L'infamia di Israele, un paese che arresta e tortura i ragazzini
La politica di Israele nei confronti delle manifestazioni di protesta in Cisgiordania è molto semplice: repressione brutale e spietata. E questa politica si rivolge in buona parte contro quello che si ritiene il punto debole del fronte di lotta palestinese contro l’occupazione, i bambini e i ragazzi.
Così, nel cuore della notte, squadre della miglior feccia di Tsahal vengono inviate ad arrestare ragazzini anche dodicenni con l’accusa, il più delle volte campata in aria, di aver tirato delle pietre durante cortei e manifestazioni di protesta. Si tratta, in realtà, di un pretesto dal doppio scopo: spaventare e dissuadere dalla lotta contro l’occupazione i più piccoli e i più indifesi e, soprattutto, ottenere false confessioni per incriminare ed arrestare gli adulti.
E ciò avviene in piena violazione dei diritti umani di questi ragazzi, e in palese contrasto con norme e convenzioni internazionali e persino della stesse legge israeliana: ragazzini arrestati in piena notte, bendati e ammanettati, picchiati e torturati, interrogati senza la presenza di genitori o avvocati, costretti a firmare false confessioni, per di più scritte in lingua abraica.
Un record che fa orrore e desta sconcerto, persino per uno stato-canaglia come quello israeliano.
Come Israele si vendica dei ragazzi che tirano pietre.
Un video visionato da Catrina Stewart rivela i brutali interrogatori dei giovani palestinesi
26.8.2011
Così, nel cuore della notte, squadre della miglior feccia di Tsahal vengono inviate ad arrestare ragazzini anche dodicenni con l’accusa, il più delle volte campata in aria, di aver tirato delle pietre durante cortei e manifestazioni di protesta. Si tratta, in realtà, di un pretesto dal doppio scopo: spaventare e dissuadere dalla lotta contro l’occupazione i più piccoli e i più indifesi e, soprattutto, ottenere false confessioni per incriminare ed arrestare gli adulti.
E ciò avviene in piena violazione dei diritti umani di questi ragazzi, e in palese contrasto con norme e convenzioni internazionali e persino della stesse legge israeliana: ragazzini arrestati in piena notte, bendati e ammanettati, picchiati e torturati, interrogati senza la presenza di genitori o avvocati, costretti a firmare false confessioni, per di più scritte in lingua abraica.
Un record che fa orrore e desta sconcerto, persino per uno stato-canaglia come quello israeliano.
Come Israele si vendica dei ragazzi che tirano pietre.
Un video visionato da Catrina Stewart rivela i brutali interrogatori dei giovani palestinesi
26.8.2011
Il ragazzo, piccolo e fragile, lotta per restare sveglio. La testa gli ciondola da un lato, ad un certo punto gli crolla sul petto. “Alza la testa! Alzala!” grida uno di quelli che lo interrogano, schiaffeggiandolo. Ma il ragazzo ormai non se ne cura, perché è sveglio da almeno dodici ore da quando è stato separato dai suoi genitori sotto la minaccia delle armi alle due di quella mattina. “Vorrei che mi lasciaste andare”, piagnucola il ragazzo, “così posso dormire un poco.”
Nel video di quasi sei ore, il 14enne palestinese Islam Tamimi (nella foto, n.d.r.), esausto e spaventato, viene gradualmente logorato fino al punto in cui comincia ad accusare gli uomini del suo villaggio e a creare delle storie fantastiche che ritiene che i suoi aguzzini vogliano sentire.
Questo filmato quasi mai visto, visionato dall’Independent, offre uno scorcio di un interrogatorio israeliano, quasi un rito di passaggio che centinaia di ragazzini palestinesi accusati di aver lanciato pietre subiscono ogni anno.
Israele ha difeso con fermezza il suo comportamento, sostenendo che il trattamento dei minori è notevolmente migliorato con la creazione, due anni fa, di un tribunale militare minorile. Ma i ragazzi che hanno affrontato la dura giustizia dell’occupazione raccontano una storia molto diversa.
“I problemi nascono ben prima che i ragazzini vengano condotti in tribunale, cominciano con il loro arresto”, afferma Naomi Lalo, un’attivista di No Legal Frontiers, un’associazione israeliana che monitora i tribunali militari. E’ durante l’interrogatorio che il loro “destino è segnato”, sostiene.
Sameer Shilu, 12 anni, stava dormendo quando i soldati una notte hanno sfondato la porta d’ingresso della sua casa. Lui e suo fratello maggiore sono venuti fuori dalla camera da letto con gli occhi annebbiati per scoprire sei soldati mascherati nel loro salotto.
Controllando il nome del ragazzo sulla carta d’identità del padre, l’ufficiale sembrava “scioccato” quando ha visto che doveva arrestare un ragazzino, racconta il padre di Sameer, Saher. “Gli ho detto, ‘E’ troppo piccolo; perché lo ricercate?’ ‘Non lo so,’ rispose”. Bendato, e con le mani legate dolorosamente dietro la schiena con delle fascette di plastica, Sameer è stato spinto dentro ad una jeep, mentre il padre gli gridava di non spaventarsi. “Abbiamo pianto, tutti noi, “ racconta suo padre. “Conosco i miei figli, loro non tirano pietre”.
Nelle ore precedenti il suo interrogatorio, Sameer è stato tenuto bendato e ammanettato, e gli è stato impedito di dormire. Accompagnato finalmente per un interrogatorio senza la presenza di un avvocato o di un genitore, un uomo lo ha accusato di aver partecipato ad una manifestazione, e gli ha mostrato il filmato di un ragazzo che tirava pietre, sostenendo che era lui.
“Disse, ‘Questo sei tu’, e io risposi che non ero io. Poi mi chiese, ‘Chi sono questi?’ e io dissi che non lo sapevo”, racconta Sameer. “A un certo punto, l’uomo ha cominciato a gridare contro di me, e mi ha afferrato per il bavero, e ha detto ‘Ti butterò dalla finestra e ti picchierò con un bastone se non confessi’.”
Sameer, che protestava la sua innocenza, è stato fortunato; è stato rilasciato poche ore dopo. Ma la maggior parte dei ragazzi sono costretti a firmare una confessione, impauriti dalle minacce di violenza fisica o dalle minacce contro le loro famiglie, come il ritiro dei permessi di lavoro.
Quando viene firmata una confessione, gli avvocati solitamente consigliano ai ragazzi di accettare un patteggiamento e di scontare una pena detentiva stabilita anche se non colpevoli. Dichiararsi innocente significa provocare lunghi procedimenti giudiziari, durante i quali il ragazzo è quasi sempre detenuto in carcere. Le assoluzioni sono rare. “In un tribunale militare, devi sapere che non ti aspetti giustizia,” afferma Gabi Lasky, un avvocato israeliano che ha rappresentato molti ragazzi.
Vi sono molti ragazzini palestinesi nei villaggi della Cisgiordania sotto l’ombra del muro di separazione israeliano e delle colonie ebraiche sulle terre dei Palestinesi. Laddove sono nate manifestazioni di protesta in gran parte non-violente come forma di resistenza, vi sono dei ragazzini che tirano pietre, e le incursioni israeliane sono abituali. Ma gli avvocati e le associazioni per i diritti umani hanno criticato la politica israeliana degli arresti che nei villaggi che resistono all’occupazione hanno come obiettivo i ragazzini.
Nella maggior parte dei casi, bambini anche di dodici anni vengono buttati giù dai letti di notte, ammanettati e bendati, privati del sonno e del cibo, sottoposti a lunghi interrogatori, infine costretti a firmare una confessione scritta in ebraico, una lingua che pochi di loro sanno leggere.
L’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha concluso che “i diritti dei minori vengono gravemente violati, che la legge non riesce quasi per nulla a proteggere i loro diritti, e che i pochi diritti garantiti dalla legge non sono resi effettivi”.
Israele afferma di trattare i minori palestinesi nello spirito del proprio diritto minorile ma, nella pratica, è raramente il caso. Per esempio, i ragazzini non dovrebbero essere arrestati di notte, gli avvocati e i genitori dovrebbero essere presenti durante gli interrogatori, e ai bambini dovrebbero essere letti i loro diritti. Ma queste sono considerate delle linee guida, piuttosto che un obbligo di legge, e spesso vengono ignorate. E Israele considera i propri giovani come ragazzi fino all’età di 18 anni, mentre i palestinesi sono visti come adulti dai 16.
Avvocati ed attivisti affermano che più di duecento ragazzi palestinesi si trovano nelle prigioni israeliane. “Volete arrestare questi ragazzini, volete processarli,” dice la Sig.ra Lalo. “Bene, ma fatelo secondo la legge israeliana. Dategli i loro diritti”.
Nel caso di Islam, il ragazzo del video, il suo avvocato, la Sig.ra Lasky, ritiene che il video fornisca la prima prova concreta di gravi irregolarità nel suo interrogatorio.
In particolare, la persona che interrogava Islam ha omesso di informarlo del suo diritto a restare in silenzio, proprio mentre il suo avvocato supplicava inutilmente di vederlo. Al contrario, l’interrogante ha spinto Islam a raccontare tutto a lui e ai suoi colleghi, facendo intendere che se lo avesse fatto, sarebbe stato rilasciato. Uno di quelli che lo interrogavano allusivamente colpiva il palmo della sua mano con il pugno chiuso.
Alla fine Islam, scoppiando a piangere singhiozzando, ha ceduto ai suoi inquisitori, mostrando di fornir loro tutte le informazioni che vogliono sentire. Mostratagli una pagina di fotografie, la sua mano si muove debolmente sopra di esso, identificando gli uomini del suo villaggio, che verranno tutti arrestati per aver partecipato alla protesta.
La Sig.ra Lasky spera che questo filmato cambierà il modo in cui vengono trattati i ragazzini nei territori occupati, in particolare convincendoli ad accusare altri, il che secondo gli avvocati costituisce l’obiettivo primario degli interrogatori. Il video ha aiutato ad ottenere il rilascio di Islam e gli arresti domiciliari, e potrebbe anche portare ad una piena assoluzione dall’accusa di aver lanciato pietre. Ma in questo momento, un curvo e silenzioso Islam non si sente fortunato. A qualche metro di distanza dalla sua casa a Nabi Saleh c’è l’abitazione di sua cugina, il cui marito si trova in prigione in attesa del processo insieme ad una dozzina di altri in forza della confessione di Islam.
La cugina è magnanima. “Lui è una vittima, è solo un ragazzino,” dice Nariman Tamimi, 35 anni, il cui marito Bassem, 45 anni, è in carcere. “Non dobbiamo biasimarlo per ciò che è accaduto. Era sotto una enorme pressione”.
La politica di Israele in un certo senso ha avuto successo, seminando la paura tra i ragazzi e dissuadendoli da future dimostrazioni. Ma i ragazzi sono rimasti traumatizzati, soggetti ad incubi e ad enuresi notturna. La maggior parte devono perdere un anno di scuola, o persino ritirarsi.
I critici nei confronti di Israele sostengono che la sua politica sta creando una nuova generazione di attivisti dal cuore pieno di odio verso Israele. Altri affermano che sta macchiando la reputazione del paese. “Israele non ha alcun motivo di arrestare questi ragazzi, di processarli, di opprimerli,” dice la Sig.ra Lalo, con gli occhi lucidi. “Non sono i nostri figli. Il mio paese sta facendo così tanti torti e li giustifica. Dovremmo essere un esempio, ma siamo diventati uno stato oppressivo”.
Dati sulla detenzione minorile
7.000 Il numero stimato di giovani palestinesi detenuti e processati dai tribunali militari israeliani dal 2000, secondo un rapporto di Defence for Children International Palestine.
87% La percentuale di minori sottoposti ad una qualche forma di violenza fisica durante la detenzione. Si stima anche che circa il 91% ad un certo punto della detenzione sia stato bendato.
12 anni L’età minima per la responsabilità penale, secondo quanto previsto dall’Ordine Militare n.1651.
62% La percentuale dei ragazzi arrestati tra la mezzanotte e le cinque del mattino.
Etichette: cisgiordania, detenzione minorile, diritti umani, minori palestinesi, stati canaglia, tortura
5 Commenti:
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