Una "giornata della rabbia" per protestare contro il veto Usa a difesa delle colonie israeliane
Come è noto, lo scorso 18 febbraio gli Stati Uniti hanno usato il proprio potere di veto per bloccare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che, lungi dall’essere “anti Israele”, si limitava a condannare – secondo quanto previsto dal diritto internazionale umanitario – la continua espansione degli insediamenti colonici.
La bozza di risoluzione che, in realtà, non era stata presentata solo da “un gruppo di Paesi arabi” (sempre qualche imprecisione, vero cari giornalisti della Repubblica?), ma anche da Austria, Belgio, Finlandia, Grecia, Irlanda, Norvegia, Portogallo solo per citare alcune delle nazioni firmatarie, si limitava invero a “riaffermare che le colonie israeliane costruite nei Territori palestinesi occupati dal 1967, inclusa Gerusalemme est, sono illegali e costituiscono il principale ostacolo per il raggiungimento di un accordo di pace giusto, durevole e globale” e a reiterare la richiesta ad Israele “di cessare immediatamente e completamente” ogni attività di espansione di tali insediamenti.
Come si vede, una risoluzione interamente basata sul diritto internazionale, del tutto condivisibile e, soprattutto, dal valore puramente formale, dato che non prevedeva alcuna sanzione nell’immediato nei confronti di Israele.
Ma, ancora una volta, lo strapotere della lobby ebraica e la sua pervasiva capacità di condizionamento della politica estera americana ha indotto gli Stati Uniti ha usare il proprio potere di veto per bloccare la risoluzione, costringendo la rappresentante Usa al Consiglio di Sicurezza ad arrampicarsi sugli specchi.
E, infatti, Susan Rice, se da una parte ha pur dovuto ricordare che gli Stati Uniti “respingono con la massima forza la legittimità” della continua attività di espansione delle colonie, dall’altra ha ribadito che il componimento del conflitto spetta solo ad Israeliani e Palestinesi, e che la risoluzione proposta avrebbe rischiato soltanto di irrigidire la posizione delle due parti.
Tesi, questa, in realtà un po’ bizzarra, perché è semmai l’ostinazione israeliana a costruire e ad ampliare le colonie che impedisce di fare il pur minimo passo verso la pace; non a caso, la responsabile Ue per gli affari esteri, Catherine Ashton, il giorno successivo ha rilasciato un comunicato ufficiale da cui traspare il disappunto per la posizione assunta dagli Usa: “Rilevo con rammarico che non è stato possibile raggiungere il consenso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla risoluzione relativa agli insediamenti. La posizione della Ue sulle colonie, incluse quelle a Gerusalemme est, è chiara: esse sono illegali secondo il diritto internazionale, sono un ostacolo verso la pace e costituiscono una minaccia per una soluzione a due stati”.
Ma, soprattutto, il punto debole delle argomentazioni della Rice riguarda il fatto che ogni soluzione del conflitto israelo-palestinese andrebbe demandata esclusivamente ai negoziati tra le parti: è vero invece l’esatto contrario, perché non stiamo parlando di due contraenti posti su un piano di parità, ma di un negoziato in cui una delle parti contraenti è infinitamente più debole rispetto all’altra, e dunque necessita di sostegno ed assistenza, soprattutto ove si consideri che null’altro chiede se non il rispetto della legalità internazionale.
L’ennesimo uso del potere di veto, peraltro, rafforza tra i Palestinesi e in tutto il mondo arabo la percezione che gli Usa, in realtà, si adoperino soltanto per garantire gli interessi del loro alleato israeliano, e solo in seconda battuta per raggiungere un equo (ma per chi?) accordo di pace.
Su quest’ultimo aspetto della vicenda si sofferma la corrispondente del Guardian da Gerusalemme, Harriet Sherwood, nell’articolo che segue proposto nella traduzione di Medarabnews.
I Palestinesi pianificano una “giornata della rabbia” dopo il veto Usa a una risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani
di Harriet Sherwood – 20.2.2011
La bozza di risoluzione che, in realtà, non era stata presentata solo da “un gruppo di Paesi arabi” (sempre qualche imprecisione, vero cari giornalisti della Repubblica?), ma anche da Austria, Belgio, Finlandia, Grecia, Irlanda, Norvegia, Portogallo solo per citare alcune delle nazioni firmatarie, si limitava invero a “riaffermare che le colonie israeliane costruite nei Territori palestinesi occupati dal 1967, inclusa Gerusalemme est, sono illegali e costituiscono il principale ostacolo per il raggiungimento di un accordo di pace giusto, durevole e globale” e a reiterare la richiesta ad Israele “di cessare immediatamente e completamente” ogni attività di espansione di tali insediamenti.
Come si vede, una risoluzione interamente basata sul diritto internazionale, del tutto condivisibile e, soprattutto, dal valore puramente formale, dato che non prevedeva alcuna sanzione nell’immediato nei confronti di Israele.
Ma, ancora una volta, lo strapotere della lobby ebraica e la sua pervasiva capacità di condizionamento della politica estera americana ha indotto gli Stati Uniti ha usare il proprio potere di veto per bloccare la risoluzione, costringendo la rappresentante Usa al Consiglio di Sicurezza ad arrampicarsi sugli specchi.
E, infatti, Susan Rice, se da una parte ha pur dovuto ricordare che gli Stati Uniti “respingono con la massima forza la legittimità” della continua attività di espansione delle colonie, dall’altra ha ribadito che il componimento del conflitto spetta solo ad Israeliani e Palestinesi, e che la risoluzione proposta avrebbe rischiato soltanto di irrigidire la posizione delle due parti.
Tesi, questa, in realtà un po’ bizzarra, perché è semmai l’ostinazione israeliana a costruire e ad ampliare le colonie che impedisce di fare il pur minimo passo verso la pace; non a caso, la responsabile Ue per gli affari esteri, Catherine Ashton, il giorno successivo ha rilasciato un comunicato ufficiale da cui traspare il disappunto per la posizione assunta dagli Usa: “Rilevo con rammarico che non è stato possibile raggiungere il consenso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla risoluzione relativa agli insediamenti. La posizione della Ue sulle colonie, incluse quelle a Gerusalemme est, è chiara: esse sono illegali secondo il diritto internazionale, sono un ostacolo verso la pace e costituiscono una minaccia per una soluzione a due stati”.
Ma, soprattutto, il punto debole delle argomentazioni della Rice riguarda il fatto che ogni soluzione del conflitto israelo-palestinese andrebbe demandata esclusivamente ai negoziati tra le parti: è vero invece l’esatto contrario, perché non stiamo parlando di due contraenti posti su un piano di parità, ma di un negoziato in cui una delle parti contraenti è infinitamente più debole rispetto all’altra, e dunque necessita di sostegno ed assistenza, soprattutto ove si consideri che null’altro chiede se non il rispetto della legalità internazionale.
L’ennesimo uso del potere di veto, peraltro, rafforza tra i Palestinesi e in tutto il mondo arabo la percezione che gli Usa, in realtà, si adoperino soltanto per garantire gli interessi del loro alleato israeliano, e solo in seconda battuta per raggiungere un equo (ma per chi?) accordo di pace.
Su quest’ultimo aspetto della vicenda si sofferma la corrispondente del Guardian da Gerusalemme, Harriet Sherwood, nell’articolo che segue proposto nella traduzione di Medarabnews.
I Palestinesi pianificano una “giornata della rabbia” dopo il veto Usa a una risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani
di Harriet Sherwood – 20.2.2011
I Palestinesi stanno organizzando una “giornata della rabbia” per venerdì, in risposta al veto statunitense su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che avrebbe condannato gli insediamenti israeliani.
La decisione degli Stati Uniti di usare il veto ha suscitato una reazione furiosa nella West Bank e a Gaza.
Questo fine settimana ci sono state proteste anti-americane nelle città di Betlemme, Tulkarem e Jenin della West Bank in seguito al voto di 14 a 1, con il quale gli Stati Uniti si sono opposti da soli a tutto il Consiglio di Sicurezza, incluse la Gran Bretagna, la Germania e la Francia. Gli USA hanno fra l’altro votato contro la loro stessa politica.
A Gaza, Hamas ha detto che la posizione degli Stati Uniti è oltraggiosa e ha incalzato affermando che Washington è “completamente dalla parte” di Israele.
Ibrahim Sarsour, un membro arabo-israeliano della Knesset, ha affermato che è giunto il momento di dire a Barack Obama di “andare al diavolo”.
“Non ci si può fidare di Obama”, ha scritto in una lettera aperta al presidente palestinese Mahmoud Abbas. “Sapevamo che le sue promesse erano solo bugie. E’ arrivato il momento di sputare in faccia agli Americani”.
Il ministero degli esteri egiziano ha detto che il veto degli Stati Uniti avrebbe “condotto a un ulteriore indebolimento tra gli Arabi della credibilità degli Stati Uniti come mediatori negli sforzi di pace”.
L’uso del veto, per la prima volta sotto la presidenza Obama, rafforzerà nel mondo arabo la percezione che per gli Stati Uniti la protezione del suo alleato Israele supera la volontà di trovare una giusta soluzione per i Palestinesi all’eterno conflitto.
Questa mossa probabilmente intralcerà gli sforzi statunitensi volti a convincere le parti a ritornare al tavolo dei negoziati, che si erano arenati a settembre proprio sulla questione dell’espansione degli insediamenti.
Con le proteste contro la repressione, la corruzione, il carovita e le disastrose prospettive economiche, che stanno infiammando tutto il Medio Oriente, Washington è consapevole della sfiducia nei confronti degli Stati Uniti diffusa in tutta la regione.
Il primo ministro israeliano, Binyamin Netanyahu, ha dichiarato che il suo paese ha “molto apprezzato” l’uso del veto da parte Stati Uniti.
Tuttavia, alcuni commentatori israeliani hanno avvertito che il voto è servito solo a rafforzare l’isolamento internazionale di Israele e hanno affermato che Washington si aspetterà qualcosa in cambio dal suo alleato. Essi hanno suggerito che gli Stati Uniti non saranno disposti a riutilizzare il veto in un altro caso simile.
La leader dell’opposizione, Tzipi Livni, ha detto che Israele è ora in una situazione di “collasso politico”.
“Scopriamo ora che la Germania, la Gran Bretagna e la Francia – tutti amici di Israele, che la vogliono aiutare a difendersi – hanno votato contro le posizioni di Israele, e che gli Stati Uniti stanno venendo costretti in un angolo, e si trovano, con Israele, contro tutto il mondo”, ha dichiarato.
Il voto di venerdì scorso ha fatto seguito a frenetici sforzi diplomatici per evitare che la risoluzione venisse sottoposta a votazione.
Obama aveva parlato con Abbas per più di 50 minuti giovedì, offrendogli vari incentivi, incluse eventuali dichiarazioni pubbliche, in cambio del ritiro della risoluzione.
Secondo la stampa palestinese, Obama ha anche minacciato di bloccare gli aiuti americani all’Autorità Palestinese se la risoluzione fosse stata presentata.
Anche il Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha contattato Abbas venerdì per convincerlo ad abbandonare la risoluzione.
In ogni caso, il presidente palestinese – rendendosi conto degli umori infiammabili nella regione e del contraccolpo che egli avrebbe subito qualora avesse accettato le richieste di Obama – si è rifiutato di tornare sui propri passi. Un funzionario palestinese ha dichiarato alla Reuters che “la gente sarebbe scesa in piazza e avrebbe rovesciato il presidente” se egli avesse ceduto.
Dopo il voto, l’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Susan Rice, ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza che Washington “è d’accordo con gli altri membri del Consiglio, e con il resto del mondo, sulla follia e l’illegittimità della persistente attività di Israele negli insediamenti”.
Ma ha aggiunto: “Pensiamo che non sia saggio che questo Consiglio tenti di risolvere le questioni essenziali che dividono gli Israeliani ed i Palestinesi”.
Sottolineando la crescente distanza che vi è fra gli Stati Uniti e l’Europa sulla questione israelo-palestinese, la Gran Bretagna, la Francia e la Germania hanno emesso una dichiarazione congiunta affermando che la costruzione degli insediamenti va contro il diritto internazionale.
Il veto è servito a unire Hamas e Fatah nella condanna del comportamento di Washington. I leader palestinesi stanno considerando la possibilità di presentare una risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Harriet Sherwood è corrispondente da Gerusalemme per il Guardian
Etichette: consiglio di sicurezza, Israele, palestina, Usa, veto
2 Commenti:
thanks for this tips
Grazie, buon lavoro! Questa era la roba che dovevo avere.
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