14 marzo 2012

Stop alla barbarie della detenzione in isolamento dei minori palestinesi

Il 30 gennaio scorso, oltre 100 professionisti di spicco, ecclesiastici, educatori, medici, accademici e artisti americani e israeliani hanno inviato al Primo Ministro israeliano Netanyahu e ad altri alti funzionari di Israele e Usa la lettera che segue, sollevando le loro preoccupazioni per l’uso continuato della detenzione in isolamento dei bambini nei centri di interrogatorio di Al Jalame e di Petah Tikva, in Israele.

A partire dal 2008, Defence for Children International – Palestine ha documentato 38 casi in cui dei ragazzi sono stati posti in isolamento in queste strutture per periodi che vanno dalle 48 ore fino ai 65 giorni in un caso. La durata media del periodo in cui i minori sono rimasti in isolamento è stata di 11 giorni. Gli effetti dannosi sul piano psicologico e fisico della detenzione in isolamento di una persona sono ben documentati e includono: ansia e disperazione, disorientamento, depressione, insonnia,  psicosi, auto-mutilazioni e tentativi di suicidio.

In varie occasioni, da ultimo nell’ottobre del 2011, vari organismi dell’Onu, incluso il Comitato sui Diritti del Fanciullo e il Relatore Speciale dell’Onu sulla Tortura, hanno lanciato un appello per un divieto totale dell’uso della detenzione in isolamento sui minori. Questo appello trova eco nella lettera che segue.

Chi scrive può solo aggiungere il proprio sdegno e la propria riprovazione per l’utilizzo di un simile strumento di pressione che rappresenta una vera e propria forma di tortura, soprattutto quando ciò avviene a danno dei più piccoli e indifesi. Quando si discute di boicottaggio economico e culturale come forma di pressione contro Israele, si dovrebbero sempre tenere a mente atti abominevoli e immorali come questi, compiuti da uno stato-canaglia cui da troppo tempo la comunità internazionale garantisce piena e totale impunità per ogni crimine ed ogni illegalità.

E ciò è ancor più grave laddove dovrebbe essere chiaro che compiere simili atti abominevoli non serve ad altro che ad instillare gocce di veleno che scavano un solco di odio sempre più profondo tra israeliani e palestinesi, destinato a perpetuarsi nelle generazioni che verranno.

Equality and Justice for Children and Families

Onorevole Benjamin Netanyahu, Primo Ministro dello Stato di Israele
Onorevole Yaacob Ne’eman, Ministro della Giustizia dello Stato di Israele
Cc:
Onorevole Susan Rice, Rappresentante permanente degli Stati Uniti d’America presso le Nazioni Unite
Onorevole Daniel B. Shapiro, Ambasciatore americano in Israele
Onorevole Ron Prosor, Rappresentante permanente di Israele presso le Nazioni Unite
Onorevole Michael Oren, Ambasciatore israeliano negli Stati Uniti d’America

Re: L’uso della detenzione in isolamento dei minori nelle carceri israeliane
30 gennaio 2012

Cari Signori e Signore,

vi scriviamo come gruppo internazionale di professionisti, ecclesiastici, educatori, medici, accademici e artisti impegnati a favore dello stato di Israele e che hanno profondamente a cuore il futuro dei giovani israeliani e palestinesi.

Siamo preoccupati riguardo a continui credibili rapporti secondo cui degli adolescenti vengono tenuti in isolamento nei centri di detenzione in Israele. (1) Da ultimo, a ottobre e novembre del 2011, cinque adolescenti palestinesi riferiscono di essere stati detenuti in isolamento per periodi che vanno dai 3 ai 24 giorni. Secondo tali rapporti, i minori sono stati arrestati per azioni ritenute pericolose per la sicurezza di Israele. In tre casi, essi sono stati arrestati nel cuore della notte, senza che i loro genitori venissero informati del motivo per cui venivano arrestati o del luogo dove venivano portati. Le autorità hanno risposto con le più dure misure possibili. Essi sono stati deportati dalla Cisgiordania ai centri di detenzione ed interrogatorio di Al Jalame e di Petah Tikva, situati all’interno di Israele. Essi hanno riferito di essere stati legati dolorosamente, bendati per molte ore e soggetti ad abusi verbali durante il trasferimento. Sembra che ad essi sia stato persino negato il cibo, l’acqua e la possibilità di andare in bagno, e che siano stati privati della possibilità di dormire per lunghi periodi di tempo e tenuti in isolamento. (2)

Non si tratta di incidenti isolati. Secondo Defence for Children International, dal 2008 almeno 33 altri minori sono stati tenuti in isolamento in circostanze analoghe.(3) In uno degli incidenti, due adolescenti di 16 anni riferiscono di essere stati arrestati il 1° luglio 2010 e detenuti per 22 giorni, inclusi sei giorni in isolamento a Petah Tikva, prima di essere rilasciati senza alcuna accusa. Uno di questi ragazzi racconta che la luce della sua cella veniva tenuta accesa per tutto il giorno. Questi casi sono corroborati da un rapporto pubblicato da B’tselem e Hamoked, basato su 121 testimonianze di palestinesi detenuti a Petah Tikva nel 2009, dei quali 18 erano minori. (4) Molti di questi casi fanno riferimento all’uso della detenzione in isolamento, dove i prigionieri venivano tenuti in condizioni sorprendentemente simili a quelle dei cinque casi più recenti, ivi inclusa la luce accesa nelle celle per l’intera giornata.

Vorremmo attirare la vostra attenzione su un recente rapporto presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dal Relatore Speciale sulla Tortura, datato 5 agosto 2011. (5) Nel suo rapporto sulla detenzione in isolamento, il Sig. Juan E. Méndez ha concluso che l’uso dell’isolamento “può costituire tortura ovvero trattamento o punizione crudeli, disumani o degradanti quando viene utilizzato come punizione, durante il periodo di detenzione precedente il processo, indefinitamente o per un periodo prolungato, nei confronti di persone con disabilità mentali o dei minorenni”. Per queste ragioni il Relatore Speciale ha raccomandato che l’uso della detenzione in isolamento dei bambini venga abolito. Questa raccomandazione riecheggia simili appelli fatti dal Comitato Onu per i Diritti del Fanciullo nel 2007. (6)

Siamo dunque estremamente preoccupati nell’apprendere di queste cinque nuove segnalazioni di bambini detenuti in isolamento nei centri di interrogatorio di Al Jalame e di Petah Tikva. Gli effetti insidiosi della deprivazione sensoriale e dell’isolamento sugli adulti sono stati ben documentati. La letteratura in maniera costante mostra che anche quegli individui che non hanno predisposizione a disturbi psicologici possono sviluppare in isolamento deliri paranoidi e sintomi di schizofrenia. Immaginate quindi il maggior rischio psicologico per gli adolescenti, le cui capacità intellettive sono ancora in via di sviluppo e che sono, pertanto, ancora influenzabili e modificabili. Privare gli adolescenti di un contatto significativo può avere gravi e devastanti conseguenze psicologiche e fisiche. L’isolamento provoca ansia e disperazione, li disorienta e li terrorizza, innescando depressione, insonnia, tendenze suicide e psicosi. Ricordi e flashback dell’isolamento interferiscono con la riabilitazione, che è ancora possibile. Successivamente al loro rilascio, le conseguenze per i minori detenuti, per le loro famiglie, e per i loro fratelli hanno gravi implicazioni per la stabilità delle comunità dalle quali provengono. Come professionisti, siamo preoccupati per la trasmissione di traumi come questi da una generazione all’altra di israeliani e di palestinesi. 

Siamo sensibili alle legittime preoccupazioni di Israele per la sicurezza e al suo dovere di proteggere dalla violenza i propri cittadini e le persone che si trovano sotto la sua giurisdizione, o sotto il suo controllo de facto. Tuttavia, siamo anche profondamente convinti che tali considerazioni possano, e debbano, essere affrontate senza la detenzione in isolamento dei minorenni. Vorremmo cogliere questa occasione per esortarvi a prendere misure immediate per fermare la pratica della detenzione in isolamento dei minori, se ancora avviene, e per porre in essere un quadro normativo che assicuri che i minori, in nessuna circostanza, vengano sottoposti a così dure condizioni mentre sono reclusi nei centri di detenzione israeliani.

Aspettiamo al più presto una vostra risposta. Si prega di indirizzare tutte le risposte per la task force “Equality and Justice for Children and Families” all’indirizzo: ejcf.taskforce@gmail.com

Distinti saluti,

(seguono n.103 firme)

(1) DCI – Palestine, Appello Urgente (5 gennaio 2012) – http://www.dci-palestine.org/sites/default/files/ua_1_12_solitary_confinement.pdf   B’tselem e Hamoked, Kept in Darkness (ottobre 2010) - http://www.btselem.org/download/201010_kept_in_the_dark_eng.pdf
(2) Particolarmente disturbanti sono le descrizioni con cui i minori raccontano la loro detenzione in isolamento in una cella a cui costantemente si riferiscono come alla “cella n.36”. Queste sono le parole di un 17enne tenuto in isolamento per 24 giorni: “E’ una cella molto piccola, con un materasso sul pavimento e un gabinetto che fa una puzza terribile. Vi sono anche due sedili di cemento. Le luci sul soffitto erano di un giallo fioco e erano accese 24 ore al giorno, il che mi faceva male agli occhi. I muri erano grigi e dalla superficie ruvida. La cella non aveva finestre, solo due aperture per fare entrare e uscire l’aria. Il cibo veniva servito attraverso una ribalta nella porta.” (DCI-Palestine: R.J. – (17 anni)  http://www.dci-pal.org/english/display.cfm?DocId=1342&CategoryId=1
(3) DCI-Palestine, Appello Urgente (5 gennaio 2012) - http://www.dci-palestine.org/sites/default/files/ua_1_12_solitary_confinement.pdf
(4) B’tselem e Hamoked, Kept in Darkness (ottobre 2010) - http://www.btselem.org/download/201010_kept_in_the_dark_eng.pdf
(5) Relatore Speciale dell’Onu sulla Tortura, rapporto sulla detenzione in isolamento (5 agosto 2011): http://solitaryconfinement.org/uploads/SpecRapTortureAug2011.pdf
(6) Si veda ad esempio la Dichiarazione di Istanbul sull’Uso e gli Effetti della detenzione in isolamento: http://solitaryconfinement.org/uploads/Istanbul_expert_statement_on_sc.pdf e http://www.phr.org.il/default.asp?PageID=116&ItemID=1323

Etichette: , , ,

Condividi

26 ottobre 2011

Il maggior sindacato degli insegnanti del Regno Unito chiede la scarcerazione dei minori palestinesi


Dal giorno in cui è avvenuto lo scambio di prigionieri che ha portato alla liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, si moltiplicano gli appelli ad Israele e alla comunità internazionale affinché venga assicurata la liberazione anche dei 164 Palestinesi di età inferiore ai 18 anni attualmente detenuti nelle carceri israeliane.

In prima fila in questa battaglia per la riaffermazione dei diritti violati dei giovani palestinesi vi è senza dubbio una parte rilevante della politica e della società civile del Regno Unito.

Il 18 ottobre scorso, alcuni parlamentari della Camera dei Comuni hanno presentato una mozione di sostegno all'appello che l'Unicef ha rivolto al governo israeliano affinché liberi i minori palestinesi attualmente in regime di detenzione militare, ricordando come la Convenzione sui Diritti del Fanciullo preveda che "la detenzione dei minori dovrebbe essere utilizzata solo come misura di ultima istanza e per l’appropriato periodo di tempo più breve”. La mozione è stata sottoscritta ad oggi da ben 34 parlamentari, in gran parte militanti nelle fila del Labour.

Il 19 ottobre, la National Union of Teachers (NUT), il maggiore tra i sindacati degli insegnanti del Regno Unito con oltre 250.000 tesserati, ha rilanciato il medesimo appello per il rilascio di tutti i detenuti palestinesi di minore età attualmente rinchiusi nei centri di detenzione israeliani.

Alla data del 1° ottobre di quest'anno, nelle carceri israeliane si trovano 164 ragazzi palestinesi di età compresa tra i 12 e i 17 anni. La maggior parte di questi ragazzi sono accusati di lancio di pietre. Frequenti sono i rapporti che continuano ad essere ricevuti circa i maltrattamenti e le torture inflitti ai minori nel sistema giudiziario militare israeliano, così come riguardo alla negazione di diritti fondamentali, quali il rapido accesso all'assistenza di un avvocato, all'essere informati del diritto a rimanere in silenzio e di ottenere che un genitore sia presente durante l'interrogatorio. Christine Blower, Segretario Generale della NUT, ha accolto con favore la recente decisione delle autorità militari israeliane di elevare il limite della maggiore età nei tribunali militari da 16 a 18 anni, in linea con gli standard internazionali, ma ha osservato come nessun minore sia stato incluso nel recente rilascio di prigionieri del 18 ottobre 2011.

L'appello della NUT ai propri associati segue gli appelli similari lanciati dall'Unicef e da membri del Parlamento europeo e di quello del Regno Unito.

Etichette: , , , ,

Condividi

1 settembre 2011

L'infamia di Israele, un paese che arresta e tortura i ragazzini

La politica di Israele nei confronti delle manifestazioni di protesta in Cisgiordania è molto semplice: repressione brutale e spietata. E questa politica si rivolge in buona parte contro quello che si ritiene il punto debole del fronte di lotta palestinese contro l’occupazione, i bambini e i ragazzi.

Così, nel cuore della notte, squadre della miglior feccia di Tsahal vengono inviate ad arrestare ragazzini anche dodicenni con l’accusa, il più delle volte campata in aria, di aver tirato delle pietre durante cortei e manifestazioni di protesta. Si tratta, in realtà, di un pretesto dal doppio scopo: spaventare e dissuadere dalla lotta contro l’occupazione i più piccoli e i più indifesi e, soprattutto, ottenere false confessioni per incriminare ed arrestare gli adulti.

E ciò avviene in piena violazione dei diritti umani di questi ragazzi, e in palese contrasto con norme e convenzioni internazionali e persino della stesse legge israeliana: ragazzini arrestati in piena notte, bendati e ammanettati, picchiati e torturati, interrogati senza la presenza di genitori o avvocati, costretti a firmare false confessioni, per di più scritte in lingua abraica.

Un record che fa orrore e desta sconcerto, persino per uno stato-canaglia come quello israeliano.

Come Israele si vendica dei ragazzi che tirano pietre.
Un video visionato da Catrina Stewart rivela i brutali interrogatori dei giovani palestinesi
26.8.2011

Il ragazzo, piccolo e fragile, lotta per restare sveglio. La testa gli ciondola da un lato, ad un certo punto gli crolla sul petto. “Alza la testa! Alzala!” grida uno di quelli che lo interrogano, schiaffeggiandolo. Ma il ragazzo ormai non se ne cura, perché è sveglio da almeno dodici ore da quando è stato separato dai suoi genitori sotto la minaccia delle armi alle due di quella mattina. “Vorrei che mi lasciaste andare”, piagnucola il ragazzo, “così posso dormire un poco.”

Nel video di quasi sei ore, il 14enne palestinese Islam Tamimi (nella foto, n.d.r.), esausto e spaventato, viene gradualmente logorato fino al punto in cui comincia ad accusare gli uomini del suo villaggio e a creare delle storie fantastiche che ritiene che i suoi aguzzini vogliano sentire.

Questo filmato quasi mai visto, visionato dall’Independent, offre uno scorcio di un interrogatorio israeliano, quasi un rito di passaggio che centinaia di ragazzini palestinesi accusati di aver lanciato pietre subiscono ogni anno.

Israele ha difeso con fermezza il suo comportamento, sostenendo che il trattamento dei minori è notevolmente migliorato con la creazione, due anni fa, di un tribunale militare minorile. Ma i ragazzi che hanno affrontato la dura giustizia dell’occupazione raccontano una storia molto diversa.

“I problemi nascono ben prima che i ragazzini vengano condotti in tribunale, cominciano con il loro arresto”, afferma Naomi Lalo, un’attivista di No Legal Frontiers, un’associazione israeliana che monitora i tribunali militari. E’ durante l’interrogatorio che il loro “destino è segnato”, sostiene.

Sameer Shilu, 12 anni, stava dormendo quando i soldati una notte hanno sfondato la porta d’ingresso della sua casa. Lui e suo fratello maggiore sono venuti fuori dalla camera da letto con gli occhi annebbiati per scoprire sei soldati mascherati nel loro salotto.

Controllando il nome del ragazzo sulla carta d’identità del padre, l’ufficiale sembrava “scioccato” quando ha visto che doveva arrestare un ragazzino, racconta il padre di Sameer, Saher. “Gli ho detto, ‘E’ troppo piccolo; perché lo ricercate?’ ‘Non lo so,’ rispose”. Bendato, e con le mani legate dolorosamente dietro la schiena con delle fascette di plastica, Sameer è stato spinto dentro ad una jeep, mentre il padre gli gridava di non spaventarsi. “Abbiamo pianto, tutti noi, “ racconta suo padre. “Conosco i miei figli, loro non tirano pietre”.

Nelle ore precedenti il suo interrogatorio, Sameer è stato tenuto bendato e ammanettato, e gli è stato impedito di dormire. Accompagnato finalmente per un interrogatorio senza la presenza di un avvocato o di un genitore, un uomo lo ha accusato di aver partecipato ad una manifestazione, e gli ha mostrato il filmato di un ragazzo che tirava pietre, sostenendo che era lui.

“Disse, ‘Questo sei tu’, e io risposi che non ero io. Poi mi chiese, ‘Chi sono questi?’ e io dissi che non lo sapevo”, racconta Sameer. “A un certo punto, l’uomo ha cominciato a gridare contro di me, e mi ha afferrato per il bavero, e ha detto ‘Ti butterò dalla finestra e ti picchierò con un bastone se non confessi’.”

Sameer, che protestava la sua innocenza, è stato fortunato; è stato rilasciato poche ore dopo. Ma la maggior parte dei ragazzi sono costretti a firmare una confessione, impauriti dalle minacce di violenza fisica o dalle minacce contro le loro famiglie, come il ritiro dei permessi di lavoro.

Quando viene firmata una confessione, gli avvocati solitamente consigliano ai ragazzi di accettare un patteggiamento e di scontare una pena detentiva stabilita anche se non colpevoli. Dichiararsi innocente significa provocare lunghi procedimenti giudiziari, durante i quali il ragazzo è quasi sempre detenuto in carcere. Le assoluzioni sono rare. “In un tribunale militare, devi sapere che non ti aspetti giustizia,” afferma Gabi Lasky, un avvocato israeliano che ha rappresentato molti ragazzi.

Vi sono molti ragazzini palestinesi nei villaggi della Cisgiordania sotto l’ombra del muro di separazione israeliano e delle colonie ebraiche sulle terre dei Palestinesi. Laddove sono nate manifestazioni di protesta in gran parte non-violente come forma di resistenza, vi sono dei ragazzini che tirano pietre, e le incursioni israeliane sono abituali. Ma gli avvocati e le associazioni per i diritti umani hanno criticato la politica israeliana degli arresti che nei villaggi che resistono all’occupazione hanno come obiettivo i ragazzini.

Nella maggior parte dei casi, bambini anche di dodici anni vengono buttati giù dai letti di notte, ammanettati e bendati, privati del sonno e del cibo, sottoposti a lunghi interrogatori, infine costretti a firmare una confessione scritta in ebraico, una lingua che pochi di loro sanno leggere.

L’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha concluso che “i diritti dei minori vengono gravemente violati, che la legge non riesce quasi per nulla a proteggere i loro diritti, e che i pochi diritti garantiti dalla legge non sono resi effettivi”.

Israele afferma di trattare i minori palestinesi nello spirito del proprio diritto minorile ma, nella pratica, è raramente il caso. Per esempio, i ragazzini non dovrebbero essere arrestati di notte, gli avvocati e i genitori dovrebbero essere presenti durante gli interrogatori, e ai bambini dovrebbero essere letti i loro diritti. Ma queste sono considerate delle linee guida, piuttosto che un obbligo di legge, e spesso vengono ignorate. E Israele considera i propri giovani come ragazzi fino all’età di 18 anni, mentre i palestinesi sono visti come adulti dai 16.

Avvocati ed attivisti affermano che più di duecento ragazzi palestinesi si trovano nelle prigioni israeliane. “Volete arrestare questi ragazzini, volete processarli,” dice la Sig.ra Lalo. “Bene, ma fatelo secondo la legge israeliana. Dategli i loro diritti”.

Nel caso di Islam, il ragazzo del video, il suo avvocato, la Sig.ra Lasky, ritiene che il video fornisca la prima prova concreta di gravi irregolarità nel suo interrogatorio.

In particolare, la persona che interrogava Islam ha omesso di informarlo del suo diritto a restare in silenzio, proprio mentre il suo avvocato supplicava inutilmente di vederlo. Al contrario, l’interrogante ha spinto Islam a raccontare tutto a lui e ai suoi colleghi, facendo intendere che se lo avesse fatto, sarebbe stato rilasciato. Uno di quelli che lo interrogavano allusivamente colpiva il palmo della sua mano con il pugno chiuso.

Alla fine Islam, scoppiando a piangere singhiozzando, ha ceduto ai suoi inquisitori, mostrando di fornir loro tutte le informazioni che vogliono sentire. Mostratagli una pagina di fotografie, la sua mano si muove debolmente sopra di esso, identificando gli uomini del suo villaggio, che verranno tutti arrestati per aver partecipato alla protesta.

La Sig.ra Lasky spera che questo filmato cambierà il modo in cui vengono trattati i ragazzini nei territori occupati, in particolare convincendoli ad accusare altri, il che secondo gli avvocati costituisce l’obiettivo primario degli interrogatori. Il video ha aiutato ad ottenere il rilascio di Islam e gli arresti domiciliari, e potrebbe anche portare ad una piena assoluzione dall’accusa di aver lanciato pietre. Ma in questo momento, un curvo e silenzioso Islam non si sente fortunato. A qualche metro di distanza dalla sua casa a Nabi Saleh c’è l’abitazione di sua cugina, il cui marito si trova in prigione in attesa del processo insieme ad una dozzina di altri in forza della confessione di Islam.

La cugina è magnanima. “Lui è una vittima, è solo un ragazzino,” dice Nariman Tamimi, 35 anni, il cui marito Bassem, 45 anni, è in carcere. “Non dobbiamo biasimarlo per ciò che è accaduto. Era sotto una enorme pressione”.

La politica di Israele in un certo senso ha avuto successo, seminando la paura tra i ragazzi e dissuadendoli da future dimostrazioni. Ma i ragazzi sono rimasti traumatizzati, soggetti ad incubi e ad enuresi notturna. La maggior parte devono perdere un anno di scuola, o persino ritirarsi.

I critici nei confronti di Israele sostengono che la sua politica sta creando una nuova generazione di attivisti dal cuore pieno di odio verso Israele. Altri affermano che sta macchiando la reputazione del paese. “Israele non ha alcun motivo di arrestare questi ragazzi, di processarli, di opprimerli,” dice la Sig.ra Lalo, con gli occhi lucidi. “Non sono i nostri figli. Il mio paese sta facendo così tanti torti e li giustifica. Dovremmo essere un esempio, ma siamo diventati uno stato oppressivo”.

Dati sulla detenzione minorile

7.000 Il numero stimato di giovani palestinesi detenuti e processati dai tribunali militari israeliani dal 2000, secondo un rapporto di Defence for Children International Palestine.

87% La percentuale di minori sottoposti ad una qualche forma di violenza fisica durante la detenzione. Si stima anche che circa il 91% ad un certo punto della detenzione sia stato bendato.

12 anni L’età minima per la responsabilità penale, secondo quanto previsto dall’Ordine Militare n.1651.

62% La percentuale dei ragazzi arrestati tra la mezzanotte e le cinque del mattino.

Etichette: , , , , ,

Condividi