2 settembre 2008

L'ennesima "generosa" offerta di Israele.

Ormai alla vigilia delle sue annunciate dimissioni, il primo ministro israeliano Ehud Olmert sta compiendo ogni sforzo possibile per convincere il presidente palestinese Abbas a concludere quell’accordo, ormai noto come “shelf agreement”, che dovrebbe prefigurare i principi generali della pace tra Israeliani e Palestinesi e dei rapporti tra Israele e il futuro stato palestinese.

Olmert, che deve anche far fronte al “fuoco amico” della Livni e di Ehud Barak, per vari motivi contrari a questo accordo dell’ultimo minuto, non ha più il tempo, naturalmente, per ulteriori negoziati che portino ad un accordo più dettagliato; il problema, tuttavia, è che non solo alcuni punti che resterebbero al di fuori dell’accordo sono tutt’altro che “dettagli” marginali, ma che persino le proposte rese esplicite risultano difficilmente accettabili per la controparte palestinese.

Ma cosa prevedono, in particolare per quanto riguarda i confini, le proposte israeliane?

Israele terrebbe per se circa il 7% della West Bank, dando in cambio ai Palestinesi una estensione di territori vicini alla Striscia di Gaza equivalenti a circa il 5,5% della Cisgiordania medesima; verrebbe altresì assicurato il passaggio, senza alcuna restrizione, da Gaza alla Cisgiordania e viceversa, e gli Israeliani intendono tale libertà di movimento come compensazione ai Palestinesi per l’1,5% di differenza (e ciò sia pure mantenendo il controllo del territorio su cui si concretizzerebbe detto “passaggio”).

Dunque la terra che Israele vorrebbe annettersi ricomprende i maggiori blocchi di insediamenti colonici (Ma’aleh Adumim, Gush Etzion, le colonie intorno a Gerusalemme) e il confine correrebbe lungo il perimetro del muro di “sicurezza”: con il che si dimostra – ancora una volta e come se ce ne fosse bisogno – che l’intento del muro non era affatto la “sicurezza” ma la sottrazione dei territori ai legittimi proprietari palestinesi.

Il che è anche comprensibile dal punto di vista ebraico (dopo tutti quei bei soldini spesi per costruire il muro…), ma il problema è che queste terre rappresentano circa l’80% delle risorse idriche cisgiordane, in cambio delle quali i Palestinesi riceverebbero una porzione desolata di deserto del Negev adiacente alla Striscia di Gaza: di tutta evidenza, non si tratta certo di uno scambio vantaggioso per i Palestinesi!

Questo senza considerare che, nel contesto dell’accordo, Israele manterrebbe il controllo di ampie estensioni del territorio palestinese tra cui, in particolare, la Valle del Giordano, considerata una necessaria zona “cuscinetto” per prevenire eventuali attacchi arabi (torna ancora la scusa della sicurezza…); già da tempo, peraltro, gli Israeliani hanno totale libertà di accesso e di movimento nella regione, mentre i Palestinesi sono soggetti a infinite restrizioni, ivi inclusa quella di potersi fare un bagno nelle acque del Mar Morto, così, giusto per non infastidire gli ebrei in vacanza.

Ma l’aspetto francamente più incredibile e sconcertante della “generosa” proposta di Israele consiste nelle fasi di implementazione del piano di pace: Israele riceverebbe subito i blocchi di insediamenti – all’interno dei quali sarebbe pienamente libero di costruire nuove unità abitative – mentre la rimozione dei coloni a est del muro, il trasferimento delle terre ai Palestinesi e la creazione di un passaggio libero tra la Striscia di Gaza e la West Bank avverrebbero soltanto in un secondo momento, e precisamente solo dopo che l’Anp abbia compiuto una serie di riforme interne, abbia dimostrato di saper mantenere l’ordine e la sicurezza, abbia ripreso il controllo della Striscia di Gaza.

Davvero una trovata geniale, quella di Olmert: Israele otterrebbe subito la legittimazione delle colonie e della sua (peraltro mai interrotta) attività di costruzione di nuove abitazioni destinate ai settlers, ricevendo nel contempo l’entusiastico plauso della comunità internazionale, mentre i Palestinesi vedrebbero rinviata la costituzione del proprio Stato e la compensazione per le aree cedute a data da destinarsi. E questo, per chi negli anni ha visto quanti accordi menzogneri ha sottoscritto Israele, a cominciare dall’accordo AMA sull’accesso e movimento da e per Gaza, è francamente inaccettabile.

Last but nont least, si può marginalmente aggiungere che il riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi viene sostanzialmente negato e, soprattutto, che non si parla per nulla della questione più sensibile – ovvero quella di Gerusalemme – e tutto questo rende la proposta israeliana assolutamente irricevibile, anche per l’accomodante duo Abbas-Fayyad.

E, difatti, essa è stata rispedita al mittente con le ovvie parole del negoziatore palestinese Saeb Erekat: o si raggiunge un accordo su tutte le questioni oppure non vi sarà alcun accordo.

Per dirla con le parole di un noto politico palestinese,
Mustafa Barghouti, “il piano che Olmert ha posto sui tavoli di negoziazione … è un tentativo di eludere, eliminandole, quattro questioni dello status definitivo: Gerusalemme ed i profughi, colonie ed annessione di vaste zone della Cisgiordania, posponendo tutto il resto fino a quando le realtà sul terreno non rendano parimenti superflua ogni richiesta palestinese. In breve, è un tentativo di trasformare ogni idea di uno Stato indipendente in cantoni isolati, amministrati da una autorità non sovrana, prigioniera in un regime di apartheid.

Una pace equa e duratura, chiaramente, è tutta un’altra cosa.

Su quanto fin qui detto, voglio riportare un articolo di Ran HaCohen, apparso il 27 agosto su antiwar.com e qui proposto nella traduzione di Paola Canarutto per il sito web degli
Ebrei Contro L’Occupazione.

Aggiungo solo che è ora che la comunità internazionale si desti dal suo torpore e da una colpevole inerzia per far sentire il suo peso, con l’equità di un honest broker che sia davvero tale, tenendo presente che la base per un piano di pace che contemperi le esigenze di entrambi le parti in conflitto non può che risiedere nello spirito e nella lettera della risoluzione Onu n.242 del 1967, giustamente richiamata in ogni documento successivo che abbia riguardato la materia.

Un eventuale accordo tra le parti che modifichi le condizioni poste da detta risoluzione, condotto al di fuori di un quadro di mediazione internazionale che contemperi e tuteli sia gli interessi palestinesi sia quelli israeliani, avrebbe peraltro una dubbia legittimazione giuridica, in quanto raggiunto tra due parti, una delle quali in condizioni di estrema soggezione e di palese inferiorità economica e militare.


Cambiar nome all’occupazione
Scritto da Ran HaCohen

Antiwar.com, 27 agosto 2008

Meron Benvenisti, in un eccellente articolo (1) menziona il “successo della campagna propagandistica nota come 'negoziati con i Palestinesi', che convince molti dell'idea che lo status quo sia temporaneo. È vero che non vi è miglior modo per descrivere le discussioni in atto fra i due politici che hanno i giorni contati – Ehud Olmert e Mahmoud Abbas - che come un passatempo orchestrato dall'amministrazione Bush. In passato, si supponeva che le conferenze di pace portassero ad un accordo di pace, che, a sua volta, avrebbe condotto alla pace; ora non si presume nemmeno tanto poco. Cosa ci si aspetta di ottenere dai negoziati è, nella migliore delle ipotesi, un accordo simbolico, da implementare, o no, in qualche momento vago del futuro. Nessuno crede che lo si possa raggiungere, come approvato, per la fine dell'anno – non che alcuno se ne curi, in realtà.

Ma lo spettacolo deve andare avanti. La scorsa settimana i giornali hanno annunciato un grande balzo in avanti: l'Israele di Olmert ha presentato una proposta dettagliata per lo status definitivo. In negoziati veri, si sarebbe potuto dire: “Ora sappiamo quel che vuole Israele”. Ma non è questo il caso, perché, come tutti sanno, il Primo Ministro Olmert non conta più. Allora, qual è il valore della proposta? Non sappiamo veramente quel che vuole Israele, ma almeno possiamo riconoscere quel che è disposta a dire.

Questo è un punto importante, nel discorso politico israeliano. Negli ultimi quindici anni, è stato un argomento centrale della controversa tra la sinistra sionista e quella radicale. Chiunque sia onesto deve ammettere che nulla è cambiato sul terreno, o per lo meno non per il meglio: l'occupazione, che si presupponeva avrebbe dovuto terminare sin dal 1993, è peggiorata per tutto il tempo, e le colonie illegali israeliane crescono come un tumore fatale. La sinistra radicale considera ciò come prova del fatto che Israele non nutre alcun proposito di far finire l'occupazione. La sinistra sionista, tuttavia, argomenta in modo diverso: “Ascolta come parlano”. É vero che la realtà di Cisgiordania e di Gaza è grave come non mai, ma, sostiene la sinistra sionista, ora in Israele persino la corrente maggioritaria parla apertamente di uno Stato palestinese, ed è inevitabile che le parole divengano fatti – se solo sosteniamo i buoni (Rabin, Peres, Barak etc., - persino Sharon, abbastanza saggio da unirsi al club), che continuano a consolidare l'occupazione, mentre sostengono di volerla terminare.

La nuova e generosa offerta
Vediamo allora quel che oggi l'Israele ufficiale è in grado di dire – non di fare. La proposta per lo status definitivo, secondo Ha'aretz (2), comprende i seguenti punti:
* Israele si ritira da circa il 93% della Cisgiordania, tenendo Ma'aleh Adumim, Gush Etzion, le colonie intorno a Gerusalemme, e alcuni terreni nel nord della Cisgiordania, adiacenti ad Israele: in tutto, il 7% del territorio cisgiordano.
* In cambio, i palestinesi riceverebbero terreni alternativi nel Negev, adiacenti alla Striscia di Gaza, equivalenti al 5,5% della Cisgiordania.
* Passaggio libero fra Gaza e la Cisgiordania, senza controlli di sicurezza.
* La proposta rifiuta un “diritto al ritorno” per i profughi palestinesi, ma include una “formula complessa e dettagliata” per risolvere il problema. (Non sono forniti dettagli).
* Olmert ha concordato con Abbas di posporre i negoziati su Gerusalemme.

Ora, questo non suona affatto molto attraente, neppure come “accordo simbolico”. Gerusalemme è un punto chiave di cui non ci si è occupati affatto. Inoltre, come spiega Ha'aretz, “la proposta di Olmert per uno scambio di territori introduce un nuovo stadio nel patto: Israele riceverebbe immediatamente i blocchi di colonie, ma i terreni da trasferire ai palestinesi, ed il passaggio libero fra Gaza e la Cisgiordania sarebbero consegnati dopo che l'AP abbia ripreso il controllo della Striscia di Gaza” (marcatura mia). Le possibilità che l'AP riprenda il controllo della Striscia di Gaza sono forse ancora più basse di quelle che Hamas prenda il controllo della Cisgiordania, ma, per Israele, questo rende la proposta ancora più invitante: prendiamo le merci ora, ma pagheremo solo dopo l'arrivo del Messia.

Ha'aretz sceglie di includere un inevitabile punto propagandistico, in un rapporto peraltro ricco di informazioni: “Negli ultimi pochi mesi, Olmert ha approvato la costruzione di migliaia di appartamenti in questi blocchi di colonie, per la maggior parte intorno a Gerusalemme; alcuni dovrebbero servire agli sfollati volontari”. Come sempre, Israele infrange la legge internazionale e costruisce ancora più case nelle colonie illegali (3). Ma lo fa con un solo obiettivo in mente: la pace. È certo che il miglior modo di por termine all'occupazione è quello di costruire migliaia di nuove case israeliane in territorio occupato. Il costruirle è una (ulteriore) prova del profondo impegno di Israele per la pace.

Perché questo eterno pessimismo?
Ma comunque, si potrebbe argomentare, ma comunque. È chiaro che la proposta di Olmert non sarà mai implementata. Certo che è incompleta, dubbia, e chiaramente non generosa. Ma comunque: Israele è pronto a dichiarare apertamente il proprio impegno per l'idea di uno Stato palestinese sul 93 per cento della Cisgiordania, più un 5,5% di territori da scambiare. Non significa ammettere, finalmente, che l'occupazione ha i giorni contati? Quindi, persino un parlamentare del Likud, partito di destra, ha accusato il Kadima di portare avanti l’ottica della sinistra sionista: “Qualunque appartenente alla fazione del Meretz [di sinistra] avrebbe potuto firmare la proposta di Olmert”. Quale miglior prova della bontà di una proposta, se non gli attacchi della destra?

"Assetti securitari”
Non è proprio così. Come menzionato molto brevemente nel rapporto di Ha'aretz, “Israele ha anche presentato ai palestinesi un modello dettagliato di nuovi assetti securitari, in base alla proposta di accordo”. In un primo momento non è stato fornito alcun dettaglio. Perché sciupare la festa per la pace con piccole questioni tecniche? Il rapporto iniziale menzionava solo una richiesta che lo stato palestinese fosse smilitarizzato e senza un esercito – richiesta che i Palestinesi più o meno accettano. Ma, ovviamente, il giorno dopo si è riferito che i Palestinesi avevano rifiutato la proposta di Olmert in quanto “non seria” - in pieno accordo con il fraintendimento israeliano circa il cosiddetto “rifiuto palestinese”, dal 1947 a tutt’oggi.

Si è dovuto attendere un paio di settimane per scoprire il significato reale di quegli “assetti securitari”. Martedì, Ha'aretz ha riportato: “I Palestinesi si oppongono ad ogni presenza militare israeliana nel territorio di un loro futuro Stato”. Ancora una volta, quindi, quelle irragionevoli richieste palestinesi: perché devono insistere per uno stato indipendente, senza una presenza militare israeliana?! Sanno per certo che i soldati di Israele sono bei ragazzi diciottenni, che non compiono mai alcun male. Ma non finisce qui. Il rapporto afferma inoltre: “Per parte sua, ad Israele piacerebbe sovrintendere ai passaggi di frontiera, mantenere uno spiegamento limitato nella Valle del Giordano, continuare i sorvoli sul territorio palestinese, mantenere postazioni di allarme sulle creste montuose, e tenere unità per risposte di emergenza in aree palestinesi” (4)..

Ah, è questo quel che significa Israele, per “soluzione di due Stati”: uno “Stato” “palestinese” “indipendente” con supervisione israeliana ai passaggi di frontiera, pieno di soldati israeliani, jet israeliani, postazioni militari israeliane – e, naturalmente, il diritto di Israele di inviarvi ancora più soldati in “tempi di emergenza”. Per smascherarla, dovremmo proporre la reciprocità? Che pensare di un controllo palestinese sui passaggi di frontiera israeliani, una presenza militare palestinese lungo la costa mediterranea di Israele, una libertà per i jet palestinesi di volare sopra Tel Aviv e Dimona, postazioni militari palestinesi a Haifa e Ramat Yishai, unità palestinesi per una risposta di emergenza in aree israeliane? È ovvio: questi “patti di sicurezza” sono del tutto incompatibili con uno Stato sovrano ed indipendente.

La proposta israeliana, come evidenziano i suoi “assetti securitari”, dimostra ancora una volta che Israele non è un partner per la pace. Sul terreno, tutto quello a cui aspira è il tempo per espandere le colonie e strangolare la società palestinese, sperando che il “problema palestinese”, finisca per scomparire. Sul piano del discorso, tuttavia, va altrettanto male. Malgrado la falsa impressione contraria, coltivata dalla propria macchina propagandistica, Israele rifiuta chiaramente il concetto di uno Stato palestinese indipendente, che non sia un Bantustan sotto il proprio totale controllo. A chi si domanda perché il conflitto israeliano-palestinese resta irrisolto, ecco la semplice risposta: la soluzione dei due Stati, proposta dall'ONU 60 anni fa ed avallata dai palestinesi anni fa, è ancora inaccettabile alla leadership militare e politica israeliana.

1) http://www.haaretz.com/hasen/spages/1013974.html
2) http://www.haaretz.com/hasen/spages/1010663.html
3) http://www.haaretz.com/hasen/spages/1015162.html
4) http://www.haaretz.com/hasen/spages/1014944.html

Testo inglese: http://antiwar.com/hacohen/
traduzione di Paola Canarutto

Etichette: , , , ,

Condividi

11 dicembre 2007

Operazione di routine.


L'incursione dei soldati dell'esercito israeliano nella Striscia di Gaza, svoltasi stamattina con l'appoggio di 10 carri armati (30 secondo fonti palestinesi) e vari veicoli corazzati, nonché con la copertura aerea della IAF, si è chiusa con un bilancio di 8 militanti palestinesi uccisi e di 4 soldati israeliani lievemente feriti.

I mezzi blindati di Tsahal sono penetrati all'altezza del valico di Sufa e si sono spinti all'interno della Striscia per circa due chilometri.

Si tratta delle operazioni preliminari alla massiccia incursione a Gaza di cui da giorni si parla in Israele?

Macché, secondo una portavoce dell'Idf si è trattato di una semplice "operazione di routine".

Operazione di routine che si è svolta il giorno successivo alle strombazzate dichiarazioni del premier israeliano Olmert, il quale si è detto pronto ad aprire uno "storico percorso" verso la pace con i Palestinesi.

Ora, le cose sono due: o Olmert e i comandi militari non si parlano, oppure stamattina Tsahal ha preso per "sbaglio" un percorso diverso.

Etichette: , , ,

Condividi

30 novembre 2007

La soluzione a due Stati per salvare Israele.

Un articolo dell'inglese The Guardian del 29 novembre riporta le preoccupazioni del premier israeliano Olmert circa il pericolo di una possibile disintegrazione di Israele qualora non si raggiunga la soluzione a due Stati del conflitto israelo-palestinese.
Da questo, l'amico Mauro Manno prende lo spunto per scrivere questo interessante articolo, che pubblico benché io personalmente non sia un sostenitore dell'opposta soluzione che prevede un unico Stato binazionale per ebrei e palestinesi.
E non perchè non la condivida, bensì perchè non la ritengo - per vari motivi - attuabile nella pratica.
Sono in troppi, di recente, a parlare della possibilità che lo stato di Israele scompaia nei prossimi anni. Il primo è stato Ahmadinejad, il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, il quale affermò un paio d’anni fa che Israele ‘scomparirà dalle pagine del tempo’ (e non come malignamente vanno dicendo i sionisti e i loro amici: ‘sarà cancellato dalla carta geografica’) La seconda versione della frase del presidente iraniano offre l’opportunità ai sionisti e loro scribi amici di ripetere la solita solfa che Ahmadinejad, è ‘il nuovo Hitler’, che vuole la bomba atomica per realizzare un ‘nuovo olocausto’ ebraico, e sciocchezze del genere.
Ahmadinejad ha ribadito la sua posizione ancora una volta il 29 novembre di quest’anno. Questa volta le sue parole sembrano siano state “non è possibile che Israele duri” (televideo di Mediaset, 29.11.07, http://www.tgcom.it/). Queste parole sono subito state semplificate dallo stesso televideo Mediaset nella frase “Israele sparirà” e sono state, ovviamente, definite ‘minacce’. Ma questo fa parte del gioco degli scribi amici e ci siamo abituati.
Qualche mese fa, fu la ministra (?) degli esteri israeliana Tzipi Livni che parlò del pericolo di sparizione che corre Israele a causa dei suoi problemi interni: la demografia, le divisioni interne delle varie comunità, l’occupazione.
Successivamente la Livni manifestò la sua preoccupazione che il mondo avrebbe finito per rifiutare il concetto di “legalità di Israele come stato ebraico”. Noi commentammo i suoi timori nell’articolo con questo link: http://www.pasti.org/manno3.html.
Oggi è lo spesso primo ministro Olmert che si dimostra preoccupato.
Un articolo del britannico The Guardian riporta le sue preoccupazioni (The Guardian 29.11.2007, State of Israel could disappear, warns Olmert, di Mark Tran, vedi:
http://www.guardian.co.uk/israel/Story/0,,2219066,00.html.)

Cosa dice Olmert? Il primo ministro israeliano evoca lo spettro della disintegrazione dello stato ebraico a meno che non si raggiunga la soluzione dei “due stati” con i palestinesi. Facendo un parallelo con la fine del regime sudafricano dell’apartheid (lo ha fatto lui questa volta non io!), Olmert ha messo in guardia i suoi oppositori che: “Se giunge il giorno in cui la soluzione dei due stati collassa e noi ci troviamo di fronte ad una lotta nello stile di quella del Sudafrica dove i palestinesi ci chiedono lo stesso diritto di voto che abbiamo noi ... allora, non appena ciò accade, lo stato di Israele ha finito di esistere”.
Il pericolo è quello che la lotta dei palestinesi per uguali diritti in un unico stato Israele/Palestina finisca per raccogliere molti più consensi di quanto i palestinesi ne raccolgano adesso con le loro rivendicazioni. Cosa ancora più grave per Olmert sarebbe se molti ebrei della diaspora si schierassero per la democrazia e l’uguaglianza tra ebrei e palestinesi. Egli si dichiara sicuro che “Le organizzazioni ebraiche, che sono la base del nostro potere in America (Oh filosionisti dalla facile accusa di ‘antisemitismo, è Olmert che dice questo, sta parlando della lobby ebraica in America!! Lo avete capito? Nda), saranno i primi a rivolgersi contro di noi,… perché ci diranno che non possono sostenere uno stato che non pratica la democrazia e applica un uguale diritto di voto per tutti i suoi residenti”.
Olmert ha sottolineato che aveva detto cose del genere già in un’intervista di 4 anni fa. “Da allora ho sistematicamente ripetuto queste cose”. Olmert teme che i suoi nemici “diranno che in questo momento ho molti problemi (gli scandali per corruzione ecc, nda) e che questa è la ragione per cui sto cercando di realizzare la soluzione dei due stati. Ma i fatti devono essere affrontati correttamente”.

Uno dei tanti problemi interni che Israele deve affrontare per la propria sopravvivenza è il problema demografico. Oggi all’interno dell’entità sionista, anche detta ‘stato ebraico’ vi è una popolazione mista: da una parte gli ebrei dall’altra i palestinesi. Mentre i palestinesi rappresentano una comunità compatta e omogenea e non potrebbe essere diversamente visto che sono gli abitanti originari del paese, gli ebrei paradossalmente sono divisi e disuniti proprio perché sono una popolazione raccogliticcia proveniente da varie parti del mondo. I palestinesi d’Israele (che gli israeliani continuano a chiamare ‘arabi’ israeliani perché si rifiutano di usare la parola ‘palestinesi’) sono più di un quinto della popolazione e guadagnano posizioni di anno in anno dato che hanno una crescita più veloce di quella degli ebrei di Palestina (ricambiamo il favore). Questi ultimi sono, certamente, oltre il 70% della popolazione ma sono costituiti 1) dagli ebrei askenaziti, i fondatori del movimento sionista e di Israele, i quali provengono dall’est europeo, 2) dagli ebrei sefarditi che gli askenaziti hanno attirato dai paesi arabi, con le buone e le cattive, per fare gli operai agricoli nelle terre che gli askenaziti avevano rubato ai palestinesi, 3) dagli ebrei russi di recente immigrazione, in gran parte de-ebraicizzati e qualche volta convertiti al cristianesimo o atei (quindi non veramente ebrei), visto che sono passati per il regime sovietico. Molti ‘ebrei’ russi sono emigrati in Israele per ragioni economiche e non per amore del sionismo.
Non poche sono le contraddizioni tra queste tre comunità ‘ebraiche’. Non sono per altro le uniche perché vi sono altre minoranze (i falascià, gli ebrei dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti, spesso feroci sionisti o coloni, ecc. Vi è poi la grande e pericolosa (per Israele naturalmente) divisione tra ebrei ortodossi e laici.
Ma lasciamo queste divisioni interne agli ebrei d’Israele e torniamo a quello che Olmert, giustamente, considera il pericolo principale oggi. I palestinesi d’Israele. Se non si realizza la separazione tra Israele e uno stato palestinese, c’è il rischio (per lo stato ebraico) che i palestinesi dei territori occupati si impegnino in una lotta per uguali diritti in un unico stato. Gli ebrei della diaspora (non la lobby, non le organizzazioni ebraiche, come dice Olmert) si sentirebbero costretti ad appoggiare la lotta per la democrazia e Israele potrebbe perdere “la base del suo potere in America”. Israele diventerebbe uno stato senza maggioranza ebraica, perché tra palestinesi d’Israele e palestinesi dei territori occupatati, la maggioranza sarebbe palestinese. Addio stato ‘ebraico’! A questo punto anche l’unità artificiale che tiene unite le varie comunità ebraiche d’Israele probabilmente salterebbe e molti ebrei emigrerebbero verso i loro paesi d’origine o verso l’Europa e gli Stati Uniti. Israele ridiventerebbe Palestina, anche se, questa volta, con una forte minoranza ebraica al suo interno. Niente di terribile visto che gli ebrei sono minoranza in tutti i paesi in cui vivono. E non se la cavano poi tanto male, dopo tutto.
Questo il problema e la soluzione, per Olmert, sarebbe …. Annapolis.

Il Premier israeliano ha dichiarato che la Conferenza di Annapolis “ha soddisfatto le aspettative israeliane più di quanto gli israeliani si aspettassero, ma questo non ci libererà delle difficoltà che ci saranno nelle trattative, che saranno complesse e difficili e richiederanno grande pazienza e sofistificazione”. Eppure, ha riconosciuto Olmert, Abbas “è un partner debole, che non è capace, e, come dice Tony Blair, deve ancora formulare i sui strumenti e potrebbe non saperlo fare”. Ma Olmert si fa rassicurante: “È mio compito fare in modo che egli riesca a procurarsi gli strumenti e comprenda le linee guida per un accordo”.
Quali sono questi benedetti strumenti di cui parlano Blair e Olmert? Credo che i due si riferiscano agli strumenti repressivi per sconfiggere Hamas. In questo gli sforzi israeliani sono già evidenti e in funzione. Olmert libera sostenitori di Abbas a centinaia e imprigiona e uccide membri di Hamas, compresi membri del parlamento palestinese. Senza una parola di Abbas, Fatah e dell’Occidente. Gli strumenti sarebbero pure quelli politici, quelli cioè atti a sconfiggere in elezioni o in un referendum le posizioni di Hamas e far vincere la linea collaborazionista di Abbas. Questi strumenti politici -- Blair ha ragione -- Abbas potrebbe non riuscire a crearseli mai. Soprattutto per colpa di Israele e della lobby ebraica americana, in ultima analisi per colpa della natura del sionismo.
Vediamo perché: Il sionismo ha sempre perseguito la conquista di tutta la Palestina, da riservare esclusivamente a ebrei. Per fare questo era necessaria l’espulsione almeno della maggioranza dei palestinesi. Israele è riuscito ad espellerne 750.000 nel 1948 e altre centinaia di migliaia dopo il 1967. In Palestina però, i palestinesi restano ancora la maggioranza. Che fare? La speranza di espellerli tutti non è mai tramontata e alcuni politici israeliani (Lieberman) la manifestano ancora apertamente. Ma non è facile. Potrebbe diventare però possibile raggiungere un duplice accordo, coi palestinesi e con i paesi arabi. Ai palestinesi bisogna imporre uno ‘stato’ palestinese simile ai bantustans che l’Africa dell’apartheid ha cercato, fallendo, di imporre ai neri. Ai paesi arabi si potrebbe cercare di imporre l’assorbimento di gran parte dei profughi palestinesi (oggi 5 milioni) in modo che essi la smettano di rivendicare il ritorno alle case e ai villaggi da cui sono stati cacciati. Il tutto all’interno di una cooperazione economica e di una ‘integrazione dello stato ebraico’ nel Medio Oriente arabo e musulmano. Abbas potrebbe essere l’uomo giusto per favorire questo duplice accordo che salverebbe Israele. Da una parte gli toglierebbe l’incubo di dover integrare milioni di palestinesi in un unico stato facendo perdere la maggioranza agli ebrei, dall’altra concentrerebbe questi palestinesi in un minimo di territorio (4 riserve o bantustan) proclamato ‘Stato Palestinese’ lasciando agli israeliani l’80% delle terre dei Territori occupati. Infine ridurrebbe il pericolo rappresentato dai profughi, una parte dei quali (quanti?) potrebbe ‘tornare’ nello ‘Stato palestinese’ e parte potrebbe essere assorbita dagli stati arabi, finalmente diventati amici e partner economici di Israele. Ma rimane ancora un’ultimo inconfessato vantaggio. Se nasce lo stato palestinese, che ci sta a fare nello stato ebraico quel milione e 300.000 palestinesi d’Israele? Si potrebbe deportarli (pardon, si deve dire ‘trasferire’) nei loro bantustans, cioè nel loro ‘stato’. I conti tornerebbero. O No?

Il sionismo non ha cambiato la sua natura razzista e deportazionista. Semplicemente ha adattato le sue tattiche alla nuova situazione. Ma il piano fallirà.
Chi lo farà fallire, come abbiamo detto, saranno prima di tutto i coloni, gli ortodossi, i sostenitori del sionismo più intransigente, senza dimenticare la lobby ebraica d’America, più pericolosa e sionista dello stesso Israele. Costoro vogliono tutta la Palestina, tutto Gerusalemme, tutti i territori occupati. Non accettano nessun aggiustamento tattico.
Poi ci sono i palestinesi ed Hamas. Accetteranno i Palestinesi di rinunciare a ulteriori porzioni della loro terra? Accetteranno di farsi concentrare in alcuni grandi campi di concentramento murati e filospinati? E i palestinesi d’Israele accetteranno di farsi deportare? Cosa succederà?

Abbas, il traditore, farà una brutta fine. Già alcuni membri di Fatah stanno passando dalla parte di Hamas e con le elezioni o con altri mezzi, Hamas finirà per conquistare anche la Cisgiordania. I palestinesi saranno allora nella condizione di modificare la lotta passando dall’obiettivo di due stati a quello di una sola Palestina, libera, democratica, non razzista e multietnica. Un solo stato proprio come teme Olmert e i suoi amici della lobby. È chiaro ormai che la politica dei ‘due stati’ è tutta interna alla logica sionista. In particolare la logica sionista dei pragmatici askenaziti d’Israele. Ma essi sono ormai minoranza perché vi sono le logiche dei sionisti ultra-ideologizzati o dei religiosi fanatici messianici, sostenute entrambe dai denari e dalle trame politiche in America della lobby ebraica d’oltreoceano. La politica dei ‘due stati’ deve essere rigettata completamente dai palestinesi perché è la visione del nemico. Se si persegue invece l’obiettivo politico di un solo stato democratico per ebrei e palestinesi, nel modo in cui hanno fatto l’ANC e il popolo nero del Sudafrica, allora si colpisce al cuore proprio l’unica possibilità di salvezza che rimane all’entità sionista, come Tzipi Livni, Shimon Peres, e Olmert hanno capito. Come Sharon, il boia, aveva capito.
La fine del sionismo e di Israele sarebbe un bene per l’umanità intera e un grande aiuto per gli stessi ebrei, che potrebbero cogliere quell’opportunità per farla finita con il loro esclusivismo e senso di razzistica superiorità, diventando liberi cittadini tra i liberi cittadini del mondo

Etichette: , , , ,

Condividi