23 agosto 2011

Cia e Turchia dietro le rivolte in Siria?

Quanto sono spontanee le manifestazioni di massa che si svolgono quotidianamente in Siria contro il regime di Bashar Al Assad e che vediamo ogni giorno dai teleschermi delle tv? Chi le fomenta e le arma, chi c’è dietro questa inarrestabile ondata di protesta che sta gravemente minando la stabilità del paese?

La domanda sorge spontanea anche in un osservatore distratto delle vicende siriane, stante che non è facile spiegarsi come delle manifestazioni di protesta “pacifiche” risultino, in realtà, pesantemente armate, e posto che molte delle marce di “protesta” – a detta degli stessi partecipanti – vengono organizzate semplicemente per essere oggetto di video da inserire su YouTube.

A questo interrogativo cerca di rispondere Michel Chossudovsky in questo interessante articolo tratto dal sito web di
Arcoiris.tv, soffermandosi in particolare sul ruolo svolto dall’attuale ambasciatore Usa in Siria, Robert Stephen Ford.

Non a tutti è noto, infatti, che Ford – il quale peraltro ha avuto contatti diretti con il movimento di protesta anti-Assad suscitando le proteste ufficiali siriane - è stato il numero due dell’ambasciata Usa a Baghdad a partire dal 2004 e, in quanto tale, coinvolto nelle operazioni di sostegno segreto agli squadroni della morte e ai gruppi paramilitari in Iraq, al fine di fomentare la violenza settaria e indebolire il movimento di resistenza.

Viene così a delinearsi uno scenario inquietante, che vedrebbe l’alleanza occidentale – così come
denunciato recentemente dall’inviato russo presso la Nato Dmitry Rogozin – pianificare una campagna militare contro la Siria per aiutare iul sovvertimento del regime di Assad, con l’obiettivo di più lungo periodo di “preparare una testa di ponte per un attacco all’Iran”.

Uno scenario da incubo, che purtroppo non appare inverosimile.

Non è che Cia e Turchia stiano armando la rivolta di chi non sopporta la dittatura di Assad?
di Michel Chossudovsky - 22.8.2011

I media hanno giocato un ruolo centrale nell’offuscare la natura delle interferenze straniere in Siria, incluso il supporto esterno agli insorti armati. In coro hanno descritto i recenti avvenimenti in Siria come un “movimento di protesta pacifico” rivolto contro il governo di Bashar Al Assad, quando le prove confermano ampiamente che gruppi paramilitari islamisti si sono infiltrati nelle manifestazioni.

Il notiziario d’intelligence d’Israele, Debka, evitando la questione della rivolta armata, riconosce tacitamente che le forze siriane stanno affrontando organizzazioni paramilitari: “[Le forze siriane] affrontano ora una forte resistenza: In attesa di esse vi sono trappole anti-carro e barriere fortificate presidiate da manifestanti armati di mitragliatrici pesanti.”

Da quando sono pacifici dei manifestanti civili armati di “mitragliatrici pesanti” e “trappole anti-carro”? I recenti sviluppi in Siria puntano a una vera e propria insurrezione armata, integrata da “combattenti per la libertà” islamisti, sostenuti, addestrati ed equipaggiati dalla NATO e dal comando supremo della Turchia. Secondo fonti dell’intelligence israeliana: “Il quartier generale della NATO a Bruxelles e il comando supremo turco nel frattempo stanno elaborando piani per il loro primo passo militare in Siria, cioè armare i ribelli con armi per contrastare carri armati ed elicotteri utilizzati dal regime di Assad per reprimere l’opposizione. Invece di ripetere il modello libico degli attacchi aerei, gli strateghi della NATO stanno pensando a inviare grandi quantità di missili anti-carro e anti-aria, mortai e mitragliatrici pesanti nei centri protesta, per respingere di nuovo i blindati delle forze governative.”.

La consegna di armi ai ribelli è attuata “via terra, in particolare attraverso la Turchia e sotto la protezione dell’esercito turco… In alternativa, le armi sarebbero trasportate in Siria sotto sorveglianza militare turca e trasferiti ai leader ribelli nei rendez-vous pre-organizzati.” Secondo fonti israeliane, che rimangono da verificare, la NATO e il comando supremo turco, contemplano anche lo sviluppo di un “jihad” diretto al reclutamento di migliaia di ”combattenti per la libertà” islamisti, che ricorda l’arruolamento di mujahidin per il jihad (guerra santa) pagato dalla CIA, nel periodo di massimo splendore della guerra in Afghanistan: “Sarebbe anche stato discusso, a Bruxelles e Ankara, dicono le nostre fonti, una campagna per arruolare migliaia di volontari musulmani nei paesi del Medio Oriente e del mondo musulmano, per combattere a fianco dei ribelli siriani. L’esercito turco avrebbe ospitato questi volontari, e curato il loro addestramento e il loro passaggio sicuro in Siria.”

Questi diversi punti portano verso il possibile coinvolgimento di truppe turche in territorio siriano, che potrebbe potenzialmente portare a un più ampio confronto militare tra Siria e Turchia, nonché a un vero e proprio intervento “umanitario” militare dalla NATO. Recentemente, gli squadroni della morte dei fondamentalisti islamici sono penetrati nel quartiere Ramleh della città portuale di Latakia, che comprende un campo profughi palestinese di circa 10.000 residenti. Questi uomini armati, che includevano cecchini sui tetti, stanno terrorizzando la popolazione locale.

In una distorsione cinica, i media occidentali hanno presentato i gruppi paramilitari islamisti a Latakia, come “dissidenti palestinesi” e “attivisti” che si difendono contro le forze armate siriane. A questo proposito, le azioni di bande armate dirette contro la comunità palestinese a Ramleh, cercano visibilmente di fomentare il conflitto politico tra la Palestina e la Siria. Diverse personalità palestinesi si sono schierate con il “movimento di protesta” in Siria, mentre casualmente ignorano il fatto che gli squadroni della morte “pro-democrazia” sono segretamente sostenuti da Israele e Turchia.

Il ministro degli esteri della Turchia, Ahmet Davutoglu, ha lasciato intendere che Ankara potrebbe prendere in considerazione un’azione militare contro la Siria, se il governo al-Assad non cessa “immediatamente e senza condizioni” le sue azioni contro i “contestatori”. Con amara ironia, i combattenti islamisti che operano all’interno della Siria, e che stanno terrorizzando la popolazione civile, sono addestrati e finanziati dal governo turco di Erdogan. Nel frattempo, i pianificatori militari di Stati Uniti, NATO e Israele hanno delineato i contorni di una campagna militare umanitaria, in cui la Turchia (la secondo più grande forza militare della NATO), giocherebbe un ruolo centrale.

Il 15 agosto, Teheran ha reagito alla crisi in Siria, affermando che “gli eventi in Siria dovrebbero essere considerate solo affari interni di quel paese, e ha accusato l’Occidente e i suoi alleati, del tentativo di destabilizzare la Siria, al fine di avere la scusa per la sua conseguente occupazione”. (Dichiarazione del Ministero degli Esteri iraniano, citato in Iran urges West to stay out of Syria’s ‘internal matters’ , Todayszaman.com, 15 agosto 2011).

Siamo ad un bivio pericoloso: “Se un’operazione militare sarà lanciata contro la Siria, nella grande regione del Medio Oriente e dell’Asia centrale, che si estende dal Nord Africa e dal Mediterraneo orientale al confine di Afghanistan-Pakistan con la Cina, verrebbe inghiottita nel turbine di una guerra prolungata. Una guerra contro la Siria potrebbe evolvere verso una campagna militare USA-NATO diretta contro l’Iran, in cui Turchia e Israele sarebbero direttamente coinvolti. E’ fondamentale diffondere la notizia e spezzare i canali di disinformazione dei media.” Una comprensione critica e imparziale di ciò che accade in Siria è di cruciale importanza per invertire la marea dell’escalation militare verso una grande guerra regionale.

Michel Chossudovsky

Background: l’ambasciatore americano Robert S. Ford arriva a Damasco (gennaio 2011)

L’ambasciatore statunitense Robert Ford è arrivato a Damasco alla fine di gennaio 2011, al culmine del movimento di protesta in Egitto. Il precedente a ambasciatore degli USA in Siria fu richiamato da Washington dopo l’assassinio, nel 2005, dell’ex primo ministro Rafik Hariri, di cui era stato accusato, senza prove, il governo di Bashar al-Assad. L’autore è stato a Damasco il 27 gennaio 2011, quando l’inviato di Washington ha presentato le sue credenziali al governo al Assad.

All’inizio della mia visita in Siria, nel gennaio 2011, ho riflettuto sul significato di questo appuntamento diplomatico e il ruolo che potrebbe svolgere in un processo segreto di destabilizzazione politica. Non ho, tuttavia, previsto che questo processo sarebbe stato attuato in meno di due mesi dalla nomina di Robert S. Ford ad ambasciatore USA in Siria. Il ripristino di un ambasciatore statunitense a Damasco, ma più specificamente la scelta di Robert S. Ford come ambasciatore degli Stati Uniti, ha un rapporto diretto coll’inizio del movimento di protesta di metà marzo, contro il governo di Bashar al-Assad. Come “Numero Due“, presso l’ambasciata USA di Baghdad (2004-2005) sotto la guida dell’ambasciatore John D. Negroponte, ha giocato un ruolo chiave nell’attuazione dell’"Opzione Salvador in Iraq” del Pentagono. Quest’ultimo consisteva nel sostenere gli squadroni della morte iracheni e le forze paramilitari modellate sull’esperienza del Centro America.

I media occidentali hanno ingannato l’opinione pubblica sulla natura del movimento di protesta araba, omettendo di parlare del sostegno fornito dal Dipartimento di Stato USA e dalle fondazioni statunitensi (tra cui il National Endowment for Democracy (NED)) verso prescelti gruppi di opposizione pro-USA. Noto e documentato, il Dipartimento di Stato “ha finanziato gli oppositori del presidente siriano Bashar Assad dal 2006“. (US admits funding Syrian opposition – World – CBC News, 18 aprile 2011).

Il movimento di protesta in Siria è stato presentato dai media come parte della “primavera araba“, e presentato all’opinione pubblica come un movimento di protesta democratico che si diffonde spontaneamente dall’Egitto e Maghreb al Mashriq. Il nocciolo della questione è che queste iniziative nei vari paesi, sono strettamente cronometrate e coordinate. (Michel Chossudovsky, Il movimento di protesta in Egitto: “I dittatori” non dettano, ma obbediscono agli ordini, Global Research, 29 gennaio 2011).

C’è ragione di credere che gli eventi in Siria, tuttavia, siano stati pianificati con largo anticipo, in coordinamento con il processo di cambiamento di regime in altri paesi arabi, tra cui Egitto e Tunisia. Lo scoppio del movimento di protesta nella città al confine meridionale di Daraa, è stato accuratamente programmato per far seguito agli eventi in Tunisia ed Egitto. Vale la pena notare che l’ambasciata degli Stati Uniti in diversi Paesi, ha svolto un ruolo centrale nel sostenere i gruppi di opposizione. In Egitto, per esempio, il Movimento Giovanile 6 Aprile è stato sostenuto direttamente dall’ambasciata degli Stati Uniti a Cairo.

Chi è l’Ambasciatore Robert Stephen Ford?

Fin dal suo arrivo a Damasco, alla fine di gennaio 2011, l’ambasciatore Robert S. Ford ha svolto un ruolo centrale nel gettare le basi, così come stabilire contatti, con i gruppi di opposizione. Una ambasciata USA a Damasco operativa, era vista come una precondizione per lo svolgimento di un processo di destabilizzazione politica che porti al “cambio di regime“. L’ambasciatore Robert S. Ford non è un diplomatico qualsiasi. E’ stato rappresentante degli Stati Uniti nella città sciita di Najaf, in Iraq, nel gennaio 2004. Najaf era la roccaforte dell’esercito del Mahdi. Pochi mesi dopo è stato nominato “numero due” (Ministro Consigliere per gli Affari Politici), presso l’ambasciata USA a Baghdad, all’inizio del mandato di John Negroponte come ambasciatore in Iraq (giugno 2004 – aprile 2005). Ford successivamente ha lavorato sotto il successore di Negroponte, Zalmay Khalilzad, prima della sua nomina ad ambasciatore in Algeria nel 2006.Il mandato di Negroponte come ambasciatore USA in Iraq (insieme a Robert S. Ford) era coordinare, dall’ambasciata degli Stati Uniti, il sostegno segreto agli squadroni della morte e ai gruppi paramilitari in Iraq, al fine di fomentare la violenza settaria e indebolire il movimento di resistenza. Robert Robert S. Ford come “Numero Due” (Ministro Consigliere per gli Affari Politici) presso l’Ambasciata degli Stati Uniti ha giocato un ruolo centrale in questa operazione. Per capire il mandato di Robert Ford, sia a Baghdad che poi a Damasco, è importante riflettere brevemente sulla storia delle operazioni segrete degli Stati Uniti e il ruolo centrale svoltovi da John D. Negroponte.

Negroponte e l’”Opzione Salvador

John Negroponte aveva prestato servizio come ambasciatore USA in Honduras dal 1981 al 1985. Come ambasciatore a Tegucigalpa, ha giocato un ruolo fondamentale nel sostenere e supervisionare i mercenari Contras nicaraguensi che avevano sede in Honduras. Gli attacchi transfrontalieri dei Contra in Nicaragua avrebbero causato circa 50000 vittime civili. Nello stesso periodo, Negroponte è stato determinante nella creazione degli squadroni della morte militari honduregni, “operando con il sostegno di Washington, [essi] assassinarono centinaia di oppositori del regime appoggiato dagli USA.” (Vedasi Bill Vann, Bush Nominee linked to Latin American Terrorism, Global Research, novembre 2001).

“Sotto il dominio del generale Gustavo Alvarez Martinez, il governo militare dell’Honduras fu uno stretto alleato dell’amministrazione Reagan che fece “sparire “decine di oppositori politici nel modo classico degli squadroni della morte”. In una lettera del 1982 a The Economist, Negroponte scrisse che era “semplicemente falso affermare che le squadre della morte avessero fatto la loro comparsa in Honduras“. Il Country Report on Human Rights Practices che la sua ambasciata aveva inviato alla Commissione Esteri del Senato prese la stessa linea, insistendo sul fatto che non vi erano “prigionieri politici in Honduras” e che “il governo honduregno non giustifica, né permette consapevolmente omicidi di natura politica o non politica“. Eppure, secondo una serie di quattro articoli del Baltimore Sun nel 1995, nel 1982 solo la stampa honduregna coprì 318 storie di omicidi e rapimenti da parte dei militari honduregni. Il Sun ha descritto le attività di una unità segreto dell’esercito honduregno addestrata dalla CIA, il Battaglione 316, che usava “dispositivi di shock e soffocamento durante gli interrogatori. Prigionieri spesso venivano tenuti nudi e, quando non più utili, uccisi e sepolti in tombe senza nome.”

Il 27 agosto 1997, l’ispettore generale della CIA Frederick P. Hitz, aveva pubblicato un rapporto classificato di 211 pagine, dal titolo “Questioni specifiche relative alle attività della CIA in Honduras negli ’80.” Questo rapporto è stato parzialmente declassificato il 22 ottobre 1998, in risposta alle richieste del difensore civico dei diritti umani in Honduras. Gli oppositori di Negroponte chiedevano che tutti i senatori leggano il rapporto completo, prima di votare la sua nomina alla carica di rappresentante permanente degli Stati Uniti alle Nazioni Unite).”(Peter Roff e James Chapin, Face-off: Bush’s Foreign Policy Warriors, Global Research, Global Research novembre 2001).

John Negroponte – Robert S. Ford. L’”Opzione Salvador” in Iraq

Nel gennaio 2005, a seguito della nomina di Negroponte ad ambasciatore USA in Iraq, il Pentagono ha confermato, in una articolo trapelata al Newsweek, che “stava considerando la creazione di squadre d’assalto di combattenti curdi e sciiti, da indirizzare contro i leader della rivolta irachena, in un cambiamento strategico preso a prestito dalla contro-guerrigliera statunitense in America Centrale di 20 anni fa“. (El Salvador-style ‘death squads’ to be deployed by US against Iraq militants – Times Online, 10 gennaio 2005).

John Negroponte e Robert S. Ford presso l’Ambasciata degli Stati Uniti hanno lavorato a stretto contatto sul progetto del Pentagono. Due altri funzionari dell’ambasciata, e cioè Henry Ensher (Vice di Ford) e un funzionario più giovane nella sezione politica, Jeffrey Beals, svolsero un ruolo importante nella squadra che “parlava ad una serie di iracheni, compresi gli estremisti“. (Vedasi The New Yorker, 26 marzo 2007). Un altro individuo chiave nella squadra di Negroponte è stato Franklin James Jeffrey, ambasciatore statunitense in Albania (2002-2004). Jeffrey è attualmente l’ambasciatore statunitense in Iraq. Negroponte ha anche portato nel gruppo uno dei suoi collaboratori, l’ex colonnello James Steele (in pensione) del suo periodo di massimo splendore in Honduras: “Sotto l’”Opzione Salvador”, Negroponte aveva l’appoggio del suo collega dai giorni in America Centrale, durante gli anni ’80, il Col. in pensione James Steele. Steele, la cui carica a Baghdad era Consigliere per le forze di sicurezza irachene, aveva curato la selezione e l’addestramento dei membri del l’Organizzazione Badr e dell’Esercito del Mahdi, le due maggiori milizie sciite in Iraq, al fine di indirizzare la leadership e le reti di sostegno, in primo luogo contro la resistenza sunnita. Pianificati o no, questi squadroni della morte andarono subito fuori controllo e divennero la principale causa di morte in Iraq. Intenzionale o meno, decine di torturati, corpi mutilati, comparivano nelle strade di Baghdad ogni giorno, provocati dalle squadre della morte il cui impulso era stato dato da John Negroponte. Ed è stata questa violenza settaria appoggiata dagli USA, che in gran parte ha portato al disastro infernale l’Iraq di oggi”. (Dahr Jamail, Managing Escalation: Negroponte and Bush’s New Iraq Team, Antiwar.com, 7 gennaio 2007).

John Negroponte descrisse Robert Ford, mentre era presso l’ambasciata a Baghdad, come “una di quelle persone instancabili … che non pensa di indossare il giubbotto antiproiettile e l’elmetto, mentre va fuori della Zona Verde ad incontrare i contatti”. Robert S. Ford parla correntemente arabo e turco. E’ stato spedito da Negroponte ad intraprendere contatti strategici: “Una proposta del Pentagono avrebbe mandato i team delle Forze Speciali a consigliare, sostenere ed eventualmente addestrare squadre irachene, molto probabilmente formate da combattenti curdi peshmerga e da miliziani sciiti, da usare contro i ribelli sunniti e i loro simpatizzanti, anche attraverso il confine con la Siria, secondo addetti militari che sono familiari a questi discorsi. Non è chiaro, tuttavia, se questa sarebbe una politica di assassinio o di cosiddette operazioni di ‘sottrazione’, in cui gli obiettivi vengono inviati in strutture segrete, per gli interrogatori. Il pensiero corrente è che, mentre le forze speciali statunitensi avrebbero condotto le operazioni, per esempio, in Siria, le attività in Iraq sarebbero svolte dai paramilitari iracheni”. (Newsweek, 8 gennaio 2005).

Il piano aveva il sostegno del primo ministro iracheno Iyad Allawi, nominato dal governo degli Stati Uniti. “Il Pentagono non ha voluto commentare, ma un insider ha detto a Newsweek: “Quello in cui tutti sono d’accordo è che non possiamo andare avanti così. Dobbiamo trovare un modo per prendere l’offensiva contro gli insorti. In questo momento, stiamo giocando in difesa. E stiamo perdendo“. Le squadre d’assalto sarebbero controverse e probabilmente sarebbero tenute segrete. L’esperienza dei cosiddetti “squadroni della morte” in America Centrale è conosciuta da molti anche oggi, e ha contribuito a macchiare l’immagine degli Stati Uniti nella regione. … John Negroponte, l’ambasciatore statunitense a Baghdad, ha avuto un posto in prima fila quando era ambasciatore in Honduras dal 1981-85. Gli squadroni della morte erano una caratteristica brutale della politica latino-americana del tempo. In Argentina, negli anni ’70 e in Guatemala negli anni ’80, i soldati indossavano uniformi di giorno, ma usavano auto senza targa di notte per rapire e uccidere gli oppositori al regime o dei loro simpatizzanti sospetti. Nei primi anni ’80, l’amministrazione del presidente Reagan ha finanziato e contribuito ad addestrare i contras del Nicaragua basati in Honduras, con l’obiettivo di spodestare il regime sandinista del Nicaragua. I Contras erano dotati dei soldi provenienti dalle vendite illegali di armi statunitensi all’Iran, uno scandalo che potrebbe avrebbe potuto rovesciare il signor Reagan. Fu in El Salvador, che gli Stati Uniti crearono piccole unità di forze locali specificamente destinate ai ribelli. La spinta della proposta del Pentagono in Iraq, secondo Newsweek, è quello di seguire quel modello e dirigere le squadre delle forze speciali degli Stati Uniti a consigliare, sostenere e addestrare i combattenti curdi peshmerga e i miliziani sciiti contro i leader dell’insurrezione sunnita. Non è chiaro se l’obiettivo principale delle missioni sarebbe quello di assassinare i ribelli o rapirli e portarli via per gli interrogatori. Ogni missione in Siria, probabilmente, deve essere effettuata da forze speciali USA. Né è chiaro chi dovrebbe assumersi la responsabilità di un tale programma – il Pentagono o la Central Intelligence Agency. Tali operazioni segrete sono state tradizionalmente gestite dalla CIA, quale braccio occulto dell’amministrazione al potere, dando ai funzionari degli Stati Uniti la possibilità di negare la conoscenza di esso”. (Times Online, op. cit.).

Sotto la guida di Negroponte presso l’ambasciata USA a Baghdad, si scatenò un’ondata di uccisioni di civili segrete e di omicidi mirati. Ingegneri, medici, scienziati e intellettuali furono presi di mira. L’obiettivo era creare divisioni tra le fazioni sunnite, sciite, curde e cristiane, oltre a eliminare i civili che sostenevano la resistenza irachena. La comunità cristiana è stata uno degli obiettivi principali del programma di assassini. L’obiettivo del Pentagono consisteva anche nell’addestrare le forze dell’esercito, della polizia e sicurezza irachene, che avrebbe portato a un programma indigeni di “contro-insurrezione” (non ufficialmente) per conto degli Stati Uniti.

Il ruolo del generale David Petraeus

Un “Multi-National Security Transition Command in Iraq” (MNSTC) fu istituito sotto il comando del generale David Petraeus, con il mandato di addestrare e attrezzare l’esercito, la polizia e le forze di sicurezza irachene. Il generale David Petraeus (che è stato nominato da Obama a capo della CIA, nel luglio 2011), assunse il comando del MNSTC nel giugno 2004, fin dall’inizio del mandato di Negroponte come ambasciatore. Il MNSTC era parte integrante dell’”Operazione Salvador in Iraq” del Pentagono, sotto la guida dell’ambasciatore John Negroponte. Fu classificata come esercitazione di contro-insurrezione. Alla fine del periodo di Petraeus, il MNSTC aveva addestrato circa 100.000 forze di sicurezza irachene, poliziotti, ecc; che hanno costituito un corpo militare locale da utilizzare contro la resistenza irachena, come pure i suoi sostenitori civili.

Da Baghdad a Damasco: l’Opzione Salvador in Siria

Mentre le condizioni in Siria sono marcatamente diverse da quelle in Iraq, Robert S. Ford, col suo passato di “Numero Due” dell’ambasciata USA a Baghdad, ha un impatto diretto sulla natura delle proprie attività in Siria, compresi i suoi contatti con i gruppi di opposizione. Ai primi di luglio, l’ambasciatore statunitense Robert Ford viaggiò ad Hama ed ebbe incontri con i membri del movimento di protesta. (Low-key US diplomat transforms Syria policy – The Washington Post, 12 luglio 2011). Relazioni confermano che Robert Ford ha avuto numerosi contatti con i gruppi di opposizione, sia prima che dopo il suo viaggio di luglio ad Hama. In una recente dichiarazione (4 agosto), ha confermato che l’ambasciata continuerà a “raggiungere” i gruppi di opposizione, a dispetto delle autorità siriane.

Il generale David Petraeus: Nuovo capo della CIA del Presidente Obama

Recentemente nominato capo della CIA da Obama, David Petraeus che ha guidato il programma di “Controinsurrezione” del MNSTC a Baghdad, nel 2004, in coordinamento con l’ambasciatore John Negroponte, dovrebbe svolgere un ruolo chiave nell’intelligence relativa alla Siria – tra cui il sostegno segreto alle forze di opposizione e ai “combattenti per la libertà“, l’infiltrazione dei servizi segreti e delle forze armate siriani, ecc. I lavori saranno eseguiti in collaborazione con l’Ambasciatore Robert S. Ford. Entrambi hanno lavorato insieme in Iraq, dov’erano parte del grande team di Negroponte a Baghdad, nel 2004-2005.

Michel Chossudovsky, laureato all’università di Manchester, insegna all’università di Ottawa. Dirige il Centro Ricerche e Globalizzazione del quale coordina le ricerche in Medio Oriente e America Latina. Il suo libro “America, guerra e terrorismo” è stato tradotto in 20 lingue.

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4 Commenti:

Alle 24 agosto 2011 alle ore 23:16 , Blogger vichi ha detto...

Sull'argomento, si veda anche l'articolo "D-Day per Damasco?" aul aito web Come Don Chisciotte:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8847

 
Alle 27 agosto 2011 alle ore 16:29 , Anonymous Anonimo ha detto...

Allora che cosa preferisci, caro vichi, che la Siria rimanga una dittatura governata da un solo partito, quello Baath, portatore di un'ideologia reazionaria e fascista, che ha nutrito tiranni come Saddam Hussein e Nasser?
Non dirmi poi che il popolo è felice con Assad, perchè il suo governo non ha portato ad uno sviluppo vero delle condizioni di vita della popolazione, che rimangono piuttosto misere ed inoltre non è giusto che un paese resti per anni e anni sotto un regime che non dà la possibilità di esprimersi e di partecipare attivamente alla vita politica.

 
Alle 29 agosto 2011 alle ore 09:54 , Blogger vichi ha detto...

Beh. direi che un conto è l'evoluzione di una nazione verso la democrazia, attraverso proteste popolari (con il possibile corollario di atti di violenza), un altro è la pesante interferenza interna, la manipolazione dei media, il foraggiare e l'armare gfruppi di protesta allo scopo di creare le condizioni per un intervento armato "umanitario" all'interno di un paese.

Con l'aggravante che tale mossa sembra rientrare in un piano di accerchiamento e di attacco finale all'Iran.

Poi magari ci si preoccupa delle tensioni in medio oriente...

 
Alle 29 agosto 2011 alle ore 10:36 , Anonymous Gary78 ha detto...

In risposta all'Anonimo direi che quando la "democrazia" viene imposta con la violenza (ad esempio con la guerra)essa non è più democrazia, ma diventa puro fascismo.
Democrazia è un termine che deriva dal greco e vuol dire "governo del popolo": ora, proprio per questo è il popolo che deve volerla e deve avere la maturità necessaria per concepirla, ma ciò non si verifica dappertutto, anche perchè ogni nazione ha una storia diversa dalle altre.
L'Occidente e soprattutto gli Usa non sono interessati alla democrazia come ideale, ma solo ai loro interessi geopolitici, quindi la loro battaglia per la democrazia è molto ipocrita e per giunta pericolosa.

 

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