineando il più tetro degli scenari: l’accordo non sarà mantenuto, sarà rotto immediatamente, Hamas si armerà, Israele ha ceduto. Nessuna di queste ipotesi è necessariamente vera. Nessun profeta di sventura potrebbe suggerire una alternativa migliore al cessate il fuoco, eccetto sempre maggiori spargimenti di sangue da entrambe le parti.
La tregua potrà esser mantenuta solo se rappresenta un preludio a ulteriori positivi sviluppi; più di ogni cosa, dunque, la tregua abbisogna del vento favorevole della buona volontà e delle dichiarazioni costruttive, non di quelle distruttive. Se continuiamo ad essere così cupi, il pessimismo si concretizzerà da solo. Molto dipende da noi.
Hamas vuole la tregua perché è funzionale ai suoi scopi. Questo non è necessariamente un male per Israele. Pochi mesi di tregua e la revoca dell’orribile assedio di Gaza potrebbero creare una nuova realtà. La protesta di Noam Shalit è comprensibile, ma la nuova atmosfera di calma è proprio il momento per assicurare finalmente il rilascio di suo figlio Gilad e quello di centinaia di prigionieri palestinesi – due sviluppi positivi per entrambi i popoli.
Si, la partita a somma zero tra noi e loro è finita molto tempo fa. E’ imbarazzante che siamo i soli a non averlo interiorizzato. E si, anche il rilascio di prigionieri palestinesi, un passo sempre presentato da parte nostra come un “prezzo”, può rappresentare una conquista per Israele, non solo per i Palestinesi. Una vita nuova e un po’ migliore a Gaza potrà assicurare una nuova vita anche ad Israele. Non per nulla, i giorni in cui è stata aperta una breccia nella barriera tra Gaza e l’Egitto sono stati i più tranquilli che il Negev abbia conosciuto in due anni.
A seguito del cessate il fuoco, può nascere un governo palestinese di unità nazionale che costituisca un partner reale e non virtuale, espressione dell’intero popolo palestinese e non di metà di esso. Certo, Hamas non abbandonerà rapidamente le sue posizioni integraliste, ma sotto l’egida di un governo unitario può sorprendere la gente, per lo meno in maniera passiva. Un accordo con un governo di tal genere non sarà un accordo di marionette tra Ramallah e Gerusalemme, quello conosciuto come “shelf agreement”. Se ottenuto, sarà un vero accordo. Il cessate il fuoco ha già dimostrato che non solo Israele vuole negoziare con Hamas, ma anche Hamas vuole negoziare con Israele. Non è una buona notizia?
Se fossi primo ministro, del tipo che ritiene che senza una soluzione a due Stati Israele non può continuare ad esistere, come Ehud Olmert ha dichiarato, farei di tutto per estendere immediatamente il cessate il fuoco alla Cisgiordania. Non è affatto chiaro il motivo per cui il raggiungimento della tregua a Gaza, senza estenderla alla Cisgiordania, è considerato un successo per Israele. Un successo? Un disastro. Fino a quando la tregua non sarà raggiunta anche in Cisgiordania, la calma a Gaza resterà in bilico. A Gaza non saranno in grado di mantenere la calma per gli atti di violenza compiuti da Israele in Cisgiordania. E’ questa la ragione per cui Israele non vuole estendere il cessate il fuoco?
Quell’idea che ha attecchito tra noi, che la calma equivale alla resa, dovrebbe essere ripensata. La nostra forza risiede solo negli assassinii? Siamo diretti solo verso un bagno di sangue? Il rifiuto di estendere il cessate il fuoco alla Cisgiordania mostra anche, ancora una volta, che Israele comprende soltanto il linguaggio della forza: si accorderà per una tregua in Cisgiordania solo quando anche da là verrano lanciati i Qassam. Tutto questo che messaggio manda ai Palestinesi? Volete la pace in Cisgiordania? Per favore, lanciate i Qassam anche su Kfar Sava.
Dunque questo è qualcosa di molto più profondo di un semplice cessate il fuoco. Riguarda l’immagine di Israele. La risposta negativa israeliana al cessate il fuoco ancora una volta solleva un grave sospetto: può darsi che Israele in realtà non voglia la pace?
Nella notte di lunedì, infatti, alcuni colpi di mortaio sono stati sparati dalla Striscia di Gaza verso Israele, e un proietto è caduto nei pressi della località di Nahal Oz senza provocare, tuttavia, né feriti né danni materiali. Secondo una portavoce dell’esercito israeliano, “Israele non ha risposto al fuoco e non ha violato la tregua”.
Se è vero che, formalmente, la tregua si limita infatti alla Striscia di Gaza e territori israeliani limitrofi, è da rilevare tuttavia che la portavoce dell’Idf ha “dimenticato” di ricordare che, qualche ora prima, i “travestiti” israeliani della Duvdevan – una unità d’elite composta da esperti sicari – avevano trucidato a sangue freddo un militante della Jihad islamica, il 25enne Tareq Abu Ghali, e un suo collega di università, il 24enne Eyad Khanfar, nel corso del consueto raid di assassinio mascherato da operazione di arresto, avvenuto nel quartiere di al-Makhfiyeh a Nablus.
Entrambi i Palestinesi erano disarmati.
Siamo sempre di fronte alla stessa questione, ancora una volta: il principale ostacolo a una tregua effettiva tra Israeliani e Palestinesi continua ad essere rappresentato dall’ostinazione con cui Israele rifiuta di estendere il cessate al fuoco alla West Bank, limitandone l’applicazione alla Striscia di Gaza; ostacolo che già molti avevano denunciato in passato, a cominciare dall’inviato Onu Alvaro De Soto nel suo “End of mission report” del maggio 2007.
Su questo aspetto verte l’articolo di Gideon Levy pubblicato domenica 22 giugno su Ha’aretz, di cui appresso riporto la traduzione.
Come sottolinea Levy, il comportamento israeliano lascia sottintendere che Israele comprende soltanto il linguaggio della forza, la pace a Gaza si fa perché Sderot è sotto tiro, la Cisgiordania invece è tranquilla, nelle mani del governo-fantoccio del Quisling di turno, e dunque lì possono tranquillamente continuare i raid militari, le aggressioni dei coloni, l’espansione degli insediamenti, le eliminazioni “mirate”.
Sorge legittimo il sospetto, dunque, che Israele non voglia realmente la pace, e che questa tregua serva soltanto a dare un po’ di respiro a un Olmert in evidente difficoltà e ad assicurare la liberazione di Gilad Shalit.
Raggiunti entrambi questi obiettivi, non sarà difficile porre in essere l’ennesima provocazione contro i militanti palestinesi, per poi accusarli di aver rotto loro la “tregua”; sarà ancora più facile, per l’ennesima volta, piangere come vitelli orfani e gridare che tra i Palestinesi non vi è un partner con cui raggiungere un accordo di pace.
Ma chi non vuole davvero la pace è ben chiaro a Gideon Levy e a quanti non hanno paura di raccontare come stanno per davvero le cose.
QUIET IS MUCK
di Gideon Levy
Una grande catastrofe si è improvvisamente abbattuta su Israele: il cessate il fuoco è entrato in vigore. Cessate il fuoco, cessate i Qassam, cessate gli assassinii, almeno per ora. Queste buone e promettenti notizie sono state accolte in Israele cupamente, con pessimismo, persino con ostilità. Al solito, i politici, gli alti comandi dell’esercito e gli esperti sono andati di pari passo nel vendere il cessate il fuoco come uno sviluppo negativo, minaccioso e disastroso.
Persino dalle persone che hanno forgiato l’accordo – il primo ministro e il ministro della difesa – non si è udita una parola di speranza; giusto per pararsi il sedere in caso di fallimento. Nessuno ha parlato di opportunità, tutti hanno parlato del rischio, che sostanzialmente è infondato. Hamas si armerà? Perché di tutti i periodi durante il cessate il fuoco? Soltanto Hamas si armerà? Noi no? Forse si armerà, e forse si accorgerà che non dovrebbe usare la forza delle armi a motivo dei benefici della pace.
E’ difficile da credere: lo scoppio di una guerra viene accolto qui con molta più simpatia e comprensione, per non dire entusiasmo, di un cessate il fuoco. Quando i guerrafondai danno il via, i nostri tam-tam unificati lanciano solo messaggi incoraggianti; quando suona il cessato allarme, quando la gente a Sderot può dormire sonni tranquilli, anche solo per un breve periodo, siamo tutti preoccupati. Questo dice qualcosa sul volto malato della collettività: la pace è robaccia, la guerra è la cosa più importante.
Ancor prima che il cessate il fuoco fosse raggiunto, tutti andavano delineando il più tetro degli scenari: l’accordo non sarà mantenuto, sarà rotto immediatamente, Hamas si armerà, Israele ha ceduto. Nessuna di queste ipotesi è necessariamente vera. Nessun profeta di sventura potrebbe suggerire una alternativa migliore al cessate il fuoco, eccetto sempre maggiori spargimenti di sangue da entrambe le parti.
La tregua potrà esser mantenuta solo se rappresenta un preludio a ulteriori positivi sviluppi; più di ogni cosa, dunque, la tregua abbisogna del vento favorevole della buona volontà e delle dichiarazioni costruttive, non di quelle distruttive. Se continuiamo ad essere così cupi, il pessimismo si concretizzerà da solo. Molto dipende da noi.
Hamas vuole la tregua perché è funzionale ai suoi scopi. Questo non è necessariamente un male per Israele. Pochi mesi di tregua e la revoca dell’orribile assedio di Gaza potrebbero creare una nuova realtà. La protesta di Noam Shalit è comprensibile, ma la nuova atmosfera di calma è proprio il momento per assicurare finalmente il rilascio di suo figlio Gilad e quello di centinaia di prigionieri palestinesi – due sviluppi positivi per entrambi i popoli.
Si, la partita a somma zero tra noi e loro è finita molto tempo fa. E’ imbarazzante che siamo i soli a non averlo interiorizzato. E si, anche il rilascio di prigionieri palestinesi, un passo sempre presentato da parte nostra come un “prezzo”, può rappresentare una conquista per Israele, non solo per i Palestinesi. Una vita nuova e un po’ migliore a Gaza potrà assicurare una nuova vita anche ad Israele. Non per nulla, i giorni in cui è stata aperta una breccia nella barriera tra Gaza e l’Egitto sono stati i più tranquilli che il Negev abbia conosciuto in due anni.
A seguito del cessate il fuoco, può nascere un governo palestinese di unità nazionale che costituisca un partner reale e non virtuale, espressione dell’intero popolo palestinese e non di metà di esso. Certo, Hamas non abbandonerà rapidamente le sue posizioni integraliste, ma sotto l’egida di un governo unitario può sorprendere la gente, per lo meno in maniera passiva. Un accordo con un governo di tal genere non sarà un accordo di marionette tra Ramallah e Gerusalemme, quello conosciuto come “shelf agreement”. Se ottenuto, sarà un vero accordo. Il cessate il fuoco ha già dimostrato che non solo Israele vuole negoziare con Hamas, ma anche Hamas vuole negoziare con Israele. Non è una buona notizia?
Se fossi primo ministro, del tipo che ritiene che senza una soluzione a due Stati Israele non può continuare ad esistere, come Ehud Olmert ha dichiarato, farei di tutto per estendere immediatamente il cessate il fuoco alla Cisgiordania. Non è affatto chiaro il motivo per cui il raggiungimento della tregua a Gaza, senza estenderla alla Cisgiordania, è considerato un successo per Israele. Un successo? Un disastro. Fino a quando la tregua non sarà raggiunta anche in Cisgiordania, la calma a Gaza resterà in bilico. A Gaza non saranno in grado di mantenere la calma per gli atti di violenza compiuti da Israele in Cisgiordania. E’ questa la ragione per cui Israele non vuole estendere il cessate il fuoco?
Quell’idea che ha attecchito tra noi, che la calma equivale alla resa, dovrebbe essere ripensata. La nostra forza risiede solo negli assassinii? Siamo diretti solo verso un bagno di sangue? Il rifiuto di estendere il cessate il fuoco alla Cisgiordania mostra anche, ancora una volta, che Israele comprende soltanto il linguaggio della forza: si accorderà per una tregua in Cisgiordania solo quando anche da là verrano lanciati i Qassam. Tutto questo che messaggio manda ai Palestinesi? Volete la pace in Cisgiordania? Per favore, lanciate i Qassam anche su Kfar Sava.
Dunque questo è qualcosa di molto più profondo di un semplice cessate il fuoco. Riguarda l’immagine di Israele. La risposta negativa israeliana al cessate il fuoco ancora una volta solleva un grave sospetto: può darsi che Israele in realtà non voglia la pace?
Etichette: gaza, haaretz, Israele, levy, palestina, west bank
4 Commenti:
1 ore ore 7.56 MO: Cisgiordania, due palestinesi (miliziani)uccisi da soldati Israele
2 ore 15.31MO: tregua Gaza; due razzi verso Sderot "Un portavoce della Jihad islamica ha detto che si è trattato di una "prima risposta" per la uccisione di un responsabile di quella organizzazione, avvenuta oggi nel nord della Cisgiordania per mano di soldati israeliani."
(informazione svizzera)
ciao complimenti per il sito. Anche noi scriviamo di palestina (ma non solo), se ti va di venirci a visitare.
http://sferalab.blogspot.com/2008/06/la-palestina-un-argomento-tab-per-i_2667.html
Grazie
Gianni
x Gianni: ho dato un'occhiata, ben fatto.
Se siete disponibili ad uno scambio di link fatemi sapere.
Ciao,
Vichi
Good post.
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