Breve diario della Carovana della Speranza per Gaza.
Ricevo e pubblico volentieri.
Sono appena rientrati a Ferrara Fernando Rossi e Monia Benini, componenti italiani della Carovana della Speranza per Gaza, organizzata da The European Campaign to end the siege on Gaza, allo scopo di portare aiuti umanitari alla popolazione martoriata dalla guerra.
Il convoglio è partito dal porto di Genova l’11 maggio: 39 mezzi di cui 15 ambulanze, furgoni e camioncini pieni di sedie a rotelle, stampelle, lettighe, medicinali, attrezzature per ciechi. Un centinaio di delegati provenienti da 13 paesi europei si sono invece ritrovati al Cairo nei giorni seguenti, in attesa dell’arrivo del cargo al porto di Alessandria. Per i due ferraresi della lista civica nazionale “Per il bene comune” gli impegni hanno avuto inizio il 12 maggio, con l’incontro con il delegato del Ministro degli Affari Esteri egiziano per concordare il percorso via terra dei mezzi e l’arrivo del convoglio al valico di Rafah. A seguire, Rossi (capo convoglio) e Benini hanno personalmente incontrato l’ambasciatore italiano Pacifico per uno scambio di informazioni in merito alla missione. L’ambasciatore, ha espresso il suo apprezzamento per l’iniziativa e si è detto orgoglioso per il fatto che proprio un italiano guidasse la Carovana, non tralasciando però di evidenziare i rischi e le problematicità dell’impresa.
In effetti, una serie di “inconvenienti tecnici” hanno prolungato sensibilmente la trasferta egiziana, dal momento che una volta giunti ad Alessandria, i mezzi hanno dovuto essere trasbordati su un’imbarcazione proveniente dalla Libia, per poi prendere la rotta di Port Said, come da indicazione delle autorità egiziane, preoccupate di possibili attacchi durante un tragitto via terra a loro parere troppo lungo. Il convoglio è finalmente partito verso Rafah, scortato lungo tutto il percorso da numerosissime camionette di guardie armate: dopo aver attraversato il deserto del Sinai e vari check point, al convoglio è stato imposta una sosta forzata durante la notte ad Al Arish per “ragioni di sicurezza”. Il mattino seguente, a Rafah, quando sembrava che il convoglio potesse finalmente transitare verso Gaza, dopo aver ottenuto il visto di uscita, è però giunto l’ordine dal Cairo alla security egiziana, la quale ha bloccato il gruppo, ritirando e trattenendo i passaporti, e fermando di fatto i componenti della delegazione, che per superare la notte hanno deciso di accamparsi dormendo sul pavimento della struttura doganale. La mattina seguente, sono ripresi i negoziati ed è stato lo stesso Rossi a contattare l’ambasciata per avere una sponda rispetto alle autorità egiziane. Dopo molte lunghe ore, è arrivato il via, ma con un drastico taglio ai compenenti: solo 20 persone sono state autorizzate a passare, mentre da Gaza sono arrivate le persone per guidare a destinazione i mezzi del convoglio. E’ toccato proprio a Rossi e alla Benini salire sui primi due mezzi che hanno passato il valico, fra ali di giornalisti e di persone acclamanti, mentre il ministro dei Sevizi Sociali si prodigava per dare il benvenuto alla Carovana della Speranza. Un momento emozionante e commovente, subito seguito da una conferenza stampa internazionale, che ha evidenziato il sopruso subito dal convoglio di aiuti umanitari, incredibilmente bloccato dopo aver ottenuto il visto di uscita.
Nei due giorni seguenti il ritmo degli appuntamenti è stato incalzante: dalla consegna dei mezzi e dei materiali a due ospedali di Gaza e Khan Yunis, alla distribuzione del software per i ciechi presso la scuola dell’ONU (UNRWA), dall’incontro con i parlamentari, a quello con il Primo Ministro e il Governo, dalla visita all’Università Islamica a quella ad un campo profughi, dall’assemblea con i familiari degli 11.000 palestinesi detenuti dagli Israeliani, all’appuntamento con un pool di giuristi e avvocati che si sta occupando di presentare ricorso alla Corte Penale Internazionale per i crimini di guerra commessi dalle truppe sioniste.
“Siamo rimasti scioccati.- raccontano Benini e Rossi – La furia sionista si è abbattuta senza pietà, anche con l’utilizzo di armi proibite come il fosforo bianco e le DIME, contro tutto e tutti: scuole, case abitate e disabitate, muri di cinta, ospedali (anche quelli nuovi, ancora da inaugurare), fabbriche, magazzini, cimiteri, bestiame. A peggiorare la situazione c’è anche l’embargo, al quale partecipa anche il nostro Paese, che lascia senza cibo, bevande, farmaci, materiali di prima assistenza, ecc…l’intera popolazione. In molti posti non possono nemmeno rimuovere le macerie dei bombardamenti, perché non hanno nulla a disposizione, eccetto le mani nude.”
Un’esperienza drammatica quindi, che fa emergere con nettezza l’importanza della missione alla quale hanno partecipato i due ferraresi: “Per i dirigenti degli ospedali i nostri aiuti hanno significato realmente una speranza di vita. Noi stessi abbiamo donato, a nome di Per il bene comune, un dispositivo per la potabilizzazione dell’acqua al reparto pediatrico dell’ospedale Naser: un piccolo gesto, ma molto apprezzato. La popolazione è ridotta agli stenti dalla ferocia della guerra e da un embargo criminale, che violano palesemente la Carta Universale dei Diritti dell’Uomo, ma la gente riesce ancora a trovare la forza necessaria per sopravvivere a tanta sofferenza. Il governo locale mette al centro le necessità dei propri cittadini, e gestisce in maniera onesta e responsabile le scarsissime risorse della Striscia, e al contempo il popolo Palestinese riesce a reagire al dolore e alla miseria con un amore per la vita e con una dignità quasi incredibile ai nostri occhi. In conclusione – sostengono Rossi e Benini – siamo partiti con il Convoglio, ma è Gaza che ha riempito noi di speranza: quel sentimento necessario per continuare ad operare anche in Italia, per una politica meno corrotta e degenerata, che metta realmente al centro il bene dell’intera collettività”.
“Per il Bene Comune”
Il convoglio è partito dal porto di Genova l’11 maggio: 39 mezzi di cui 15 ambulanze, furgoni e camioncini pieni di sedie a rotelle, stampelle, lettighe, medicinali, attrezzature per ciechi. Un centinaio di delegati provenienti da 13 paesi europei si sono invece ritrovati al Cairo nei giorni seguenti, in attesa dell’arrivo del cargo al porto di Alessandria. Per i due ferraresi della lista civica nazionale “Per il bene comune” gli impegni hanno avuto inizio il 12 maggio, con l’incontro con il delegato del Ministro degli Affari Esteri egiziano per concordare il percorso via terra dei mezzi e l’arrivo del convoglio al valico di Rafah. A seguire, Rossi (capo convoglio) e Benini hanno personalmente incontrato l’ambasciatore italiano Pacifico per uno scambio di informazioni in merito alla missione. L’ambasciatore, ha espresso il suo apprezzamento per l’iniziativa e si è detto orgoglioso per il fatto che proprio un italiano guidasse la Carovana, non tralasciando però di evidenziare i rischi e le problematicità dell’impresa.
In effetti, una serie di “inconvenienti tecnici” hanno prolungato sensibilmente la trasferta egiziana, dal momento che una volta giunti ad Alessandria, i mezzi hanno dovuto essere trasbordati su un’imbarcazione proveniente dalla Libia, per poi prendere la rotta di Port Said, come da indicazione delle autorità egiziane, preoccupate di possibili attacchi durante un tragitto via terra a loro parere troppo lungo. Il convoglio è finalmente partito verso Rafah, scortato lungo tutto il percorso da numerosissime camionette di guardie armate: dopo aver attraversato il deserto del Sinai e vari check point, al convoglio è stato imposta una sosta forzata durante la notte ad Al Arish per “ragioni di sicurezza”. Il mattino seguente, a Rafah, quando sembrava che il convoglio potesse finalmente transitare verso Gaza, dopo aver ottenuto il visto di uscita, è però giunto l’ordine dal Cairo alla security egiziana, la quale ha bloccato il gruppo, ritirando e trattenendo i passaporti, e fermando di fatto i componenti della delegazione, che per superare la notte hanno deciso di accamparsi dormendo sul pavimento della struttura doganale. La mattina seguente, sono ripresi i negoziati ed è stato lo stesso Rossi a contattare l’ambasciata per avere una sponda rispetto alle autorità egiziane. Dopo molte lunghe ore, è arrivato il via, ma con un drastico taglio ai compenenti: solo 20 persone sono state autorizzate a passare, mentre da Gaza sono arrivate le persone per guidare a destinazione i mezzi del convoglio. E’ toccato proprio a Rossi e alla Benini salire sui primi due mezzi che hanno passato il valico, fra ali di giornalisti e di persone acclamanti, mentre il ministro dei Sevizi Sociali si prodigava per dare il benvenuto alla Carovana della Speranza. Un momento emozionante e commovente, subito seguito da una conferenza stampa internazionale, che ha evidenziato il sopruso subito dal convoglio di aiuti umanitari, incredibilmente bloccato dopo aver ottenuto il visto di uscita.
Nei due giorni seguenti il ritmo degli appuntamenti è stato incalzante: dalla consegna dei mezzi e dei materiali a due ospedali di Gaza e Khan Yunis, alla distribuzione del software per i ciechi presso la scuola dell’ONU (UNRWA), dall’incontro con i parlamentari, a quello con il Primo Ministro e il Governo, dalla visita all’Università Islamica a quella ad un campo profughi, dall’assemblea con i familiari degli 11.000 palestinesi detenuti dagli Israeliani, all’appuntamento con un pool di giuristi e avvocati che si sta occupando di presentare ricorso alla Corte Penale Internazionale per i crimini di guerra commessi dalle truppe sioniste.
“Siamo rimasti scioccati.- raccontano Benini e Rossi – La furia sionista si è abbattuta senza pietà, anche con l’utilizzo di armi proibite come il fosforo bianco e le DIME, contro tutto e tutti: scuole, case abitate e disabitate, muri di cinta, ospedali (anche quelli nuovi, ancora da inaugurare), fabbriche, magazzini, cimiteri, bestiame. A peggiorare la situazione c’è anche l’embargo, al quale partecipa anche il nostro Paese, che lascia senza cibo, bevande, farmaci, materiali di prima assistenza, ecc…l’intera popolazione. In molti posti non possono nemmeno rimuovere le macerie dei bombardamenti, perché non hanno nulla a disposizione, eccetto le mani nude.”
Un’esperienza drammatica quindi, che fa emergere con nettezza l’importanza della missione alla quale hanno partecipato i due ferraresi: “Per i dirigenti degli ospedali i nostri aiuti hanno significato realmente una speranza di vita. Noi stessi abbiamo donato, a nome di Per il bene comune, un dispositivo per la potabilizzazione dell’acqua al reparto pediatrico dell’ospedale Naser: un piccolo gesto, ma molto apprezzato. La popolazione è ridotta agli stenti dalla ferocia della guerra e da un embargo criminale, che violano palesemente la Carta Universale dei Diritti dell’Uomo, ma la gente riesce ancora a trovare la forza necessaria per sopravvivere a tanta sofferenza. Il governo locale mette al centro le necessità dei propri cittadini, e gestisce in maniera onesta e responsabile le scarsissime risorse della Striscia, e al contempo il popolo Palestinese riesce a reagire al dolore e alla miseria con un amore per la vita e con una dignità quasi incredibile ai nostri occhi. In conclusione – sostengono Rossi e Benini – siamo partiti con il Convoglio, ma è Gaza che ha riempito noi di speranza: quel sentimento necessario per continuare ad operare anche in Italia, per una politica meno corrotta e degenerata, che metta realmente al centro il bene dell’intera collettività”.
“Per il Bene Comune”
Lista Civica Nazionale
tel/fax. 0532 52148
ufficiostampapbc@gmail.com
Etichette: diritti umani, end the siege, gaza, lista per il bene comune
4 Commenti:
In base a informazioni riportate da Haaretz il 9 giugno, un centinaio di camion pieni di aiuti medici e alimentari transitano ogni giorno da Israele verso la striscia di Gaza.
Per due settimane quindici giovani dell'area euro-mediterranea, professionisti del settore delle performing arts e provenienti dalle scuole d'arte drammatica o dalle facoltà umanistiche delle università dei Paesi coinvolti vivranno sotto lo stesso tetto, all'insegna di workshop e confronti culturali. I quindici ragazzi selezionati quest'anno, cinque palestinesi, cinque israeliani e cinque italiani, hanno festeggiato con danze e musiche tradizionali l'apertura della Summer School "Tradition and New Creativity in the Performing Arts", progetto di specializzazione professionale teatrale che si svolgerà a Napoli per tutto il mese di giugno. Il progetto è organizzato dal Napoli Teatro Festival Italia, in collaborazione con l'Università degli studi di Napoli, nell'ambito della seconda edizione della Euro-Mediterranean Summer School promossa dalla EMUNI University. La selezione internazionale dei partecipanti, di età compresa tra i 20 e 35 anni, è stata condotta dal Galilee College di Nahalal, dall'An-Najah National University di Nablus e dalla Fondazione Campania dei Festival sul rispettivo territorio nazionale, in collaborazione con le due Università partenopee. L'attività didattica è inoltre stata aperta agli studenti universitari che, partecipando alle selezioni e iscrivendosi, seguono le lezioni e assistono ai laboratori in qualità di uditori. Il progetto, realizzato in partnership internazionale con l'Università degli Studi di Napoli e l'Università degli Studi di Napoli Federico II, il Galilee College di Nahalal (Israele), l'An-Najah National University di Nablus, l'Institut Superieur des Beaux-Arts dell'Università di Sousse (Tunisia), nasce dall'idea della centralità storico-culturale del teatro nelle culture del Mediterraneo. All'apertura ufficiale hanno partecipato Lida Viganoni, Rettore dell'Orientale, i professori Masullo e Corrao della stessa università e la presidente della Fondazione Campania dei Festival Rachele Furfaro che ha salutato affettuosamente i 15 ragazzi sottolineando il filo conduttore del progetto: promuovere e diffondere lo scambio culturale.
Io dissento dalle vostre posizioni e (vorrei mi fosse consentito...)ritengo sia opportuno anche esporre educatamente il mio punto di vista. Partiamo da un dato di fatto. Israele si è più volte ritirato da aree occupate, dalla cisgiordania (accordi di Oslo) e dalla Striscia di Gaza nell'estate del 2005. Si è forse avuta la pace? No, anzi, la situazione è peggiorata. Nel 2000 Olmert si dichiarò disposto anche a ritirare il 98% delle colonie della West Bank, ma la controparte araba respinse gli accordi e scateno la seconda intifada. Per me la verità è che le colonie siano un falso problema e ritengo che Israele debba restare, altrimenti gli arabi ne approfitteranno per cercare di attaccare e destabilizzare la regine. E poi, per quale motivo al mondo in West bank non devono esserci insediamenti ebraici? Questo per me è scandaloso, dal momento che tali zone già prima della nascita del sionismo erano occupate da insediamenti di ebrei, che furono oltretutto scandalosamente distrutti quando la giordania, durante la guerra del 1948, cacciò gli ebrei dalle loro case e quella fu una pulizia etnica volutamente dimenticata e insabbiata. Gli accordi politici devono essere ispirati a reciprocità, nn si può pretendere da israele di ritirarsi quando gli arabi ancora costruiscono insediamenti in quelle aree e soprattutto quando i palestinesi non riconoscno il carattere ebraico di quello Stato e vorrebbero di fatto cercare di distruggerlo, si può dire quello che si vuole, si possono accampare infinite giustificazioni, ma per me la realtà è questa.
Le colonie nella West Bank sono illegali - come ha dichiarato nel 2004 l'ICJ dell'Aja - perchè in base al diritto internazionale non si possono insediare propri cittadini in un territorio occupato.
Il mondo conosce un diritto, che ahimé è diverso dai desiderata di Israele.
E il vero scandalo è che a Israele sia consentito di fare strame di ogni convenzione, risoluzione, accordo o norma di diritto internazionale e di diritto umanitario, nonché di ogni diritto umano fondamentale dei Palestinesi.
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