30 dicembre 2008

Nessuna speranza per Gaza.


In questi giorni in cui il mondo assiste attonito al massacro in atto nella Striscia di Gaza, il sito di Arabnews ha scelto di offrire, quasi in tempo reale, una panoramica delle reazioni della stampa araba ed internazionale a fronte della criminale operazione “Piombo Fuso” messa in atto dall’esercito israeliano.

Tra i tanti, abbiamo deciso di riportare l’articolo che segue, pubblicato il 29 dicembre dal direttore del Palestine Chronicle Ramzy Baroud, noto giornalista palestinese di nazionalità americana.

Nell’articolo Baroud mette in rilievo come – a fronte di un attacco militare senza precedenti che sempre più si caratterizza come un crimine contro l’umanità commesso ai danni di una popolazione inerme – la comunità internazionale non riesca ad andare oltre agli sterili inviti al cessate il fuoco o alle dichiarazioni ufficiali che esprimono “preoccupazione”.

Ivi inclusi gli stessi Paesi arabi che, in molti casi, e ciò in primis vale per l’Egitto, si trovano ad affrontare la marea montante della
rabbia delle popolazioni che protestano sia contro i crimini israeliani sia anche contro l’inazione – ai limiti della connivenza – dei loro governanti.

La storia recente della Striscia di Gaza non è che un susseguirsi di stragi e di sofferenza per un milione e mezzo di persone la cui unica colpa è stata quella di votare per le liste di Hamas nel corso di elezioni libere e democratiche (fortemente volute e sponsorizzate, peraltro, soprattutto dagli Usa): siamo passati dall’operazione “Inverno Caldo” (27febbraio - 2 marzo 2008), che è costata la vita a 107 Palestinesi, di cui oltre il 60% civili inermi e, tra essi, 5 donne e 27 bambini, all’attuale operazione “Piombo Fuso”, in cui il tragico bilancio di morte è più che triplicato (e non è ancora finita…).

In mezzo, una guerra strisciante seguita da periodi di tregua precaria, con un copione che si svolge immutabile, senza che la comunità internazionale faccia nulla per interrompere questa tragica spirale di morte e distruzione.

L’unico modo per invertire il corso degli eventi – ce lo ricordava
Karen AbuZayd – sarebbe quello di porre la questione della tutela dei diritti dei Palestinesi, a 60 anni dall’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, come il comune denominatore degli interventi di ogni nazione che si reputi civile.

Ma questa rischia di restare una vana speranza.



Gaza e il mondo: cambieranno mai le cose?

29.12.2008

In tempi di crisi, gran parte degli arabi si sintonizza su ‘al-Jazeera’. A volte è confortante che la verità venga affermata per come è, con tutti i suoi dettagli sanguinosi e sconvolgenti, senza veli e senza censure. Quando Israele ha scatenato un massiccio attacco aereo contro Gaza, sabato 27 dicembre, terrorizzando una popolazione già prigioniera e malnutrita, anch’io mi sono sintonizzato su al-Jazeera.

In pochi secondi ho conosciuto il bilancio: 290 morti (destinati ad aumentare) ed oltre 700 feriti in un solo giorno. Ma, per quanto drammatico possa essere apparso questo bilancio – il più alto bilancio di vittime inflitto in un giorno da Israele in Palestina dai tempi della fondazione dello stato ebraico nel 1948 – non vi era nulla di nuovo da apprendere. Ovunque le tragedie – naturali o prodotte dall’uomo – tendono a portare a sconvolgimenti sociali, culturali, economici, e politici, anche a rivoluzioni, che in qualche modo alterano il panorama sociale, culturale, economico ed infine politico delle regioni colpite, tranne che in Palestina.

Sono rimasto inutilmente incollato allo schermo. Venire a conoscenza delle conseguenze di simili tragedie sembra più un rituale che un’abitudine che abbia un significato. Le reazioni arabe ed internazionali alle uccisioni possono solo servire a ricordare quanto inefficaci ed irrilevanti, se non addirittura compiacenti, siano i loro timidi borbottii.

Ancora una volta gli Stati Uniti hanno accusato i palestinesi, e i “delinquenti” di Hamas, usando parole che sfidano la logica, come ad esempio “Israele ha il diritto all’autodifesa”. Questa affermazione appare ridicola come sempre, perché un paese come Israele, con un esercito che possiede le armi più letali del mondo, incluse le armi nucleari, non può sentirsi minacciato da una popolazione imprigionata il cui unico meccanismo di difesa sono razzi artigianali a base di fertilizzante! Mentre Israele ha ucciso e ferito migliaia di palestinesi a Gaza (ne ha ferito un migliaio solo sabato), appena un manipolo di israeliani sono morti in conseguenza del lancio dei razzi palestinesi nel corso di anni. I numeri hanno ancora una qualche importanza?

I governi europei hanno scelto attentamente le parole, “esprimendo preoccupazione”, “invitando Israele a contenersi”, e così via. I governi arabi erano, come al solito, distratti da cose futili, protocolli e norme di comportamento, ed hanno facilmente perso di vista la crisi imminente.

Poi, la solita – e come sempre prevedibile – esplosione ha avuto inizio. Chiamate appassionate da tutto il mondo sono giunte alle stazioni televisive e radiofoniche del Medio Oriente, urlando, gridando, piangendo, sfogandosi, lanciando appelli a Dio, ai leader arabi, a tutti quelli “che hanno ancora una coscienza”, affinché facciano qualcosa.

La collera è presto sfociata in manifestazioni di piazza nelle capitali arabe, ovviamente sotto l’occhio sempre vigile della polizia e dei servizi segreti arabi. Bandiere di Israele e degli Stati Uniti, ed in alcuni casi dell’Egitto, sono state date alle fiamme insieme alle effigi di Bush e dei leader israeliani.

“Cogliendo l’occasione”, alcuni governi arabi hanno dichiarato con grande enfasi la loro intenzione di inviare un aereo o due con medicine e cibo per Gaza, e le immagini di qualche cassa su cui spiccava la bandiera del paese donatore sono state proposte e riproposte sui mezzi di informazione locali. Nel frattempo, i notiziari parlavano dei palestinesi che tentavano di fuggire dalla prigione di Gaza verso il deserto del Sinai. Ad essi si sono opposte con fermezza le forze di sicurezza egiziane al confine.

Abbastanza stranamente, il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas è rimasto fedele al copione, malgrado la tragedia senza precedenti di Gaza. Domenica scorsa, egli ha incolpato Hamas per il bagno di sangue. “Abbiamo parlato con loro (con Hamas) e gli abbiamo detto, ‘ve lo chiediamo per favore, non mettete fine alla tregua, fate in modo che la tregua continui e non cessi’, in modo da evitare quello che è accaduto”.

Abbas è stato informato del fatto che Hamas non ha compiuto un solo attacco suicida dal 2005? O del fatto che la “tregua” non ha mai spinto Israele a consentire ai palestinesi di Gaza di avere accesso ai medicinali ed ai generi di prima necessità? O del fatto che è stato Israele che ha attaccato per primo Gaza lo scorso novembre (vedi qui), uccidendo diverse persone, perché sosteneva di avere avuto informazioni su un piano segreto di Hamas?

E’ ancora più strano il fatto che, mentre Abbas ha scelto di adottare una simile posizione, molti israeliani non sono per niente convinti del fatto che la guerra contro Gaza sia del tutto legata ai razzi di Hamas, e non sia piuttosto una manovra elettorale compiuta da politici disperati che fanno a gara per ottenere il voto della dominante destra israeliana alle prossime elezioni di febbraio. In effetti, il piano israeliano contro Gaza ha poco a che fare con l’ “escalation” dei lanci di razzi a metà dicembre.

“Una preparazione di lungo periodo, un’attenta raccolta delle informazioni, discussioni segrete, tecniche di disinformazione ed operazioni volte a sviare l’opinione pubblica – tutto questo sta dietro l’operazione ‘Piombo Fuso’ delle Forze di Difesa Israeliane contro gli obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza”, ha scritto il 28 dicembre il quotidiano israeliano Haaretz, che ha anche rivelato che il piano è stato portato avanti per sei mesi.

“Come nel caso dell’aggressione militare americana all’Iraq, e della risposta israeliana al rapimento dei riservisti Eldad Regev e Ehud Goldwasser all’inizio della Seconda Guerra Libanese, ben poco peso è stato dato all’eventualità di colpire civili innocenti”, ha scritto Haaretz (si veda l’articolo di Amos Harel).

Ma perché Israele dovrebbe preoccuparsi per un momento dell’eventualità di colpire i civili o di violare la legalità internazionale, o di qualche altro di questi concetti (a quanto sembra) irrilevanti – quando si tratta di Israele – se i loro “partner palestinesi”, la Lega Araba, e la comunità internazionale continuano ad oscillare fra il silenzio, la compiacenza, la retorica e l’inazione?

Un medico di una clinica di Khan Younis, nella Striscia di Gaza, mi ha detto per telefono: “Decine di feriti sono clinicamente morti. Altri sono sfigurati orribilmente. Ho avuto la sensazione che la morte sarebbe più pietosa per loro che non continuare a vivere. Non abbiamo più posti nella clinica. Parti di corpi ingombrano i corridoi. Vi erano persone che gridavano in un’agonia interminabile, e noi non avevamo abbastanza medicine e farmaci contro il dolore. Così abbiamo dovuto decidere a chi dare i farmaci e a chi no. In quel momento ho sinceramente pensato che avrei preferito rimanere ucciso io stesso negli attacchi israeliani, ma ho continuato a correre cercando di fare qualcosa, qualsiasi cosa”.

Prima che i paesi arabi e le altre nazioni traducano i loro cori di condanna in un’azione politica pratica ed efficace che possa mettere fine ai furiosi assalti israeliani contro i palestinesi, tutto quello che potrà cambiare è il numero dei morti e dei feriti. Ma ancora rimane da chiedersi: se Israele ucciderà altri 1.000, 10.000 palestinesi, o la metà della popolazione di Gaza, gli Stati Uniti continueranno a dare la colpa ai palestinesi? L’Egitto aprirà il confine con Gaza? L’Europa continuerà ad esprimere la stessa “profonda preoccupazione”? Gli arabi continueranno a fare le loro ridondanti affermazioni? Le cose potranno mai cambiare? Potranno mai?

Ramzy Baroud è un giornalista palestinese di nazionalità americana; è direttore del Palestine Chronicle

Etichette: , , , ,

Condividi

5 Commenti:

Alle 30 dicembre 2008 alle ore 20:16 , Anonymous Anonimo ha detto...

Un saluto di Pace.
Mi permetto di postare tra i commenti il link ad un appello, per un digiuno di solidarietà col popolo di Gaza. Ti ringrazio fin d'ora per l'ospitalità, leggendoti sempre con estremo interesse. Grazie per il preziosissimo lavoro che conduci.
http://aljihadalakbar.splinder.com/post/19451943/Un+digiuno+per+Gaza

 
Alle 31 dicembre 2008 alle ore 03:12 , Blogger vichi ha detto...

Grazie a te Abdel per il tuo appello e le tue belle parole.
Voglio rilanciare inoltre il tuo invito alla veglia di solidarietà per domani a Milano:

Domani, 31 Dicembre, dalle ore 16 alle 19; Milano, via Mercanti angolo piazza Cordusio.
Veglia di solidarietà col popolo palestinese, organizzata da associazioni antirazziste.

Per i musulmani presenti, la salatul-maghrib sarà in piazza, verso le 16:50 ensha'Allah.

 
Alle 31 dicembre 2008 alle ore 10:57 , Anonymous Anonimo ha detto...

I primi bambini morti li ha fatti un missile di Hamas ed erano bambine palestinesi. Siate meno ipocriti !!!

 
Alle 31 dicembre 2008 alle ore 12:00 , Blogger vichi ha detto...

E questo che significa, caro anonimo, che gli assassini di Tsahal sono dunque legittimati a massacrare civili inermi e a distruggere intere famiglie?
Se non si trattasse di Israele, i vari Olmert, Barak e Livni sarebbero giudicati da un tribunale internazionale per crimini contro l'umanità, e questo Stato canaglia destabilizzatore dell'intero medio oriente verrebbe bandito dalla comunità internazionale e sottoposto ad un boicottaggio politico ed economico.
Ed è solo grazie alla sempre fiorente industria dell'Olocausto che può configurarsi l'incredibile sovvertimento della realtà che vede l'aggredito accusato di aver rotto una "tregua" mai osservata dai sionisti e l'aggressore giustificato per "legittima difesa".

 
Alle 31 dicembre 2008 alle ore 18:04 , Anonymous Anonimo ha detto...

.... speriamo che ci sia presto una "fiorente industria dell'olocausto" anche per te e per i tuoi amici .. Barac

 

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page